Sito Gruppo Solidarietà

Appunti n.120 (articoli principali)
(indice Appunti)


Curare a casa: aspetti etici
Giannino Piana - teologo, Università di Urbino
La promozione e lo sviluppo delle cure domiciliari, seppur ancora poco praticate nel nostro Paese, risponde principalmente alla esigenza di costruire risposte che si modellano sempre più sui bisogni delle persone malate
(indice)
La preoccupazione per l'umanizzazione della condizione di malat-tia è uno dei segni promettenti del cammino di civilizzazione che caratterizza la nostra società. Pur in presenza di spinte con-traddittorie (e non sempre positive), si deve riconoscere che è andata crescendo, in questi ultimi decenni, la consapevolezza della necessità di un'attenzione privilegiata ai diritti del ma-lato e che questa consapevolezza si è tradotta, in alcuni casi, anche nella produzione di interventi strutturali volti a dare concreta attuazione al rispetto e alla promozione di tali dirit-ti. L'ampliarsi quantitativo dello stato di malattia, anche in conseguenza del prolungamento medio della vita, e la sensibilità sempre maggiore al tema dei diritti umani sono le ragioni di que-sta svolta, che ha dato vita a molte esperienze, una delle quali (e non certo la meno importante) è costituita dalla tendenza a ridimensionare la via dell'ospedalizzazione per fare spazio all'assistenza e alla cura a domicilio. Si tratta di una pratica ancora molto limitata, ma in via di sviluppo e di potenziamento, che riveste un enorme significato non solo di ordine terapeutico ma soprattutto di ordine etico. Il concetto di "cura" si intrec-cia e si coniuga infatti qui strettamente - come viene ricordato anche nel titolo del presente Convegno - con quello del "prender-si cura", che implica il farsi carico della persona del malato, mettendolo in grado di sviluppare pienamente la sua identità sog-gettiva e relazionale, e perciò di fruire di una vita qualitati-vamente umana.
A questo aspetto etico delle cure domiciliari sono dedicati gli spunti di riflessione di questa relazione. L'obiettivo è infatti quello di illustrare le ragioni che stanno alla base di tale scelta (1), mettendo tuttavia, nello stesso tempo, a fuoco le condizioni imprescindibili per il suo corretto esercizio (2) e segnalando infine la necessità, per la sua feconda estensione, di un rinnovato clima culturale improntato alla crescita di un'autentica solidarietà sociale (3). La diffusione delle cure domiciliari è infatti strettamente dipendente, oltre che dall'av-vio di una nuova politica sanitaria a livello istituzionale, an-che dalla maturazione di una nuova coscienza civile incentrata sui valori.

1) Le ragioni della priorità della scelta
Ospedalizzazione e cure domiciliari non sono tra loro in antite-si. Il ricorso al ricovero ospedaliero è, in alcuni casi, assolu-tamente necessario. Esistono tuttavia situazioni - e sono oggi sempre più numerose, anche a causa del cronicizzarsi di diverse malattie - nelle quali tale ricovero risulta non solo superfluo, ma può rivelarsi perfino dannoso. Sono infatti evidenti i limiti dell'ospedalizzazione per soggetti che vivono esperienze traumatiche come quella della perdita della salute. La malattia assomma in sé, accanto alla debilitazione fisica, stati di pro-strazione psicologica e di emarginazione sociale: si pensi sol-tanto all'insicurezza esistenziale, legata alla perdita dell'ef-ficienza, e al senso di inutilità accentuato nella nostra società dal prevalere di criteri utilitaristici e produttivistici. Si può, in un certo senso, dire che il malato vive un'esperienza di malessere ontologico, cioè di frustrazione e di disagio, che coinvolge tutti gli strati della sua personalità; un'esperienza lacerante di scacco esistenziale e di privazione degli orizzonti di senso.
L'ospedalizzazione non fa che accentuare questa esperienza. La sottrazione al proprio habitat naturale, le forme di socializza-zione forzata e la dipendenza da persone sconosciute, alle quali ci si affida in ragione della loro competenza professionale, sono altrettanti elementi che alimentano la percezione della propria espropriazione. La casa non è infatti soltanto una struttura mu-raria; è il luogo delle memorie e degli affetti; è l'ambito entro il quale si sviluppano le relazioni umane più profonde, quelle sulle quali si costruise la propria identità e attraverso le qua-li vengono fornite le risposte alle domande di senso. L'importan-za delle cure domiciliari risiede proprio nel'offerta di queste possibilità, che hanno direttamente a che fare con il migliora-mento qualitativo della vita. La cura non implica infatti soltan-to attenzione agli aspetti patologici di carattere fisico; impli-ca attenzione alla globalità della persona, all'integralità del suo essere personale. Il concetto olistico di medicina, che sta, sia pur faticosamente, facendosi strada nella nostra cultura, è legato ad una visione della salute come benessere complessivo, cioè come benessere fisico, psichico e sociale, secondo la nota definizione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. Le cure domiciliari rispondono a questa esigenza. Il mantenimento del ma-lato nell'ambiente familiare favorisce l'articolarsi di dinamiche psicologiche e di forme di socializzazione, che, oltre ad avere spesso un effetto terapeutico, creano le condizioni per una vita umana più piena e più serena. Anche laddove la guarigione risulta clinicamente impossibile - è il caso delle malattie a prognosi infausta e, a maggior ragione, delle situazioni terminali - la forma di cura assicurata dalla permanenza nella propria casa ren-de in genere meno drammatico il processo di avvicinamento alla morte. Il diritto alla vita non si esaurisce infatti nella pre-stazione di cure mediche adeguate; comporta anche l'esigenza di attenzione alle dimensioni qualitative del vivere, e si intreccia con il diritto ad una morte dignitosa, resa possibile anche dalla creazione di un contesto umano che consenta di elaborare positi-vamente la propria situazione.
La scelta di dare priorità alle cure domiciliari, senza venir meno per questo al potenziamento di quelle ospedaliere, è pertanto la conseguenza di una visione più articolata del concetto di salute e dell'esigenza di un adeguamento delle strutture ai bisogni delle persone, attraverso l'offerta di una pluralità di servizi che rispondano alle diverse condizioni dei malati.

2) Le condizioni per un corretto esercizio
E' evidente che la condizione fondamentale perché la cura domici-liare si eserciti correttamente è anzitutto rappresentata dalla libera scelta della famiglia. Il che significa non solo che essa non può essere imposta, ma che deve essere frutto di una vera di-sponibilità dei familiari, i quali devono verificare al loro in-terno la capacità di sostenere un onere, in alcuni casi, partico-larmente gravoso. La permanenza del malato in casa impone una se-rie di limitazioni e costringe all'assunzione di responsabilità che vanno seriamente ponderate anche con l'aiuto di persone e-sperte. La generosità, per quanto importante, non basta; la con-tinuità delle prestazioni da fornire impone una verifica delle possibilità reali della famiglia. Le condizioni in cui la fami-glia oggi vive non sono, al riguardo, sempre idonee. La restri-zione degli spazi abitativi, le esigenze di lavoro che tengono per molto tempo i congiunti fuori dalla propria casa, l'imprepa-razione a far fronte a situazioni complesse sono fattori che creano talora gravi difficoltà. A ciò si deve aggiungere lo sta-to di fragilità dei rapporti, che rischia di essere ulteriormente accentuato dalla presenza del malato, che accolla ai membri della famiglia un peso psichico non irrilevante. La famiglia è in tal modo sottoposta a situazioni di conflitto e di lacerazione, che esigono per essere contenute o superate, il supporto di persone capaci di aiutarla ed elaborare il carico di ansia e di angoscia, altrimenti fortemente negativo non solo per le persone che la compongono ma anche per lo stesso malato.
Tutto ciò rende allora indispensabile l'offerta di un servizio pubblico adeguato, che non si riduca alle semplici cure mediche, per quanto essenziali, ma includa anche forme di assistenza psicologica e sociale tanto nei confronti del malato che dei familiari. Esistono in proposito, e vanno sempre più diffondendosi anche nel nostro paese, esperienze-pilota, che prevedono la costituzione per le cure domiciliari di équipes di esperti, nelle quali, accanto al medico e al personale paramedico, sno presenti anche le figure dello psicologo e dell'assistente sociale. Il potenziamento di tali esperienze è un'altra condizione essenziale per la buona riuscita delle cure a domicilio. Si tratta infatti di "farsi carico" globalmente della situazione della famiglia, in modo tale che si crei un ambiente adatto allo sviluppo delle cure. Un ruolo importante potrebbe essere esercitato dalla promozione di "hospice" - da noi ancora rari e riservati per lo più unicamente ai malati terminali - che svolgono una funzione intermedia tra ospedale e famiglia, consentendo a questa ultima di fruire di pause di riposo e fornendo al malato la possibilità di sottoporsi a verifiche più precise circa lo stato della propria malattia anche in vista di un migliore adeguamento alle cure.
Da ultimo, non va trascurata l'importante funzione del volontariato. La presenza di volontari, che integrano l'impegno della famiglia, favorisce l'articolarsi di forme di socializzazione allargata che hanno un effetto altamente positivo per la qualità della vita del malato. Il sentirsi circondati da persone, che dedicano gratuitamente tempo ed energie alla vita di altri, è un modo per uscire dallo stato di isolamento e per ricevere gratificazioni personali che rispondono alla dinamica del desiderio più profondo dell'uomo, quello di essere riconosciuto come persona e di poter sviluppare relazioni autentiche ed appaganti anche nei momenti più duri della propria esistenza.

3) La necessità di una nuova solidarietà sociale

La scelta delle cure domiciliari presuppone dunque la disponibi-lità delle famiglie e la presenza di servizi adeguati delle isti-tuzioni pubbliche. Ma tutto questo risulta insufficiente, se non si accompagna alla crescita di una coscienza partecipativa nella società ispirata al senso di una vera solidarietà. Le carenze delle istituzioni pubbliche - si pensi alla crisi dello Stato So-ciale - non sono addebitati soltanto alla cattiva volontà dei po-litici o alle negligenze di chi opera in esse. Sono anche la con-seguenza dell'assenza di impegno responsabile dei cittadini. Quando si accede ai servizi pubblici solo nella prospettiva della rivendicazione dei diritti senza mai assumersi i corrispondenti doveri ci si rende colpevoli della loro deriva. E' giusto lamen-tare gli eccessi di burocratizzazione e le forme di spreco e di clientelismo, che caratterizzano spesso la conduzione della cosa pubblica, ma è insieme doveroso interrogarsi sulle proprie com-plicità derivanti dalla mancata partecipazione alla vita collet-tiva. La riforma dello "Stato Sociale" implica senza dubbio l'at-tuazione di nuovi processi strutturali, improntati a logiche di efficienza e di decentramento; ma implica soprattutto lo sviluppo di una nuova coscienza partecipativa, che crei le condizioni per un più fecondo rapporto tra soggettività sociali ed istituzioni pubbliche.
Il problema di fondo è dunque quello dell'attivazione di una cultura della solidarietà, che estenda la sua influenza dai rapporti più immediati all'impegno diretto nei confronti delle strutture. Le tendenze individualistiche e le spinte corporative, sempre più presenti nella nostra società, nonché i processi di massificazione e di omologazione culturale, rendono certo dif-ficile lo sviluppo di questa cultura. E' come dire che si tratta di andare controcorrente, rifiutando ogni forma di delega e ope-rando nella direzione di un effettivo miglioramento delle condi-zioni di vita. I fenomeni dell'interdipendenza crescente e della globalizzazione rendono evidente la necessità di forme di impegno allargate, che si estendano all'intera umanità. Ma non si deve dimenticare che la solidarietà inizia da coloro che sono più vi-cini e ai quali occorre anzitutto prestare la propria opera di assistenza e di aiuto. Il buon funzionamento delle cure domici-liari è anche legato al ricrearsi di un tessuto sociale capace di integrare in se stesso le situazioni difficili mediante l'offerta di prestazioni, che rompono con la logica dell'isolamento e ga-rantiscono alla famiglia e ai servizi sociali il necessario sup-porto per una vera umanizzazione della condizione del malato.
La solidarietà di vicinato è la prima forma di solidarietà da esercitare; essa è anche la strada per educarsi all'assunzione di altre forme di solidarietà e respiro universalistico. Solo dallo sviluppo di questa nuova coscienza, che è indice di un vero e proprio salto di civiltà, è possibile sperare in un processo di reale miglioramento della qualità della vita di tutti, soprattut-to di coloro - come i malati - che vivono in condizioni di parti-colare sofferenza e rischiano di essere altrimenti fatti oggetto di pesanti forme di emarginazione sociale.
Le cure domiciliari
Lucia Bonucci, Carlo Hanau, Alida Pascutti - Dipartimento di scienze statistiche, Università di Bologna
Negli ultimi anni i servizi domiciliari sia di natura sanitaria che assistenziale hanno ricevuto un notevole sviluppo sia in risposta alle esigenze delle persone che a motivo di una riduzione di costi rispetto ai servizi residenziali
(indice)
Un pò di storia
Il Documento conclusivo dell'Assemblea Mondiale dell'ONU sull'Invecchiamento tenutasi a Vienna nel 1982 così raccomanda per l'assistenza domiciliare: "Occorre ampliare l'assistenza a domicilio per assicurare servizi socio-sanitari di buon livello ed in qualità sufficiente perché le persone anziane possano abitare nelle loro comunità di origine e vivere autonomamente il più possibile. (...) Occorre dotare i servizi a domicilio di mezzi medici, paramedici, infermieristici e tecnici che consentano di limitare il ricorso alla ospedalizzazione". Pertanto si ribadisce l'opportunità che non soltanto le persone sane ma anche molte categorie di malati possano ricevere l'aiuto di cui hanno bisogno restando al loro domicilio. Il documento dell'ONU segna la definitiva affermazione di una tendenza di politica sociale iniziata molti anni prima. A cavallo degli anni '60 e '70, si era già sviluppata una forte opposizione ai modelli di assistenza tecnologico-sanitaria di tipo istituzionale: gli ospedali generali, intesi come cattedrali della tecnica sanitaria, gli ospedali psichiatrici e le case di riposo, che contenevano molti anziani, alcuni malati gravi ed altri autosufficienti. Insieme alla critica nei confronti del ricovero degli anziani autosufficienti, spinti ad entrare in istituzione da difficoltà economiche e logistiche, si promuove la ricerca di forme di servizio socio-assistenziale diversificate e maggiormente orientate alla territorializzazione degli interventi.
L'assistenza domiciliare, che in quegli anni comincia ad aggiungere alla pratica assistenziale della rete informale (famiglia e volontariato) forme di servizio professionale, rappresenta uno dei cardini della diversificazione degli strumenti del sistema socio-assistenziale e sanitario italiano. In particolare ci si indirizza agli anziani ed ai malati cronici, che altrimenti sarebbero costretti a trascorrere tutto il resto della vita in ospedali o residenze sanitarie. Nella ricerca di soluzioni assistenziali che consentano di far fronte all'aumento della popolazione anziana, l'assistenza domiciliare rappresenta in molti casi una delle soluzioni più convenienti dal punto di vista dell'efficacia (risultato in termini di salute) e dell'efficienza (rapporto fra efficacia e risorse impiegate) .
La rete informale che affonda le proprie radici nella cultura italiana, in quanto basata sulle relazioni di aiuto e sulla solidarietà di familiari, vicini e volontari, è molto sviluppata nel nostro Paese, più che in tutti gli altri Paesi industrializzati. Tuttavia in Italia è relativamente recente ed episodica la diffusione dell'assistenza rivolta ai malati, definita assistenza domiciliare integrata (ADI), che fin dal dopoguerra era iniziata in Gran Bretagna, insieme con l'affermarsi del Servizio Sanitario Nazionale Britannico, e di là si era subito diffusa in Francia, come una delle soluzioni alternative all'ospedale ed alle residenze sanitarie. L'ADI, che va inserita in un sistema complesso di servizi in rete, ha come obiettivo la cura centrata sulla visione integrale dell'uomo: la sfida consiste nel mettere a sua disposizione quanto la moderna tecnica sanitaria può provvedere per la sua salute senza sottrarlo all'ambiente domestico ed ai suoi familiari.
Questo particolare tipo di assistenza si basa sulla constatazione che l'autonomia della persona, sinonimo di dignità, viene mantenuta di più nel proprio ambiente di vita, evitando l'istituzionalizzazione. Per ottenere questi risultati occorre aiutare le famiglie ad affrontare le situazioni complesse che si vengono a creare quando il malato resta a casa. L'ADI si compone infatti di diversi interventi, di tipo preventivo, diagnostico, terapeutico, riabilitativo e di mantenimento a lungo termine; gli interventi devono essere svolti da diverse figure professionali, coordinate fra loro in vista di ottimizzare i risultati.
Prima dell'ADI esistevano in Italia altre forme di assistenza sociale e sanitaria, con effetti diversi sugli utenti e sul SSN, sia in termini di benefici alla persona e alla famiglia che di vantaggi economici e organizzativi per il sistema. Da molti anni si era sviluppata in Italia una cultura di assistenza domiciliare nei confronti delle persone anziane e disabili: i Comuni, nell'ambito dell'assistenza sociale, fornivano integrazioni monetarie (minimo vitale), servizi, facilitazioni di vario genere alle forme associative di autoaiuto. Questo nuovo trend dell'assistenza tra le mura domestiche ha portato al moltiplicarsi di forme diverse di erogazione. L'analisi delle recenti esperienze italiane può essere rappresentativa di diverse modalità operative, che riguardano sani e malati:

1. Servizi socio-assistenziali di Assistenza Domiciliare (SAD);
2. Visite Programmate del Medico di famiglia;
3. Servizi di Assistenza Domiciliare Integrata (ADI);
4. Servizi di Spedalizzazione a Domicilio (SD);

Per quanto riguarda i Servizi di Assistenza Domiciliare (SAD) si tratta di servizi di aiuto domestico, recapito della spesa a domicilio, preparazione pasti, segretariato sociale ecc. Sono servizi a netta prevalenza socio-assistenziale a carico dei Comuni e destinati solitamente a cittadini che rientrano in fasce di reddito basse, in quanto i cittadini abbienti sarebbero chiamati a pagarne il valore.

