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Appunti n.133
(indice Appunti)
  • L'attuazione della legge 162/98 - Fausto Giancaterina, Membro della Commissione Ministeriale di valutazione dei progetti della legge 162/1998
  • Psichiatria e salute mentale: orientamenti bioetici - Comitato Nazionale per la Bioetica
  • L’integrazione scolastica delle persone in situazione di handicap nel 2000 - Ministero della Pubblica Istruzione
  • Anticipazioni Dossier Statistico Immigrazione 2001 - Franco Pittau Coordinatore del “Dossier Statistico Immigrazione”



    L'attuazione della legge 162/98
    Fausto Giancaterina, Membro della Commissione Ministeriale di valutazione dei progetti della legge 162/1998

    (indice)
    Riportiamo una delle relazioni introduttive del seminario nazionale di studio sulle politiche di intervento a favore dei disabili gravi svoltosi a San Benedetto del Tronto lo scorso 9-10 febbraio sull'applicazione della legge 162/1998.

    La Legge 21 maggio 1998, n.162: "Modifiche della legge 5 febbraio 1992, n.104, concernenti misure di sostegno in favore di persone con handicap grave" può essere considerata il risultato di un'azione sociale e politica intesa a richiamare l'attenzione delle Regioni e delle Amministrazioni locali sulle problematiche delle persone disabili, ma più in particolare delle persone con disabilità grave e assistite in famiglia, in un momento storico in cui si avvertiva una certa di attenuazione dell'interesse per tali problemi.

    Premessa: un po' di storia
    Come tutti sappiamo il riconoscimento e la esigibilità dei diritti delle persone disabili, trovano concreta attuazione attraverso servizi e azioni di sostegno tangibili, manifestando, a livello realizzativo, diverse sottolineature ed attenzioni a seconda dei diversi momenti storici (con diverse caratterizzazioni).
    Se gli anni sessanta sono stati caratterizzati da emarginazione e controllo sociale e gli anni settanta sono stati quelli della stagione delle grandi riforme, al termine degli anni ottanta il mondo dell'handicap - con oltre 18 leggi nazionali - si ritrova una normativa molto ampia, ma settoriale, disorganica e polverizzata in altrettanti provvedimenti regionali.
    L'esigibilità dei diritti delle persone è ampiamente riconosciuta sul piano formale, molto meno sul piano concreto della esistenzialità quotidiana.
    A complicare un po' le cose ci si mette tutta la problematica derivante dalla crisi dello stato sociale, crisi non solo circa il paradigma Stato si, Stato no, ma anche crisi di strumenti, crisi di operatori in carenza di nuove competenze operative; crisi di servizi sempre più burocratizzati; crisi di una strategia d'intervento che ha preteso di creare benessere tenendo artificialmente lontane dai loro problemi le persone o sostituendosi ad esse nella soluzione.
    Di fronte a tali considerazioni, prende corpo la consapevolezza di un cambiamento di qualità per raggiungere il pieno ed effettivo esercizio del diritto di parità di cittadinanza per le persone disabili. L'iniziativa riguarda prima di tutto il superamento della frammentarietà legislativa esistente.
    Negli anni novanta si concretizza così l'idea di una legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate. La legge viene approvata dal Parlamento il 5 febbraio 1992 con il numero 104.
    La Legge n. 104/92 compie certamente dei notevoli passi in avanti, spostando l'ottica degli interventi più sul versante dell'integrazione sociale.
    Vi si avverte un'attenzione forte e decisa nei confronti della persona intesa nella sua globalità e non in considerazione del tipo di menomazione o di disabilità. Gli interventi devono favorire lo sviluppo della persona nel normale evolversi della vita, seguendo le tappe fondamentali della vita in famiglia, dell'ingresso nel mondo della scuola, del lavoro, della cultura e del tempo libero ed infine della creazione di alternative non emarginanti quando la famiglia non sia più in grado di dare il proprio sostegno diretto.
    L'obiettivo di fondo della legge è la realizzazione di progetti integrati e socialmente condivisi, avviando un processo di responsabilizzazione delle regioni, degli enti locali, dei servizi pubblici e privati, ma anche di tutta la società civile, delle stesse persone disabili, delle loro famiglie, dell'associazionismo, del volontariato, della cooperazione.
    E' la nuova frontiera dei servizi che, pur accettando una realtà molto diversificata non solo in rapporto alle diverse aree geografiche del paese, ma anche in rapporto agli approcci culturali e tecnici ed ai modelli organizzativi, molto diversi tra loro, deve ritrovare una propria unitarietà nonostante la complessità intrinseca, dovuta alla vasta gamma dei bisogni e dei problemi che la attraversa e che richiede un investimento di competenze di diverse istituzioni e di diverse discipline professionali.
    La conquista culturale raggiunta consente alle persone disabili e alle loro famiglie di affermare con sempre più forza che i servizi devono attrezzarsi per sostenere la quotidianità del percorso vitale con programmi individualizzati e condivisi, tenendo in debito conto sia i limiti iniziali che le potenzialità di quella precisa persona inserita in quel preciso contesto sociale. Ed è per questo che le famiglie vogliono capire, vogliono partecipare, vogliono decidere e - soprattutto - non intendono più ricorrere a soluzioni istituzionalizzanti, esigendo con forza un cambiamento del sistema dei servizi sociali e sanitari nella ridefinizione dei propri modelli organizzativi, dei saperi e delle culture professionali sottostanti.

