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Appunti n.145
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Medici italiani contro la guerra. Lettera aperta al Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi

Alla vigilia di una guerra considerata inevitabile, perché fortemente voluta da alcuni governi, si sono sviluppati in tutto il mondo vasti movimenti di opposizione, anche tra le organizzazioni mediche e sanitarie. Oltre 500 tra docenti e studenti della London School of Hygiene and Tropical Medicine hanno sottoscritto una lettera aperta al Primo Ministro Tony Blair, pubblicata sul British Medical Journal e sul Lancet, come contributo al dibattito tra il governo e l'opinione pubblica sulla necessità di opporsi all'azione militare sul terreno etico ed umanitario, al di là di ogni punto di vista politico o religioso. L'International Physicians for the Prevention of Nuclear War, l'Australian Medical Association for Prevention of War, il gruppo canadese Physicians for Global Survival hanno preso iniziative autonome per sensibilizzare i propri governi sulla necessità di prevenire la guerra in Irak. L'organizzazione non governativa OXFAM, l'American Academy of Arts and Science, l'UNICEF e la Yale University hanno elaborato le loro stime sul probabile impatto della guerra sulla popolazione civile.

In queste ultime settimane sono stati inoltre pubblicati due rapporti di particolare significato per chi come professione si occupa di salute. Il primo, Collateral Damage, The health and environmental costs of war on Iraq, prodotto da Medact, organizzazione non governativa di medici e operatori sanitari britannici, stima il numero totale di morti, durante il conflitto e nei tre mesi seguenti ad un attacco all'Irak, nell'ordine di grandezza compreso tra 48.000 e 260.000. Una guerra civile che si scatenasse all'interno dell'Irak aggiungerebbe altri 20.000 morti. In tutti gli scenari considerati la maggior parte delle vittime sarebbero civili. Il rapporto prevede inoltre come estremamente probabili, a seguito dell'attacco, guerre civili, carestie ed epidemie, considerevoli masse di rifugiati ed effetti catastrofici sulla salute, soprattutto dei bambini. Come effetto collaterale viene inoltre prevista la intensificazione dei conflitti internazionali, delle disuguaglianze e delle divisioni tra gruppi di persone e popoli.

Un documento delle Nazioni Unite "strettamente confidenziale" datato 10 dicembre 2002 e intitolato Likely Humanitarian Scenarios prevede un elevato numero di morti tra i civili, una crisi delle condizioni nutrizionali della popolazione e la esplosione di malattie "di proporzioni epidemiche se non addirittura pandemiche". Questo documento, fatto segretamente pervenire alla Università di Cambridge, riporta le stime OMS di 100.000 morti da effetti diretti della guerra e 400.000 da impatto indiretto, oltre 2 milioni di bambini e 1 milione di donne in gravidanza grevemente malnutriti, e 2 milioni di irakeni senzatetto. La previsione delle Nazioni Unite è che, in caso di guerra, non saranno in grado di far fronte nemmeno ai 130.000 rifugiati che attualmente già si trovano in Irak. Il rapporto sottolinea inoltre l'assoluta inadeguatezza del sistema sanitario irakeno, vittima da diversi anni all'embargo imposto dalle Nazioni Unite, a rispondere alla accresciuta domanda che una guerra imporrebbe, oltre alla assenza dei servizi di base per la popolazione locale al termine dell'intervento armato.

Nell'anno 2002 è uscito il "Rapporto Mondiale su Violenza e Salute" della OMS. Indicando esplicitamente la violenza, sia individuale che collettiva, come importante problema di salute pubblica, l'OMS ha voluto sottolineare in tutta la sua rilevanza il ruolo attivo che l'operatore sanitario deve assumere nel contrastare la guerra e nel promuovere la cultura della pace. Secondo le Nazioni Unite uno degli effetti più sconvolgenti dell'uso della forza militare in Irak e a livello internazionale potrebbe essere l'esplosione incontrollabile di violenza collettiva, definita come "l'uso strumentale della violenza da parte di stati o gruppi non governativi allo scopo di ottenere obiettivi politici, economici o sociali".
E' indubbio che la guerra sia un problema di salute pubblica. In qualità di medici abbiamo non soltanto il dovere di prenderci cura delle vittime della violenza e dei conflitti armati, ma anche di cercare di prevenirli. Come medici siamo inclini a pensare soprattutto in termini di mortalità e morbosità. Ebbene, la guerra in Irak provocherà centinaia di migliaia di morti, la maggior parte tra i civili e i bambini, la esplosione di epidemie, carestie e distruzioni ambientali (...). Non dobbiamo inoltre sottovalutare le conseguenze che potrebbero aversi tra la popolazione civile dei paesi aggressori in caso di attacchi biologici, chimici o addirittura nucleari, eventualità quest'ultima presa esplicitamente in considerazione dal presidente Bush.