Le visite programmate sono accessi domiciliari periodici del medico di medicina generale, previsti dalla convenzione di cui al D.P.R. n. 484 del 22.07.1996, organizzate allo scopo di tenere costantemente monitorati i pazienti non deambulanti, impossibilitati a lasciare la propria abitazione: si tratta di pazienti dimessi dagli ambienti di ricovero o pazienti in fase terminale (anziani, invalidi, ammalati cronici). Il medico concorda con il dirigente della medicina di base la frequenza delle visite, che sono retribuite a parte rispetto alla quota capitaria, con un importo pari a lire 35.000 per accesso. In questo stesso ambito possono ricadere alcuni tipi di accessi programmati di infermieri e/o fisioterapisti (servizi infermieristici domiciliari), con bassa frequenza temporale e scarsa necessità di integrazione, che fanno capo ai distretti sanitari.

L'Assistenza domiciliare integrata (ADI)
L'Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) è tra i servizi integrati sanitari e socio-sanitari previsti dal Progetto-Obiettivo per la Tutela della Salute degli Anziani (P.O.S.A.) approvato dal Parlamento il 30 gennaio 1992 ed è definita come " un servizio integrato di interventi domiciliari in favore di soggetti aventi necessità di una assistenza socio-sanitaria continuativa, che consente alla persona parzialmente, temporaneamente o totalmente non autosufficiente di rimanere il più possibile nel proprio ambiente abituale di vita."
Gli obiettivi principali dell'assistenza domiciliare sono la promozione ed il sostegno della qualità della vita a domicilio per gli anziani ed i soggetti disabili che hanno perso o invalidato, in via temporanea o permanente, le capacità di provvedere a se stessi autonomamente in modo soddisfacente, contrastando in tal modo il ricorso improprio alla spedalizzazione. D'altra parte quanto più si allunga il periodo della malattia e della dipendenza, tanto più si rende intollerabile la forma di assistenza istituzionale.

In particolare, l'ADI si propone di:
1. mantenere il più a lungo possibile l'individuo nel suo ambiente di vita, assicurando il supporto domiciliare necessario, fino al momento in cui divenga indispensabile una delle diverse forme di ricovero;
2. favorire il recupero funzionale ed il reinserimento sociale, dopo la dimissione dall'ospedale, per le persone che non si trovino in condizione di autosufficienza.

La necessità di attivare e di potenziare questo tipo di servizi è stata resa ancora più impellente nel 1995, con l'entrata in vigore del nuovo sistema di finanziamento degli ospedali pubblici e privati, basato sul pagamento delle prestazioni sanitarie classificate con il sistema dei DRGs (Diagnosis Related Group system), in italiano, ROD (Raggruppamenti Omogenei di Diagnosi). Infatti l'esperienza degli Stati Uniti, paese nel quale i DRGs sono stati introdotti da Medicare fin dall'ottobre 1983, ha dimostrato che l'impiego di tale sistema di finanziamento degli ospedali tende a produrre una drastica contrazione della durata delle degenze e dimissioni rapide anche di persone anziane in condizioni cliniche non ancora stabilizzate; di conseguenza, si è registrato un aumento del 37% della richiesta di servizi di assistenza domiciliare .
L'assistenza domiciliare integrata rappresenta, rispetto all'ospedale, una valida alternativa, in quanto è l'assistenza che si sposta verso il malato per soddisfarne le esigenze. In particolare, l'ADI garantisce, in relazione ai bisogni dell'utente, un insieme di prestazioni mediche, infermieristiche, riabilitative, socio-assistenziali, rese al domicilio del malato in forma integrata e secondo piani individuali programmati (Tabella 1).

Tab. 1 - Prestazioni di tipo sanitario e socio-assistenziale erogabili in modo mirato e coordinato attraverso l'assistenza domiciliare integrata

Prestazioni sanitarie
- assistenza del medico di medicina generale
- assistenza specialistica
- assistenza infermieristica
- assistenza riabilitativa
- psicoterapia
- prestazioni podologiche

Prestazioni socio-assistenziali
- aiuto domestico
- igiene della persona
- fornitura ed eventuale somministrazione dei pasti
- servizio di lavanderia
- disbrigo di commissioni e di pratiche amministrative
- adeguamento dell'abitazione alle necessità dell'anziano

E' inoltre importante sottolineare che l'ADI è solo uno dei possibili servizi di risposta ai fabbisogni dell'anziano: in rapporto alle condizioni psico-fisiche del soggetto, al tipo di dipendenza e all'entità del supporto familiare, risulterà di elezione in molti casi, ma sarà impraticabile in altri. I vantaggi di questo tipo di servizio derivano proprio dalla possibilità di assistere gli utenti senza ricorrere a soluzioni istituzionali. La possibilità di dare risposta alle necessità assistenziali senza allontanare l'utente dal proprio contesto abituale di vita consente infatti il mantenimento delle relazioni sociali ed ambientali evitando quello sradicamento che si dimostra spesso catastrofico e irreversibile per l'anziano.
Oltre a questo tipo di vantaggio vanno sottolineate altre potenzialità dell'intervento domiciliare: la flessibilità nella modulazione dell'assistenza, soprattutto nei termini del rapporto tra intensità assistenziale e condizioni di bisogno dell'utente; il contenimento dei costi, a parità di prestazioni, rispetto a modelli di assistenza residenziale; il rilievo dato alla prevenzione, al fine di evitare successive complicazioni; la possibilità di includere la famiglia nel progetto assistenziale.
In alcuni casi sono state sperimentate forme di assistenza domiciliare addirittura sostitutive del ricovero ospedaliero (ospedalizzazione a domicilio) .
La centralità del servizio domiciliare nel contesto degli interventi istituzionalizzanti e dei ricoveri impropri e la capacità di questo tipo di servizio di abbattere i costi complessivi dell'apparato assistenziale hanno determinato un sensibile aumento delle disponibilità di ADI in favore delle popolazioni anziane. Tuttavia, la carenza di una definizione normativa univoca a livello nazionale e la carenza di un sistema informativo socio-assistenziale determinano una sostanziale difficoltà di conoscenza dell'estensione del servizio in Italia.
A ciò si aggiunge la mancanza di strumenti operativi che consentano di valutare in che termini, in quali situazioni ed in quale misura i servizi di assistenza domiciliare concorrano a ridurre il ricorso a servizi di tipo residenziale.

I riferimenti legislativi precedenti l'ADI vanno cercati nel D.P.R. 28 settembre 1990 n. 314 sul rapporto di lavoro dei medici di medicina generale, ove si afferma che al medico iscritto negli elenchi per la medicina generale è affidato anche il compito dell'Assistenza Domiciliare, che permette di affrontare oltre alle malattie acute i problemi sanitari di anziani, invalidi o ammalati cronici, di pazienti dimessi dagli ambienti di ricovero e di pazienti in fase terminale. In particolare, gli articoli 20 e 26 definiscono le modalità delle visite ambulatoriali e domiciliari e dell'assistenza programmata ad assistiti non deambulabili. L'allegato H prevede che vengano assicurate al domicilio del paziente le prestazioni di medicina generale, di medicina specialistica, infermieristiche domiciliari, di aiuto domestico da parte del competente servizio delle unità sanitarie locali e di assistenza sociale. Secondo la norma, lo svolgimento è fortemente caratterizzato dall'intervento integrato dei servizi sanitari e sociali, in rapporto alle specifiche esigenze di ciascun soggetto.
Accordi nazionali dei medici di medicina generale; P.O.S.A.; Piani Sanitari Nazionali: sono i capisaldi normativi che prevedono l'attivazione dell'assistenza domiciliare integrata. Tra questi il già citato nuovo accordo dei medici di medicina generale sottoscritto il 25 gennaio 1996 e modificato il 6 giugno 1996 (D.P.R. n. 484 del 22.07.1996); oltre l'assistenza primaria, al medico di medicina generale è affidato il compito dell'assistenza programmata a domicilio dell'assistito, "anche in forma integrata con l'assistenza specialistica, infermieristica e riabilitativa, in collegamento, se necessario, con l'assistenza sociale" (art. 32). Il medico, insieme al sanitario responsabile a livello distrettuale, fissa la durata, il tipo di intervento, la cadenza degli accessi e i momenti di verifica; inoltre, nell'ambito del piano di interventi, il medico ha la responsabilità unica e complessiva del paziente, tiene la scheda degli accessi contenente gli interventi degli operatori sanitari, attiva gli eventuali interventi specialistici, infermieristici e sociali e, più in generale, coordina gli operatori per rispondere ai bisogni del paziente.
Tutti i principi dell'integrazione dei servizi e della necessità di potenziare le cure a domicilio vengono ribaditi ancora nell'ultimo P.S.N. 1998-2000, dove testualmente si scrive: "E' necessario garantire, fin quando possibile, la permanenza a casa delle persone malate croniche non autosufficienti, fornendo cure domiciliari, interventi di sostegno alle famiglie, assistenza domiciliare integrata". Fra le azioni previste per gli anziani, si ritrova: " Sviluppare le forme alternative al ricovero, mediante l'assistenza domiciliare integrata (ADI), quella semiresidenziale e l'ospedalizzazione a domicilio, favorendo l'integrazione fra le diverse forme di intervento".
La definizione dell'ADI si ritrova in forma già compiuta nel P.O.S.A. ove si specifica che l'ADI deve estendersi a tutte le età.
Il P.O.S.A. impernia il programma di assistenza geriatrica per non autosufficienti da un lato sul potenziamento e sulla specializzazione di divisioni ospedaliere e strutture residenziali espressamente dedicate agli anziani e, dall'altro, sull'impiego dei servizi di base, in particolare sull'assistenza domiciliare integrata. In particolare, il POSA prescrive che i pazienti entrino in residenza solo dopo che si siano esperiti tutti i tentativi possibili per assisterli a domicilio (ADI e SD). Nella selezione di accesso a questo servizio diventa fondamentale la valutazione delle condizioni generali del paziente; non è sufficiente, cioè, considerare solo la gravità dello stato di salute, ma si richiede un approccio multidimensionale in grado di individuare le prestazioni da erogare al fine di colmare il divario esistente tra le capacità residue del soggetto e il livello di autosufficienza adeguato al suo quadro clinico. Tale valutazione viene fatta dalla Unità di Valutazione Geriatrica (UVG) che, collocandosi a livello territoriale come unica porta di accesso per tutti i servizi disponibili ai pazienti (domiciliari e residenziali), dovrebbe assegnare il paziente al servizio più adatto per lui in quel dato momento.
L'accesso al servizio ADI, in base alle normative regionali, può avvenire in diversi modi, in quanto sono diversi i momenti in cui si accertano le condizioni che richiedono un intervento ADI. In particolare, l'iniziativa della richiesta può intervenire ad opera:
- degli stessi soggetti interessati, attraverso il medico di medicina generale, l'assistente sociale o un altro operatore di base (infermiere e assistenti domiciliari), oppure attraverso il responsabile di Distretto o dell'UVG Territoriale;
- dell'ospedale, a seguito di un ricovero, specialmente per le fasi convalescenziali;
- del Day Hospital, a seguito di un intervento;
- della RSA, come alternativa o in occasione della dimissione.
Da una ricerca condotta su alcuni servizi italiani (G. Abate, A. Bavazzano, A. Di Iorio, Assistenza domiciliare integrata: indagine conoscitiva sulla situazione nazionale, CNR, 1995), risulta che la sede migliore per decidere razionalmente sull'assegnazione al servizio più indicato, sia per l'anziano malato che per quello soltanto bisognoso di assistenza sociale, sia il Distretto socio-sanitario, che rappresenta, quindi, un efficace collettore della domanda e uno strumento attraverso cui assegnare i vari servizi socio-assistenziali, non solo di ADI, disponibili sul territorio, in base al principio dell'unica porta di accesso.
Le figure professionali che compongono il servizio ADI sono:
- per la componente sanitaria (oltre i dirigenti dell'ADI stessa):
* medico di medicina generale di libera scelta dell'assistito;
* infermieri professionali;
* terapisti della riabilitazione;
* assistenti sanitari.
- per la componente socio-assistenziale:
* assistenti domiciliari;
* assistenti sociali.
- figure eventuali, secondo necessità ed accesso:
* medici specialisti;
* psicologo;
* assistente religioso;
* podologo;
* altri (per specifiche esigenze).
Molto utile è l'apporto del volontariato.
Gli standard assistenziali minimi per assistito in media annuale che il servizio deve assicurare sono i seguenti:
- 140 ore di assistenza domiciliare di tipo socio-assistenziale;
- 100 ore di assistenza infermieristica;
- 50 ore di assistenza riabilitativa;
- 50 accessi del medico di medicina generale;
- 8 consulenze medico-specialistiche o di altri operatori (psicologo);
Le prestazioni sanitarie all'utente non dovranno superare i 120 minuti giornalieri esclusi gli spostamenti e dovranno articolarsi nell'arco dell'intera settimana incluse le giornate festive.
In termini di personale, i valori di riferimento del servizio risultano essere:
- 1 assistente domiciliare ogni 10 anziani assistiti;
- 1 infermiere professionale ogni 14 anziani;
- 1 terapista della riabilitazione ogni 50 anziani;
- per le altre figure professionali non esistono parametri specifici in quanto utilizzate anche per altri servizi.
La verifica e la valutazione dell'efficacia e dell'efficienza degli interventi sulla base degli obiettivi e dei risultati spetta ai medici di base ed agli operatori, coordinati dal responsabile di Distretto, attraverso appropriati strumenti di valutazione (ad es. apposita scheda, parte integrante della cartella personale, contenente una scala di valutazioni del grado di non autosufficienza e del livello di intensità assistenziale richiesto). Per tali operazioni il Responsabile di Distretto, ma anche gli altri operatori interessati, debbono avvalersi del sistema informativo, integrato o a rete, esistente nell'Unità Sanitaria Locale o nel Distretto. Il Progetto prevede che gli oneri delle prestazioni sanitarie erogate in via diretta gravino sulle UU.SS.LL., mentre le spese di natura socio-assistenziale siano a carico dei cittadini o, nel caso di loro indigenza, dei Comuni; inoltre è prevista, secondo le disposizioni legislative regionali, la contribuzione dell'utente alle spese del servizio.

La Spedalizzazione Domiciliare (SD)
La Spedalizzazione Domiciliare è un servizio di tutela della salute degli anziani che viene classificato, secondo il P.O.S.A. come "un servizio socio-sanitario di tipo specialistico a carattere non residenziale".
Tra i servizi a carattere domiciliare è quello a più elevato contenuto sanitario, in quanto si garantisce al paziente che rimane a casa la stessa assistenza che riceverebbe in ospedale. Per questo motivo la SD deve essere ritenuta la frontiera estrema dell'assistenza a domicilio, dove la difficoltà tecnica si congiunge ai costi più elevati.
La SD si differenzia dall'ADI in quanto le prestazioni erogate sono quelle che altrimenti sarebbero erogate in ospedale (ad esempio l'alimentazione parenterale totale, i trattamenti particolari del dolore, ecc.). Per questo motivo, a fronte di una prestazione altamente specializzata, è necessaria l'esistenza, a domicilio del paziente, di specifiche condizioni ambientali e familiari.
Per servizio di Spedalizzazione Domiciliare si intende, secondo la definizione data dal P.O.S.A., "l'effettuazione nel luogo di vita del malato dei principali interventi diagnostici e terepeutici normalmente possibili in ospedale, eventualmente integrati, per prestazioni particolari, da una breve presenza in ospedale con accesso e trasporto facilitati." Tali interventi, sotto la responsabilità assistenziale diretta del presidio ospedaliero, vengono erogati dal personale dell'ospedale stesso o con la collaborazione, funzionalmente guidata, del personale dei servizi territoriali.
Secondo il P.O.S.A., la SD viene ritenuta particolarmente utile per un programma di tutela della salute degli anziani, specialmente nei seguenti casi:
- malati anziani con riacutizzazione di patologie croniche, dimessi precocemente dopo il primo trattamento, per evitare gli effetti negativi di un ricovero ospedaliero prolungato;
- malati con patologie di tipo evolutivo, che richiederebbero ricoveri ospedalieri periodici per controlli e trattamenti;
- pazienti che, a seguito di interventi mutilanti, richiedono assistenza medica, riabilitativa, per il reinserimento socio-familiare;
- malati in fase terminale che si trovano in grave disagio fisico e psichico in ambiente ospedaliero.
Condizione necessaria per poter attivare questo tipo di servizio è, quindi, ancor più che per l'ADI, la presenza di validi familiari al domicilio del paziente e l'esistenza di sufficienti garanzie per il mantenimento nell'ambiente domestico dei livelli di cura ospedaliera.
E' necessario, quindi, che a domicilio vengano garantiti i seguenti ausili: ausili per la deambulazione e per le funzioni fisiologiche; erogatori di ossigeno; piantane per fleboclisi; piccoli aspiratori; respiratori ambu, ecc.; collegamento telefonico con l'ospedale. Inoltre, quando necessario, vengano garantite forme di aiuto domestico alle famiglie per la pulizia del malato, l'alimentazione, e di aiuto di tipo economico come contributi in denaro, agevolazioni, ecc.
La Spedalizzazione Domiciliare costituisce funzione integrante di ogni Unità Operativa Geriatrica, ma può essere attivata anche da altre unità operative. In particolare la Unità Operativa Geriatrica, o Divisione di Geriatria, si differenzia dalla divisione di medicina per la diversità di tipologia di pazienti e di preparazione professionale di tutto il personale, compreso quello infermieristico e tecnico; per la differente tipologia edilizia, adeguata alle esigenze dei pazienti; per la presenza di strutture di riabilitazione; per il coordinamento nell'ambito della Unità di Valutazione Geriatrica (UVG) con i servizi territoriali. Compito dell'UVG è infatti realizzare l'integrazione tra servizi sociali e quelli sanitari e provvedere alla gestione dell'anziano nei servizi sanitari geriatrici intra ed extraospedalieri sulla base dei principi della valutazione funzionale multidimensionale.
Secondo il Progetto-Obiettivo, vengono ritenute necessarie per la sperimentazione:
- la reperibilità nell'arco delle 24 ore di almeno 1 infermiere e 1 medico;
- lo svolgimento di un tirocinio di formazione per la preparazione del personale;
- lo svolgimento di riunioni di équipe per predisporre e adattare i piani di lavoro;
- una segreteria, sede del servizio di accoglimento delle segnalazioni e delle domande di SD, guardia per le emergenze, invio e ritiro degli accertamenti di laboratorio, assistenza nel trasporto all'ospedale o nel rientro a casa, apertura e tenuta delle cartelle cliniche, raccolta ed elaborazione di dati statistici.
La Spedalizzazione Domiciliare prevede una durata media annuale di 40 giorni a paziente e assicura le seguenti prestazioni (al netto dei tempi di spostamento del personale di assistenza):
- due ore di presenza infermieristica giornaliera, secondo le necessità nell'arco delle 24 ore;
- un passaggio giornaliero, in media, del medico curante che può essere o il medico ospedaliero o il medico di medicina generale dei servizi territoriali (il quale opera in collegamento con la divisione ospedaliera geriatrica);
- il collegamento 24 ore al giorno con l'équipe ospedaliera per i casi di emergenza che necessitano un intervento urgente;
- la possibilità di consulenze specialistiche specifiche;
- l'educazione sanitaria ai familiari per una migliore assistenza ed un adeguato rapporto con il paziente ospedalizzato a casa.
Naturalmente la rete degli operatori addetti all'assistenza domiciliare per ADI ed SD non può non essere la stessa, in quanto i tempi di trasferimento si riducono in relazione alla densità sul territorio dei domicili da servire. La dirigenza organizzativa sanitaria e logistica unica consentono notevoli risparmi nell'utilizzo delle risorse e nella garanzia che non si perda la continuità nell'assistenza, che costituisce una necessità evidente.
Affidamento familiare: problemi aperti e scenari possibili
Stefano Ricci - Comunità di Capodarco
Pubblichiamo di seguito la seconda parte (la prima è stata pubblicata nel numero 6/98 di Appunti) della relazione di Stefano Ricci alla 1ª Conferenza Nazionale sull’Affidamento Familiare svoltasi a Reggio Calabria il 13/14 dicembre 1997
(indice)
5. Questioni aperte
Esistono alcune 'questioni aperte' generali, che riguardano l'intera società e che fanno da sfondo importante ai nodi pro-blematici dell'affidamento familiare.

