Sito Gruppo Solidarietà

Appunti n.156
(indice Appunti)


Diritti soggettivi e interessi legittimi nei servizi sociali
Fabrizio Gaiotti, dottore in Giurisprudenza, Torino

Vengono affrontati i temi dei livelli essenziali delle prestazioni sociali e del diritto a ricevere determinati interventi, dopo la legge di riforma dei servizi sociali e del Titolo V della Costituzione con le nuove competenze assegnate a Stato e Regioni.

Il legislatore italiano, con la riforma costituzionale del 2001, ha tentato di costruire un nuovo modello di relazioni fra lo Stato e le Regioni; un modello caratterizzato anche da un maggior coinvolgimento delle Istituzioni territoriali nelle politiche sociali e nella garanzia di tali diritti. Il riformato Titolo V presenta, all’art. 117 secondo comma lettera m), la cosiddetta “clausola sui livelli essenziali”con cui il legislatore per la prima volta introduce nella Costituzione italiana l’espressione “diritti sociali”.
Essa prevede che allo Stato spetti la competenza per la determinazione dei livelli essenziali concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Non si tratta soltanto di livelli “minimi” ma anche di “essenziali”: devono corrispondere a prestazioni adeguate per rispondere a quei bisogni.
Di conseguenza, allo Stato spetta anche la definizione delle prestazioni individuate per realizzare i “livelli essenziali”. L’uniformità delle tipologie di prestazione dovrebbe essere l’obiettivo della produzione legislativa statale.
Vi sono esigenze di prestazione che chiedono di essere garantite su tutto il territorio nazionale quali espressioni dirette dei principi costituzionali, in particolare del principio di uguaglianza. Lo scopo è quello di assicurare a tutti i soggetti in stato di bisogno, sull’intero territorio nazionale, il godimento delle prestazioni garantite come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle. In quest’ottica i “livelli essenziali” devono essere capaci di garantire un’efficace e appropriata protezione dei diritti costituzionali, tanto più alla luce del nuovo quadro di distribuzione delle competenze fra Stato e Regioni.

I “Livelli Essenziali”

