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Appunti n.136
(indice Appunti)

Politiche di comunità: le reti di responsabilità, attivazione e governo*
* Relazione al Seminario “Assistente Sociale, Assistente Domiciliare, Educatore Professionale”, “Bottega del Possibile” - Torre Pellice 10/11 maggio 2001.
Mauro Perino - Direttore Consorzio Intercomunale dei Servizi Alla Persona, Comuni di Collegno Grugliasco (TO)


Un approfondimento sulla riforma dell’”assistenza a partire dall’analisi dei compiti e delle responsabilità deii servizi sociali, delle amministrazioni locali e delle organizzazioni del terzo settore

Responsabilità e compiti dei servizi sociali
E' da tempo evidente che i servizi socio assistenziali (oggi "sociali") hanno pochissimi strumenti per svolgere azioni dirette ad eliminare le cause che provocano le richieste di intervento. Ne consegue che la prevenzione del bisogno non può - con riferimento alle situazioni di esclusione ed emarginazione - essere una funzione primaria del settore dei servizi di assistenza sociale, ma che su di esse possono molto più efficacemente intervenire i settori del lavoro, della formazione professionale, delle pensioni, della sanità, dei trasporti ecc.
I servizi sociali svolgono, tuttavia, l'importantissimo compito di individuare non solo gli effetti dell'esclusione ma anche le cause e possono, conseguentemente, operare in senso promozionale nei confronti degli altri settori coinvolti nelle politiche sociali (specie locali) al fine di introdurre i cambiamenti occorrenti per la riduzione o l'eliminazione dei fattori che generano difficoltà e disagio sociale. Per "rimuovere e superare le condizioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita" (art. 128 del D.Lgs. n.112/98) è assolutamente necessario che le prestazioni assistenziali (o, più modernamente, di servizio sociale) siano fornite in modo da assicurare la massima autonomia dei soggetti e, nello stesso tempo, da promuovere il corretto utilizzo delle risorse rese disponibili dal sistema delle politiche sociali nel suo complesso (casa, scuola, sanità, previdenza ecc.).
I servizi sociali di cui alla recente legge 328/2000 si configurano dunque come uno dei molteplici "servizi alla persona e alla comunità" - indicati al Titolo IV del decreto legislativo 112/1998 - chiamati ad espletare le funzioni che principalmente caratterizzano le politiche sociali attuate a livello locale ("tutela della salute", "istruzione scolastica", "formazione professionale", "beni ed attività culturali, "spettacolo" e "sport"). In merito ai "servizi alla persona e alle famiglie" la legge quadro 328/2000 mentre all'articolo 3, comma 2, afferma il carattere universalistico del sistema, all'articolo 22, comma 1, precisa che lo stesso "si realizza mediante politiche e prestazioni coordinate nei diversi settori della vita sociale".
Il contesto operativo nel quale si situano i servizi sociali è dunque quello definito dalle politiche che i comuni producono per promuovere lo sviluppo della comunità locale che istituzionalmente rappresentano. Nella definizione dell'ambito d'azione dei servizi sociali locali è dunque opportuno tener conto delle considerazioni sin qui formulate e, conseguentemente, ritengo che gli assi principali di intervento dei servizi sociali possano essere - alla luce dell'art.1, comma 1, della legge di riforma - , nell'ordine, così individuati:

Tutela del diritto all'assistenza. Assicurando "alle persone e alle famiglie" l'accesso al sistema integrato di interventi e servizi sociali nel rispetto dell'obbligo di consentire l'accesso prioritario ai soggetti rientranti nelle condizioni previste dall'art.2, c.3, della legge quadro.

Promozione ed accompagnamento. L'esercizio della funzione di tutela del diritto all'assistenza, sancito dall'art. 38 della Costituzione, comporta, in primo luogo, l'assunzione di compiti di promozione degli interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza nell'ambito della comunità locale. E' dunque necessario che si operi per la realizzazione di programmi intersettoriali ed integrati finalizzati a far sì che i servizi fondamentali della sanità, dell'istruzione, dei trasporti, della casa ecc., rivolti all'insieme della cittadinanza, siano organizzati in modo da rispondere al meglio anche alle esigenze delle fasce più deboli della popolazione - spesso escluse dai contesti di normalità - verso i quali vanno accompagnate.