5.1. Riorganizzazione delle competenze pubbliche e corretta integrazione pubblico-privato
Il primo e determinante condizionamento al decollo delle poli-tiche di tutela dell'infanzia è l'assenza pressoché totale di una azione coordinata a rete dei vari soggetti pubblici e privati che operano nel settore, finalizzata alla prevenzione. L'assenza della rete dei servizi si scarica sugli anelli più deboli da subito, ma in prospettiva si scarica su tutti i soggetti coinvolti nel settore. Si sente come sempre più urgente la necessità della una riforma dell'assistenza che vada nel senso della creazione di interventi adeguati ai bisogni dei cittadini attraverso la creazione di una rete forte di servizi. La riorganizzazione e la qualificazione degli interventi socio-assistenziali nel Paese deve mantenere al 'pubblico' la titolarità delle politiche nella ricerca di una razionale ed equilibrata integrazione tra pubblico e privato sociale nella gestione dei servizi. E' indispensabile non smantellare il servizio pubblico, non far abdicare alle proprie funzioni di garante, di indirizzo e di verifica degli interventi.

5.2. Integrazione o raccordo tra sociale e sanitario
La divisione sempre più netta, e a volte esasperata, tra competenze sociali e sanitarie determina scompensi e disfunzioni sempre meno sostenibili dalla popolazione in generale e dalle famiglie e dalle fasce deboli in particolare. È difficile valutare se sia possibile riprendere il confronto sull'integrazione tra sociale e sanitario a livello 'alto', di scelte di politica sanitaria e sociale a livello di Governo centrale, seppure in una prospettiva federativa di decentramento. È però indispensabile trovare comunque forme adeguate di raccordo tra interventi sociali e sanitari, che non mortifichino la dignità delle persone, la professionalità degli operatori, la necessaria unitarietà degli interventi.

5.3 Contro il primato del risparmio e dei tagli alla spesa
Altro nodo critico, di fronte al quale si è sempre più scon-certati, è il comportamento di quanti condizionano gli interventi sanitari e sociali a vincoli e logiche di tipo esclusivamente economico. Il confondere tra risparmio e lotta agli sprechi o tra razionalizzazione e tagli alla spesa penalizza i cittadini. Un conto è utilizzare anche parametri di corretta gestione economico-finanziaria nell'organizzazione dei servizi e nella erogazione delle prestazioni, un altro è assumere i criteri aziendali e la parità di bilancio come riferimenti assoluto, senza dover rispondere più a nessuno (cittadini e loro delegati eletti) delle proprie scelte. Viene il dubbio che anche un eventuale ritorno di attenzione verso le politiche dell'affidamento familiare sia motivato per lo più da politiche di spesa anziché da scelte consapevolmente orientate a garantire ad ogni minore una famiglia, possibilmente la sua.

5.4. Ambiguità della sensibilità dell'opinione pubblica
Si coglie una drammatica e stridente contraddittorietà nella sensibilità dell'opinione pubblica sui temi che riguardano la tutela dei diritti all'infanzia, pure cresciuta in questi ultimi anni. Non si rileva un cambiamento profondo nella nostra cultura per la permanenza, e forse l'incremento, di fatti numerosissimi e gravi nei confronti dei minori e, soprattutto, per la mancanza di comportamenti conseguenti, individuali e sociali. Nella società permangono grandi resistenze e difficoltà: ad allargare la solidarietà oltre l'ambito delle relazioni primarie della famiglia; ad attivare vere politiche ed interventi efficaci dei servizi di sostegno delle famiglie e questo pesa particolarmente sulle famiglie deprivate; a coordinare le risorse territoriali; a costruire reti di sostegno per il recupero dei bambini/ragazzi e per il loro rientro nella famiglia di origine, se affidati a famiglie; a far accettare al mondo imprenditoriale l'impegno ad inserire adolescenti a rischio in attività lavorative; a sostenere con risorse e mezzi adeguati le attività dell'associazionismo familiare e di base.
Vanno quindi evidenziate delle 'questioni generali' specifiche, attinenti l'affidamento familiare.

5.5. Sostegno della famiglia di origine
Se in linea di principio viene spesso ribadito, in pratica poco viene fatto per tutelare il diritto del minore ad essere educato all'interno della sua famiglia d'origine. Né norme né organizzazioni di servizi, oggi sostengono e promuovono realmente le capacità educative delle famiglie. Per la famiglia in difficoltà poche sono le occasioni per apprendere a educare.

5.6. Localizzazione dei servizi e superamento della logica del servizio
Muoversi nell'ottica della promozione della competenza educativa della famiglia d'origine comporta la necessità di ripensare la stessa localizzazione dei servizi, non solo socioassistenziali, riconoscendo l'esistenza di un servizio vero e proprio in quei contesti normali di vita all'interno dei quali può essere svolto (e di fatto viene svolto) un intervento di sostegno e/o promozione nei confronti di soggetti e di famiglie in difficoltà. Il riconoscimento dell'esistenza di simili servizi, coincidenti con il contesto di vita dell'operatore oltre che con quello dell'utente, pone il problema di superare la logica del servizio come 'luogo speciale' dove vengono erogate 'prestazioni speciali' e di avviare una riflessione seria sulla necessità di riqualificare il tessuto sociale; questo comporta una politica, anche economica, di investimento sulla rete sociale, di identificazione di sviluppo di relazioni interne alla comunità, quotidiane, non specialistiche, ma non per questo non efficaci.

5.7. Temporaneità
La caratteristica della temporaneità, tipica dell'affidamento, all'apparenza chiara e comprensibile, nell'esperienza pratica è invece l'elemento risultato di più difficile determinazione, e quello che si presta a difficoltà, e talora a pericolose distorsioni interpretative, con conseguenze gravi per il benessere del minore (ad esempio quando è incerta la prospettiva di rientro in famiglia o se non c'è precisa regolamentazione dei rapporti tra minore e famiglia di origine). Dare certezze, o per lo meno indicazioni chiare, sulla temporaneità, anche quando gli affidamenti, consensuali o giudiziali, sono destinati a prolungarsi e a durare nel tempo è un impegno doveroso per i giudici ed i servizi, indispensabile anche per evitare malintesi pericolosi.

5.8. Affidamento a tempo prolungato
In relazione alla temporaneità e alla durata, l'affidamento a tempo prolungato pone specifici problemi, tra questi: il ri-schio di abusare dello strumento; la necessità di evitare che i casi di affidamento prolungato divengano dei casi dimenticati; il pericolo di non sostenere più l'affidamento scaricando interamente sugli affidatari la gestione dei rapporti con la famiglia di origine; la presa in carico di questi casi (e di chi si occupa di loro) da parte dei servizi anche dopo che il minore raggiunge il diciottesimo anno d'età.

5.9. Un progetto per ogni affidamento familiare
Da più parti è stata rilevata la mancanza e/o inadeguatezza del progetto individuale di affidamento familiare. Molto spesso le famiglie e le associazioni hanno indicato, tra gli aspetti più negativi dell'esperienza di affidamento familiare, la mancanza del progetto e la mancanza o la non attuazione dei regolamenti comunali rispetto al progetto (in pratica la non attuazione del progetto). E' stata stabilita una correlazione tra mancanza del progetto e maggiore durata dell'affidamento, ma se l'affidamento è un intervento di sostegno a favore di tutto un nucleo familiare in difficoltà, come si può pensare che esista un serio progetto di recupero del disagio familiare se non si è elaborato neanche un progetto chiaro sul minore che viene affidato ad un'altra famiglia? Per la riuscita dell'affidamento familiare è in-dispensabile che dietro ogni minore ci sia un progetto da co-struire, che non riguarda soltanto il minore ma anche il ter-ritorio.

5.10. Il Tribunale per i Minorenni e i Giudici Tutelari
La prevalenza degli affidamenti non consensuali, disposti dai Tribunali per i Minorenni per minori in situazioni pregiudi-zievoli, rispetto agli affidamenti consensuali, disposti dai Servizi, è un indicatore di quanto l'affidamento familiare sia concepito troppo spesso come estrema risorsa, praticata sovente dopo i fallimenti di famiglia e istituti, quando la situazione psicologica del minore, ormai grandicello, è molto compromessa. Tra l'altro gli affidamenti familiari 'imposti' dai Tribunali per i Minorenni sono vissuti troppo spesso come punitivi anziché come strumenti di aiuto.
I tempi di decisione del Tribunale per i Minorenni sono, in genere, decisamente lunghi rispetto alle esigenze e alle attese dei minori; i motivi possono essere i più diversi, tutti comprensibili ma quasi mai giustificabili rispetto ai 'tempi' e alle 'urgenze' dei minori. Pur concordando sulla necessità che vengano privilegiati gli interventi diretti a favorire, per quanto possibile, la permanenza del bambino nella sua famiglia quando i genitori, attraverso i supporti dei servizi, sono in grado di svolgere il loro ruolo dal punto di vista affettivo ed educativo, si ritiene però indispensabile non rinviare nel tempo (magari per mesi, se non per anni) l'allontanamento del bambino da un nucleo le cui condizioni sono ormai deteriorate, tentando recuperi impossibili, destinati al fallimento.
I Giudici Tutelari, che pure hanno un ruolo importante negli affidamenti familiari consensuali, risultano essere praticamente latitanti e, quando presenti, denunciano essi stessi la loro incapacità, impossibilità di intervenire adeguatamente, per la mancanza di tempo e di preparazione soprattutto.
Inoltre le funzioni di vigilanza e di controllo sugli istituti per minori sono solo formali e non sostanziali; a volte non vengono neanche svolte dai Giudici Tutelari.

5.11. Istituzioni e Servizi pubblici
Sono diversi gli aspetti che, anche in base a quanto emerso dalle Conferenze Regionali, caratterizzano le difficoltà delle istituzioni e dei servizi pubblici nella progettazione, organizzazione, gestione e verifica dell'affidamento familiare:
- Mancanza di programmi mirati ed articolati da parte delle istituzioni e degli organismi preposti all'educazione, all'in-formazione, alla formazione del personale; con conseguenze ne-gative sul controllo della realizzazione dei progetti e sui risultati.
- Mancanza di coordinamento fra enti, con la conseguente in-sorgenza di conflitti di competenza.
- Assenza di omogeneità di intervento e di linee guida speci-fiche all'interno di territori regionali, con modalità opera-tive molto diverse tra loro.
- Verifiche periodiche dell'affidamento non sistematiche e spesso esercitate dai servizi solo su esplicita sollecitazione degli affidatari, anche quando è presente l'attività di soste-gno alle famiglie affidatarie. Delega all'iniziativa delle due famiglie dei rapporti tra famiglia affidataria e famiglia d'origine.

5.12. Rapporti tra pubblico e privato sociale impegnato su af-fidamento familiare e dintorni
Pur con differenze territoriali significative e con eccezioni positive risulta difficile la collaborazione tra associazioni di volontariato e istituzioni e servizi pubblici. Nelle regioni del nord d'Italia si coglie la difficoltà delle istituzioni di rapportarsi, nella distinzione dei ruoli, in 'pari dignità' con i gruppi organizzati di volontariato, considerando interferenze le proposte di collaborazione ai progetti, e non riconoscendo le associazioni come soggetti competenti, interlocutori nella elaborazione e nella realizzazione dei progetti di intervento sui minori. Prevalgono rigidità burocratiche mentre sembrano in aumento scelte di politica del personale negative per l'esito degli interventi sui minori in difficoltà (e su altri destinatari): la rotazione delle sedi, l'incarico annuale, l'appalto alle cooperative anche delle funzioni di indirizzo e di verifica, proprie dell'Ente pubblico.

6. Per rilanciare l'affidamento familiare
6.1. Valore sociale
Va confermata, ribadita, rafforzata la valenza sociale dell'affidamento familiare, da un lato come salvaguardia dell'imprescindibile diritto del bambino alla famiglia e dall'altra come crescita della famiglia affidataria che diven-ta promotrice nella società di una cultura di solidarietà e di condivisione. Enti locali, Tribunali per i Minorenni, Scuola, Istituzioni pubbliche, Servizi pubblici, ognuno per le sue competenze e possibilità, devono sentirsi interpellati ed impegnati da questa prospettiva, operando scelte concrete e conseguenziali. La legge 184/83 indica delle priorità ed un progetto collaborativo tra i soggetti coinvolti nell'affidamento familiare che tratteggiano una 'normalità solidale' da perseguire. La legge 285/97 conferma e specifica questa tendenza, qualificandola ulteriormente in positivo. È un'occasione da non perdere.

6.2. La 'familiarità'
La forma più impegnativa della solidarietà verso l'infanzia è senza dubbio l'affidamento familiare che consente ai bambini in difficoltà di vivere in un ambiente familiare tutte le volte che le condizioni del loro nucleo originario siano tali da non garantirgli, temporaneamente, il diritto ad una crescita sana ed equilibrata. Nell'esperienza di affidamento si verificano eventi significativi e complessi perché si sviluppano affetti e sentimenti, si intrecciano storie personali e familiari diverse, si stabiliscono relazioni, si creano situazioni che richiedono grande impegno. È pensabile quindi che occorrano qualità genitoriali aggiuntive rispetto a quelle normalmente possedute, ma non si tratta di qualità speciali, anzi, si tratta di qualità assolutamente normali, grazie alle quali si possono affrontare problemi eccezionali. L'affidatario si configura come una risorsa competente, il cui specifico è rappresentato dalla normalità. L'affidamento familiare si propone come luogo di normalità delle relazioni, sia parentali e familiari che sociali; l'affidamento familiare è il luogo della familiarità.
Familiarità significa il vivere di tutti i giorni nell'affet-tività calda delle relazioni personali; senza questo 'calore' nessuno può crescere, svilupparsi, costruire la propria identità. L'affidamento familiare vive e riesce anche attraverso il calore affettivo che la famiglia affidataria riesce a dare al bambino, perché un bambino ha bisogno di cure affettive per crescere. Non ha proprio senso il timore, di operatori e giudici, per il fatto che un bambino riceva una accoglienza calda in una famiglia amica. La riprova è data dal fatto che un luogo dove il bambino non riceve affetto, non instaura dei legami con persone adulte, il luogo 'neutro', è quello dove il bambino sta peggio e dove rischia i danni peggiori.

6.3. Lotta all'istituzionalizzazione
Il futuro dei 40.000 minori in istituto deve interpellare ogni cittadino del nostro Paese: essi sono adottabili solo in mini-ma parte; la maggior parte di essi potrebbe rientrare a casa se le loro famiglie fossero adeguatamente aiutate e supportate oppure se venissero affidate a nuclei affidatari.
In questo senso il ricorso all'affidamento familiare non può risolvere il problema dell'istituzionalizzazione dei minori; la questione non è solo numerica (numero delle famiglie disponibili all'affidamento), riguarda anche il progetto (praticabilità dell'affidamento in determinate situazioni) e si ripresenta nei casi di fallimento della soluzione 'affidamento' (anche perché in molti di questi casi l'affidamento era successivo a istituzionalizzazioni problematiche); gli interventi di sostegno alle famiglie di origine ed una seria verifica dell'esistenza dello stato di abbandono sono azioni indispensabili.
D'altra parte l'affidamento familiare è un intervento molto qualificato per evitare l'istituto, anche nelle forme più evolute e 'mascherate'. L'affidamento familiare, rispetto all'istituto, non ha solo conseguito buoni risultati sul piano psicologico, educativo, affettivo, anche nei casi più problematici, ma ha determinato significativi effetti collaterali: umanizzazione e responsabilizzazione delle istituzioni e dei servizi, crescita personale dei soggetti coinvolti, sviluppo di sentimenti di solidarietà e coinvolgimento del territorio. Non è l'affidamento familiare l'alternativa all'istituto, bensì il contrario perché è l'istituzionalizzazione che deve essere l'eccezione.