    La legge 162/98
    E' da tale contesto sociale partecipativo che prende corpo la proposta della realizzazione di una rete di servizi coerentemente organizzata e che, a sei anni dalla Legge 104/92, si concretizza nella legge 162/98.
    La legge attua due direttive fondamentali.
    La prima è quella di dare mandato al Ministero per la solidarietà sociale di avviare azioni concrete di stimolo e di coordinamento attraverso:
    · la promozione ed il finanziamento di progetti innovativi;
    · la promozione di indagini statistiche e conoscitive per una lettura dei dati sulla disabilità, a supporto del Governo per la programmazione degli interventi;
    · la convocazione ogni tre anni di una Conferenza Nazionale quale momento di verifica dello stato di attuazione degli interventi sulla disabilità, nonché come ricerca di proposte per il miglioramento delle politiche sull'handicap.

    La seconda, per quanto riguarda la definizione dei servizi:
    · apportare sostanziali modifiche alla legge 104, con particolare riferimento a "misure di sostegno in favore di persone con handicap grave".
    · prevedere l'organizzazione di servizi per persone "per le quali venga meno il sostegno del nucleo familiare".
    · modificare la L. 104 all'art. 39 comma 2 con l'integrazione delle lett. l-bis) e l-ter), dando direttive alle regioni per due distinti ordini di iniziative, con relative modalità operative:

    1) Art. 39 comma 2 lettera l-bis). La regione è invitata a programmare interventi di sostegno alla persona e alla famiglia con prestazioni integrative degli interventi degli enti locali realizzate a favore delle persone con handicap di particolare gravità:
    a) forme di assistenza domiciliare e di aiuto personale, anche della durata di 24 ore, provvedendo alla realizzazione di servizi di cui all'art. 9 (servizio di aiuto personale);
    b) all'istituzione di servizi di accoglienza per periodi brevi e di emergenza, tenuto conto di quanto disposto all'art. 8 comma 1 lettera i) (comunità alloggio, case-famiglia e analoghi servizi residenziali...) e all'art. 10, comma 1 (comunità alloggio e centri socioriabilitativi per persone con handicap in situazione di gravità);
    c) rimborso parziale delle spese documentate di assistenza nell'ambito di programmi preventivamente concordati.

    2) Art. 39 comma 2 lettera l-ter) La regione, per garantire il diritto alla vita indipendente, deve disciplinare ... le modalità di realizzazione di programmi di aiuto alla persona, gestiti in forma indiretta…

    In sintesi gli interventi integrativi riguardano:
    - L'assistenza personale (anche della durata di 24 ore)
    - I servizi di aiuto personale (anche con gestione indiretta)
    - I servizi di accoglienza per periodi brevi e di emergenza
    - Il rimborso parziale delle spese di assistenza

    Il Finanziamento. La legge - per la realizzazione di tali servizi integrativi - ha previsto trasferimenti annuali di fondi a tutte le regioni ed alle province autonome per la programmazione sul territorio di servizi e interventi. Tali trasferimenti sono assegnati in base ai dati della popolazione;
    Le risorse stanziate sono state:
    - 30 miliardi per l'anno 1998
    - 60 miliardi per l'anno 1999
    - 59 miliardi per l'anno 2000

    La Verifica degli interventi. Le regioni e le province autonome devono riferire in merito all'utilizzazione dei finanziamenti ricevuti con le modalità dell'art. 41, comma 8, della legge 104/92 (Relazione al Parlamento). Se entro due anni dalla data di entrata in vigore della non hanno provveduto ai relativi impegni contabili, il Ministro per la solidarietà sociale, sentita la Conferenza Stato-regioni, può riprogrammare le risorse assegnate e ridestinarle.