Concertazione. L'attività di promozione - che con la nuova legge assume una dimensione strategica anche a causa della controversa questione dell'effettivo grado di esigibilità di livelli adeguati di prestazioni e servizi - è connessa allo sviluppo della concertazione, in ambito locale, per favorire il riordino ed il potenziamento del sistema integrato di interventi e servizi sociali. La legge di riforma individua infatti nel "Piano di zona" - di norma adottato attraverso accordo di programma tra i comuni, le ASL, le ONLUS, gli organismi locali della cooperazione, delle associazioni, degli enti di promozione sociale ecc. - lo strumento per la realizzazione di programmi coordinati e per la gestione integrata degli interventi sociali e sanitari anche con il concorso delle risorse locali di solidarietà e di auto aiuto.

Connessione. L'attività di concertazione in sede di programmazione - da sviluppare a livello orizzontale, nell'ambito della comunità locale, ma anche "verticale" nei confronti di Provincia e Regione - comporta l'adozione di una strategia delle connessioni, degli interventi realizzati dai soggetti che operano nel sistema delle politiche sociali, per favorire il continuum agio/disagio, combinando la logica di protezione con quella di promozione, ricercando un corretto equilibrio tra interventi di sostegno alle situazioni di disagio ed interventi, più complessivi, di promozione del benessere.

Infine la gestione (diretta o indiretta nelle forme previste dalla normativa) di quel complesso di attività che sino alla approvazione della legge 328/2000 definivamo (senza troppi complessi di inferiorità) socio-assistenziali. A fronte di una legge che si pone l'obiettivo generale di promuovere politiche di aiuto alla normalità della vita delle persone va infatti ribadita la specificità dei servizi di assistenza sociale che, come si è detto, occupano un campo d'azione ben definito nell'ambito del sistema locale dei "servizi alla persona e alla comunità". Occorre inoltre ricordare sempre che l'agire per il cambiamento - non solo della persona ma anche del contesto di vita e di relazione - è parte integrante e sostanziale del compito tecnico degli operatori sociali.