La nozione di “livelli essenziali” si ritrova anche nella legge quadro sull’assistenza (l. 328/2000); mentre la tutela della salute è stata inserita fra le materie affidate alla potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni, quella dei servizi sociali non è più citata dal nuovo testo dell’art. 117 Cost.. Per questa ragione la materia dei servizi sociali non può che ricadere nella generale competenza esclusiva delle Regioni ai sensi del 4 comma.. Tuttavia, la “clausola sui livelli essenziali” affida allo Stato la determinazione di tali livelli anche in tema di servizi sociali. La materia dell’assistenza sociale si trova perciò a dover essere considerata da una prospettiva del tutto particolare, caratterizzata da un ampliamento dei poteri legislativi attribuiti alle Regioni dalla riforma costituzionale e dalla riserva allo Stato della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, cui fanno da corollario i poteri statali di riequilibrio finanziario e quelli sostitutivi delle amministrazioni autonome. La legge quadro in materia di assistenza manterrà la sua validità fino a quando le Regioni non adotteranno disposizioni in materia nell’esercizio delle proprie competenze legislative e, comunque, andranno fatti salvi alcuni principi legati ai livelli essenziali. Ad esempio, non è in discussione il Fondo nazionale previsto dalla legge 328/2000, proprio perché esso è finalizzato alla realizzazione degli interventi costituenti il livello essenziale delle prestazioni erogabili.
Al finanziamento delle politiche sociali sono chiamati: lo Stato, Le Regioni e i Comuni. Regioni e Comuni devono avere, all’interno dei loro bilanci, una voce specifica che preveda l’accantonamento di risorse per il finanziamento delle politiche sociali secondo diversi parametri quali l’effettivo numero di soggetti in stato di bisogno e i potenziali destinatari degli interventi assistenziali, corrispondenti almeno ai livelli essenziali di assistenza che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
Uno dei punti più controversi (anche alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione) della l. 328/2000 è la qualificazione della situazione giuridica dei destinatari degli interventi sociali, posto che in più punti è utilizzato il termine “diritto”.
Per le prestazioni economiche di cui all’art. 24 il destinatario vanta senza dubbio una posizione di diritto soggettivo che configura un vero e proprio obbligo per lo Stato di fornire tali prestazioni economiche, cui deve essere estranea ogni possibile variazione delle risorse disponibili per la spesa assistenziale. Il diritto soggettivo alle prestazioni assistenziali previste dall’art. 24 diviene immediatamente azionabile ed esigibile da parte del soggetto che ne è il titolare.
Invece, il secondo comma dell’articolo 2, tempera l’espressione “diritto”; esso infatti introduce il concetto di livelli essenziali affrontandolo dal lato del programmatore e statuendo che i soggetti di cui all’art. 1 comma 3 sono “tenuti a realizzare il sistema (…) che garantisce i livelli essenziali di prestazioni”. Se da un lato la legge quadro rende obbligatoria la definizione dei livelli essenziali, dall’altro l’art. 22 li mette in relazione con le risorse del fondo nazionale per le politiche sociali, tenuto conto delle risorse ordinarie già destinate dagli enti locali alla spesa sociale: vi è perciò uno stretto legame fra il concetto di livello essenziale e definizione delle risorse.
L’individuazione dei livelli essenziali nell’art. 22 della legge quadro si arresta però all’elencazione delle misure e degli interventi ritenuti imprescindibili, affidando al Piano nazionale l’indicazione delle caratteristiche e dei requisiti delle prestazioni essenziali. I livelli essenziali delle prestazioni sociali che la legge quadro indica al secondo comma dell’art.22 non sono ancora stati oggetto di una specifica norma statale successiva alla riforma costituzionale che appare più che mai necessaria vista la genericità con cui la legge quadro li definisce. Gli unici interventi successivi alla legge 328/2000 si sono registrati nel campo della definizione statale dei livelli essenziali delle prestazioni socio-sanitarie con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001 e con il Dpcm 14.02.2001.
Poiché è riservata allo Stato la competenza esclusiva nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, non si può dubitare che nelle “prestazioni” che lo Stato ha il compito di definire puntualmente come essenziali (al fine di porre in capo ai potenziali utenti posizioni giuridiche di diritto soggettivo) siano comprese sia quelle sanitarie che quelle sociali; non può che conseguirne l’omogeneità delle posizioni giuridiche dei destinatari di tali servizi. Così come le posizioni giuridiche corrispondenti ai servizi sanitari definiti come essenziali sono certamente di diritto soggettivo, non possono non esserlo anche quelle corrispondenti ai servizi sociali analogamente definiti e quindi il conseguente diritto alle prestazioni assistenziali garantito dai livelli essenziali non può che considerarsi diritto pieno ed immediatamente esigibile. Da questo punto di vista la legge 328/2000 non riesce a garantire compiutamente il nucleo essenziale del diritto all’assistenza, anzi tramuta il diritto costituzionale in una priorità di accesso ai servizi nell’ambito della programmazione.
Inoltre, la definizione statale dei livelli essenziali non è l’unica versione dell’essenzialità. Ci può essere un livello essenziale definito oggettivamente e astrattamente attraverso procedure normative, e un livello essenziale definito dal giudice in rapporto all’individualità dei bisogni e delle situazioni dei soggetti interessati. Non può dirsi, per esempio, che le situazioni di bisogno tipiche ad una data realtà locale del nord del Paese coincidano con quelle vantate dal sud, ovvero quelle di una grande città a quelle del piccolo paese. La nozione di livello o contenuto essenziale dei diritti o delle prestazioni concernenti appare difficilmente traducibile in significati univoci oggettivi e definitivi: l’essenzialità si pone come una misura dell’eguaglianza, della dignità, dei diritti della persona.