7. Riflessioni conclusive
7.1. I 'costi' di una politica sociale che non investe sull'affidamento familiare
L'affidamento familiare è uno strumento impegnativo, che ri-chiede un 'investimento' forte, di idee, di risorse, di perso-ne. L'affidamento ha un costo ma sono molto più alti i 'costi' di scelte tardive o sbagliate delle istituzioni nei confronti dei minori.
I costi umani dei ritardi nelle scelte sono evidenti: bambini lasciati per anni in situazioni difficili; allontanati dalla famiglia già grandicelli, in genere con intervento del Tribunale; con l'ipotesi di un affidamento realisticamente difficile, e allora istituto o comunità, fino a 18 anni e poi? Un rientro in famiglia difficile, il lavoro? la casa? quali prospettive?
I costi sociali sono consistenti perché i bambini trascurati di ieri sono i cittadini assistiti di oggi, poca autonomia e il marchi della emarginazione che si tramanda di generazione in generazione.
Anche i costi economici sono ingenti: i costi per i ricoveri residenziali dei minori incidono moltissimo sui bilanci dei servizi sociali; i 'risparmi' sui servizi territoriali che non ci sono e no si fanno quali benefici portano?
E' necessario spezzare la catena di dipendenza indotta dalla miopia di una politica 'tampone', solo riparativa, da errori e ritardi di istituzioni e servizi, dalla insensibilità ed igno-ranza dell'opinione pubblica. I diritti dei minori, e soprattutto di quelli più svantaggiati e deprivati, vanno tutelati con più forza e convinzione; prima ancora che un dovere istituzionale e civico è un impegno etico ed una necessità di umanità.

7.2. L'affidamento familiare è una miniera
L'affidamento familiare può aiutare tutelare i diritti del mi-nore, a non riprodurre emarginazione e sofferenza, contribuen-do a dare al minore accolto: affetto, sicurezza, identità - individuale e sociale -, futuro; alla sua famiglia sostegno e fiducia.L'affidamento familiare è una miniera che non è stata ancora esplorata completamente; qualcuno, più frequente tra quelli che in questi anni non hanno voluto o saputo scavare, afferma che è esaurita e che bisogna abbandonarla. Noi pensiamo invece che valga ancora la pena di cercare e di scavare perché, probabilmente, le gemme più belle ancora non sono state scoperte.
Rapporto 1998 della Caritas di Roma sull’immigrazione
A cura della Caritas di Roma
Diamo di seguito una sintesi dei contenuti dell’ottava edizione del dossier statistico sull’immigrazione curato dalla Caritas di Roma diventato negli anni importante punto di riferimento sul situazione dell’immigrazione in Italia
(indice)
Rapporto sull'immigrazione e nuovo contesto legislativo
La Caritas di Roma cura quest'anno l'ottavo rapporto sull'im-migrazione in Italia, come di consueto in collaborazione con la Caritas italiana, la Fondazione Migrantes e il Centro Studi Emigrazione di Roma. Per la prima volta, invece, il Ministro per gli Affari Sociali, ha concesso il suo patrocinio, per da-re così un sostegno alla ricerca statistica sull'immigrazione e incrementare la diffusione di questo sussidio.
Le prime anticipazioni del "Dossier", che verrà ultimato e pubblicato nel mese di ottobre, rivestono una particolare im-portanza per due motivi:
· coincidono con la fase di approvazione definitiva della nuova legge sulla immigrazione
· consentono di leggere in profondità gli effetti prodotti dalla regolarizzazione del 1996.

Al 31 dicembre 1997 sono risultati in vigore 1.240.721 permessi, 145.000 in più rispetto allo scorso anno non tanto perché si tratti di nuovi ingressi quanto perché sono stati registrati tutti i permessi concessi ai circa 250.000 regolarizzati del 1996, assicurando così una piena visibilità statistica a questo provvedimento straordinario.
Gli stranieri presenti in Italia si ripartiscono in 168.125 cittadini dell'Unione europea (13,6%), 100.134 (8,0%) prove-nienti da paesi a sviluppo avanzato, 292.656 (23,6%) dall'Est Europeo e 679.806 (54,8%) dal Sud del mondo. La loro incidenza complessiva sulla popolazione residente è pari al 2,2% (meno della metà rispetto alla media europea. Tra loro a cercare un inserimento stabile in Italia sono circa un milione. Le donne sono 562.470 (pari al 45,5%), di cui 98.897 provengono dai paesi dell'Unione europea.

Bilancio occupazionale positivo
Il bilancio da tirare è tutt'altro che negativo. Nel corso di questi ultimi sei anni, nonostante la stagnazione del mercato del lavoro, gli occupati stranieri si sono triplicati e i disoccupati sono diminuiti di quasi un quinto. In particolare merita di essere segnalato che i disoccupati, i quali erano pari alla metà dei lavoratori dipendenti nel 1990, ora sono scesi al 18,5%. Parlare di un mercato di lavoro stagnante, che non è in grado di riservare spazio ai lavoratori stranieri, significa non tener conto che è intervenuta un'evoluzione positiva seppure non priva di problemi. Parimenti risulta di grande effetto ma completamente infondata l'affermazione che un immigrato su sei non paghi i contributi.
Un'analisi incrociata del numero dei permessi concessi per motivi di lavoro, delle posizioni registrate presso l'INPS, degli stranieri autorizzati a lavorare come autonomi o professionisti e di quanti sono disoccupati, porta a ridimensionare a circa 50.000 i lavoratori per i quali non vengono versati i contributi da parte dei rispettivi datori di lavoro. Al contrario bisogna rendersi conto che questi lavoratori assicurano un forte gettito contributivo con un peso crescente specialmente in alcuni settori (nel lavoro domestico incidono per il 15%). Un altro dato significativo emerge, da uno studio del 1996 dell'istituto Scalabrini e del CNEL, secondo cui il valore aggiunto complessivo del lavoro degli immigrati è stimabile pari all'1,5-1,8% (24-25 mila miliardi correnti).

Lavoro autonomo: uno sbocco difficile
Meno dinamico si presenta, invece, il settore del lavoro auto-nomo. Nel 1990 si trattava di 23.876 permessi, passati poi a 36.586 nel 1997 con un aumento del 50% in sette anni. Comples-sivamente i lavoratori autonomi rappresentano appena il 5% dei permessi concessi per motivi di lavoro e, in proporzione, sono circa cinque volte meno numerosi rispetto ai lavoratori italiani non dipendenti. Si intuisce che questo segmento lavorativo, suggestivamente connotato come quello dell'imprenditoria etnica, può riservare maggiori sbocchi, che però non si è riusciti a cogliere, né attraverso la programmazione dei flussi e neppure in occasione dell'ultima regolarizzazione. Solo una maggiore flessibilità normativa nella fase dell'ingresso in Italia e la deroga al principio della reciprocità, almeno dopo un certo numero di anni di permanenza in Italia, consentiranno nel futuro lo sviluppo di queste virtualità molto diffuse nella popolazione immigrata, riducendo il numero dei disoccupati e favorendo inoltre l'inserimento nell'aria produttiva e assicurativa degli stessi familiari: basti pensare al dinamismo che si instaura all'interno di un nucleo nella gestione di un negozio.

Aumento del numero dei familiari
Tra i permessi di soggiorno, rilasciati per motivi diversi da quello dell'inserimento lavorativo, circa la metà (230.450) sono quelli legati al ricongiungimento familiare, aumentati al ritmo di 15-20.000 annualmente e in maniera più consistente nell'ultimo biennio. Gli immigrati presenti per motivi familiari incidono per circa un terzo sul totale dei lavoratori, mentre l'incidenza era di un quarto nel 1990. Anche questo è un segno inequivocabile del processo di stabilizzazione della popolazione straniera. Nel 1990 i motivi "lavoro" e "famiglia", che avevano congiuntamente un valore del 61,8%, sono arrivati nel 1997 al 79,6% : si tratta dei quattro quinti di tutti i permessi e, in alcune regioni e specialmente per alcune comunità straniere, dei 9/10 e più del totale, e questo a riprova del fatto che i nuovi venuti hanno l'intenzione di insediarsi da noi in maniera stabile. Sono anche aumentati i bambini stranieri entrati in Italia per adozione e/o per affidamento (quasi 10.000, più del doppio rispetto al 1990), un flusso che è andato in crescendo in corrispondenza con le difficoltà che caratterizzano le adozioni nazionali.

Invasione da parte di profughi "inesistenti"
I permessi concessi a rifugiati e richiedenti asilo nel 1997 sono stati nell'insieme 5.128: alcune centinaia in meno rispetto al 1990. Questo valore numerico, così contenuto rispetto ai circa 23 milioni di rifugiati e categorie assimilate diffusi nel mondo, non manca di sorprendere quando si pensa che, sull'ondata emotiva dello sbarco sulle coste pugliesi dei "boat people" provenienti dall'Albania o dei curdi sulle coste calabresi nello scorso mese di dicembre del 1997, molti hanno pensato ad una vera e propria invasione. Va anche aggiunto che, rispetto al 1990, quanti hanno ottenuto rifugio per motivi umanitari sono diminuiti di un quinto, il che lascia pensare che siano ritornati nei loro paesi di origine o si sono trasferiti altrove.
Un altro aspetto deficitario dei flussi in entrata è quello degli studenti stranieri che vengono appositamente dall'estero a studiare in Italia (56.759 permessi, meno di un quarto rispetto al 1990). Si può dire che facciamo ben poco per attuare il diritto internazionale allo studio. Ad aumentare sono, invece, gli studenti figli degli immigrati che risiedono in Italia (più di 45.000, dalle materne fino alle scuole superiori, mentre nel 1990 erano solo 18.000).

Soggiorno non solo per lavoro
I permessi di soggiorno vengono concessi non solo per lavoro e possono essere così raggruppati per motivo di rilascio:

· Lavoro dipendente 720.243
· Ricongiungimento famigliare 230.450
· Motivi religiosi 58.372
· Studenti 56.759
· Turismo 47.360
· Residenza elettiva 45.852
· Lavoro Autonomo 36.586
· Adozione/affidamento 9.760
· Richiesta asilo 5.128
· Altri motivi 30.211
Totale 1.240.721


Netta prevalenza degli europei
Gli stranieri sono così riparti per provenienza continentale:

Europa 486.448 39,2%
Africa 350.952 28,3%
America 172.849 13,9%
Asia 225.474 18,2%
Oceania 4.998 0,4%

La disaggregazione percentuale per continenti rivela che l'e-voluzione nel periodo 1990-97 è stata caratterizzata dal maggior peso assunto della componente europea (sette punti percentuali in più), mentre l'Asia ha mantenuto le posizioni e l'Africa e America hanno perso qualche punto. Basando il confronto sulle aree più rilevanti per ciascun continente, si riscontra che in questo periodo i paesi dell'Est europeo sono passati dal 5% a quasi un quarto del totale, mentre i comunitari sono scesi da quasi il 20% al 14%. L'altra area che si avvantaggia, ma in maniera più contenuta (dal 13 al 16%), è l'Estremo Oriente. Il Nord Africa (17-18%) e l'America Latina (8-9%) rimangono sostanzialmente stabili.
A parte il maggior aumento dei paesi dell'Est europeo, com-prensibile per la vicinanza e le vicende politiche che li hanno contrassegnati (basti pensare da ultimo all'ex-Jugoslavia e all'Albania), l'incremento della popolazione straniera in Italia ha avuto un carattere diffuso e che ha fatto salva la consistenza di ciascun continente. Il risultato di questo an-damento è una presenza non concentrata ma policentrica, che offre spunti di grande interesse per quanto riguarda le prospettive interculturali e la stessa gestione politica del fenomeno.

Marocco e Albania sempre in testa
Il Marocco è la prima comunità (131.406), con una incidenza del 10,6% sul totale e un aumento nell'ultimo biennio del 39%. L'Albania si rafforza al secondo posto (83.807 persone e 6,8% sul totale), dopo essersi più che raddoppiata nell'ultimo biennio.
Il terzo posto è mantenuto dalle Filippine (61.285), a seguito di una consistente crescita negli ultimi due anni (41%).
Gli USA (59.572), pur restando al quarto posto, registrano una lieve flessione nell'ultimo biennio.
Superano le 40.000 unità Tunisia, ex-Jugoslavia e Germania, mentre Romania, Cina popolare, Senegal e Polonia superano le 30.000 unità. Sono otto i paesi che si collocano al di sopra delle 20.000 unità: Francia, Sri Lanka, Gran Bretagna, Egitto, Perù, Brasile, India e Croazia. La Svizzera, ventesima in graduatoria, si attesta sulle 18.611 unità. Nel 1990 i primi 20 paesi totalizzavano il 63,6% di tutte le presenze, mentre nel 1997 sono passati al 66,9% sul totale. Avviene così che quella presenza straniera, che abbiamo qualificato come policentrica, non si disperde ma, complessivamente, rafforza la sua consistenza.
Prendendo come termine di riferimento il periodo 1990-1997, constatiamo che, rispetto ad un aumento medio della popolazio-ne straniera del'58,8%, la Polonia supera l'80%, l'India e la Cina popolare il 90%, lo Sri Lanka il 100% e la Romania e il Perù il 300%. L'aumento più spettacolare è stato realizzato dall'Albania con il 4020%, passando da 2.034 nel 1990 a 83.807 unità nel 1997. Il Marocco e il Senegal stanno, seppure per pochi punti, al di sotto della media d'aumento degli anni '90, mentre le Filippine la superano di poco.

Predilezione per le regioni del Nord
La ripartizione percentuale della popolazione straniera in Italia ha conosciuto questi andamenti differenziati nel periodo 1990-97:

· stabilità nel Sud (attorno all'11%)
· diminuzione nelle Isole (dal 9% al 7%) e nel Centro (dal 41 al 31%)
· aumento nel Nord (dal 39% al 51%), di cui sette punti per-centuale nel Nord-Est e 5 nel Nord Ovest

Nonostante queste variazioni percentuali, in termini assoluti la popolazione immigrata è aumentata in ciascuna area, perché si è passati da 781.138 unità nel 1990 a 1.240.721 nel 1997. La Lombardia, finora risultata la seconda per numero di immigrati, diventa la prima regione (250.400) con un ampio margine sul Lazio (232.611). Terzo in graduatoria viene il Veneto, che per la prima volta, seppure di poco, si colloca oltre le 100.000 unità. Superano le 90.000 unità l'Emilia Romagna e la Toscana, le 80.000 unità il Piemonte, le 70.000 unità la Sicilia e le 60.000 unità la Campania.

Più numerose le province interessate al fenomeno migratorio
Le province con più di 10.000 permessi di soggiorno, da 21 nel 1995, sono salite a 26 nel 1996 e a 28 nel 1997. Al primo posto viene la provincia di Roma (211.200), seguita da Milano (150.498) che, perdurando l'attuale ritmo di crescita, è de-stinata a diventare presto la capitale dell'immigrazione. Se-guono, con 43-45.000 stranieri, Torino, Firenze e Napoli. Vi-cenza, al sesto posto con 34.426 stranieri, precede Bolzano, Brescia, Palermo, Verona, Bologna e Perugia, tutte con più di 20.000 stranieri. Superano 15.000 unità Bergamo, Varese, Padova, Caserta, Catania.
Si collocano nella fascia tra 10.000 e 15.000 unità Como, Trento, Treviso, Venezia, Pordenone, Trieste, Forlì, Modena, Reggio Emilia, Bari.
Le restanti province sono ripartite in questo modo:

da 5.000 a 10.000: 31 province
da 3.000 a 5.000: 23 province
da 1.000 a 2.000: 15 province
fino a 1.000: 6 province

Le province, dove si attua una concentrazione molto alta di immigrati rispetto alla presenza complessiva della regione , sono Roma e Perugia (rispettivamente 91% e 86%). La concentrazione è medio alta (valori di circa il 50% o superiori) a Napoli, Milano, Torino, Genova e Firenze. Il tasso di concentrazione è del 30-40% a Bari e Palermo, del 25% a Bologna e del 10% ad Ancona.

Il mito dei clandestini
Un settimanale inglese, prendendo come base di calcolo 60.000 respingimenti annuali alle frontiere italiane, ha ipotizzato che ben 700.000 stranieri l'anno riescano a passare la frontiera impunemente, così che il numero dei clandestini dovrebbe essere arrivato a 4 milioni già all'inizio del 1997. Secondo questo calcolo si starebbe, ormai, a quota 5 milioni.
Questo tipo di stime, prive di supporto documentativo, sono lontane dalla realtà e servono solo a creare allarmismo. Pren-diamo ad esempio i respingimenti alle frontiere. Sono stati 62.442 nel 1995 e 54.144 nel 1996 così ripartiti: 66,6% alla frontiera terrestre, 20,4% a quella marittima e 13,1% a quella aerea. Le persone respinte sono in prevalenza (più di 20.000) cittadini dell'ex-Jugoslavia, dell'Albania e degli altri paesi dell'Est: l'incidenza di quest'area sale ai due terzi del to-tale per quanto riguarda la frontiera marittima. La loro pressione migratoria si configura spesso come un "progetto provvisorio", reso possibile dalle vicinanza dei paesi di origine: si tratta di una irregolarità leggera rispetto ai clienti dei "viaggi della speranza" (e dello sfruttamento) organizzati dai trafficanti di manodopera. Ad essi si aggiungono più di 3.000 svizzeri e 451 francesi che hanno dimenticato i documenti a casa al momento di passare le frontiere, senza però avere l'intenzione di vivere clandestinamente in Italia. Non bisogna poi dimenticare che per un certo numero di questi stranieri l'Italia è solo una paese di passaggio, mentre la meta definitiva è costituita da altri paesi europei e che un'altra parte è stata espulsa ed accompagnata alle frontiere. Infine ha usufruito della regolarizzazione una buona parte di quelli che si trovavano in situazione illegale.
Queste disaggregazioni equivalgono ad un invito alla prudenza in fatto di stime, senza dare per scontato che per ogni straniero bloccato alla frontiera ve ne siano altri 12 a farla franca insediandosi in Italia. Il buon senso e la riflessione sui dati disponibili e sui fatti di cronaca porta a concludere che il tasso di irregolarità deve essere inferiore al 25% (uno straniero in situazione irregolare ogni quattro stranieri titolari di permesso di soggiorno), il livello che è stato ri-scontrato nel 1990 come sommatoria delle posizioni sommerse createsi nel corso di tutti gli anni '90.