Responsabilità e compiti delle organizzazioni del terzo settore
La produzione legislativa degli ultimi anni ha messo in moto una serie di importanti innovazioni: la centralità del comune e della comunità locale; il cittadino al centro del sistema dei servizi; un ruolo crescente per cooperative sociali, volontariato, ONLUS, associazioni di pubblica utilità; un nuovo ruolo per le fondazioni bancarie; l'affermarsi del principio della sussidiarietà verticale dei servizi. Più in generale sono state poste le premesse per un passaggio dal welfare state al welfare community secondo il principio della stretta correlazione tra risorse e servizi.
Alla necessità di dare puntuale risposta a vecchi e nuovi bisogni si accompagna, infatti, la limitatezza delle risorse disponibili e la conseguente necessità di far sì che la comunità locale sia coinvolta appieno nel community care, che si attrezzi cioè a "prendersi cura" di se stessa. Nella fase di transizione al welfare plurale viene pertanto richiesto, a tutti i soggetti chiamati a fornire servizi alla comunità locale di operare in coerenza con il principio della stretta correlazione tra risorse e servizi. Assume dunque importanza strategica la funzione di programmazione svolta a livello locale e, in particolare, l'art.19 della nuova legge chiama in causa i comuni associati che a tutela dei diritti della popolazione, d'intesa con aziende unità sanitarie locali, provvedono, nell'ambito delle risorse disponibili, per gli interventi sociali e socio-sanitari, secondo le indicazioni del piano regionale, a definire il "piano di zona".
Il Piano - individuato come strumento strategico dei comuni associati per il governo locale dei servizi - è finalizzato a programmare la rete di interventi e servizi che devono dare risposta alle problematiche espresse dalle comunità locali. Al "piano di zona" si richiede di individuare i bisogni prioritari delle persone; le strategie di prevenzione; le risorse a disposizione; i soggetti (istituzionali e non) coinvolti; i risultati attesi; gli standard operativi e di efficacia; le responsabilità di governo e di gestione, le forme di controllo; le modalità di verifica ed i criteri di valutazione degli interventi.
Non mi dilungo oltre sul "Piano di zona" se non per rimarcare l'elemento di novità introdotto dall'articolo 19 della legge che - modificando implicitamente l'art. 34 del D.Lgs. 267/2000: "Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali" - introduce la possibilità di stipulare "accordi di programma" con i soggetti di cui all'art.1, c. 4, e all'art.10 ovvero con gli organismi non lucrativi di utilità sociale, con gli organismi della cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato, degli enti riconosciuti delle confessioni religiose (che abbiano stipulato accordi con lo Stato) ed infine con le IPAB. E' evidente l'importanza che questi soggetti vengono ad assumere nel sistema dei servizi se si considera che la legge di riforma prevede che gli Enti Locali riconoscano ed agevolino il ruolo del Terzo Settore non solo nella gestione - come già avviene - ma anche nella programmazione e nella organizzazione del sistema integrato che ha, tra gli altri scopi, la promozione della solidarietà sociale. Solidarietà (politica, economica e sociale) che l'art. 2 della Costituzione definisce come dovere inderogabile dei cittadini e delle formazioni sociali che essi esprimono. La considerazione che emerge da questa lettura della legge è che alle organizzazioni sociali e del Terzo Settore è richiesto un nuovo protagonismo, anche politico, non solo a livello nazionale e regionale ma anche nell'ambito della comunità locale. Queste formazioni sociali avranno la possibilità di denunciare i vuoti (antichi e recenti) di risposte sul piano delle politiche sociali e di contrastare le tendenze (presenti e future) a perseguire uno snaturamento e una strumentalizzazione del Terzo Settore in maniera funzionale allo smantellamento dello stato sociale e dell'universalità dei diritti sociali e di cittadinanza (vedi la modifica dell'art.117 della Costituzione introdotta dalla legge sul federalismo secondo la quale allo Stato compete la (sola) determinazione dei livelli essenziali concernenti i diritti civili e sociali).
Le organizzazioni sociali potranno favorire un nuovo protagonismo di cittadinanza ricostruendo conflitto sociale e negoziazione in forme diverse da quelle conosciute in passato, quando esistevano forti organizzatori della socialità e forti strumenti di rappresentanza sociale. Potranno, inoltre, lavorare per la costruzione di una democrazia diffusa a livello della comunità locale assumendosi delle responsabilità di rappresentanza, promuovendo tavoli per una assunzione condivisa delle decisioni, stimolando tutti i soggetti coinvolti a non considerarsi autosufficienti nella lettura del territorio e nell'individuazione degli interventi necessari .
Ma l'assunzione di questi compiti richiede una profonda svolta culturale, in qualche modo un ritorno alle origini del movimento cooperativo. Per vincere la sfida posta dal nuovo quadro normativo è necessaria, in buona sostanza, una presa di distanza dall'adozione acritica del modello aziendale (attualmente in voga) che pone al centro la committenza pubblica e l'organizzazione e non i destinatari; che cerca di standardizzare le risposte invece di personalizzarle; che tende a lavorare solo sui bisogni qualificati oggetto della tradizionali politiche di settore (educative, socio assistenziali, sanitarie) senza porre attenzione alla dimensione territoriale della vita delle persone.