Diritti soggettivi ed interessi legittimi

Il tema dei livelli essenziali è strettamente legato a quello del contenuto essenziale dei diritti all’uguaglianza materiale. Il problema è che il contenuto essenziale dei diritti all’eguaglianza materiale e quindi anche del diritto all’assistenza non è un elemento che possa essere determinato in sé e per sé astrattamente e una volta per tutte.
I soggetti creditori di solidarietà sociale hanno la possibilità di agire in giudizio per rivendicare il loro diritto ad avere le prestazioni assistenziali ritenute essenziali. Il giudice come può ordinare che venga effettuata una prestazione ritenuta essenziale dalla legge, così può non ritenere sufficiente la definizione normativa di essenzialità data dal decisore politico in rapporto al caso specifico e concreto del soggetto interessato. Quanto al soggetto istituzionale da citare in giudizio, non sembrano esserci dubbi per quanto riguarda le prestazioni assistenziali di carattere economico stabilite dall’art. 24 della legge quadro. In questi casi è lo Stato il soggetto che deve rispondere dell’eventuale mancata erogazione di tali prestazioni economiche a favore del soggetto in stato di bisogno.
Più complesso appare stabilire la “responsabilità” per il mancato ricevimento da parte del soggetto in stato di bisogno degli interventi e dei servizi corrispondenti ai livelli essenziali delle prestazioni assistenziali di cui all’art. 22 secondo comma della legge quadro. Questo perché il diritto soggettivo ad ottenere quelle prestazioni non è riconosciuto solo nei confronti del soggetto “gestore” ma anche direttamente nei confronti dell’ente “erogatore”: cioè il Comune, fra i cui compiti espressi rientra, per l’appunto, l’erogazione dei servizi. Alla tutela di quel diritto sembrano teoricamente dover rispondere in solido tutti i livelli istituzionali (Stato, Regioni e Comuni) coinvolti nella determinazione e nel finanziamento dei livelli essenziali, anche alla luce dell’obbligo costituzionale (art. 117 secondo comma lettera m) di garantirli su tutto il territorio nazionale; mentre, sul piano pratico, occorrerà verificare di volta in volta la “responsabilità” di ciascun livello sulla base di quanto previsto dagli atti di pianificazione nazionale, regionale e zonale e sull’adeguatezza delle risorse messe effettivamente in campo per il raggiungimento degli obiettivi previsti.
Qualora poi lo Stato, in ipotesi, abbia omesso di determinare o definire con caratteristiche di crescente livello quantitativo e qualitativo i livelli essenziali concernenti il diritto sociale all’assistenza o la prestazione prevista risulti concretamente insufficiente al soggetto in condizione di bisogno per condurre una vita libera e dignitosa, il giudice ordinario potrà porre rimedio all’eventuale lacuna attraverso la condanna della P.A. al pagamento di una somma di denaro oppure, in ipotesi, ad un facere specifico.
A presidio dei diritti dei privati e dei doveri del pubblico stanno i giudici. La distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi è fondamentale per determinare gli organi giurisdizionali competenti per eventuali controversie giudiziarie. Infatti alla giurisdizione ordinaria è generalmente rimessa la tutela dei diritti soggettivi.
L’art. 442 del c.p.c. prevede la competenza del giudice del lavoro per le controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie che sono forme di tutela relative a malattie, invalidità, inabilità, vecchiaia, sospensione dal lavoro. Alla giurisdizione amministrativa (T.A.R. e Consiglio di Stato) è rimessa la tutela degli interessi legittimi.
Il cittadino, per la tutela del diritto all’assistenza, potrà rivolgersi all’apparato giurisdizionale anche mediante la procedura del provvedimento d’urgenza. Tale procedura è pacificamente azionabile nei confronti della pubblica amministrazione per la tutela dei diritti soggettivi. A tal proposito, si deve considerare positiva la recente decisione di un giudice ordinario che ha ordinato ad un Comune di versare ad un disabile la somma di denaro necessaria per assumere un assistente personale, considerando tale prestazione implicita nel contenuto minimo dei diritti fondamentali. Ci riferiamo all’ordinanza del 5 maggio 2001 del Tribunale di Firenze. Il caso in questione è quello di una signora totalmente inabile e bisognosa di assistenza personale e continuativa 24 ore su 24 che non dispone di alcun familiare che possa accudirla. La signora ha fruito dell’assistenza di un obiettore di coscienza per sei ore quotidiane, sei giorni alla settimana per un determinato periodo di tempo, oltre ad un contributo economico di 1.500.000 lire. Poiché tale sostegno da parte dell’obiettore viene meno, il Comune di Firenze decide di erogare una somma complessiva di 3.400.000 lire mensili e al tempo stesso la Direzione comunale informa la signora che il contributo economico massimo potrà essere di 3.800.000 lire mensili. A questo punto la signora lamenta che tale contributo è assolutamente inadeguato per coprire l’assistenza continuativa di 24 ore di cui necessita (quindi l’assunzione di una persona di fiducia in grado di assisterla), anche perché il suo reddito mensile è di lire 1.600.000 (che serve a coprire l’affitto dell’appartamento in cui vive e le spese per la personale sussistenza) e l’indennità di accompagnamento è pari a 817.330 lire.
Il giudice, nella valutazione della congruità della somma di denaro che possa garantire alla signora un’esistenza dignitosa, afferma che in questo caso sono in gioco diritti primari (quali quello alla salute e alla sopravvivenza); questi ultimi non tollerano limitazioni, compressioni o dilatazioni discrezionali. Il giudice (facendo riferimento al contratto collettivo nazionale delle badanti), nell’accogliere il ricorso, risultando provata l’urgenza indifferibile di provvedere alle immediate necessità vitali di minima assistenza della signora, ordina che alla stessa sia corrisposta una somma mensile pari a 5.000.000.
Quello che ci preme osservare è che in questo caso il Comune non può a priori stabilire una somma massima di spesa in base al suo bilancio da elargire alla signora senza considerare l’effettivo e concreto stato di bisogno del soggetto in questione; si tratta di garantire il contenuto minimo essenziale del diritto all’assistenza rispetto al quale le disponibilità economiche indicate dell’ente passano in secondo piano.