Le speranze riposte in una nuova politica migratoria
Nell'Unione europea l'Italia è ormai saldamente il quarto pae-se in graduatoria per consistenza del numero degli immigrati, dopo Germania, Francia e Gran Bretagna. Questa stessa dimen-sione quantitativa ci impone di porre fine ad una alternativa illusoria (accettare o meno l'immigrazione?) e di cercare, invece, di governare al meglio il fenomeno, sia quanto alla sua crescita quantitativa che per quanto riguarda le prospettive di inserimento.
L' insegnamento statistico di questi anni '90, si può così riassumere: una eccessiva rigidità genera il sommerso. Quando diventano troppo ristretti e difficilmente praticabili i sentieri della legalità, i lavoratori stranieri tentano altre vie e diventano più facilmente preda dei mercanti di manodopera, creando una vasta area di sommerso che poi si è costretti a regolarizzare. Al contrario una programmazione, che tenga conto del calo demografico e dei possibili sbocchi occupazionali e preveda un congruo flusso in entrata mediante meccanismi non macchinosi, può esercitare un forte impatto positivo.
Un altro insegnamento che viene dai numeri è che gli immigrati, per la stragrande maggioranza, vengono per stabilirsi da noi in maniera stabile. Di conseguenza la nostra società va improntata ad una prospettiva di convivenza, che affronti seriamente problemi quali la scuola, la cittadinanza, la rappresentanza sociale e i diritti elettorali.
Le statistiche mostrano anche che la presenza straniera in Italia è andata configurandosi come una realtà policentrica, equamente divisa tra comunità di diversi paesi provenienti da tutti i continenti, con differenti culture e differenti religioni. Questa base molto ricca della politica interculturale, da una parte impone uno sforzo non indifferente in fase di elaborazione e di proposta, dall'altra lascia intravvedere delle prospettive quanto mai significative di dialogo tra popoli e culture.

Il "Dossier statistico immigrazione 1998" può essere richiesto alla Caritas di Roma, P.za San Giovanni in Laterano 6, 00184 Roma. Tel. 06/69886465.

La situazione della salute mentale in Italia e il Progetto obiettivo “Tutela della salute mentale 1998-2000”

L’UNASAM (Unione Nazionale delle Associazioni per la Salute Mentale) ha redatto in data 7 settembre 1998. Il documento che riportiamo, in forma pressoché integrale, sullo stato della salute mentale in Italia.
(indice)
Nell'esprimere un giudizio critico sulla situazione della salute mentale in Italia si ritiene innanzitutto ndispensabile fare le seguenti osservazioni di carattere generale:

1) Il Progetto obiettivo 1994-96, tuttora in vigore, non è stato in gran parte applicato (vedi in particolare gli standards ri-guardanti le strutture residenziali, i centri diurni di riabili-tazione e i servizi di diagnosi e cura previsti per la nuova sof-ferenza abbandonata sul territorio). Nei fatti le Istituzioni ai vari livelli - ASL, Regioni, Ministero della Sanità - si sono im-pegnate in modo esclusivo solo per la chiusura degli Ospedali psichiatrici pubblici, in violazione delle normative vigenti in materia. In tal modo si sta procedendo alle dismissioni degli O.P. come una questione separata da una programmazione generale nel campo della salute mentale, che deve riguardare, invece, l'insieme dei servizi e delle strutture intermedie da istituire sul territorio non solo per la vecchia ma anche per la nuova sof-ferenza. A tutto ciò va anche aggiunto il fatto grave, verifica-tosi in molte regioni, del trasferimento nelle strutture del ser-vizio pubblico di salute mentale della complessiva popolazione manicomiale senza tenere in alcun conto il rigido criterio delle tre fasce previste dal P.O. 1994-96.
2) L'assenza di una programmazione generale ha comportato gravi conseguenze e in particolare:
a) un ulteriore aggravamento della situazione dei sofferenti psichici abbandonati sul territorio, privi di un'assistenza adeguata e in particolar modo di quelli più gravi (internati negli Ospedali psichiatrici giudiziari, o ricoverati nelle strutture private convenzionate ma non abilitate all'assistenza psichiatrica o, peggio ancora, palesemente abusive e infine i sofferenti psichici che vivono da anni in casa con il solo sostegno dei familiari in gran parte anziani);
b) lo sviluppo di un processo perverso caratterizzato da una progressiva dequalificazione dei servizi pubblici territoriali, ridotti quasi sempre a svolgere solo attività meramente ambulatoriali e, in pari tempo, da una più estesa proliferazione di strutture private, dove continueranno ad essere ricoverati i sofferenti psichici in gran parte giovani che hanno bisogno, invece, di progetti terapeutico-riabilitativi specifici con personale qualificato;
c) il riconoscimento di fatto da parte delle Istituzioni delle attività svolte da queste strutture private ed anche una legittimazione formale, come risulta da un recente accordo regionale con le case di cura private convenzionate, in assenza della normativa sugli standards di qualità per l'accesso dell'accreditamento.

3) Non sono stati finora adottati provvedimenti conseguenti né interventi nei confronti delle Regioni da parte del Ministro del-la Sanità, cui spetta il compito, secondo quanto previsto dalla Legge Finanziaria 1998, art. 1 comma 4, di verificare l'adegua-tezza e la realizzazione dei programmi presentati dalle Regioni entro il 31 marzo 1998. Tali programmi devono riguardare "l'at-tuazione degli strumenti di pianificazione per la tutela della salute mentale e la realizzazione delle residenze territoriali necessarie per la definitiva chiusura dei residui ospedali psi-chiatrici e per i servizi e le esigenze di residenzialità per gli utenti provenienti dal territorio". L'adozione di tali provvedi-menti avrebbe potuto garantire il diritto alla salute per tutti i sofferenti psichici, senza alcuna discriminazione, nel rispetto delle leggi vigenti, contribuendo a portare avanti un progetto complessivo riguardante una diversa qualità dei servizi territo-riali, l'istituzione di centri diurni di riabilitazione e di strutture residenziali con personale qualificato e anche con l'apporto delle cooperative sociali.

4) Il nuovo Progetto obiettivo 1998-2000 risulta essere ancora meno vincolante di quello precedente. Al riguardo va rilevato che tale Progetto nel testo definitivo del Ministro della Sanità sarà esaminato a settembre solo nell'ambito della Conferenza Stato-Regioni, non essendo stato ancora deciso se sarà acquisito anche il parere delle competenti Commissioni parlamentari ai fini della sua approvazione con Decreto del Presidente della Repubblica.

5) L'assenza non solo di una normativa cogente ma anche di finan-ziamenti specifici vincolati rende ancora più evidente l'ineffi-cacia del nuovo Progetto obiettivo destinato, come il primo, a non essere applicato dalle Regioni. A tutto ciò va aggiunto che non risulta esserci alcun provvedimento concreto delle Regioni perché le risorse derivanti dalle dismissioni degli ex O.P. siano utilizzate per la gestione dei servizi e delle strutture interme-die sul territorio. Per quanto riguarda l'utilizzo della spesa corrente regionale destinata agli ex O.P., emblematico è il com-portamento della Giunta regionale della Campania che finora si è rifiutata di applicare l'art. 30 della Legge regionale sul Bilan-cio 1997 che prevede testualmente: In attuazione del D.P.R. 7 a-prile 1994 recante "Progetto obiettivo della salute mentale 1994-96" per l'istituzione delle strutture residenziali e semiresiden-ziali previste per la nuova e la vecchia utenza, la spesa regio-nale corrente destinata agli Ospedali psichiatrici resta vincola-ta in modo che sia utilizzata per la gestione delle strutture in-termedie da istituire in relazione al progressivo trasferimento sul territorio dei pazienti provenienti dagli Ospedali psichia-trici. Inoltre va evidenziato che la Legge Finanziaria 1998 pre-vede che i beni mobili e immobili degli Ospedali psichiatrici di-smessi possono essere utilizzati sia per attività di carattere sanitario che per la produzione di reddito da destinare alla i-stituzione dei servizi e delle strutture territoriali, in attu-zione di quanto previsto dal P.O. 1994-96. In pratica la Legge Finanziaria 1998, per quanto riguarda i beni mobili e immobili degli Ospedali psichiatrici dismessi, non prevede più la destina-zione vincolata dei redditi prodotti per la tutela della salute mentale sul territorio. Risultano così dissolte tutte le previ-sioni riguardanti l'utilizzo delle risorse rese disponibili dalle dismissioni degli O.P. per l'istituzione e la gestione dei servi-zi e delle strutture territoriali, nonostante le numerose e otti-mistiche dichiarazioni al riguardo da parte del Ministro della Sanità.

Di fronte alla grave inadeguatezza del Progetto obiettivo a ri-spondere positivamente alla complessiva emergenza salute mentale del Paese, anche per l'assenza di provvedimenti conseguenti da parte del Ministero della Sanità, L'UNASAM ritiene che devono es-sere affrontate con urgenza le seguenti questioni:
I) Legge Finanziaria 1999
Nella nuova Legge Finanziaria, da approvare entro dicembre pros-simo, devono essere previsti con una precisa normativa:

A) finanziamenti certi vincolati in conto capitale allo scopo di dotare i DSM di servizi e strutture e, in particolare, di strut-ture residenziali e di centri diurni di riabilitazione da desti-nare ai sofferenti psichici abbandonati sul territorio, sulla ba-se degli standards indicati nel P.O. 1994-96, ma in grandissima parte non applicati;

B) che i beni mobili e immobili degli ex Ospedali psichiatrici dismessi devo essere utilizzati dalle Aziende sanitarie competen-ti solo per la produzione di reddito, mediante la vendita, anche parziale degli stessi, con diritto di prelazione per gli Enti pubblici, o la locazione. I redditi prodotti devono essere uti-lizzati esclusivamente per l'istituzione di quanto previsto al punto (A). Qualora risultino disponibili ulteriori somme dopo l'attuazione di quanto previsto, le Aziende Sanitarie potranno utilizzarle per altre attività di carattere sanitario;

C) che le Regioni, nel cui territorio esistono ex O.P., devono vincolare la spesa regionale già destinata agli ex O.P., in modo che sia utilizzata per la gestione delle strutture intermedie i-stituite o da istituire in relazione al progressivo trasferimento sul territorio dei pazienti provenienti dagli Ospedali psichia-trici;

D) che le Regioni e le Province autonome devono destinare ai Di-partimenti di salute mentale una quota del Fondo sanitario regio-nale pari almeno al 5% per le attività complessive, nonché quote di finanziamento derivanti dai programmi finanziati ex art. 20 della Legge 67/88 per la realizzazione di strutture residenziali e di centri diurni di riabilitazione.

II) Normativa sull'accreditamento
Approvazione in tempi brevi della normativa riguardante la rego-lamentazione delle strutture pubbliche e delle strutture del pri-vato imprenditoriale e del privato sociale con la determinazione degli standards di qualità per l'accesso all'accreditamento, ai sensi di quanto previsto dal D.P.R. 14.1.1997 e dal Disegno di legge di delega al Governo per la razionalizzazione del servizio sanitario nazionale.

III) Normativa integrativa della Legge 833
In riferimento a quanto indicato nel Documento programmatico dell'UNASAM del 15.10.97, si rende necessario integrare la Legge 833 con una normativa cogente, in ordine ad alcune scelte fonda-mentali quali il ruolo e le funzioni del DSM, i servizi e le strutture di cui deve essere dotato, nonché il personale pubblico qualificato occorrente con l'apporto del privato sociale; la re-golamentazione del TSO definendo con chiarezza chi deve attuarlo, le modalità di attuazione e le sedi in cui può essere attuato.

IV) Indagine conoscitiva sulle strutture private
Promozione di una indagine conoscitiva da parte delle Commissioni parlamentari competenti sulle strutture private convenzionate ma non abilitate all'assistenza psichiatrica e su quelle palesemente abusive operanti nel campo della salute mentale.

VI) Provvedimenti conseguenti ed interventi del Ministro della Sanità
Adozione da parte del Ministro della Sanità di interventi e prov-vedimenti conseguenti non solo di carattere finanziario al fine di garantire, nel rispetto delle normative vigenti, il diritto alla salute per tutti i sofferenti psichici senza discriminazione alcuna.

Alcune osservazioni di merito nell'ambito di queste valutazioni critiche di carattere generale:

1) Nel Progetto obiettivo 1998-2000 l'obiettivo prioritario è stato individuato nella presa in carico e nella risposta alle persone affette da disturbi mentali gravi. Ma tale obiettivo potrà essere perseguito a condizione che il DSM, dotato di servi-zi, di strutture intermedie e di personale qualificato, assolva pienamente alle funzioni di prevenzione, cura e riabilitazione, superando decisamente una modalità di intervento incentrata anco-ra in modo prevalente solo nelle attività meramente ambulatoria-li, con l'esclusione di fatto sia delle attività di prevenzione che di quelle riabilitative; quest'ultime per il loro svolgimen-to, hanno bisogno del necessario supporto di strutture semiresi-denziali e residenziali.
2) Nelle ASL caratterizzate da un'alta densità di popolazione e da un'ampia estensione territoriale (vedi ASL NA1 con oltre un milione di abitanti) è opportuno non l'articolazione del DSM in più moduli tipo, sotto unità del DSM, bensì l'istituzione di più Dipartimenti di salute mentale con un referente che ne assicuri il coordinamento. Ciò evita il pericolo dell'istituzione di una struttura di direzione gerarchicamente superiore rispetto alle varie sottounità che di fatto potrebbero essere private di ogni autonomia.
3) Il CSM può continuare a svolgere attività di filtro ai ricove-ri e di controllo della degenza nelle case di cura neuropsichia-triche, a condizione che venga in modo chiaro precisato nel Pro-getto obiettivo che, essendo tali case di cura, anche se conven-zionate, non abilitate comunque all'assistenza psichiatrica, l'attività di filtro e di controllo è svolta in via del tutto transitoria, in attesa che si approvi con urgenza la normativa sugli standards di qualità per l'accesso all'accreditamento delle strutture pubbliche e delle strutture del privato imprenditoriale e del privato sociale.
4) Per quanto riguarda il day-hospital, per il quale il P.O. 1998-2000 prevede anche la possibilità che sia collocato all'in-terno dell'ospedale e collegato, dal punto di vista gestionale e funzionale, al servizio psichiatrico di diagnosi e cura, si os-serva che:
- la L. 833/78 prevede, come unico servizio nel campo della salu-te mentale operante presso l'ospedale, il servizio psichiatrico di diagnosi e cura;
- un day-hospital - struttuta semiresidenziale - che opera nell'ospedale per prestazioni diagnostiche e terapeutico-riabilitative, compresi interventi psicoterapeutici, rappresente-rebbe una grave inversione di tendenza rispetto al modello terri-toriale dei servizi previsto dalle normative nazionali in mate-ria;
- le attività di riabilitazione sono proprie delle strutture re-sidenziali e dei centri diurni territoriali che devono programma-re attività differenziate in relazione all'intensità e alla tipo-logia della sofferenza nell'ambito delle attività complessive del D.S.M.
5) Inserimento di uno standard anche per quanto riguarda l'isti-tuzione dei centri diurni, così come indicato per tutte le altre strutture del Dipartimento di salute mentale. Ottimale sarebbe almeno un centro diurno per ogni 75.000 abitanti, considerando che tale struttura ha dimostrato di rappresentare una risposta efficace in particolare per gli utenti giovani con gravi problemi psichici.
6) Va precisato che i centri diurni e le strutture residenziali potranno essere gestite sia dal pubblico che dal privato sociale e dal privato imprenditoriale a condizione che siano rispettate non solo i requisiti minimi previsti dal D.P.R 14.1.97 ma anche gli standards di qualità per l'accesso all'accreditamento da de-finire con urgenza con una nuova normativa.
7) Di fronte all'attuale assoluta carenza di strutture residen-ziali nell'ambito dei DSM, il P.O. 1998-2000, mentre non fa alcun cenno alla grave dimensione di tale problema, afferma invece, a pag. 3 punto 4: "Non va sottovalutata la necessità di contrastare ogni forma di nuova istituzionalizzazione all'interno delle strutture residenziali". Oggi, invece, la necessità prioritaria è innanzitutto di dotare i Dipartimenti di salute mentale di strut-ture residenziali a fronte delle migliaia di posti letto occupati dai sofferenti psichici nelle case di cura private convenzionate ma non abilitate all'assistenza psichiatrica o, peggio ancora, palesemente abusive. Solo con la chiusura di questi nuovi manico-mi sarà possibile contrastare le forme peggiori e reali di nuova istituzionalizzazione.
8) La dimostrazione di come il vecchio P.O. non abbia avuto inci-denza sulla realtà e sulle scelte istituzionali e di come anche il nuovo P.O. si muova nella stessa direzione è data dalle affer-mazioni testuali contenute nel Progetto obiettivo 1998-2000: "Fermo restando lo standard di un posto letto ogni 10.000 abitan-ti, di cui al precedente Progetto obiettivo, le Regioni interes-sate ai processi di chiusura degli O.P. possono individuare per i casi di stretta pertinenza psichiatrica e sulla base di esigenze locali, una quota aggiuntiva di un altro posto letto ogni 10.000 abitanti".
In realtà in molte Regioni è avvenuto tutto il contrario di quan-to affermato nel P.O., anzi molto peggio: tutte le strutture re-sidenziali, anche quelle realizzate per la nuova sofferenza, sono state destinate solo ai pazienti degli O.P. compresi quelli rien-tranti nelle fasce A e B. Per la nuova sofferenza non sono state individuate neanche quote aggiuntive con la conseguenza di un di-rottamento forzato, se non deliberatamente voluto, nelle struttu-re private abusive, come testimonia la vicenda emblematica di "Villa S. Vincenzo" di Lettere in provincia di Napoli, struttura geriatrica con oltre 300 ricoverati di cui il 91% risulta essere malati di mente. In tale struttura, nonostante un'iniziativa del-la Procura della Repubblica di Torre Annunziata e un'interroga-zione parlamentare al Ministro della Sanità, nulla è cambiato.
9) Va precisato che le Regioni e le Province autonome, nel riesa-minare l'offerta complessiva di posti residenziali pubblici e privati convenzionati, ai fini dell'accreditamento devono valuta-re l'attività riabilitativa svolta e gli esiti conseguiti in re-lazione non solo ai requisiti minimi previsti dal D.P.R. 14.1.97 ma anche agli standards di qualità da approvare con una nuova normativa.
10) Tutta la questione riguardante la partecipazione degli utenti alla spesa per ospitalità in strutture residenziali, con esclu-sione delle prestazioni sanitarie e riabilitative, va regolamen-tata con normativa nazionale.
11) Va regolamentata la tutela dei sofferenti psichici ricoverati nei S.P.D.C. o ospiti in strutture residenziali dai rischi rap-presentati dalla convivenza con persone cui siano accertate le condizioni di sieropositività conclamata o di AIDS. Si tratta di garantire il diritto primario alla cura di questi malati presso reparti specializzati di malattie infettive con il supporto ne-cessario di operatori psichiatrici ed, in pari tempo, garantire i sofferenti psichici, di per sé incapaci di tutelarsi, da possibi-li contagi irreversibili.
12) Per quanto riguarda gli Ospedali psichiatrici giudiziari, nel quadro di una necessaria iniziativa legislativa volta a superare definitivamente gli O.P.G., va affrontata con urgenza la situa-zione dei sofferenti psichici, che, dopo aver scontate le misure minime di sicurezza, in generale due anni, continuano ad essere internati per anni e anni per l'assenza soprattutto di strutture residenziali sul territorio. Tale situazione diventa ancora più intollerabile dopo l'approvazione della nuova legge, la quale prevede che non venga più disposta la carcerazione, a seguito di una condanna non superiore a tre anni, senza che prima non sia stata valutata la possibilità dell'applicazione di una misura al-ternativa.
13) Per quanto riguarda la "Ipotesi per una unità dipartimentale dei servizi di salute mentale e di riabilitazione dell'età evolu-tiva" si fanno le seguenti osservazioni:
A) va innanzitutto rilevato criticamente che una questione di così grande rilevanza riguardante la salute mentale dell'età evo-lutiva non sia stata sufficientemente approfondita dall'Osserva-torio nazionale per la salute mentale.
B) Il P.O. 1998-2000 non può assolutamente limitarsi ad affronta-re tale questione, non più rinviabile, prospettando solo "ipotesi ancora da verificare".
C) Nel merito le ipotesi prospettate non sono nel complesso asso-lutamente condivisibili, inserite come sono in una visione ospe-dalocentrica.
D) Gli interventi sulla salute mentale dell'età evolutiva per quanto riguarda l'età adolescenziale non possono non rientrare in una indispensabile attività di prevenzione propria e qualificante dei servizi di salute mentale, previsti dalla normativa vigente. Tutto ciò ripropone l'esigenza che il Parlamento a venti anni dalla 180 sia investito pienamente della questione affinché si addivenga con una normativa specifica a regolamentare questo im-portante aspetto della salute mentale.
I Servizi Sociali nel decreto Legislativo n. 112/98