Responsabilità e compiti delle Amministrazioni locali
Come insegnano le recenti esperienze dei "Patti territoriali" per lo sviluppo economico ed occupazionale locale ed i "tavoli" per la realizzazione - mediante definizione di accordi di programma - dei piani di intervento previsti dalla legge 285/1997 non è facile costruire quello strumento fondamentale di programmazione locale che Franco Vernò chiama il "Piano regolatore dei servizi".
Eppure - se si condivide il concetto che proprio nella comunità locale si esprimono, accanto ad una pluralità di bisogni, anche molteplici risorse umane, progettuali e finanziarie per la predisposizione delle risposte - appare necessaria la creazione di reti che favoriscano l'azione coordinata e regolata di una pluralità di attori, di sistemi in grado di far interagire le risorse locali e regionali di tipo economico, sociale e culturale con le opportunità offerte in sede nazionale ed europea. Fare sistema, partnership, rete negli ambiti territoriali non è però, di per sé, garanzia di sviluppo regolato e sostenibile, di coesione sociale e promozione delle opportunità. E' necessario che i comuni operino con intenzionalità politica attraverso l'adozione di una metodologia di concertazione locale che consenta di negoziare e di attivare un sistema di regole e convenienze per tutti i soggetti in gioco, puntando alla realizzazione di ogni possibile sinergia.
Il compito richiesto alle Amministrazioni è di produrre, a livello locale, legami e relazioni che promuovano processi di identificazione e contrastino la dissoluzione delle appartenenze tradizionali. Politiche di comunità, dunque, che attraverso la partecipazione favoriscano il "sentirsi parte di un insieme", di una società civile con regole comuni, da tutti rispettate e condivise, adatte a consentire una vita quotidiana più controllabile e gestibile. Nelle relazioni di comunità è infatti la fiducia l'elemento cardine per costruire reti di umanità che consentano il passaggio dalle solidarietà corte alle solidarietà lunghe. La fiducia è il bene relazionale che pone il sociale e le sue risposte alla portata delle persone e costituisce un orizzonte di senso per percorsi di vita significativi (Sergio Dugone, "Dallo stato assistenziale alla comunità solidale", Politiche sociali, n.6/99).
Al Comune in quanto governo locale spetta il compito di produrre politiche che promuovano inclusione e questo vuol dire, sul piano della programmazione territoriale, la capacità di considerare le porzioni di territorio a rischio di emarginazione e di abbandono come luoghi nei quali è possibile investire per ricomprenderli nei processi di trasformazione delle città; avendo a monte una concezione del territorio non come condizione geografica ma come ambito di vita e di relazione di individui e gruppi. Ciò richiede una progettazione partecipata che riconosca - ai soggetti ed alle organizzazioni di rappresentanza che hanno concorso alla definizione dei progetti - responsabilità diretta nella gestione degli interventi di riqualificazione, di miglioramento della "qualità del vivere quotidiano" e della sicurezza di vita in generale.
La corretta applicazione del principio di responsabilità - ribadito più volte dalla legge di riforma - comporta decentramento del potere, riconoscimento di nuove sedi di partecipazione che siano anche luogo di condivisione delle responsabilità in fase di attuazione. Ai comuni è richiesto, in sintesi, di trasformare le politiche di settore in politiche di comunità - finalizzate all'inclusione sociale - che non abbiano la presunzione di definire a priori e dall'alto tutti i possibili obiettivi ma che si sviluppino, dal basso, con una logica di tipo incrementale.

Vorrei concludere accennando al tema dei diritti. Una funzione fondamentale dello Stato sociale è, come sappiamo, di agire come regolatore nel rapporto tra diritti sociali e doveri di solidarietà. Il nuovo quadro normativo fa coincidere con l'ambito regionale e con quello locale, amministrato dai comuni, un'ampia parte della politica sociale volta alla tutela di tali diritti. Le leggi più recenti assumono infatti inequivocabilmente la scelta della sussidiarietà.
E' dunque il comune in primo luogo che ha il compito di regolamentare, nell'ambito della comunità locale, il rapporto tra diritti e doveri. Ed è sempre il comune che viene direttamente chiamato a promuovere l'adozione, da parte delle regioni, degli "strumenti e procedure di raccordo e di concertazione, anche permanenti, per dare luogo a forme di cooperazione" (previsti dall'art. 8, comma 2, della legge 328/2000) tra i soggetti istituzionali preposti alla realizzazione del sistema integrato dei servizi. Per far si che questi compiti vengano espletati è indispensabile che la comunità amministrata trovi una sua identità forte, sia coesa e solidale e tutti i suoi membri concorrano a produrre le risorse necessarie ad assicurare, a livello locale, la necessaria giustizia sociale. Lo sviluppo di un'etica della responsabilità è condizione necessaria perché i diritti siano esigibili per tutti ma ognuno fruisca di ciò che è disponibile tenendo conto dei suoi reali bisogni e delle sue personali risorse.
La legge di riforma delinea un "Welfare di comunità" plurale, con poteri e responsabilità condivise. La comunità ha, in genere, molte risorse che non vengono raccolte e valorizzate, ma a volte addirittura avvilite da interventi che tendono ad accrescere la dipendenza dai servizi. Bisogna favorirne la crescita responsabilizzando i cittadini nel processo di riconoscimento e di selezione delle proprie necessità e bisogni e nella programmazione gestione e verifica dei servizi. L'applicazione della legge di riforma richiede un sistema di governo allargato, nel quale accanto alla promozione ed alla regolazione pubblica convive la co-progettazione che coinvolge soggetti pubblici, privati e del privato sociale con un esercizio di responsabilità comuni.
La qualità dei servizi alle persone e alle famiglie non può infatti compiutamente realizzarsi se non si coniugano i saperi professionali con i saperi sociali; se non si promuove una "cittadinanza attiva e competente" anche sapendo che ciò comporta l'accettazione del rischio di una sfida alle regole consolidate della partecipazione locale e di momenti di conflitto con le Amministrazioni ed i servizi locali.
Tutto questo richiede tempo da dedicare e la capacità di Amministratori e tecnici di essere disponibili, di saper ascoltare, di non farsi prendere dall'ansia dei risultati. Le Amministrazioni devono inoltre riconoscere investimenti su tempi lunghi, legittimando il lavoro dei tecnici e professionisti dei servizi e delle organizzazioni sociali che operano nel territorio, non come sperimentale e di nicchia, ma come investimento strategico.
Come afferma Eleonora Artesio (Assessore del Comune di Torino con notevole esperienza in materia) "la letteratura sullo sviluppo di comunità ci ha ormai insegnato che se si dedica sufficiente tempo ed ascolto a capire il problema, la soluzione nasce dal rapporto che si è stabilito per capire quel problema". Le soluzioni non vengono dunque soltanto dalle capacità di chi analizza il problema ma soprattutto dal processo che si è costruito per risolverlo.


