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Claudio Imprudente
Diversabilità e pace

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"una relazione di pace parte dal condividere le cose che si hanno in comune per poi valorizzare le abilità e le potenzialità dell’altro. Questo approccio permette di arricchirsi delle diversità senza perdere la propria preziosa identità. Il concetto di diversabilità non è altro che questo e va ben oltre l’ambito, ormai per me un po’ angusto, dell’handicap"

Ieri ero in via Rizzoli, nel pieno centro di Bologna, là dove le vetrine danno il meglio di sé. Ero accompagnato da due ragazzi appena diciottenni e chiacchieravo con loro sul Servizio Civile, quando, per fare un po' il saggio di turno, ho citato le origini dell'obiezione di coscienza. Come introdurre l'argomento, se non parlando del maestro della non-violenza, Ghandi? Ho letto lo sgomento nei loro occhi: "Gandhi chi?!" mi fanno loro. Silenzio imbarazzato. "Ah, sì, quello che ha fatto la pubblicità della Telecom!". Al che mi sono alzato e me ne sono andato, sdegnato. Scherzo ovviamente, però avrei voluto andarmene sul serio. In un nanosecondo mi sono venuti in mente un turbinio di riflessioni, soprattutto collegate al tema della diversabilità. Ma che relazione c'è tra la cultura della pace vissuta da Gandhi e la diversabilità? Penso infatti che la diversabilità sia la base per una cultura di pace. "E perché?", direte voi.

Ragionando con Fabrizio, amico e collega, ci siamo resi conto che una relazione di pace parte dal condividere le cose che si hanno in comune per poi valorizzare le abilità e le potenzialità dell'altro. Questo approccio permette di arricchirsi delle diversità senza perdere la propria preziosa identità. Il concetto di diversabilità non è altro che questo e va ben oltre l'ambito, ormai per me un po' angusto, dell'handicap. Così il significato di questa parola-strumento può essere allargato a tutte le relazioni di cui l'uomo è protagonista, compresi i rapporti uomo-donna, uomo-ambiente, uomo-Dio. Tra una birra e un limoncello ci siamo convinti che, perché si concretizzi questo modo di porsi di fronte all'altro, sono necessari tre espedienti: il primo è buttarsi nella relazione, cioè prendere coraggio per essere disposti anche ad andare dove non si è mai andati, mettersi cioè in discussione.

Il secondo è toccare con mano, cioè fare esperienza diretta per conoscere sulla propria pelle la realtà in questione. Sporcarsi le mani è sempre molto faticoso, ma mettersi i guanti in lattice non permette di conoscere a fondo la realtà.

Il terzo è guardarsi negli occhi, cioè creare una relazione alla pari, entrare in empatia, condividere.
Quando nei convegni voglio spingere il mondo cosiddetto normodotato ad avere una relazione alla pari con il mondo dell'handicap mi "scappa" il concetto di abbassarsi per potersi guardare negli occhi. Se pensiamo al fatto che io sono seduto sulla carrozzina e che chi mi vuole parlare deve sedersi, quindi abbassarsi al mio livello, l'immagine calza. Ma quante volte però, gli obiettori, e non solo loro, mi hanno ringraziato perché nello stare con me hanno percepito come un alzarsi, cioè si sono sentiti crescere!
Mi piacerebbe conoscere i vostri gesti non-violenti che hanno contribuito a far crescere una cultura della pace.
E che dire, fate l'amore, non fate la guerra!