(indice)

Handicap: il “dopo di noi” non è un fatto privato

Fondazione Promozione Sociale, Torino
La Fondazione promozione sociale è interessata a conoscere il Vostro parere al riguardo ed è a disposizione per ogni chiarimento. Per informazioni: Maria Grazia Breda, Via Artisti 36, 10124 Torino, Tel. 011/812.44.69, Fax 011/812.25.95, e-mail: info@fondazionepromozionesociale.it

Le iniziative di promozione per ottenere finanziamenti per realizzare comunità alloggio, devono nel contempo coinvolgere con maggior fervore i Comuni e gli enti gestori dei servizi socio-assistenziali i quali hanno precisi obblighi di legge che impongono loro di assistere mediante il ricovero i minori, i soggetti con handicap e gli anziani che non sono in grado di provvedere alle loro esigenze.

Sono numerose le iniziative assunte recentemente dal privato sociale (fondazioni, banche, associazioni di persone in situazione di handicap…), volte a individuare una risposta al cosiddetto problema del “dopo di noi”.
L’esigenza riguarda principalmente le famiglie delle persone con handicap intellettivo o fisico con limitata autonomia che, pensando al momento in cui non saranno più in grado di fare fronte ai bisogni dei loro figli ormai adulti, desiderano tuttavia assicurare loro la possibilità di continuare a vivere in un contesto familiare e cioè in una casa-famiglia o in una comunità alloggio.
E’ noto, infatti, che, nei casi in cui non siano attuabili soluzioni più personalizzate (affido, case e gruppi famiglia, ecc.), solo in un piccolo ambiente, con al massimo 8-10 persone che vivono insieme in un appartamento o in una piccola villetta, situata in un normale contesto sociale, si possono stabilire relazioni personali e affettive che ripropongono un clima familiare.
Certamente il problema del “dopo di noi” preoccupa, perché ancora troppi sono i ricoveri in istituti di dimensioni notevoli e che prevedono ancora sovente la comunanza tra persone con problematiche diverse: anziani malati cronici non autosufficienti e persone con problemi psichiatrici sovente vivono a fianco di persone con handicap intellettivo. Anche se in nuclei separati, restano comunque convivenze forzate, sottoposte peraltro a regole e comportamenti tipici delle istituzioni totali che, sin dal 1970, stiamo cercando di eliminare dalle risposte assistenziali, perché veri luoghi di emarginazione sociale.
Perché il privato, benché “sociale”, non può bastare
Le numerose iniziative finora intraprese si sono mosse sul fronte della ricerca di fondi per finanziare la realizzazione di piccole comunità alloggio, in alcuni casi coinvolgendo anche grandi enti pubblici, come è stato il caso del Comune di Roma che è promotore di una fondazione per il “dopo di noi”, ma prevalentemente cercando finanziamenti da parte di fondazioni bancarie o attraverso iniziative benefiche di raccolta,
Tutto questo è senz’altro positivo perché ha richiamato l’interesse generale sul problema e, soprattutto, ha sottolineato che la risposta non può essere l’istituto, ma deve essere una piccola comunità alloggio o una casa-famiglia.
Inoltre, è senz’altro utile e opportuno incoraggiare, anche attraverso le fondazioni, le donazioni di privati finalizzate a questi scopi, piuttosto che a incrementare i patrimoni di vecchie istituzioni private che perseverano nell’emarginazione di queste persone.
Tuttavia, queste iniziative possono al massimo contribuire a incrementare la diffusione e realizzazione di comunità alloggio nel nostro paese, ma non assicurano di per sé il diritto al ricovero per tutte le persone in situazione di handicap che ne avrebbero la necessità.
Infatti, come è stato rilevato già da alcuni osservatori attenti, il problema principale consiste nel trovare i fondi necessari alla gestione delle comunità alloggio e delle case-famiglia.
Il costo annuale di una comunità alloggio per 8 persone in situazione di handicap è di circa 300-350 mila euro. Un importo insostenibile per una famiglia e che nessuna polizza assicurativa intenderà mai coprire se non a fronte del pagamento di premi esorbitanti inavvicinabili ai più.