L’Atto di indirizzo sulla integrazione socio sanitaria
Fabio Ragaini - Gruppo Solidarietà


Dopo lunga attesa l’Atto è stato emanatolo scorso giugno. Riportiamo alcune considerazioni generali in merito alla applicazione. Un atto che si intreccia con l’applicazione della “riforma dell’assistenza” ma anche con le norme riguardanti il riccometro.

Nella Gazzetta ufficiale n. 129 del 6 giugno 2001 è stato pubblicato il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 febbraio 2001, "Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio sanitarie" (vedi allegato). Il decreto attuativo dell'articolo 3-septies del Decreto legislativo 229/99 (1) definisce le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale di competenza delle ASL, quelle sociali a rilevanza sanitaria di competenza dei Comuni e quelle ad elevata integrazione sanitaria a carico del fondo sanitario nazionale.
Il ritardo con cui è stato emanato (scadenza prevista, ottobre 1999) e le varie tabelle - in bozza - che via via si sono succedute, indica le difficoltà di accordo tra Ministero della solidarietà sociale e quello della sanità (ora della salute!) in merito agli oneri finanziari in carico all'uno o all'altro settore. Spetta ora alle regioni (vedi scheda), l'applicazione di gran parte delle indicazioni contenute nell'Atto di indirizzo. Regioni che dovranno tener conto dei criteri di finanziamento presenti nell'Atto sia in riferimento ai servizi già presenti che a quelli che dovranno realizzarsi in attuazione della "riforma dell'assistenza" e dei successivi atti applicativi (2).

Compiti delle regioni (DPCM 14.2.2001, Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie)

Art. 2.
Tipologia delle prestazioni
- L'assistenza socio-sanitaria viene prestata alle persone che presentano bisogni di salute che richiedono prestazioni sanitarie ed azioni di protezione sociale, anche di lungo periodo, sulla base di progetti personalizzati redatti sulla scorta di valutazioni multidimensionali. Le regioni disciplinano le modalità ed i criteri di definizione dei progetti assistenziali personalizzati.

