A Sara «piaceva essere utile. Il suo sogno ... era lavorare in
banca»
Ma Sara, ormai, non sogna più. Ha smesso ... come ha smesso di
soffrire, col suo terribile handicap.
Qualche volta i disabili sognano ... sognano una vita normale, che contrariamente
a quanto pensano i cosiddetti normali, non è diventare come loro,
ma è poter vivere in un mondo che non faccia pesare le loro menomazioni.
Spesso nemmeno chiedono che il mondo si faccia carico di quelle –
come pure sarebbe dovuto – ma che li lasci vivere in pace come possono.
E che non si accanisca a sottolinearne la diversità con la sua
organizzazione, scientificamente pensata sempre e solo per i più
fortunati. Sognano un mondo che non sia indifferente a chi non ce la fa.
Un mondo che non irrida alla diversità facendola diventare insopportabilmente
pesante.
E chissà quanto avrà pesato quel fardello di dolore a mamma
Silvana! La quotidiana frequentazione del dolore nascente da quella giovane
volontà costretta dentro un corpo martoriato, per lei non è
diventata abitudine. Nemmeno la più devota delle maternità
può sopportare tanto e non fa il callo a questo tipo di dolore.
E Silvana non ce l’ha fatta più: «per lei faceva tutto
- ha detto il sindaco di Monte Porzio - ma al di là dell’amore
grandissimo per la figlia, non aveva niente».
Fatti così si ripetono sempre più di frequente e ci indicano
un’emergenza: occorre che nel modo dell’efficienza e della
produttività nel quale viviamo, inseriamo una potente iniezione
di solidarietà. Ma non tanto quella in voga degli sms, facile e
disimpegnata, anche se utile. Occorre, invece farsi carico sul serio della
sofferenza di tanti che assistono disabili gravi. E’ un nuova urgentissima
frontiera della solidarietà.