Di seguito riportiamo la parte del Decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 112, “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59”, riguardante i Servizi Sociali
(indice)
Nell'esprimere un giudizio critico sulla situazione della salute mentale in Italia si ritiene innanzitutto indispensabile fare le seguenti osservazioni di carattere generale:

1) Il Progetto obiettivo 1994-96, tuttora in vigore, non è stato in gran parte applicato (vedi in particolare gli standards ri-guardanti le strutture residenziali, i centri diurni di riabili-tazione e i servizi di diagnosi e cura previsti per la nuova sof-ferenza abbandonata sul territorio). Nei fatti le Istituzioni ai vari livelli - ASL, Regioni, Ministero della Sanità - si sono im-pegnate in modo esclusivo solo per la chiusura degli Ospedali psichiatrici pubblici, in violazione delle normative vigenti in materia. In tal modo si sta procedendo alle dismissioni degli O.P. come una questione separata da una programmazione generale nel campo della salute mentale, che deve riguardare, invece, l'insieme dei servizi e delle strutture intermedie da istituire sul territorio non solo per la vecchia ma anche per la nuova sof-ferenza. A tutto ciò va anche aggiunto il fatto grave, verifica-tosi in molte regioni, del trasferimento nelle strutture del ser-vizio pubblico di salute mentale della complessiva popolazione manicomiale senza tenere in alcun conto il rigido criterio delle tre fasce previste dal P.O. 1994-96.
2) L'assenza di una programmazione generale ha comportato gravi conseguenze e in particolare:
a) un ulteriore aggravamento della situazione dei sofferenti psichici abbandonati sul territorio, privi di un'assistenza adeguata e in particolar modo di quelli più gravi (internati negli Ospedali psichiatrici giudiziari, o ricoverati nelle strutture private convenzionate ma non abilitate all'assistenza psichiatrica o, peggio ancora, palesemente abusive e infine i sofferenti psichici che vivono da anni in casa con il solo sostegno dei familiari in gran parte anziani);
b) lo sviluppo di un processo perverso caratterizzato da una progressiva dequalificazione dei servizi pubblici territoriali, ridotti quasi sempre a svolgere solo attività meramente ambulatoriali e, in pari tempo, da una più estesa proliferazione di strutture private, dove continueranno ad essere ricoverati i sofferenti psichici in gran parte giovani che hanno bisogno, invece, di progetti terapeutico-riabilitativi specifici con personale qualificato;
c) il riconoscimento di fatto da parte delle Istituzioni delle attività svolte da queste strutture private ed anche una legittimazione formale, come risulta da un recente accordo regionale con le case di cura private convenzionate, in assenza della normativa sugli standards di qualità per l'accesso dell'accreditamento.

3) Non sono stati finora adottati provvedimenti conseguenti né interventi nei confronti delle Regioni da parte del Ministro del-la Sanità, cui spetta il compito, secondo quanto previsto dalla Legge Finanziaria 1998, art. 1 comma 4, di verificare l'adegua-tezza e la realizzazione dei programmi presentati dalle Regioni entro il 31 marzo 1998. Tali programmi devono riguardare "l'at-tuazione degli strumenti di pianificazione per la tutela della salute mentale e la realizzazione delle residenze territoriali necessarie per la definitiva chiusura dei residui ospedali psi-chiatrici e per i servizi e le esigenze di residenzialità per gli utenti provenienti dal territorio". L'adozione di tali provvedi-menti avrebbe potuto garantire il diritto alla salute per tutti i sofferenti psichici, senza alcuna discriminazione, nel rispetto delle leggi vigenti, contribuendo a portare avanti un progetto complessivo riguardante una diversa qualità dei servizi territo-riali, l'istituzione di centri diurni di riabilitazione e di strutture residenziali con personale qualificato e anche con l'apporto delle cooperative sociali.

4) Il nuovo Progetto obiettivo 1998-2000 risulta essere ancora meno vincolante di quello precedente. Al riguardo va rilevato che tale Progetto nel testo definitivo del Ministro della Sanità sarà esaminato a settembre solo nell'ambito della Conferenza Stato-Regioni, non essendo stato ancora deciso se sarà acquisito anche il parere delle competenti Commissioni parlamentari ai fini della sua approvazione con Decreto del Presidente della Repubblica.

5) L'assenza non solo di una normativa cogente ma anche di finan-ziamenti specifici vincolati rende ancora più evidente l'ineffi-cacia del nuovo Progetto obiettivo destinato, come il primo, a non essere applicato dalle Regioni. A tutto ciò va aggiunto che non risulta esserci alcun provvedimento concreto delle Regioni perché le risorse derivanti dalle dismissioni degli ex O.P. siano utilizzate per la gestione dei servizi e delle strutture interme-die sul territorio. Per quanto riguarda l'utilizzo della spesa corrente regionale destinata agli ex O.P., emblematico è il com-portamento della Giunta regionale della Campania che finora si è rifiutata di applicare l'art. 30 della Legge regionale sul Bilan-cio 1997 che prevede testualmente: In attuazione del D.P.R. 7 a-prile 1994 recante "Progetto obiettivo della salute mentale 1994-96" per l'istituzione delle strutture residenziali e semiresiden-ziali previste per la nuova e la vecchia utenza, la spesa regio-nale corrente destinata agli Ospedali psichiatrici resta vincola-ta in modo che sia utilizzata per la gestione delle strutture in-termedie da istituire in relazione al progressivo trasferimento sul territorio dei pazienti provenienti dagli Ospedali psichia-trici. Inoltre va evidenziato che la Legge Finanziaria 1998 pre-vede che i beni mobili e immobili degli Ospedali psichiatrici di-smessi possono essere utilizzati sia per attività di carattere sanitario che per la produzione di reddito da destinare alla i-stituzione dei servizi e delle strutture territoriali, in attu-zione di quanto previsto dal P.O. 1994-96. In pratica la Legge Finanziaria 1998, per quanto riguarda i beni mobili e immobili degli Ospedali psichiatrici dismessi, non prevede più la destina-zione vincolata dei redditi prodotti per la tutela della salute mentale sul territorio. Risultano così dissolte tutte le previ-sioni riguardanti l'utilizzo delle risorse rese disponibili dalle dismissioni degli O.P. per l'istituzione e la gestione dei servi-zi e delle strutture territoriali, nonostante le numerose e otti-mistiche dichiarazioni al riguardo da parte del Ministro della Sanità.

Di fronte alla grave inadeguatezza del Progetto obiettivo a ri-spondere positivamente alla complessiva emergenza salute mentale del Paese, anche per l'assenza di provvedimenti conseguenti da parte del Ministero della Sanità, L'UNASAM ritiene che devono es-sere affrontate con urgenza le seguenti questioni:
I) Legge Finanziaria 1999
Nella nuova Legge Finanziaria, da approvare entro dicembre pros-simo, devono essere previsti con una precisa normativa:

A) finanziamenti certi vincolati in conto capitale allo scopo di dotare i DSM di servizi e strutture e, in particolare, di strut-ture residenziali e di centri diurni di riabilitazione da desti-nare ai sofferenti psichici abbandonati sul territorio, sulla ba-se degli standards indicati nel P.O. 1994-96, ma in grandissima parte non applicati;

B) che i beni mobili e immobili degli ex Ospedali psichiatrici dismessi devo essere utilizzati dalle Aziende sanitarie competen-ti solo per la produzione di reddito, mediante la vendita, anche parziale degli stessi, con diritto di prelazione per gli Enti pubblici, o la locazione. I redditi prodotti devono essere uti-lizzati esclusivamente per l'istituzione di quanto previsto al punto (A). Qualora risultino disponibili ulteriori somme dopo l'attuazione di quanto previsto, le Aziende Sanitarie potranno utilizzarle per altre attività di carattere sanitario;

C) che le Regioni, nel cui territorio esistono ex O.P., devono vincolare la spesa regionale già destinata agli ex O.P., in modo che sia utilizzata per la gestione delle strutture intermedie i-stituite o da istituire in relazione al progressivo trasferimento sul territorio dei pazienti provenienti dagli Ospedali psichia-trici;

D) che le Regioni e le Province autonome devono destinare ai Di-partimenti di salute mentale una quota del Fondo sanitario regio-nale pari almeno al 5% per le attività complessive, nonché quote di finanziamento derivanti dai programmi finanziati ex art. 20 della Legge 67/88 per la realizzazione di strutture residenziali e di centri diurni di riabilitazione.

II) Normativa sull'accreditamento
Approvazione in tempi brevi della normativa riguardante la rego-lamentazione delle strutture pubbliche e delle strutture del pri-vato imprenditoriale e del privato sociale con la determinazione degli standards di qualità per l'accesso all'accreditamento, ai sensi di quanto previsto dal D.P.R. 14.1.1997 e dal Disegno di legge di delega al Governo per la razionalizzazione del servizio sanitario nazionale.

III) Normativa integrativa della Legge 833
In riferimento a quanto indicato nel Documento programmatico dell'UNASAM del 15.10.97, si rende necessario integrare la Legge 833 con una normativa cogente, in ordine ad alcune scelte fonda-mentali quali il ruolo e le funzioni del DSM, i servizi e le strutture di cui deve essere dotato, nonché il personale pubblico qualificato occorrente con l'apporto del privato sociale; la re-golamentazione del TSO definendo con chiarezza chi deve attuarlo, le modalità di attuazione e le sedi in cui può essere attuato.

IV) Indagine conoscitiva sulle strutture private
Promozione di una indagine conoscitiva da parte delle Commissioni parlamentari competenti sulle strutture private convenzionate ma non abilitate all'assistenza psichiatrica e su quelle palesemente abusive operanti nel campo della salute mentale.

VI) Provvedimenti conseguenti ed interventi del Ministro della Sanità
Adozione da parte del Ministro della Sanità di interventi e prov-vedimenti conseguenti non solo di carattere finanziario al fine di garantire, nel rispetto delle normative vigenti, il diritto alla salute per tutti i sofferenti psichici senza discriminazione alcuna.

Alcune osservazioni di merito nell'ambito di queste valutazioni critiche di carattere generale:

1) Nel Progetto obiettivo 1998-2000 l'obiettivo prioritario è stato individuato nella presa in carico e nella risposta alle persone affette da disturbi mentali gravi. Ma tale obiettivo potrà essere perseguito a condizione che il DSM, dotato di servi-zi, di strutture intermedie e di personale qualificato, assolva pienamente alle funzioni di prevenzione, cura e riabilitazione, superando decisamente una modalità di intervento incentrata anco-ra in modo prevalente solo nelle attività meramente ambulatoria-li, con l'esclusione di fatto sia delle attività di prevenzione che di quelle riabilitative; quest'ultime per il loro svolgimen-to, hanno bisogno del necessario supporto di strutture semiresi-denziali e residenziali.
2) Nelle ASL caratterizzate da un'alta densità di popolazione e da un'ampia estensione territoriale (vedi ASL NA1 con oltre un milione di abitanti) è opportuno non l'articolazione del DSM in più moduli tipo, sotto unità del DSM, bensì l'istituzione di più Dipartimenti di salute mentale con un referente che ne assicuri il coordinamento. Ciò evita il pericolo dell'istituzione di una struttura di direzione gerarchicamente superiore rispetto alle varie sottounità che di fatto potrebbero essere private di ogni autonomia.
3) Il CSM può continuare a svolgere attività di filtro ai ricove-ri e di controllo della degenza nelle case di cura neuropsichia-triche, a condizione che venga in modo chiaro precisato nel Pro-getto obiettivo che, essendo tali case di cura, anche se conven-zionate, non abilitate comunque all'assistenza psichiatrica, l'attività di filtro e di controllo è svolta in via del tutto transitoria, in attesa che si approvi con urgenza la normativa sugli standards di qualità per l'accesso all'accreditamento delle strutture pubbliche e delle strutture del privato imprenditoriale e del privato sociale.
4) Per quanto riguarda il day-hospital, per il quale il P.O. 1998-2000 prevede anche la possibilità che sia collocato all'in-terno dell'ospedale e collegato, dal punto di vista gestionale e funzionale, al servizio psichiatrico di diagnosi e cura, si os-serva che:
- la L. 833/78 prevede, come unico servizio nel campo della salu-te mentale operante presso l'ospedale, il servizio psichiatrico di diagnosi e cura;
- un day-hospital - struttuta semiresidenziale - che opera nell'ospedale per prestazioni diagnostiche e terapeutico-riabilitative, compresi interventi psicoterapeutici, rappresente-rebbe una grave inversione di tendenza rispetto al modello terri-toriale dei servizi previsto dalle normative nazionali in mate-ria;
- le attività di riabilitazione sono proprie delle strutture re-sidenziali e dei centri diurni territoriali che devono programma-re attività differenziate in relazione all'intensità e alla tipo-logia della sofferenza nell'ambito delle attività complessive del D.S.M.
5) Inserimento di uno standard anche per quanto riguarda l'isti-tuzione dei centri diurni, così come indicato per tutte le altre strutture del Dipartimento di salute mentale. Ottimale sarebbe almeno un centro diurno per ogni 75.000 abitanti, considerando che tale struttura ha dimostrato di rappresentare una risposta efficace in particolare per gli utenti giovani con gravi problemi psichici.
6) Va precisato che i centri diurni e le strutture residenziali potranno essere gestite sia dal pubblico che dal privato sociale e dal privato imprenditoriale a condizione che siano rispettate non solo i requisiti minimi previsti dal D.P.R 14.1.97 ma anche gli standards di qualità per l'accesso all'accreditamento da de-finire con urgenza con una nuova normativa.
7) Di fronte all'attuale assoluta carenza di strutture residen-ziali nell'ambito dei DSM, il P.O. 1998-2000, mentre non fa alcun cenno alla grave dimensione di tale problema, afferma invece, a pag. 3 punto 4: "Non va sottovalutata la necessità di contrastare ogni forma di nuova istituzionalizzazione all'interno delle strutture residenziali". Oggi, invece, la necessità prioritaria è innanzitutto di dotare i Dipartimenti di salute mentale di strut-ture residenziali a fronte delle migliaia di posti letto occupati dai sofferenti psichici nelle case di cura private convenzionate ma non abilitate all'assistenza psichiatrica o, peggio ancora, palesemente abusive. Solo con la chiusura di questi nuovi manico-mi sarà possibile contrastare le forme peggiori e reali di nuova istituzionalizzazione.
8) La dimostrazione di come il vecchio P.O. non abbia avuto inci-denza sulla realtà e sulle scelte istituzionali e di come anche il nuovo P.O. si muova nella stessa direzione è data dalle affer-mazioni testuali contenute nel Progetto obiettivo 1998-2000: "Fermo restando lo standard di un posto letto ogni 10.000 abitan-ti, di cui al precedente Progetto obiettivo, le Regioni interes-sate ai processi di chiusura degli O.P. possono individuare per i casi di stretta pertinenza psichiatrica e sulla base di esigenze locali, una quota aggiuntiva di un altro posto letto ogni 10.000 abitanti".
In realtà in molte Regioni è avvenuto tutto il contrario di quan-to affermato nel P.O., anzi molto peggio: tutte le strutture re-sidenziali, anche quelle realizzate per la nuova sofferenza, sono state destinate solo ai pazienti degli O.P. compresi quelli rien-tranti nelle fasce A e B. Per la nuova sofferenza non sono state individuate neanche quote aggiuntive con la conseguenza di un di-rottamento forzato, se non deliberatamente voluto, nelle struttu-re private abusive, come testimonia la vicenda emblematica di "Villa S. Vincenzo" di Lettere in provincia di Napoli, struttura geriatrica con oltre 300 ricoverati di cui il 91% risulta essere malati di mente. In tale struttura, nonostante un'iniziativa del-la Procura della Repubblica di Torre Annunziata e un'interroga-zione parlamentare al Ministro della Sanità, nulla è cambiato.
9) Va precisato che le Regioni e le Province autonome, nel riesa-minare l'offerta complessiva di posti residenziali pubblici e privati convenzionati, ai fini dell'accreditamento devono valuta-re l'attività riabilitativa svolta e gli esiti conseguiti in re-lazione non solo ai requisiti minimi previsti dal D.P.R. 14.1.97 ma anche agli standards di qualità da approvare con una nuova normativa.
10) Tutta la questione riguardante la partecipazione degli utenti alla spesa per ospitalità in strutture residenziali, con esclu-sione delle prestazioni sanitarie e riabilitative, va regolamen-tata con normativa nazionale.
11) Va regolamentata la tutela dei sofferenti psichici ricoverati nei S.P.D.C. o ospiti in strutture residenziali dai rischi rap-presentati dalla convivenza con persone cui siano accertate le condizioni di sieropositività conclamata o di AIDS. Si tratta di garantire il diritto primario alla cura di questi malati presso reparti specializzati di malattie infettive con il supporto ne-cessario di operatori psichiatrici ed, in pari tempo, garantire i sofferenti psichici, di per sé incapaci di tutelarsi, da possibi-li contagi irreversibili.
12) Per quanto riguarda gli Ospedali psichiatrici giudiziari, nel quadro di una necessaria iniziativa legislativa volta a superare definitivamente gli O.P.G., va affrontata con urgenza la situa-zione dei sofferenti psichici, che, dopo aver scontate le misure minime di sicurezza, in generale due anni, continuano ad essere internati per anni e anni per l'assenza soprattutto di strutture residenziali sul territorio. Tale situazione diventa ancora più intollerabile dopo l'approvazione della nuova legge, la quale prevede che non venga più disposta la carcerazione, a seguito di una condanna non superiore a tre anni, senza che prima non sia stata valutata la possibilità dell'applicazione di una misura al-ternativa.
13) Per quanto riguarda la "Ipotesi per una unità dipartimentale dei servizi di salute mentale e di riabilitazione dell'età evolu-tiva" si fanno le seguenti osservazioni:
A) va innanzitutto rilevato criticamente che una questione di così grande rilevanza riguardante la salute mentale dell'età evo-lutiva non sia stata sufficientemente approfondita dall'Osserva-torio nazionale per la salute mentale.
B) Il P.O. 1998-2000 non può assolutamente limitarsi ad affronta-re tale questione, non più rinviabile, prospettando solo "ipotesi ancora da verificare".
C) Nel merito le ipotesi prospettate non sono nel complesso asso-lutamente condivisibili, inserite come sono in una visione ospe-dalocentrica.
D) Gli interventi sulla salute mentale dell'età evolutiva per quanto riguarda l'età adolescenziale non possono non rientrare in una indispensabile attività di prevenzione propria e qualificante dei servizi di salute mentale, previsti dalla normativa vigente. Tutto ciò ripropone l'esigenza che il Parlamento a venti anni dalla 180 sia investito pienamente della questione affinché si addivenga con una normativa specifica a regolamentare questo importante aspetto della salute mentale.
Segnalazioni librarie
Recensioni di libri presenti al Centro Documentazione - a cura di: Samuele Animali, Sibilla Giaccaglia, Daniela Giaccaglia, Francesco Pieretti
(indice)