Art. 4. Principi di programmazione e di organizzazione delle attività
- Nell'ambito della programmazione degli interventi socio-sanitari (la regione) determina gli obiettivi, le funzioni, i criteri di erogazione delle prestazioni socio-sanitarie, ivi compresi i criteri di finanziamento, tenendo conto di quanto espresso nella tabella allegata. A tal fine si avvale del concerto della Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale di cui all'art. 2, comma 2-bis, del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modifiche e integrazioni, o di altri organismi consultivi equivalenti previsti dalla legislazione regionale.
- Svolge attività di vigilanza e coordinamento sul rispetto di dette indicazioni da parte delle aziende sanitarie e dei comuni al fine di garantire uniformità di comportamenti a livello territoriale.
- Per favorire l'efficacia e l'appropriatezza delle prestazioni socio-sanitarie necessarie a soddisfare le necessità assistenziali dei soggetti destinatari, l'erogazione delle prestazioni e dei servizi è organizzata di norma attraverso la valutazione multidisciplinare del bisogno, la definizione di un piano di lavoro integrato e personalizzato e la valutazione periodica dei risultati ottenuti. La regione emana indirizzi e protocolli volti ad omogeneizzare a livello territoriale i criteri della valutazione multidisciplinare e l'articolazione del piano di lavoro personalizzato vigilando sulla loro corretta applicazione al fine di assicurare comportamenti uniformi ed omogenei a livello territoriale.
Art. 5. Criteri di finanziamento
- Nella ripartizione delle risorse del Fondo per il servizio sanitario regionale con il concorso della Conferenza di cui all'art. 3, comma 1, tengono conto delle finalità del presente provvedimento, sulla base di indicatori demografici ed epidemiologici, nonché delle differenti configurazioni territoriali e ambientali.
- definisce i criteri per la definizione della partecipazione alla spesa degli utenti in rapporto ai singoli interventi, fatto salvo quanto previsto per le prestazioni sanitarie dal decreto legislativo n. 124 del 1998 e per quelle sociali dal decreto legislativo n. 109 del 1998 e successive modifiche e integrazioni.

Saranno sempre le regioni che dovranno definire - tenendo conto delle indicazioni del DPCM - le prestazioni ed i servizi ad elevata integrazione sanitaria e quindi a totale carico del FS ("tutte le prestazioni caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria (..) Tali prestazioni sono quelle, in particolare, attribuite alla fase post-acuta caratterizzate dall'inscindibilità del concorso di più apporti professionali sanitari e sociali nell'ambito del processo personalizzato di assistenza, dalla indivisibilità dell'impatto congiunto degli interventi sanitari e sociali sui risultati dell'assistenza e dalla preminenza dei fattori produttivi sanitari impegnati nell'assistenza. Dette prestazioni a elevata integrazione sanitaria sono erogate dalle aziende sanitarie e sono a carico del fondo sanitario. Esse possono essere erogate in regime ambulatoriale domiciliare o nell'ambito di strutture residenziali e semiresidenziali e sono in particolare riferite alla copertura degli aspetti del bisogno socio-sanitario inerenti le funzioni psicofisiche e la limitazione delle attività del soggetto, nelle fasi estensive e di lungoassistenza), da quelli sanitari a rilevanza sociale (a titolarità sanitaria ma non a completo carico del FS). Il rischio è quello di tendere a ricondurre (per evidenti ragioni di contenimento dei costi) all'elevata integrazione solo gli interventi in post-acuzie e di far passare nel sanitario a rilievo sociale (se non nel sociale a rilievo sanitario), tutto ciò che viene definito "estensivo" (va comunque ricordato che il DPCM rimane pur sempre un atto amministrativo e che per quanto riguarda il diritto alle cure sanitarie - gratuito e senza limiti di durata - esso è sancito dalle leggi 692/1955, 132/1968, 386/1974, 180/78 833/1978). Quanto poi le prestazioni ed i servizi di natura "sociale" per i quali è prevista la partecipazione al costo del servizio da parte dell'utente vanno richiamate le indicazioni del D. lgs 130/2000 (3), nella parte in cui si stabilisce che per alcune categorie di persone (handicap in situazione di gravità, ultrasessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle ASL), la partecipazione alla spesa deve avere come riferimento il solo reddito del richiedente la prestazione e non su quello del nucleo familiare o dei tenuti agli alimenti (vedi in questo numero a p. 17).