    Promozione di progetti sperimentali. La legge prevede, come si è detto, un'azione di stimolo e coordinamento da parte del Ministro per la solidarietà sociale per la promozione di progetti sperimentali.
    Tali progetti riguardano gli interventi previsti agli articoli 10, 23, 26, della legge 104/92.
    Gli obiettivi e gli ambiti di azione dei progetti sperimentali, stabiliti con il D.M. 6 agosto 1998 devono riguardare:
    · l'individuazione dei nuovi modelli di intervento a favore di disabili gravi e delle loro famiglie, con priorità per sistemi di servizi, prestazioni e soluzioni organizzative, da realizzare anche con il coinvolgimento di famiglie, associazioni, fondazioni, organizzazioni non lucrative, per garantire la tutela e l'integrazione nel territorio di quei soggetti con handicap grave che rimangono privi del sostegno familiare;
    · la promozione di iniziative innovative nella pratica di attività sportive, turistiche e ricreative delle persone disabili;
    · la sperimentazione di modalità innovative di mobilità, con particolare attenzione ai mezzi adattati, ai servizi di chiamata, ai nodi di scambio tra i diversi sistemi di trasporto.

    Criteri di valutazione, approvazione e finanziamento. La realizzazione dei progetti sperimentali è stata regolamentata con modalità e criteri per la presentazione e la valutazione indicate in appositi decreti applicativi secondo i seguenti criteri generali:
    1) rilevazione quantitativa della presenza e dei bisogni delle persone con grave disabilità;
    2) obiettivi del progetto in relazione coerente con le esigenze rappresentate;
    3) coerenza del progetto in relazione alla rete dei servizi sociali, sanitari, scolastici e formativi:
    4) possibilità di integrazione con altre iniziative, servizi e strutture già esistenti sul territorio;
    5) finalizzazione del progetto all'inserimento sociale e al sostegno dei carer familiari;
    6) evidenza degli aspetti innovativi del progetto in relazione al contesto territoriale e ai servizi esistenti;
    7) rappresentazione dei tempi di realizzazione del progetto, con l'indicazione delle fasi e dei relativi costi;
    8) individuazione dei soggetti coinvolti nel progetto: amministrazioni, servizi, reti assistenziali, enti pubblici e privati;
    9) compartecipazione finanziaria degli stessi al progetto;
    10) tipologia del personale impegnato nel progetto e relativa qualificazione professionale;
    11) possibilità del progetto di proseguire autonomamente dopo la fase sperimentale.

    Il sistema attuativo. Il Ministro per la solidarietà sociale dispone il riparto fondo nazionale per le politiche sociali prevedendo i finanziamenti relativi alla legge 162/98. Emana il decreto per la presentazione dei progetti sperimentali. Nomina la Commissione per la valutazione e verifica dei progetti presentati.
    Gli Enti locali, le Asl e le Comunità montane
    possono promuovere i progetti sperimentali autonomamente oppure con il coinvolgimento delle associazioni di disabili e loro famiglie o con le organizzazioni no-profit.
    Le regioni e le province autonome, acquisiti e valutati i progetti presentati dagli Enti locali, li approvano con deliberazione dell'organo competente e li trasmettono al Dipartimento per gli Affari sociali entro i termini indicati dall'apposito decreto annuale, specificando l'esercizio finanziario di riferimento.
    Il Dipartimento Affari Sociali
    riceve i progetti presentati dalle regioni, dopo un controllo sul rispetto della procedura e la completezza della documentazione, valuta i progetti attraverso la commissione.
    Il Ministro per la solidarietà sociale, sulla base delle proposte formulate dalla Commissione, assegna i contributi alle regioni (in due trance di 60% e 40%).
    Le regioni e le province autonome, entro tre mesi dalla corresponsione del 60% del finanziamento concesso relazionano sull'avvio del progetto ai fini dell'assegnazione del restante 40%.

    I progetti approvati negli anni 1998 - 2000
    Nell'anno 1998, primo anno di applicazione della legge 162/98, le proposte sono state complessivamente 126, quelle approvate sono state 21, per un importo totale di L. 7 miliardi.
    Nell'anno 1999 le proposte sono state 172, quelle ritenute regolari sono state 109, quelle approvate sono state 66, per un importo totale di L. 35.927.000.000.
    Nell'anno 2000 le proposte sono state 172, quelle ritenute regolari sono state 109, quelle approvate sono state 66, per un importo totale di L. 35.200.000.000.