aids


AA.VV., Aids, emergenza planetaria, Piemme, Casale Monferrato 1997, pp. 191, L.22.000.

La Caritas Italiana ha guardato sempre cn particolare attenzione al problema dell'Aids, preoccupandosi ora di sensibilizzare la comunità cristiana, ora di promuovere interventi preventivi ed educativi. Il testo analizza il fenomeno dell'Aids e il suo diffondersi e mostra come la Chiesa ha risposto finora a questa emergenza planetaria. Un capitolo viene dedicato alla situazione dei paesi africani, con i quali la Caritas Italiana ha instaurato rapporti di cooperazione e solidarietà anche per la lotta contro l'Aids.

anziani


Goldoni Lidia, Guida alla vecchiaia, Riuniti, Roma 1998, pp. 108, L.9.900.

Il testo di Lidia Goldoni contiene numerosi consigli per migliorare la condizione degli anziani: come gestire i rapporti con la previdenza pensionistica e con l'assistenza sociale, ma anche come valorizzare il tempo libero con svaghi ed interessi. Se è vero che l' Italia sta invecchiando, pur nella specificità delle diverse situazioni, è doveroso occuparsi di questa parte della popolazione che non sempre vive in condizioni decenti e gode dei diritti dovuti.

chiesa


AA.VV., Dossetti tra chiesa e stato, Pozzi, Reggio Emilia 1997, pp. 134, L.14.000.

Il volume intende rendere omaggio alla memoria di Giuseppe Dossetti raccogliendo alcuni significativi commenti apparsi sulla stampa sulla figura del monaco emiliano. Tra gli altri si segnalano gli articoli di E. Bianchi, G. Alberigo, P. Ingrao, R. La Valle, F. Monaco, S. Rodotà e un intervento del cardinale di Milano, Carlo Maria Martini.

Bissonnier Hanri, La tua parola è per tutti, Dehoniane, Bologna 1998, pp. 78, L.13.000.

Trasmettere il messaggio divino è un compito difficile, soprattutto quando i destinatari sono soggetti disabili con problemi psichici, fisici o sociali. Il libro è scritto da un sacerdote esperto di pedagogia speciale, che dà consigli sul modo di introdurre i disabili, in particolar modo quelli con handicap psichici, alle celebrazioni religiose, ai sacramenti e alla preghiera. Il testo è utile per catechisti, sacerdoti, genitori e per chiumque si occupi della crescita spirituale di persone portatrici di un qualche handicap più o meno grave.

Cereti Giovanni, Divorzio nuove nozze e penitenza nella chiesa primitiva, Dehoniane, Bologna 1998, pp. 438, L.49.000.

Giovanni Cereti, sacerdote genovese, propone con questo volume alcune riflessioni teologiche sul matrimonio e sul divorzio, ripercorrendo le tappe secondo cui tale argomento è stato affrontato nel passato. Divorzio e nuovo matrimonio nell'antico testamento e nel mondo giudaico, nel diritto greco e nella società greco-romana; un excursus storico ed un confronto fra la Chiesa d'Oriente e la Chiesa d'Occidente, per studiare come l'adulterio era vissuto nella Chiesa primitiva e offrire suggerimenti per affrontare con più consapevolezza tale questione.

Don Zeno Di Nomadelfia, Lettere da una vita volume II 1953-1981, Dehoniane, Bologna 1998, pp. 309, L.27.000.

Dopo il primo volume con la raccolta delle lettere del periodo 1900-1952, questo secondo testo presenta le lettere del periodo 1953-1981, nel quale il fondatore di Nomadelfia incontra e dialoga con vari personaggi della vita politica ed ecclesiale italiana (La Pira, De Gasperi, Dossetti, Scalfaro, Scelba, Lefebvre, don Giussani, ...). Dalle lettere emerge la personalità e la figura di don Zeno, con i suoi calcoli, il suo carattere, le sue preoccupazioni per il popolo cui ha dato vita.

Nouwen Henri J. M., Lettera di conforto per chi ha perduto una persona cara, Queriniana, Brescia 1998, pp. 85, L.13.000.

La morte di una persona amata ci costringe a riflettere sul valore della vita, per capire il senso di questo evento ricercando dentro noi risposte e rassicurazioni. Questa lunga lettera è frutto della meditazione dell'autore sulla morte di sua madre. Scritta per recare conforto e consolazione al padre, si è rivelata in realtà uno strumento utile per affrontare il proprio dolore. Rendendo pubblica questa lettera Nouwen spera di aiutare coloro che soffrono per un lutto, guidandoli in una ricerca spirituale sulla morte con la fiducia della resurrezione e dell'amore di Dio.

carcere


Mosconi Giuseppe, Dentro il carcere, oltre la pena, Cedam, Padova 1998, pp. 385, L.48.000.

Il testo è un'analisi dell'attuale realtà carceraria, una riflessione sul concetto stesso di pena e un confronto con le misure alternative proposte per il controllo sociale della devianza. Giuseppe Mosconi mette in discussione l'esperienza carceraria, la figura degli operatori e quindi l'utilità stessa della detenzione. Per poter riorganizzare il carcere è giusto partire proprio dalle sue ragioni di fallimento.

disagio giovanile


Plant Martin, Plant Moira, Comportamenti a rischio negli adolescenti, Erickson, Trento 1996, pp. 203, L.34.000.

Il volume prende in esame i più frequenti comportamenti a rischio tipici dell'età adolescenziale: uso di alcool e droghe, rapporti sessuali non protetti. Osservano gli autori che c'è una connessione fra questi tipi di assunzione di rischio e che le ragioni di tali comportamenti cambiano continuamente; è quindi necesarrio periodicamente ritornare ad interrogarsi sul perché i giovani siano inclini a questi comportamenti. Un'occasione anche per suggerire strategie preventive dell'abuso giovanile di alcool e droga e per delineare i tratti di un'educazione sessuale che ridimensioni tali rischi.

ecologia


Masullo Andrea, Il pianeta di tutti, Emi, Bologna 1998, pp. 351, L.30.000.

Dietro il degrado ambientale che affligge il mondo odeirno c'è un modello di sviluppo sbagliato, ci sono politiche economiche e sociali non adeguate, che nascono da una crisi di valori e da una crescente insicurezza politica. Questo libro, frutto di una collaborazione fra l'EMI e il WWF, mette in evidenza i limiti dell'attuale modello di sviluppo, ne ricerca le radici e allo stesso tempo propone alternative per il futuro. Nelle associazioni di volontariato e nelle organizzazioni non governative vengono individuate alcune delle caratteristiche che dovrebbero individualmente e collettivamente interessarci per un nuovo modello di sviluppo.

Roodman David Malin, La ricchezza naturale delle nazioni, Ambiente, Milano 1998, pp. 175, L.36.000.

David Malin Roodman offre alcuni suggerimenti in vista della salvaguardia dell'ambiente, la ricchezza naturale troppo spesso trascurata dai moderni modelli di sviluppo. Il libro dimostra come gli attuali sistemi fiscali stiano distruggendo l'ambiente e danneggiando l'economia mondiale e propone delle riforme, indirizzate soprattutto al al creazione di tasse ambientali, che indirizzino il mercato verso il rispetto di questa importante risorsa naturale. Si tratta di riforme radicali e impegnative, che richiedono anche un coinvolgimento a livello individuale.

economia


Baldessone Elisa, Ghiberti Marco, L'euro solidale, Emi, Bologna 1998, pp. 110, L.14.000.

Gli autori del libro intendono dare "un'anima alla finanza". La continua ricerca del massimo profitto spinge ad azioni finanziarie speculative, che provocano ingiustizie sociali ed economiche che i cittadini attribuiscono genericamente alla finanza; ma c'è anche una finanza etica, che negli ultimi anni sta diffondendosi e va delineando i tratti di una possibile economia più solidale. Proprio di quest'ultima si occupa il volume, raccogliendo anche le esperienze più significative nel mondo e nelle più grandi banche italiane.

Coote Berlinda, Lequesne Caroline, La trappola del commercio, Emi, Bologna 1998, pp. 283, L.25.000.

Molti paesi in via di sviluppo dell'Africa subsahariana, dell'America Latina, dei Caraibi e del Medio Oriente, vivono grazie alle esportazioni di materie prime. La dipendenza da questa forma di commercio è però diventata una trappola; la continua diminuizione dei prezzi, la difficoltà nell'ottenere crediti, il degrado ambientale, costringono i piccoli produttori alla povertà. Prendendo come esempio il commercio del tè e del cocco, gli autori spiegano perché si manifestano questi crolli dei prezzi e le conseguenze che tali crolli hanno sul lavoro dei piccoli produttori. Un'accusa alle multinazionali del commercio e anche una ricerca di alternative per il mercato internazionale.

George S., Micarelli M., Papisca A., Un'economia che uccide, L'altrapagina, Citta' Di Castello 1997, pp. 99, L.18.000.

Il libro raccoglie tre relazioni tenute ad un seminario sul problema del debito estero, che costringe alla povertà i paesi del Sud del mondo e arricchisce i paesi già più benestanti. La relazione di Susan George mostra come l'impoverimento e lo sfruttamento del Terzo Mondo sta devastando anche i paesi più ricchi; Massimo Micarelli denuncia l'indifferenza dello Stato italiano e la superficialità della classe dirigente e della stampa verso tale questione; infine Antonio Papisca, fornendo uno strumentario di carattere giuridico-politico, delinea la via per costruire le basi per nuove strategie di cooperazione, a cominciare dalla democratizzazione dell'Onu.

Marino Domenico, Timpano Francesco (a cura di), Economia del no-profit, Liocorno, Roma 1998, pp. 296, L.30.000.

Le caratteristiche del settore rappresentato dalle Organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) in un testo che cerca, in particolare, di chiarire i criteri specifici di management applicabili in tale ambito. Il volume è organizzato in quattro parti. L'introduzione dei curatori è seguita dall'illustrazione di alcuni aspetti di teoria economica e da un capitolo dedicato alle misure empiriche del non profit; il terzo capitolo si occupa degli aspetti economici e giuridici delle politiche per il non profit, mentre il capitolo conclusivo è dedicato ad un case-study relativo ai rapporti tra il no-profit e la struttura economica calabrese.

Musu Ignazio, Il debito pubblico, Il Mulino, Bologna 1998, pp. 125, L.12.000.

Nella collana "Farsi un'idea", il volume illustra i meccanismi che portano alla formazione del debito pubblico e che tendono a farlo espandere continuamente, evidenziando le circostanze nelle quali il debito può diventare un danno per l'economia. Nella seconda parte del libro, "Il debito pubblico in Italia", viene raccontata la storia del debito pubblico in Italia, una storia dalla quale è possibile trarre preziosi insegnamenti per il futuro.

Panikkar R., George S., Rivas R.A., Come sopravvivere allo sviluppo, L'altrapagina, Citta' Di Castello 1997, pp. 136, L.18.000.

Parlando di globalizzazione del mercato mondiale di solito si mettono in evidenza gli aspetti positivi legati alle maggiori possibilità di scambio che si vengono a creare fra i popoli, celando in questo modo l'aspetto negativo. Con la globalizzazione del mercato infatti i paesi del Nord si arricchiscono a spesa dei paesi più deboli che vengono sfruttati senza regole e senza rispetto per le loro esigenze. Queste disuguaglianze non possono essere considerate insuperabili; è necessario riorganizzare i rapporti economici mondiali tenendo in considerazione i bisogni dei singoli popoli, considerando come primarie le necessità degli uomini e non quelle delle leggi del mercato.

Volpi Federica, Il denaro della speranza, Emi, Bologna 1998, pp. 143, L.15.000.

In Bangladesh opera dal 1976 una banca rurale, la Grameen Bank, che concede prestiti solo a persone povere, in particolar modo contadini. Il fondatore della Banca Etica, Muhammad Yunus, ha ideato questo istituto di credito per aiutare famiglie costrette a vivere nella miseria ad iniziare una propria attività nella prospettiva di un futuro dignitoso. I risultati incoraggianti ottenuti in India hanno spinto alla fondazione di banche di questo tipo in tutti i continenti e in special modo in zone con profonde aree di povertà.

Zamagni S. (a cura di), Economia solidale, Piemme, Casale Monferrato 1996, pp. 157, L.22.000.

Una trattazione essenziale del tema di un'economia che, coniugando istituzionalmente sussidiarietà e solidarietà, riconosca il diritto di ogni persona a condizioni di vita umane. Il testo si occupa del ruolo del terzo settore, della dinamica della partecipazione al mercato del lavoro, della distribuzione del reddito in Italia, aprendosi a considerazioni di respiro internazionale e disegnando la prospettiva di una società dello "star bene". Secondo gli autori è necessaria, in particolare, una nuova costituzione economica che porti ad emendare (e non a smantellare) lo stato sociale.

educazione


De Beni Michele, Prosocialità e altruismo, Erickson, Trento 1998, pp. 206, L.36.000.

Gli studi sul comportamento prosociale sono sorti con l'intento di migliorare le relazioni tra gli alunni e di porsi come alternativa all'aggressività distruttiva, contribuendo allo sviluppo del benessere personale e della convivenza civile. Il libro, particolarmente indicato a chi si occupa di educazione alla salute, passa in rassegna esperienze e ricerche condotte in ambito scolastico, presentando un curriculo di educazione prosociale che si traduce in attivià didattiche che tendono a sviluppare capacità di ascolto, di dialogo, di empatia, di compartecipazione interpersonale e aiuto.

Dixon-krauss Lisbeth (a cura di), Vygotskij nella classe, Erickson, Trento 1998, pp. 266, L.42.000.

Le teorie di Vygotskij, insegnante e studioso di psicologia, sono state alla base di modelli educativi adottati nella ex Unione Sovietica e negli ultimi anni stanno interessando anche studiosi occidentali. Il pensiero di Vygotskij, vissuto a cavallo tra il 1800 e il 1900, si basa sulla convinzione che il bambino, per apprendere, deve essere integrato nel suo contesto storico-sociale e soprattutto deve essere stimolato ad utilizzare tutte le proprie capacità: una riflessione sul modo in cui i bambini apprendono a scrivere e leggere, puntando sull'originalità di ciascuno per evitare aridi schemi che disumanizzano l'ambiente scolastico.

Everard Bertie, Morris Geoffrey, Gestire l'autonomia, Erickson, Trento 1998, pp. 406, L.48.000.

Un manuale di management scolastico, tradotto dall'edizione inglese, basato su rigorose premesse teoriche e ricco di esempi, questionari di autovalutazione, esercizi individuali e argomenti per la discussione. L'introduzione italiana è corredata da un'appendice sui siti internet delle più importanti strutture del sistema scolastico inglese. Il testo si occupa in particolare della gestione efficace delle risorse umane (leadership, comunicazione, gestione del conflitto...), della gestione dell'organizzazione (curricula, risorse...), della gestione del cambiamento (management della transizione, analisi di casi di cambiamento...).

Morgagni Enzo ( a cura di), Adolescenti e dispersione scolastica, Carocci, Roma 1998, pp. 323, L.39.000.