Per noi medici, impegnati nella missione di alleviare le sofferenze e prevenire le malattie, queste morti e mutilazioni sono inaccettabili. Convinti che la guerra avrebbe conseguenze disastrose per la salute umana nel breve, medio e lungo termine e che esistano ancora mezzi politici e diplomatici per il disarmo di Saddam Hussein, ci opponiamo all'intervento militare in Irak. Poiché la nostra opposizione si fonda su argomenti esclusivamente etici, umanitari e professionali, facciamo appello a tutte le forze politiche e della società civile affinché venga impedito un conflitto armato che avrebbe conseguenze disastrose per la famiglia umana.

"La violenza si sviluppa in assenza di democrazia, di rispetto per i diritti umani e di buon governo", scrive Nelson Mandela nella introduzione al Rapporto OMS. Sosteniamo con forza, inoltre, la posizione della nostra più alta organizzazione professionale, l'Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo cui i conflitti possono essere prevenuti soltanto attraverso forme più eque di sviluppo e modelli internazionali e locali di governo basati su etica e responsabilità.

3 febbraio 2003


Dr. Angelo Stefanini, Dipartimento di Medicina e Sanità pubblica, Università degli Studi di Bologna, Via S. Giacomo 12, 40126 Bologna. Tel. 051.2094833, Fax. 051.2094839. E-Mail: stefanin@alma.unibo.it

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Sulla proposta di Piano sanitario della Regione Marche
Gruppo Solidarietà

Nel numero scorso abbiamo riportato due documenti del Gruppo Solidarietà in riferimento alla bozza di proposta di PSR 2003-05. A completamento dei precedenti riportiamo questa nuova nota inviata lo scorso 10 gennaio dopo la definitiva proposta poi approvata dalla giunta regionale il successivo 15 gennaio.

In data 27 novembre il Gruppo Solidarietà aveva formulato alcune osservazioni alla bozza del 18 ottobre del PSR 2003-05. La lettura era avvenuta avendo come riferimento anche altri documenti o atti in via di elaborazione, tra questi i Regolamenti riguardanti le strutture sociali e socio sanitarie previste dalla legge 20/2002. Successivamente è stato approvato dalla giunta regionale la proposta di PSR e sono giunti ad una fase molto avanzata di elaborazione i regolamenti attuativi (da approvare entro marzo 2003) che entro breve dovranno andare alla consultazione nei territori. Nel rimandare anche alla petizione sottoscritta da 15 associazioni di volontariato della Regione Marche lo scorso 12 giugno e alla nota inviata dal Gruppo Solidarietà il 16 dello stesso mese in riferimento al documento "Prospettive del Welfare marchigiano", punto di riferimento per gran parte delle indicazioni contenute nella proposta di Piano si ribadisce che "tutti gli interventi di tutela della salute anche nei casi di minima responsività non possono non afferire al settore sanitario attraverso interventi riconducibili alle prestazioni "sanitarie a rilevanza sociale" (Art. 3, comma 1, DPCM 14.2.02, Sono da considerare prestazioni sanitarie a rilevanza sociale le prestazioni assistenziali che, erogate contestualmente ad adeguati interventi sociali, sono finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite o acquisite, contribuendo, tenuto conto delle componenti ambientali, alla partecipazione alla vita sociale e alla espressione personale. Dette prestazioni, di competenza delle aziende unità sanitarie locali ed a carico delle stesse, sono inserite in progetti personalizzati di durata medio/lunga e sono erogate in regime ambulatoriale, domiciliare o nell'ambito di strutture residenziali e semiresidenziali).

No ad un volontariato subordinato alle istituzioni

Riportiamo il comunicato stampa del Gruppo Solidarietà dello scorso 26 gennaio in merito ad una delibera della regione Marche che fissa i criteri di finanziamento per progetti di associazioni di volontariato. Il testo della lettera è consultabile nel sito del Gruppo al link voce sul sociale - interventi.