    Tipologie di riferimento Progetti
    a) nuovi modelli di intervento a favore di soggetti con handicap grave e delle loro famiglie per garantire la tutela e l'integrazione nel territorio di quei soggetti con handicap grave che rimangono privi del sostegno familiare:

    b) iniziative innovative per estendere e facilitare la pratica di attività sportive, turistiche e ricreative delle persone handicappate;

    c) modalità innovative per consentire alle persone handicappate di muoversi liberamente nel territorio.


    Progetti presentati al Ministero dal 1998 al 2000

    anno

    1998

    1999

    2000

    Progetti presentati

    126

    (172) 109

    (206) 197

    Progetti approvati

    21

    66

    115

    Tot. finanziamenti

    7.000.000.000

    35.927.000.000

    35.200.000.000

    % finanziamento

    80%

    100%

    30% - 75% - 50%




    La Commissione incaricata di valutare e selezionare i progetti, nel corso di questi tre anni ha ritenuto di privilegiare, le proposte con contenuto innovativo, suggerendo il rinvio degli interventi ordinari, oltre che alla programmazione regionale, alla utilizzazione degli altri fondi della legge 162/98.
    Il concetto di contenuto innovativo è stato naturalmente utilizzato in senso relativo; vale a dire in rapporto alla situazione territoriale rappresentata. In alcune zone povere di servizi si è cercato di facilitare comunque la possibilità di un impianto minimo di servizi.
    In linea generale si è potuto constatare che: solo nel caso di 6 regioni sono stati presentati progetti organici e perfettamente in sintonia con gli obiettivi della legge e la corrispondente programmazione regionale. Per un buon 50% si ha avuta l'impressione di trovarsi più che altro di fronte ad una caotica petizione di fondi.
    Sono stati motivi di esclusione dei progetti: le proposte di interventi prevalentemente sanitari; la povertà progettuale legata alla indeterminatezza realizzativa; la non chiara prospettiva di continuità; l'incoerenza tra bisogni rappresentati e progetti proposti.
    In definitiva si può affermare che per almeno il 70% delle regioni la legge 162/98 ha costituito un'occasione per affrontare in termini di servizi il problema delle persone disabili.

    Diversificazione dei progetti per tipologia

    anno

    1998

    1999

    2000

    Tipologia progetti

    Pres.

    Approv.

    Pres.

    Approv.

    Pres.

    Approv.

    a)

    71

    14

    98

    48

    119

    86

    b)

    34

    4

    28

    16

    59

    27

    c)

    21

    3

    12

    5

    17

    3

    totale

    126

    21

    138

    69

    195

    116



    In conclusione
    Resta un ultimo significativo dato: 2.677.000 disabili sono assistiti in famiglia; si stima che circa il 50% si trovi in situazione di gravità. Che cosa occorre fare per una risposta adeguata?
    La recente produzione legislativa ci avverte che cambiano i rapporti tra gli amministratori e le rappresentanze degli utenti. Ma cambiano anche i rapporti tra operatore ed utente, quest'ultimo deve essere sempre più riconosciuto come coproduttore del processo di aiuto. Cambiano le relazioni con il contesto sociale e diventano sempre più un intreccio di "reti di fronteggiamento", espressione sia dei mondi vitali quali l'utente stesso, i familiari, i parenti, gli amici, il vicinato, i volontari e sia del sistema formale di servizi rappresentato dal case manager, dagli operatori professionali sociali pubblici e di terzo settore, dagli operatori sanitari, ecc. Si accentua la separazione tra chi valuta e che acquista i servizi e chi li eroga.
    Tutto questo processo innovativo non solo ha modificato gli assetti organizzativi, ma ha anche fatto emergere nuove attenzioni verso valori tenuti finora in secondo piano: nuovi rapporti tra welfare pubblico e società civile, maggiore attenzione alla negoziazione tra utenti, professionisti ed istituzioni, nuovi modi di lavorare da parte degli operatori sociali (management).
    La stessa relazione di aiuto ha subito un processo di revisione, poiché non può essere più considerata lineare e risolutiva attraverso il solo rapporto duale operatore/utente, soprattutto ora che "la relazione duale - pur non essendo scomparsa - la si vede risucchiata in un flusso più ampio e molteplici disordinati influssi (input) entrano in gioco da tutte le parti"(1).
    Questa pluralizzazione degli intrecci di azioni e di attori determina una duplice prospettiva del lavoro sociale: il "lavoro della rete", vale a dire il lavoro che persone ed operatori, in collegamento tra loro, svolgono in vista di un obiettivo; il "lavoro di rete", lavoro di supporto alle reti informali di fronteggiamento, un "lavoro che si aggancia relazionalmente ad un altro lavoro, al lavoro di altri soggetti …è un lavoro intenzionale (finalizzato) di investimento di energia rivolto verso una rete di fronteggiamento pre-esistente (al limite anche potenziale), affinché essa possa agire meglio sul piano della reticolazione (della quantità, dell'efficacia e della pariteticità delle interazioni) e possa esprimere una migliore capacità di azione comune rispetto al compito (task)" (2).
    La sfida che si presenta è saper ragionare a più dimensioni per poter essere nel contempo soggetti attivi di cambiamento verso un welfare mix societario (Donati, 1999), fautori e sostenitori di nuove partnership, costruttori di nuove regole, attenti programmatori (che non sottovalutano gli aspetti economici) e soprattutto decisivi sostenitori del diritto di cittadinanza dei soggetti socialmente deboli, per favorire l'esigibilità dei diritti e non solo la retorica declaratoria legislativa.
    La costruzione tassello su tassello delle diverse possibilità di risposte, il più possibile unitarie, globali, integrate e flessibili, costituisce la mappa dei servizi e delle risorse disponibili sul territorio cui poter far ricorso per rispondere adeguatamente, in quantità e qualità alle problematiche delle persone con disabilità.
    Occorre costruire nuovi assetti organizzativi.
    Per le istituzioni tutto questo è doveroso: per far crescere il sistema dei servizi secondo progetti di ampio respiro centrati unicamente sull'utente; per evitare di fallire nella propria mission e di perdere legittimazione e credibilità di fronte alla comunità amministrata; per essere costruttori di benessere nella propria realtà sociale.