L'abbandono scolastico è spesso legato a fenomeni di emarginazione e devianza sociale; è necessario quindi che le istituzioni e i docenti si interroghino sul perché molti bambini debbano abbandonare la scuola e su che cosa sia possibile fare per risolvere questo problema. I saggi raccolti nel volume studiano i fenomeni di dispersione da vari punti di vista, pedagogico, psicologico, sociologico e antropologico. Viene così valutata la responsabilità della scuola nel fenomeno della dispersione e dell'insuccesso scolastico e si cerca anche di capire come le difficoltà del processo di transizione scuola-lavoro possano essere collegate all'abbandono.

Negrini Angelo (a cura di), Il sistema scolastico in prospettiva interculturale, Emi, Bologna 1998, pp. 191, L.25.000.

Un nuovo contributo per l'educazione alla multiculturalità viene offerto dal seminario "L'educazione interculturale nella scuola tedesca" tenutosi nel 1997 presso l'Università di Stoccarda. Dal seminario è emersa l'incapacità della scuola tedesca, e più in generale di quella europea, di educare alla convivenza fra popoli diversi senza costringere gli immigrati ad abbandonare la loro cultura. Il suggerimento è allora quello di proteggere le diverse culture, di insegnare non solo ad accettare il diverso, ma a vederlo come fonte di scambio e di arricchimento. Solo avvicinandosi alla sua cultura si può 'riconoscere' l'immigrato e quindi accoglierlo con dignità.

Staccioli Gianfranco, Il gioco e il giocare, Carocci, Roma 1998, pp. 229, L.26.000.

L'importanza del gioco nel processo formativo del bambino non è una scoperta recente; le teorie che hanno dato avvio a questi studi risalgono infatti a Fénelon, che è vissuto ed ha operato nel seicento. Fénelon è stato il primo ad ipotizzare l'utilizzo del gioco nella formazione dell'individuo, del suo aspetto corporeo, affettivo e psichico. Le ricerche delle possibilità del mezzo ludico in ambito didattico si sono, da allora, sviluppate con un una certa continuità fino ai giorni nostri e il testo illustra i risultati ottenuti.

handicap


Buono Serafino (a cura di), Ritardo mentale e disabilità, Oasi Editrice, Troina 1997, pp. 315, L.36.000.

Il libro, scritto in omaggio a Francesco Cacciaguerra, raccoglie una serie di saggi di operatori che hanno collaborato con il professore all'interno dell'Oasi Maria SS. di Troina. I saggi riguardano prevalentemente il tema della disabilità e del ritardo mentale; presentano riflessioni sul trattamento dei malati, sulle ricerche e sugli interventi riabilitativi sperimentati nel progetto di città aperta dell'Oasi. Il testo si conclude con il curriculum vitae di Cacciaguerra, apprezzato nel suo ruolo di psicologo e di sacerdote, e con l'elenco delle sue pubblicazioni.

Clo' Elena, Autismo infantile, Oasi Editrice, Troina 1997, pp. 75, L.22.000.

L'autismo è una malattia poco conosciuta e spesso le famiglie coinvolte non sanno a chi rivolgersi per ottenere gli aiuti e le informazioni necessarie. Il libro traccia una breve storia dell'autismo come malattia ed espone le teorie più recenti con le quali si mira a trovare la possibilità di comunicare con i soggetti autistici, di entrare nel loro mondo particolare. Quando nel 1943 lo psichiatra Leo Kanner per primo identificò la malattia con il nome autismo, considerò tra le cause principali la famiglia di origine; oggi questa ipotesi è stata completamente superata e si parla di danno neurobiologico, puntando ad una diagnosi preventiva che consenta una terapia adeguata, tempestiva ed efficace.

Saulle Maria Rita (a cura di), Le norme standard sulle pari opportunità dei disabili, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1997, pp. 147, L.23.000.

Le Regole Standard sulle pari opportunità dei disabili sono state elaborate nell'ambito delle Nazioni Unite; formulate in modo da assicurare ai disabili un decoroso e dignitoso livello di vita e di possibilità, sono state sostanzialmente, anche se non compiutamente, recepite nel nostro paese con la Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale ed i diritti delle persone handicappate (L. 104/92). Tali norme, tuttavia, anche per una scarsa conoscenza delle regole Standard in Italia, non sono state in seguito correttamente applicate, soprattutto se si considerano gli effetti di alcune decisioni giurisprudenziali e interventi amministrativi.

immigrazione


Cantamessa Bruno, Z'zu, Citta' Nuova, Roma 1998, pp. 133, L.14.000.

Il testo affronta il tema dell'immigrazione da un punto di vista decisamente particolare. Prima di tutto è significativa la scelta del titolo; z'zu infatti erano giovani immigrati protagonisti di un racconto di Italo Calvino contenuto nel "Le comismicomiche". Lavorando come insegnante di italiano in una scuola per stranieri, Bruno Cantamessa ha avuto la possibilità di incontrare molti ragazzi provenienti da diverse parti del mondo. Raccontando la storia di alcuni di loro, illustra le loro speranze per il futuro e la voglia di ricominciare in un altro luogo, senza dimenticare le loro origini.

lavoro


AA.VV., La sicurezza sul lavoro, Giuffre', Milano 1998, pp. 555, L.60.000.

Terza edizione aggiornata al 1998 del commento pratico al D.Lgs. 626/94, così come integrato e modificato dal D.Lgs. 242/96, con il testo dei decreti e delle circolari di attuazione, della contrattazione collettiva e degli altri provvedimenti normativi correlati; il testo contiene altresì una raccolta di formulari per gli adempimenti dell'azienda ed un vademecum degli obblighi del datore di lavoro in attuazione della direttiva 89/391/CEE. Il quinto capitolo è dedicato alle normative relative alla prevenzione incendi, mentre l'ultimo capitolo fornisce una guida per l'elaborazione del documento o piano di sicurezza ai sensi dell'art. 4, comma 2 del D.Lgs. 626/94, integrato e modificato dal D.Lgs. 242/96.

Besozzi Elena ( a cura di), Navigare tra formazione e lavoro, Carocci, Roma 1998, pp. 351, L.45.000.

L'elevato tasso di disoccupazione giovanile, il proliferare di nuove professioni, la forte mobilità lavorativa, la globalizzazione dei mercati, impongono di delineare i tratti di un rapporto sempre più articolato e flessibile tra formazione e lavoro. Il volume si occupa, nella prima parte, della formazione continua e dei modelli, delle teorie, dei metodi e degli strumenti ad essa propri, oltre che della valutazione di efficienza ed efficacia dei sistemi della formazione e dei percorsi formativi. Nella seconda parte vengono illustrate alcune esperienze, ricognizioni e pratiche relative per esempio all'alternanza scuola/lavoro, agli stage, ai percorsi integrati, alla formazione professionale ed ai tirocini a livello universitario.

Del Ciotto Daniele (acura Di), Trattato di Amsterdam e dialogo sociale-europeo, Giuffre', Milano 1998, pp. 201, L.30.000.

Atti del Seminario di studi organizzato dal CNEL e dall'Associazine italiana di studi sulle relazioni industriali che ha promosso una prima riflessione sulle innovazioni in materia sociale introdotte dal Trattato di Amsterdam. Il volume illustra le innovazioni introdotte con il nuovo titolo sull'occupazione, le disposizioni concernenti i diritti fondamentali e quelle dirette a rafforzare il dialogo sociale ed a facilitare l'adozione di atti normativi comunitari nella politica sociale. In appendice il Trattato di Amsterdam.

politiche sociali


AA.VV., Lo snellimento dell'attività amministrativa, Giuffre', Milano 1998, pp. 593, L.80.000.

Commento alle leggi Bassanini bis e ter (n. 127/97 e 191/98), nella sua seconda edizione integrata ed aggiornata. Il testo prende in considerazione i problemi, anche pratici, che riguardano l'organizzazione, il personale e l'attività degli enti locali, attraverso un'analisi delle leggi menzionate condotta per settori di materie, in maniera tale da poter esaminare in un quadro organico una legislazione in realtà molto frammentaria. La consultazione è agevolata da una tabella di raffronto.

Baldari Caterina, I fondi pensione, Giuffre', Milano 1998, pp. 388, L.50.000.

I fondi pensione costituiscono il principale nuovo strumento di promozione della previdenza complementare rispetto al ruolo centrale che ancor oggi riveste la previdenza obbligatoria. Il volume presenta un'analisi ragionata della previdenza complementare alla luce delle novità introdotte dalla manovra finanziaria '98, dal D.lgs. 314/97, dai decreti attuativi e dai più recenti orientamenti emanati dalla commissione di vigilanza, da ultimo con il regolamento del 27/1/98 e con le nuove disposizioni in materia di bilancio e contabilità dei nuovi fondi del luglio 1998.

Corrà Danilo, La privatizzazione delle IPAB, Casanova, Parma 1997, pp. 242, L.38.000.

Il testo, dopo essersi soffermato sull'inquadramento delle IPAB come organizzioni non profit, si occupa della natura giuridica, della disciplina e delle ipotesi di riforma delle IPAB. La parte centrale del volume è dedicata alla riconduzione delle IPAB al regime giuridico di dirittto privato, anche nella prospettiva delle possibili privatizzazioni. Ampia appendice dedicata alla normativa statale e regionale, specie in materia di privatizzazione, alle pronunce giurisprudenziali ed alla modulistica (con schemi-tipo di deliberazioni ed istanze di privatizzazione).

Girotti Fiorenzo, Welfare state, Carocci, Roma 1998, pp. 375, L.42.000.

Nel dibattito in corso sulla crisi-riforma del welfare state, il volume si apprezza e si segnala come importante strumento di informazione e approfondimento. Il sottotitolo "Storia, modelli e critica" introduce i contenuti del percorso dell'opera che, divisa in tre parti, analizza nella prima le "Tradizioni di studio e concezioni del welfare"; nella seconda "Il welfare state in prospettiva storica" ed infine nell'ultima "Sviluppo, crisi e ristrutturazione dei sistemi del welfare". Nell'ultima sezione si segnalano, in particolare, gli ultimi due capitoli: "Le politiche sociali dell'Italia repubblicana" (pag. 271) e "Politiche di restrizione e riforma dello stato sociale" (pag. 323).

Paisio Fausto, Disciplina fondamentale delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, Casanova, Parma 1998, pp. 527, L.59.000.

Il testo presenta in maniera organica, coordinata, unificata ed annotata (anche con la giurisprudenza e la prassi ministeriale) la normativa italiana emanata in materia di IPAB dall'Unità d'Italia ai giorni nostri, sia di natura legislativa che regolamentare. L'ultima parte del volume raccoglie i modelli previsti dai regolamenti (bilanci, conto finanziario, inventari...) e fornisce alcune utili tavole di raffronto tra le disposizioni legislative e regolamentari ed il testo coordinato.

psichiatria


Taufer Beppino, Toso Ilario, Guidolin Lino (a cura di), I malati mentali, Piemme, Casale Monferrato 1997, pp. 269, L.20.000.

Il testo, seguendo una linea teorica e metodologica di stampo eclettico, cerca anzitutto di rispondere a domande come "che cos'è la malattia mentale", "come e dove si cura", "quali ne sono le cause", "quando e come si manifesta", nel far questo delineando anche una breve storia della psichiatria. Nei capitoli finali vengono analizzate alcune tematiche specifiche, quali l'interazione tra servizio pubblico e 'privato sociale' e la situazione e il ruolo delle famiglie. Il volume si chiude con una riflessione sull'atteggiamento e sulle risposte della chiesa.

psicologia


De Luca Ruben, Anatomia del serial killer, Giuffre', Milano 1998, pp. 299, L.38.000.

Ruben De Luca propone un manuale operativo sull'omicidio seriale, un testo completo che per la prima volta affronta sotto vari aspetti la descrizione del serial killer. Indagine statistica sul fenomeno degli assasini seriali, tipologia del serial killer, studio dei processi mentali che spingono a questi stermini, differenza fra la donna e l'uomo serial killer, possibilità di azioni preventive, utilità o meno di cure e terapie per un assassino ...; questi sono alcuni dei punti trattati in questo manuale che ci permette di entrare nel mondo misterioso e spaventoso dei serial killer.

Lis Adriana (a cura di), Tecniche proiettive per l'indagine della personalità, Il Mulino, Bologna 1998, pp. 494, L.50.000.

Il libro si occupa di un settore specifico dell'indagine della personalità, quello delle tecniche proiettive, che consistono in una valutazione della dinamica e delle caratteristiche della personalità a partire dalla presentazione di stimoli poco strutturati o ambigui, che i soggetti completano con l'interpretazione, attraverso descrizioni, disegni o racconti. Ampio spazio viene dedicato all'esame di vari test, sia di concezione recente, sia più classici, come il Rorschach, il TAT, il CAT.

Longhin Luigi, Mancia Mauro (a cura di), Temi e problemi in psicoanalisi, Bollati Boringhieri, Torino 1998, pp. 285, L.60.000.

Una riflessione sulle condizioni di possibilità e sulla storia della psicoanalisi, condotta attraverso un lavoro di traduzione ed elaborazione dei contenuti della filosofia della scienza contemporanea all'interno del sapere psicoanalitico. Il testo affronta, da un punto di vista epistemologico, i problemi relativi al metodo ed alla verifica nella psicoanalisi, alla ricerca della sua legittimità scientifica, al senso dei suoi processi di analisi e di sintesi.

sanità


Paisio Fausto, Manuale per i concorsi nelle nuove unità sanitarie lacali e nelle aziende ospedaliere, Casanova, Parma 1994, pp. 537, L.55.000.

Un manuale destinato ad addetti ai settori operativi ed ai candidati ai pubblici concorsi. Premesse brevi nozioni di diritto pubblico e privato (ordinamento dello stato e principi generali, diritto amministrativo, anche processuale, contabilità, diritto tributario, enti locali...), il testo si occupa del diritto sanitario, sotto i vari profili secondo cui esso viene in rilievo (ivi compresi gli aspetti contabili e finanziari, ciò che contribuisce a conferire all'opera un apprezzabile tagli pratico). In appendice, un questionario utilizzabile per esercitazioni.

Sandrin Luciano (a cura di), Malati in fase terminale, Piemme, Casale Monferrato 1997, pp. 155, L.22.000.

Non sempre è facile parlare della morte e ancor meno assistere un malato in fase terminale, ma la parola di Cristo ci invita a consolare e ad essere vicini a chi muore. La Caritas Italiana con questo libro vuole invitare la comunità cristiana a garantire ai malati una morte con dignità, accompagnati fino alla fine dalla parola di Dio e dall'aiuto della Chiesa. Il testo si conclude con l'esperienza della Domus salutis di Brescia, che offre un sostegno e un'accoglienza particolare ai malati terminali e alle loro famiglie.

servizi sociali


Bortoli Bruno, Teoria e storia del servizio sociale, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1997, pp. 207, L.36.000.

Il volume intende offrire, in particolare agli operatori sociali, un quadro di riferimento relativamente alla storia dell'assistenza pubblica nelle società occidentali. Diviso in due parti, nella prima ("Alle origini del servizio sociale") si percorrono, a partire dal 1500, le vicende dello sviluppo dell'assistenza; nella seconda si analizza l'evoluzione del servizio sociale dai primi del 1900 fino all'attuale strutturazione del sistema di Welfare.

Cesaroni Mirella, Sequi Roberto, Sistema informativo e servizi sociali, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1997, pp. 175, L.37.000.

Solo in questi ultimi anni in alcune realtà italiane si sono andati strutturando sistemi informativi relativi ai servizi socio-assistenziali; ancora quasi del tutto assenti sono invece le procedure informatizzate che consentano una valutazione delle prestazioni sociali. Il testo propone e presenta il sistema informativo adottato dall'Azienda Sanitaria n.10 di Firenze, illustrando i criteri di standardizzazione e codifica delle prestazioni e presentando le modalità di documentazione adottate per ciò che riguarda l'assistenza domiciliare ed i servizi educativi.

società


Alici L., D'agostino F., Santeusanio F., La dignità degli ultimi giorni, San Paolo, Cinisello Balsamo 1998, pp. 124, L.18.000.

Il volume si compone di 3 saggi: "Il medico di fronte alla morte", "Filosofia della morte" e "Pena di morte e dignita' della vita". Gli autori, un medico e due filosofi, si confrontano e interrogano sulle convinzioni, i comportamenti, le scelte che possono aiutare a ritrovare la dignità degli ultimi giorni. Quale dignità si può riconoscere alla sofferenza degli ultimi giorni? Si può parlare di una dignità del morire come di una dignità del vivere? Le riflessioni degli autori raccolgono queste e altre domande, tentando di dare una qualche risposta.

Mortellaro Isidoro Davide, Dopo Maastricht, La Meridiana, Molfetta 1997, pp. 300, L.28.000.

L'europeismo come variante dell'antico dispotismo illuminato, a perpetuare tecnocrazie e moderne oligarchie? Le nuove potenze della globalizzazione sono la tecnica, il mercato, la finanza, i bit, che, mettendo a soqquadro la politica e lo stato, i luoghi deputati finora a tracciare confini, dettare leggi e battere moneta, evidenziano la necessità di approntare istituzioni e regole per il prossimo secolo. Ma nella costruzione dell'Unione europea il tentativo della moneta di dare un tetto comune all'Europa si è tradotto, secondo l'autore, in una frattura tra élites e popoli.

Tabet Paola, Di Bella Silvana (a cura di), Io non sono razzista, ma ....., Anicia, Roma 1998, pp. 212, L.38.000.

Sebbene si tratti di un fenomeno tra i più affrontati nelle pubbliche discussioni e dibattiti, non sempre vengono presi in considerazione tutti gli aspetti del razzismo come fenomeno culturale, come fenomeno storico e come realtà sociale. Il testo riporta l'esperienza di un progetto dell'Arciragazzi di Arezzo, che, nato con un corso di formazione per insegnanti, ha poi coinvolto ragazzi delle scuole medie in un percorso didattico sul tema della produzione e diffusione del razzismo. Le considerazioni frutto di questa esperienza e gli approfondimenti contenuti nel testo offrono agli insegnanti materiale utile per affrontare in modo esauriente la problematica del razzismo e per interrogarsi sulle ragioni dell'intolleranza.