Il Gruppo Solidarietà ha inviato una lettera all'assessore regionale ai servizi sociali esprimendo fortissime perplessità in merito ai contenuti di una delibera regionale che fissa i criteri di finanziamento per progetti di associazioni di volontariato. La delibera, in sostanza, subordina il finanziamento di un progetto al raccordo con la programmazione locale dei servizi "in relazione agli obiettivi, alle caratteristiche ed alle risorse disponibili, tenuto conto delle esigenze emergenti" e che riconduce la progettualità delle associazioni all'interno della programmazione degli enti locali. Ciò si aggiunge, peraltro, ad una definizione degli interventi già fortemente prefissata "attività educative extrascolastiche finalizzate a sostenere i ragazzi della fascia di età della scuola dell'obbligo per aiutarli al momento della loro crescita ..". Nella lettera si afferma "Si tratta, nei fatti, di un vero e proprio affidamento di servizi alle associazioni di volontariato - in una chiara logica di partnership - che si rendono disponibili a realizzare quanto programmato a livello locale (vedi compiti e ruolo del Comitato dei sindaci e del Coordinatore d'ambito così come indicato nella delibera). C'è da notare inoltre che al requisito indispensabile dell'iscrizione al registro regionale si aggiunge in modo, non molto chiaro per la verità, quello di "consultazione, concertazione e supporto della struttura degli ambiti territoriali". In sostanza, una associazione di volontariato per vedersi approvato un progetto dovrà e ciò appare almeno imbarazzante, rispondere o meglio essere in linea con quanto fissato dalla programmazione locale dei servizi. Se non c'è coincidenza automaticamente il progetto non può essere accolto. Si tratta di una evidente richiesta di subordinazione del volontariato alle istituzioni. Non si è in presenza di un finanziamento a sostegno della progettualità delle associazioni di volontariato; ma di finanziamenti agli ambiti territoriali per progetti e interventi realizzati o meglio affidati alle associazioni di volontariato. E' questa una prospettiva che non può non preoccupare con la proposizione di un modello di volontariato, concepito quale braccio operativo delle istituzioni e su queste appiattito". Il Gruppo Solidarietà chiede all'assessorato di riflettere attentamente sui contenuti della delibera, che disegna e propone un volontariato fortemente dipendente dalle istituzioni, la cui progettualità è subordinata ad un esame delle istituzioni locali e deve rientrare all'interno di parametri da queste fissate. Ribadisce che le organizzazioni di volontariato rifiutano un ruolo di supplenza e non possono rinunciare alla propria autonomia in cambio di sostegno economico e politico. Non si prestano ad una delega passiva che chieda di nascondere o di allontanare marginalità e devianze che esigono risposte anche politiche e non solo interventi assistenziali e di primo aiuto". Il Gruppo auspica infine che "le associazioni di volontariato sappiano cogliere la pericolosità di questa impostazione, con la riduzione delle organizzazioni a meri gestori e sappiano mantenere piena autonomia e libertà di azione e non scambiarla con il finanziamento di qualche progetto".

Nella petizione citata si esprimeva inoltre la preoccupazione in merito all'applicazione del decreto sui LEA e si affermava: "Per ampie fasce di malati cronici il trasferimento di competenze per prestazioni finora considerate sanitarie dal settore sanitario a quello dell'assistenza sociale determinerà la perdita del diritto alle cure, in quanto il soddisfacimento dei loro bisogni di salute dipenderà dalla volontà, dalle risorse e dalle capacità dell'ente locale di soddisfarlo. Inoltre il trasferimento ai comuni dei costi di compartecipazione determinerà la sottrazione agli stessi di ingenti risorse per interventi di contrasto alla povertà, all'emarginazione e al disagio sociale. Ricordiamo che le leggi vigenti (l. 692/1955, l. 138/1962, l. 833/78, l. 180/78), obbligano le ASL ad assicurare a tutti i malati, compresi i cronici, prestazioni di cura, diagnosi e riabilitazione. Facciamo inoltre presente che il decreto è un Atto amministrativo e come tale non abroga la leggi vigenti.

Chiediamo pertanto alla Regione Marche:
- di non applicare il decreto e di tutelare il diritto alla salute ed alle cure delle fascia più debole della popolazione, come sancito dalle leggi vigenti. Ricordiamo, altresì, la situazione di chiara illegittimità di gran parte delle residenze assistenziali presenti nel nostro territorio che, autorizzate per ospitare soggetti autosufficienti, si trovano ad accogliere per la stragrande maggioranza (65-70%) soggetti malati e non autosufficienti - compresi malati mentali e soggetti colpiti da sindrome di Alzheimer - con retta a totale carico dell'assistito e dei familiari. Situazione in questo caso ancora peggiore, delle indicazioni contenute nel DPCM 29.11.2001;
- di prevedere la consultazione permanente delle associazioni che operano nei servizi sociali e sanitari".