    (1) Folgheraiter F., L'operatore sociale al tempo del welfare mix, Animazione Sociale n.8/9-1999.
    (2) Folgheraiter F., ibidem.



    Anticipazioni Dossier Statistico Immigrazione 2001
    Franco Pittau Coordinatore del “Dossier Statistico Immigrazione”
    (indice)

    Alla fine di dicembre 2000 sono risultati registrati un milione e 338 mila soggiornanti stranieri: aggiungendo i minori e i permessi ancora in corso di registrazione si arriva a sfiorare se non a superare un milione e 700 mila persone. E’ tempo, quindi, di prendere atto che siamo diventati una terra di immigrazione stabile e di tirare le conclusioni più coerenti a livello di politiche da condurre.


    Per presentare, in estrema sintesi, i cambiamenti conosciuti dall'immigrazione in Italia nel corso del 2000, in linea generale si può rispondere che la più recente evoluzione in pratica aiuta a leggere con maggiore chiarezza aspetti del fenomeno che già in parte si conoscevano ma non con la stessa evidenza. Oggi possiamo interpretare con maggiore consapevolezza ciò che è avvenuto nel corso degli anni '90.
    Scendendo poi nel dettaglio si possono individuare, nel nuovo scenario, quattro punti estremamente significativi:
    1. Una dimensione quantitativa di tutto rispetto nel panorama europeo
    2. L'Italia come laboratorio avanzato di convivenza interculturale: la globalizzazione etnica
    3. Simbiosi tra immigrazione e mondo del lavoro destinata ad aumentare
    4. Modelli territoriali di integrazione: una presenza più diffusa e più stabile ma differenziata