Riguardo la tabella allegata al DPCM negli interventi rivolti a persone in situazione di handicap, nell'ultima stesura è stata aggiunta per quanto attiene i servizi residenziali una ulteriore differenziazione (40% a carico del SSN e 60% a carico dei Comuni, aggiunta alla precedente 70% a carico SSN e 30% a carico dei Comuni). La distinzione tra le due tipologie di servizi è abbastanza difficile da definire. In tutte e due i casi i riferimenti normativi sono gli stessi e identica è la definizione della disabilità (grave). Nel 2º caso si fa riferimento a "strutture accreditate sulla base di standard regionali" (anche riguardo ai servizi semiresidenziali), nel 1º, oltre alla gravità si aggiunge "privi di sostegno familiare nei servizi di residenzialità permanente". Sempre nella stessa parte si fa riferimento ad interventi di assistenza educativa a completo carico dei Comuni; va notato che tale intervento viene fruito, in diverse realtà, anche da disabili molto gravi che per le ragioni più diverse non frequentano Centri Diurni (in alcuni casi perché non istituiti).
Per quanto riguarda gli anziani e altre persone non autosufficienti con patologia cronico degenerativa si stabilisce che nei servizi residenziali e semiresidenziali a completo carico del Fondo sanitario ci sono "l'assistenza in fase intensiva e le prestazioni ad elevata integrazione nella fase estensiva". Si fa poi riferimento ad una spesa percentuale del 50% tra Comuni e Asl del costo "nelle forme di lungo assistenza semiresidenziali e residenziali", o in alterativa costo del personale sanitario, più 30% dei costi dell'assistenza tutelare e alberghiera. Nell'Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) l'onere dell'"assistenza tutelare" è ripartito al 50% tra Comuni e ASL. Rimandiamo comunque alla lettura della tabella allegata al DPCM anche in riferimento alle altre aree (materno infantile, dipendenza da droga, alcool e farmaci, malattia mentale, patologie da HIV, malati terminali).

Per una considerazione più generale, per quanto riguarda i servizi extraospedalieri diurni e residenziali rivolti a soggetti disabili, anziani non autosufficienti, malati mentali, occorre ricordare una situazione assolutamente diversificata nelle varie regioni. La tendenza è comunque quella di considerare a completo carico del Fondo sanitario interventi molto limitati nel tempo (post-acuzie) per passare poi verso strutture (sociosanitarie) a più bassa intensità assistenziale e con la partecipazione al costo da parte dell'utente.
In linea generale tutta la residenzialità extraospedaliera viene classificata con diverse tipologie di strutture, alcune a completo carico del FSN altre con partecipazione alla spesa (quota sociale o alberghiera). Ad esempio nelle Marche (4) ce ne sono 4 a titolarità sanitaria, RST, RSR (int-est), RSA; per 3 di queste gli oneri sono a completo carico del FS (nella RSA c'è la partecipazione alberghiera a carico dell'utente); ci sono poi i Nuclei di assistenza residenziale (NAR) all'interno delle strutture assistenziali che prevedono una quota sanitaria nel costo retta. Ma la stragrande maggioranza di anziani e adulti non autosufficienti sono all'interno di strutture assistenziali con retta a completo carico dell'utente e/o dei familiari per cifre che oscillano tra le 80.000 e 120.000 L. al giorno (se in situazione di indigenza interviene il Comune).
C'è da augurarsi, pertanto, pur senza troppe illusioni, che le regioni utilizzino l'Atto nella prospettiva di offrire maggiore tutela e non in quella del mero contenimento dei costi spostando dalla sanità all'assistenza prestazioni e servizi (dunque oneri). Uno spostamento che si traduce anche nel passaggio verso servizi con crescente abbassamento degli standard assistenziali.
E' invece fin troppo evidente in un ottica di riduzione dei costi, l'introduzione della parola "sociale", al solo fine di far gravare oneri (i famosi costi alberghieri) su altri soggetti (Comuni, famiglie, utenti). E purtroppo non sempre ciò appare ben compreso da molti degli attori del sistema dei servizi.

