GIUSEPPE DI LELLO: CUFFARO
E DINTORNI
"Il manifesto" del 20 gennaio 2008,
col titolo "Mafia e politica. Cuffaro e i padrini con contratto a
termine".
(torna all'indice informazioni)
La prima domanda di un giornalista normale sarebbe stata: "Presidente
Salvatore Cuffaro, dunque si sente turbato dalla condanna a cinque anni
di reclusione e di interdizione perpetua dai pubblici uffici per aver
favorito delinquenti mafiosi del calibro di Giuseppe Guttadauro, Salvatore
Aragona, Domenico Miceli e Vincenzo Greco, nonche' del suo coimputato
l'imprenditore Michele Aiello (prestanome di Bernardo Provenzano) - al
quale ha fatto fare
affari per miliardi a danno del sistema sanitario regionale siciliano
e che e' stato insieme a lei, presidente, appena condannato per mafia
a ben quattordici anni di reclusione?". E invece no, la prima domanda
del giornalista-devoto (ovviamente del telegiornale regionale che paghiamo
con il canone) e' stata: "Presidente, dunque, si sente sollevato?".
E certo che si sente sollevato Toto' Cuffaro visto che i giudici lo hanno
condannato per
favoreggiamento di una miriade di mafiosi, ma non dell'associazione mafiosa
nel suo complesso e cosi' con queste credenziali di rigore morale potra'
continuare ad amministrare la regione di insediamento di Cosa nostra.
Misteri del manuale di logica utilizzato dai giudici: come se Guttadauro
e Aiello, tanto per parlare dei due principali beneficiati delle "soffiate"
di Cuffaro, fossero, in rapporto a Cosa nostra, dei dipendenti con contratto
a termine o a progetto e non dei boss che gestivano (e gestiscono) gli
affari e le sorti di tutta l'organizzazione, due potenti regolatori del
sistema di
potere della mafia siciliana. Il controllo del territorio da parte di
Guttadauro e i proventi delle estorsioni beneficiano solo lui? Le immense
ricchezze accumulate da Aiello anche per conto di Provenzano vanno incamerate
solo da loro? Sarebbe fantamafia, purtroppo si e' convertita in
fantagiustizia.
Non meno inquietante di quello giornalistico e giudiziario e' il risvolto
politico-istituzionale, con un centrodestra che mostra ancora una volta
un radicato disprezzo per il rispetto delle regole della corretta e trasparente
amministrazione della cosa pubblica quando si tratta di suoi rappresentanti:
dagli affari di Berlusconi a quelli di Cuffaro, tutto e' normale e giustificabile,
niente e' illecito o, quantomeno, eticamente riprovevole: quando si additano
gli scandali invocano le prove e quando queste arrivano gridano alla persecuzione
giudiziaria.
E', comunque, sul grande problema dell'etica politica che questo paese
si e' impantanato - a destra ma anche a sinistra - e si e' allontanato
dagli altri paesi ai quali pur bisognerebbe fare riferimento date le affinita'
di gestione delle istituzioni. Certo, ci sono altre "affinita'"
per le quali la globalizzazione neoliberista ci avvicina agli altri paesi:
lo sfruttamento del lavoro e la precarizzazione, la montante xenofobia,
ma nell'etica nella gestione della cosa pubblica alcuni valori, per ora,
sono ancora tenuti fermi.
Possiamo immaginare che in Francia o in Inghilterra un amministratore
pubblico, condannato ad una si' rilevante pena per un reato infamante
come il favoreggiamento di noti boss della malavita, resti un minuto al
suo posto? Li' non si attenderebbe nemmeno l'esito del processo mentre
da noi non basta nemmeno una condanna.
Il caso Cuffaro, dal suo insorgere, avrebbe dovuto determinare la rimozione
del governatore essendo stato accertato - senza dubbio alcuno - che questi,
in un incontro segreto con Aiello, aveva concordato un prezziario truffaldino
di rimborsi sanitari con un rilevante danno per le casse regionali, rimborsi
ridotti sino al 50% dopo che la gestione dell'impero sanitario di Aiello
era passata ad un amministratore giudiziario. Cuffaro, invece, e' ancora
li', fiero della condanna e delle solidarieta' incondizionate.
In tempo di emergenza immondizia il fatto, ormai, non ci stupisce ma certo
ci indigna, anche se l'indignazione, di per se', fino ad ora non ha mai
migliorato lo stato delle cose.
|