    La dimensione quantitativa nel panorama europeo

    Alla fine di dicembre 2000 sono risultati registrati un milione e 338 mila soggiornanti stranieri: aggiungendo i minori e i permessi ancora in corso di registrazione si arriva a sfiorare se non a superare un milione e 700 mila persone secondo la stima del "Dossier".
    Secondo le registrazioni finora effettuate, l'aumento dei soggiornanti intervenuto nel corso del 2000 è stato di 138.000 unità, al netto di chi era residente e ha lasciato l'Italia o di chi era venuto per rimanere solo temporaneamente: non bisogna, infatti, dimenticare che l'immigrazione è una realtà che per definizione è caratterizzata dalla mobilità.
    Anche basandosi sui dati più consolidati degli immigrati iscritti nell'anagrafe come residenti, l'aumento annuale supera ormai da 5 anni le 100.000 unità l'anno. Secondo una prima stima del "Dossier", i nuovi arrivi per motivi stabili sono stati nel 2000 circa 135.000 e ad essi si aggiungono i figli di immigrati nati in Italia (circa 30.000).
    Sarà prudente attendere dal Centro Elaborazioni Dati del Ministero dell'Interno la verifica dei nuovi dati, anche perché un certo numero di permessi risulta ancora da registrare. Però fin da ora si può dire che l'Italia è un grande paese di immigrazione, il quarto dell'Unione Europea, specialmente in forza dell'accentuato ritmo di aumento, che dal 1991 al 2000 ha consentito un raddoppio. Senza dubbio questa tendenza sarà più vivace nel corso del nuovo secolo, quando inizieranno a farsi sentire in maniera più marcata le conseguenze del nostro calo demografico.
    Quanto all'incidenza degli immigrati sulla popolazione residente, l'anno venturo anche l'Italia supererà la soglia del 3% (ora siamo al 2,9%) e tra due anni la presenza effettiva straniera sfiorerà o supererà i due milioni di persone.
    E' tempo, quindi, di prendere atto che siamo diventati una terra di immigrazione stabile e di tirare le conclusioni più coerenti a livello di politiche da condurre. Negli stati più industrializzati, a partire dagli Stati Uniti, il fenomeno dell'immigrazione è strettamente congiunto con quello della globalizzazione e si presenta come un segno di modernità.
    Perciò è fuori posto concludere che quello italiano sia un caso anomalo rispetto a quanto avviene nell'Unione Europea. Quanto a numero di immigrati siamo lontani dai 7 milioni e 300 mila della Germania, dai circa 4 milioni della Francia ma non così tanto dalla Gran Bretagna, che ha una popolazione immigrata di 2 milioni e 207 mila. In questi grandi paesi l'incidenza sulla popolazione residente è più alta rispetto e anche la media dell'Unione Europea (5%) è di due punti superiore rispetto all'Italia.
    Pur nella difficoltà di comparare dati nazionali, acquisiti attraverso diversi sistemi di rilevazione, quanto ai nuovi ingressi sembra che l'Italia abbia superato la Francia e non è così lontana dalla Gran Bretagna (più di 200.000 nuovi ingressi l'anno), mentre resta distanziata dalla Germania (più di 600.000 l'anno, in buona misura anche per lavoro temporaneo).

    L'Italia come laboratorio avanzato di convivenza interculturale
    L'Italia, crocevia tra Europa, Asia e Africa e legata da forti rapporti con il continente americano, accoglie una presenza straniera molto diversificata quanto a provenienze nazionali.
    Da vari anni la composizione continentale rimane caratterizzata allo stesso modo: 40% europei, 30% africani, 20% asiatici e 10% americani.
    All'interno di ciascun continente, però, sono in atto delle modifiche quanto ai paesi di provenienza:
    - i comunitari scendono al 10,8% sul totale delle presenze, la percentuale più bassa in tutti gli Stati membri, e i nordamericani al 3,6%;
    - tra gli europei dell'Est è crescente il peso degli immigrati balcanici
    - l'Africa del Nord mantiene un ragguardevole 18,5% e l'Estremo Oriente il 10,3%, livello peraltro già raggiunto nel 1990;
    - aumentano la loro incidenza l'Europa dell'Est (27,4%) e il Subcontinente Indiano (7,5%).
    Se ci riferiamo all'aumento intervenuto negli ultimi anni, le percentuali più rilevanti spettano al Subcontinente Indiano, all'Europa dell'Est e all'Estremo Oriente. Rispetto all'aumento dell'ultimo anno del 10,9%, paesi come Cina , India e Bangladesh per l'Asia, e come Albania, Macedonia e Romania nell'Est per l'Europa hanno conosciuto aumenti eccezionali che vanno oltre il 20%.
    Marocco, Albania, Romania, Filippine e Cina sono i primi cinque paesi, che tra l'altro rafforzano la loro quota sul totale delle presenze (37,1% rispetto al 32,6% del 1998): tra di essi non vi sono più gli Stati Uniti, la Romania scalando cinque posizioni è passata al terzo posto e come quinta si è inserita la Cina, precedendo Usa e Tunisia. Il Marocco sfiora i 160.000 soggiornanti registrati (ma è di 194.000 la stima dell'effettiva presenza) e l'Albania supera i 142.000 (stima effettiva: 173.000), mentre Romania, Filippine e Cina stanno a quota 68.000/60.000 (stima effettiva 83.000/73.000).
    Continua ad essere vero l'assunto che l'Italia è un crogiolo di nazionalità, così come avviene negli Stati Uniti, mentre in altri paese il grosso delle presenze è costituito da poche nazionalità..
    Sulla base delle previsioni dei demografi, possiamo mettere in conto un ulteriore cambiamento di questo panorama perché la quota di pertinenza dei paesi dell'Africa Subsahariana (attualmente il 10%) è destinata ad aumentare a seguito del forte aumento demografico dell'area.
    Quando di parla delle prospettive della società interculturale è a queste differenti provenienze che bisogna pensare come base per le politiche da condurre, politiche che, se ben finalizzate, consentono di fare dell'Italia un laboratorio avanzato di convivenza, caratterizzata com'è da un grado così accentuato di "globalizzazione etnica".