(1) Articolo 3-septies, D. Lgs 229/1999 "Integrazione sociosanitaria"
1. Si definiscono prestazioni sociosanitarie tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni cura e quelle di riabilitazione.
2. Le prestazioni sociosanitarie comprendono:
a) prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, cioè le attività finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite e acquisite;
b) prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, cioè tutte le attività del sistema sociale che hanno l'obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute.
3. L'atto di indirizzo e coordinamento di cui all'articolo 2, comma 1, lettera n), della legge 30 novembre 1998, n. 419, da emanarsi, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, su proposta del Ministro della sanità e del Ministro per la solidarietà sociale, individua, sulla base dei princìpi e criteri direttivi di cui al presente articolo, le prestazioni da ricondurre alle tipologie di cui al comma 2, lettere a) e b), precisando i criteri di finanziamento delle stesse per quanto compete alle unità sanitarie locali e ai comuni. Con il medesimo atto sono individuate le prestazioni sociosanitarie a elevata integrazione sanitaria di cui al comma 4 e alle quali si applica il comma 5, e definiti i livelli uniformi di assistenza per le prestazioni sociali a rilievo sanitario.
4. Le prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria sono caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria e attengono prevalentemente alle aree materno-infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da HIV e patologie in fase terminale, inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative.
5. Le prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria sono assicurate dalle aziende sanitarie e comprese nei livelli essenziali di assistenza sanitaria, secondo le modalità individuate dalla vigente normativa e dai piani nazionali e regionali, nonché dai progetti-obiettivo nazionali e regionali.
6. Le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria sono di competenza dei Comuni che provvedono al loro finanziamento negli ambiti previsti dalla legge regionale ai sensi dell'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. La regione determina, sulla base dei criteri posti dall'atto di indirizzo e coordinamento di cui al comma 3, il finanziamento per le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, sulla base di quote capitarie correlate ai livelli essenziali di assistenza.
7. Con decreto interministeriale, di concerto tra il Ministro della sanità, il Ministro per la solidarietà sociale e il Ministro per la funzione pubblica, è individuata all'interno della Carta dei servizi una sezione dedicata agli interventi e ai servizi sociosanitari.
8. Fermo restando quanto previsto dal comma 5 e dall'articolo 3 quinquies, comma 1, lettera c), le regioni disciplinano i criteri e le modalità mediante i quali comuni e aziende sanitarie garantiscono l'integrazione, su base distrettuale, delle prestazioni sociosanitarie di rispettiva competenza, individuando gli strumenti e gli atti per garantire la gestione integrata dei processi assistenziali sociosanitari.
(2) Legge 8 novembre 2000, n. 328, Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali (Sup. G.U. n. 265 del 13.11.2000); Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della solidarietà sociale, Decreto 21 maggio 2001, n. 308, Regolamento concernente "Requisiti minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale, a norma dell'articolo 11 della legge 8 novembre 2000, n. 328" (G.U., n. 174 del 28.7.2001). Per quest'ultimo atto, occorre far notare per quanto riguarda l'handicap il dimensionamento delle "strutture protette" che prevede fino a 20 posti letto, un modello che ha poco a che vedere con il tanto sbandierato riferimento familiare (120 in quelle per anziani). Strutture che paiono del tutto assimilabili alle RSA (tanto che una prima stesura dell'atto veniva specificato che le disposizioni del decreto sostituivano quelle del DPR 14.1.97 in materia di RSA). Considerato inoltre che la normativa non sembra proibire "accorpamenti" di strutture diverse è facile che si sommino ai 120, gli 80 previsti per quelle a prevalenza accoglienza alberghiera. Dunque un atto che tende a fotografare e confermare l'esistente e che non incoraggia per nulla modelli alternativi alle grandi strutture.

(3) Art. 3. Dlgs 130/2000. Modificazioni all'articolo 3 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109
2-ter. Limitatamente alle prestazioni sociali agevolate assicurate nell'ambito di percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a persone con handicap permanente grave, di cui all'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertato ai sensi dell'articolo 4 della stessa legge, nonché a soggetti ultrasessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle aziende unita' sanitarie locali, le disposizioni del presente decreto si applicano nei limiti stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri per la solidarietà sociale e della sanità. Il suddetto decreto e' adottato, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, al fine di favorire la permanenza dell'assistito presso il nucleo familiare di appartenenza e di evidenziare la situazione economica del solo assistito, anche in relazione alle modalità di contribuzione al costo della prestazione, e sulla base delle indicazioni contenute nell'atto di indirizzo e coordinamento di cui all'articolo 3-septies, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni.

(4) Cfr, Politiche sanitarie nelle Marche e tutela dei soggetti deboli, in "Appunti", n.1/2001, p. 8.