Seppur il DPCM non sia stato formalmente applicato su queste basi si sta definendo la costruzione o ridefinizione della rete dei cosiddetti servizi "socio sanitari", con una impropria attribuzione al sistema sociale (vedi il sistema delle residenze protette) di competenze che attengono alla tutela della salute e che dunque non possono che afferire alla competenza istituzionale del settore sanitario.

In merito alla proposta di PSR come approvato dalla giunta regionale, le modifiche apportate nella parte oggetto di osservazioni riguardano in particolare lo spostamento di 500 p.l. dalla funzione di residenza protetta a quella di Rsa anziani. Quindi i 3.800 posti letto complessivi non sono più di 3000 (RP) e 800 (RSA), ma di 2500 e 1300. Non mutano pertanto nella sostanza le osservazioni contenute nel precedente documento. Pur condividendo i principi ispiratori del Piano e la volontà (ma diremmo anche la necessità) di riorientare nei servizi territoriali ed extraospedalieri risorse derivanti dalla riduzione dell'offerta ospedaliera ci pare che proprio nella tutela dei soggetti fragili (punto 2.2), ci sia il maggiore scarto tra gli auspici e le previsioni. Ciò trova conferma nella valutazione di alcuni dei Regolamenti delle strutture sociali o socio sanitarie, attuativi della legge regionale 20/2002 e in particolare in quello riguardante le Residenze protette per anziani, ma anche nel mantenimento di una situazione di indefinizione riguardo il sistema residenziale per persone disabili e con patologie psichiatriche (la cui definizione viene rimandata ad un dedicato Progetto Obiettivo). Rimandiamo al nostro precedente documento, che accompagna il presente, nelle parti riguardanti la situazione dei servizi domiciliari, delle strutture extraospedaliere e della riabilitazione-lungodegenza ospedaliera. Ribadiamo soltanto che è scorretto parlare di previsione dello 0,5 per mille di posti di riabilitazione ospedaliera perché in questa percentuale sono considerati anche posti extraospedalieri di natura intensiva ed estensiva.

RSA e Residenza protetta per anziani non autosufficienti. Vogliamo soffermarci sui servizi residenziali (Rsa e Residenza protetta) per anziani non autosufficienti come indicato dal Piano e dalle bozze di Regolamento. L'aumento dei 500 posti di Rsa in luogo delle RP non cambia la sostanza della impostazione. Posto che nel caso di grave malattia e non autosufficienza di fronte al rifiuto della dimissione da parte di ricoverati in una RSA nessuno potrà mai riuscire a trasferire un malato, rimane inalterata l'impostazione di fondo. Ovvero una funzione di accoglienza di pazienti non stabilizzati con un ricovero finalizzato alla stabilizzazione delle condizioni cliniche, e con una chiara degenza a termine. Dunque i 500 posti in più non vanno a tutelare quei gravi malati non assistibili a domicilio e che richiedono un elevato livello di tutela sanitaria ma vanno ad aggiungersi ad una funzione assimilabile a quella della lungodegenza (così come di fatto funzionano oggi), con una indicazione di un tempo di ricovero per un massimo di 4 mesi.
Ma ciò che più stupisce, data la volontà di assegnare alla Rsa una degenza a termine, è la previsione dello standard assistenziale delle RP, che nelle indicazioni del Piano dovranno gestire la residenzialità permanente di tutti gli adulti e anziani non assistibili a domicilio, compresi i malati di Alzheimer (per i Nuclei Alzheimer ricompresi nei posti letto delle RSA si dovrà attendere il termine della sperimentazione di un progetto finanziato dal Ministero della sanità, peraltro non c'è specificazione degli standard delle strutture diurne cui si rimanda anche nella bozza di Regolamento del CD per anziani). Viene abbassato rispetto alle precedenti versioni di 10 minuti l'assistenza (80 contro 90 agli anziani non autosufficienti; 100 contro 110 ai soggetti con malattia di Alzheimer), ma soprattutto: non viene prevista la presenza infermieristica per 24 h; non viene definita una presenza minima del MMG (invece di alzare la previsione, di una precedente bozza, di 6 ore settimanali per un nucleo di 30), viene indicata la presenza del fisioterapista solo su richiesta specialistica e non su un definito numero di utenti. Ribadiamo inoltre l'indispensabilità che venga definitivamente indicato (azzerando le attuali contrastanti normative in vigore) lo standard assistenziale delle RSA anziani, perché non è pensabile continuare a parlare di una struttura (a meno che ciò non sia funzionale, come temiamo, ad uno strumentale utilizzo) lasciando "in sospeso" la definizione dello standard assistenziale (che peraltro aiuta nella definizione del mandato).