    Un milione di lavoratori immigrati
    Quasi 3 su 10 soggiornanti hanno il permesso di soggiorno per motivi familiari e altri 6 per motivi di lavoro: in altre parole si tratta di una immigrazione fortemente stabile. Le donne (il 46% del totale) sono maggiormente rappresentante tra i 355.000 soggiornanti per motivi familiari (8 su 10), gli uomini tra gli 851.000 soggiornanti per motivi di lavoro (7 su 10). Rispetto allo scorso anno si riscontrano 47.000 persone in più per motivi familiari (ma sarebbero di più tenendo conto dei minori non registrati a titolo personale) e di 94.000 unità in più per motivi di lavoro.
    Se si tiene conto che anche le persone presenti per ricongiungimento familiare possono esercitare un'attività lavorativa, la forza di lavoro immigrata supera potenzialmente il milione di unità (oscillando tra il 3,7 e il 4,3% della forza lavoro totale: 23,3 milioni di unità). Appare così con evidenza come l'impatto sul mondo del lavoro sia ben più consistente dell'impatto sulla popolazione residente (2,9%) e come la presenza immigrata sia innanzi tutto una questione lavorativa.
    Per i comunitari, invece, non sussiste questa condizione di bisogno, in quanto solo il 45,3% è presente in Italia per motivi di lavoro: in particolare uno su cinque ha fatto dell'Italia il suo paese di residenza elettiva.
    Ogni 10 persone presenti per lavoro subordinato ve ne è una che svolge lavoro autonomo. I lavoratori autonomi sono complessivamente 87.000, pari al 6% dell'intera popolazione straniera. Tra di essi la differenza dei sessi è ancor più accentuata, perché è donna appena una su cinque.
    L'Italia ha bisogno di questi lavoratori oppure vengono lasciati entrare per fare i disoccupati? Le rilevazioni degli uffici di collocamento (più di 200.000 immigrati iscritti a partire dal 1998) sono, come risaputo, scarsamente indicative perché l'iscrizione viene effettuata anche al fine di poter fruire di vantaggi di altro genere. Gli schedari del Ministero dell'Interno registrano solo 79.000 soggiornanti iscritti al collocamento o in attesa di occupazione, di cui il 45% donne). Se l'indice di disoccupazione si dovesse calcolare con riferimento al numero dei soggiornanti per motivi di lavoro, il tasso di disoccupazione medio sarebbe appena del 10% (11,3% per gli uomini e 9,8% per le donne, con una posizione di maggior favore per le immigrate a differenza di quanto avviene per le donne italiane). Queste considerazioni mostrano, comunque, che, in controtendenza con quanto solitamente si pensa, si è in presenza di un maggiore dinamismo occupazionale anche se questo, come avviene anche per gli italiani, trova spesso sbocco nel settore del lavoro nero, come hanno posto in evidenza l'Istat e altre ricerche.
    Indubbiamente tale dinamismo potrebbe essere ulteriormente favorito dai collegamenti più efficaci tra i mercati del lavoro locale perché la disponibilità alla mobilità, un bene specifico che l'immigrato porta con se al suo arrivo in Italia, è ovviamente un bene di breve durata e solitamente si perde dopo due/tre anni, quando molteplici legami possono rendere l'immigrato sedentarizzato.
    Una maggiore flessibilità è indubbiamente favorita anche dalla possibilità di trovare in loco l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, come del resto prevede la legge 40/1998 attraverso la forma di sponsorizzazione e quella, meno praticata, di "autosponsorizzazione" (iscrizione in apposite liste all'estero per la ricerca di un posto di lavoro).
    Disponiamo finalmente delle prime statistiche ufficiali su questo nuovo meccanismo di collocamento. Al 31 dicembre 2000 risultano soggiornare per "prestazione di garanzia", prestata da parte di una persona residente in Italia, circa 12.000 immigrati; il numero è inferiore alle 15.000 persone autorizzate perché la loro statisticazione è iniziata con ritardo. La statisticazione è stata quanto mai opportuna perché, a distanza di un anno, quando andranno in scadenza i permessi inizialmente rilasciati, si potrà meglio conoscere l'esito incontrato da questa particolare formula di inserimento nel mercato occupazionale. L'équipe del "Dossier" si propone di condurre un approfondimento dei vari aspetti lavorativi in stretto collegamento e con il sostegno della Direzione generale dell'impiego del Ministero del lavoro.