I Comuni hanno obblighi di legge precisi
Fermo restando quindi le valide iniziative di promozione per ottenere finanziamenti per realizzare comunità alloggio, è altrettanto indispensabile tornare a coinvolgere con maggior fervore i Comuni e gli enti gestori dei servizi socio-assistenziali.
Vi sono obblighi di legge ben precisi, mai abrogati, e quindi ancora oggi agibili in caso di necessità, che impongono proprio ai Comuni il dovere di assistere mediante il ricovero i minori, i soggetti con handicap e gli anziani che non sono in grado di provvedere alle loro esigenze.
Ci riferiamo agli ancora vigenti articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931, che le Regioni, nel dare attuazione alla legge 328/2000, dovrebbero riprendere per confermare il diritto esigibile al ricovero per i soggetti incapaci di provvedere alle loro esigenze fondamentali di vita, così come è stato fatto dalla Regione Piemonte con la legge 1/2004.
Sono i Comuni che devono garantire il diritto al ricovero e sono i Comuni i soli in grado di sostenere i costi di gestione di una comunità alloggio1 .

Come garantire il diritto a vivere in piccole comunità alloggio
Le sopra citate disposizioni del regio decreto 773/1931 prevedono solamente il ricovero come diritto esigibile, ricovero che potrebbe però essere effettuato anche in un istituto.
Le iniziative di promozione sociale fin qui intraprese dovrebbero quindi procedere nella direzione di ottenere la realizzazione da parte dei Comuni e degli Enti gestori dei servizi assistenziali l’approvazione di delibere che sanciscano il diritto al ricovero in comunità alloggio alle persone in situazione di difficoltà e il dovere per l’Ente locale di provvedervi, nel rispetto delle norme vigenti.
E’ attraverso l’assunzione di impegni precisi e cioè leggi regionali e delibere comunali, che si possono anche garantire le risorse necessarie per assicurare non solo la realizzazione, ma soprattutto la gestione delle comunità alloggio e delle case-famiglia necessarie.
Questo anche al fine di tutelare tutti gli aventi diritto e non solo chi ha la possibilità di effettuare donazioni.
A questo proposito si segnala che la legge della Regione Piemonte n. 1/2004 prevede prestazioni esigibili da parte di coloro che sono in una situazione di grave disagio personale, familiare e sociale, per cui il problema del “Dopo di noi” è risolto a livello legislativo/regionale. Restano da verificare la correttezza e la tempestività dell’attuazione della suddetta legge da parte dei Comuni singoli e associati del Piemonte.


(indice)