Quanto al sistema residenziale per le persone disabili, francamente non si riesce a capire se gli estensori della bozza del PSR sanno delle bozze di Regolamento riguardanti la residenzialità delle persone disabili e al contrario se ha un senso andare a normare una nuova struttura (Residenza protetta), quando se ne ridisegnano altre due aventi utenza del tutto assimilabile. Anche su queste strutture si rimanda al nostro precedente documento. Riteniamo quindi urgente un chiarimento in proposito; la giunta ha già approvato la proposta di Piano prevedendo le due strutture (Gravi disabilità - accoglienza e mantenimento); le bozze attuative della legge 20/2002, disegnano una nuova struttura assimilabile. Ribadiamo l'opportunità di una revisione complessiva e unitaria. Detto questo non possiamo che risostenere che "occorra sviluppare al massimo piccole comunità residenziali di dimensioni familiari a titolarità sociale (seppur con quota sanitaria nel costo retta) inserite in normali contesti abitativi, ridefinendo completamente l'attuale offerta classificata in RSA disabili, prima di avviare ogni altro modello residenziale del tutto assimilabile. Considerazioni analoghe valgono in riferimento ai servizi diurni. Anche in questo caso i Centri diurni (socio educativi riabilitativi) della legge sull'autorizzazione e quelli classificati come ex art. 26 (terapeutico riabilitativi), sono assolutamente identici quanto a tipologia di utenti e una differenziazione sarebbe del tutto artificiosa".

Riguardo le Residenze per disabili psichici la Proposta di PSR, come dicevamo, rimanda ad apposito PO. Una volta visionato e ci auguriamo aggiornato rispetto a quello datato 14 ottobre 2002, potremo inviare le nostre osservazioni.
Più in generale ci pare necessario che alcuni aspetti, non marginali, vengano definiti in concomitanza con l'emanazione del PSR e dei regolamenti attuativi della legge 20/2002.
a) Costo retta e quote a carico della sanità e dei cittadini (e dei servizi sociali). E' necessario che venga formulata una proposta riguardante la definizione del costo retta e delle conseguenti quote (rimandiamo a quanto sopra e ai documenti precedentemente inviati). Questo aspetto così importante ha necessità che venga definito presentato nelle consultazioni e deve riguardare tutte le strutture socio sanitarie. In particolare chiarezza deve esserci circa l'applicazione del DPCM 14-2-2001 e 29-11-2001.
b) Accorpamenti delle strutture. Qui una parola chiara deve essere detta. Se si vuole continuare come con le strutture extraospedaliere del PSR ad accorpamenti senza regole (ad esempio i 120 posti di Abitare il tempo di Loreto) di strutture, o si vuole cercare di andare a regolamentare un sistema che, crediamo, necessita di opportuni aggiustamenti. Sembra ad esempio del tutto inutile parlare della necessità di piccole strutture (vedi POSM) senza espressamente vietare accorpamenti. Ciò pare quanto mai opportuno nel momento in cui si approvano i Regolamenti della legge 20. I rischi sono evidenti sia in accorpamenti di strutture sia tra quelle sociali della legge 20 che a cavallo con quelle extraospedaliere sanitarie. Si pensi alla possibile somma dei p.l. delle case albergo (max 40), case di riposo (max 80-120), Case Protette (max 80-120), vicine magari a Rsa anziani, disabili, malati mentali. Stesso discorso vale per le strutture residenziali della legge 20 per persone disabili (CoSER, CP)
c) Tempi di adeguamento standard personale. Si ritiene che per le strutture previste dalla legge 20, riguardo gli standard di personale, l'adeguamento debba essere automatico con l'autorizzazione al funzionamento. Sarebbe impensabile il contrario.
d) Applicazione del decreto legislativo 130/2000 nella parte in cui si stabilisce che limitatamente alle prestazioni sociali agevolate assicurate nell'ambito di percorsi assistenziali integrati di natura socio-sanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a persone con handicap permanente grave di cui all'articolo 3 della legge 104/1992 nonché a soggetti ultrasessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle aziende sanitarie locali (..) viene evidenziata la situazione economica del solo assistito, anche in relazione alle modalità di contribuzione al costo della prestazione.

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