    Modelli territoriali di integrazione
    Anche i nuovi dati confermano la tendenza all'insediamento territoriale, per cui le due aree del Nord svolgono una funzione di calamita per le forti potenzialità occupazionali per arrivare alla quota del 55% della presenza totale alla fine del 2000.
    Il Centro Italia conserva il 30% delle presenze ed esercita una forte attrazione culturale e di inserimento nei servizi nell'area romano-laziale, mentre la Toscana offre ulteriori spazi di inserimento in vari settori produttivi.
    Il Meridione perde, invece, alcuni punti percentuali, acquisiti in occasione dell'ultima regolarizzazione. Sono 35 (cinque in più dell'anno scorso) le province italiane con più di 10.000 immigrati adulti. La provincia di Roma resta la capitale dell'immigrazione (223.000 soggiorni registrati), ma quella di Milano è meno distante (174.000), mentre il Lazio (246.000) viene staccato sempre più dalla Lombardia (308.000).
    Sottoponendo a rivalutazione i dati registrati dal Ministero dell'Interno, arriviamo a una presenza di 925.000 immigrati nel Nord, di 513.00 nel Centro e di 248.000 nel Meridione.
    Si rinviene una dimensione radicata dell'immigrazione in tutte le aree del paese, seppure con una diversa incidenza sulla popolazione: uno ogni cento abitanti nel Meridione, tre volte di più nel Nord Ovest e quattro volte di più nel Centro e nel Nord Est.
    L'area di più forte attrazione dell'immigrazione si colloca al di sopra di Roma, in direzione Nord, e coinvolge anche alcune Regioni del Centro. Lo sbocco più intenso si concentra in un quadrilatero, costituito da un certo numero di province del Triveneto, della Lombardia, dell'Emilia Romagna, della Toscana e delle Marche, e cioè da quelle aree nelle quali la realtà produttiva e occupazionale è più forte. Le province che hanno conosciuto un aumento annuale superiore al 15% sono (in ordine di crescita): Firenze, Forlì, Prato, Ancona, Pordenone, Milano, Treviso, Vicenza, Padova, Trento, Udine, Reggio Emilia.
    Siamo in grado di anticipare i primi dati di una ricerca, che l'équipe del "Dossier" sta conducendo con il patrocinio del CNEL, sulla base di una trentina di indicatori statistici, al riguardo dei diversi modelli di insediamento degli immigrati nelle varie aree geografiche.
    Il Nord-Est è un'area che riesce ad assorbire i regolarizzati e ad aprirsi ai nuovi flussi e rivela altresì una potenzialità omogenea di accoglienza quanto all'insediamento familiare, alla stabilità di residenza e all'inserimento lavorativo, mentre la debole capacità di risparmio sembra indicare gli alti costi di tale insediamento.
    Nel Nord-Ovest, dove l'insediamento migratorio è di più vecchia data, è palese la dimensione familiare e, salvo in Liguria, è soddisfacente anche l'inserimento lavorativo.
    Nel Centro l'insediamento familiare non è così accentuato, così come non lo sono alcuni indici del processo di integrazione (casi di cittadinanza e matrimoni misti) e le possibilità del mercato occupazionale, mentre è più soddisfacente l'invio delle rimesse forse a seguito di una maggiore propensione all'imprenditorialità etnica. L'area romano-laziale è, comunque, ben diversa da quella toscana, perché quest'ultima è più assimilabile al Nord.
    Il Meridione funge da polo di attrazione per le regolarizzazioni e per gli sbarchi di emergenza e successivamente da polo di smistamento, sia perché la gente lascia queste regioni dopo aver fatto il proprio progetto migratorio, sia perché è rimpatriata una quota delle persone prima presente per motivi umanitari. Le Isole, rispetto alle altre Regioni del Sud, si trovano meglio caratterizzate quanto a stabilità di residenza e inserimento lavorativo, anche nel lavoro autonomo
    Le differenze di area trovano composizione all'interno di una comune tendenza dell'immigrazione a una maggiore stabilità e ciò sottolinea l'urgente necessità di potenziare le politiche di integrazione, così che una situazione di fatto possa diventare formalmente assunta dalla società italiana.