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Umberto Santino
Cuffaro e dintorni. Ovvero: appunti per una fenomenologia dell'indecenza
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Siamo ormai in piena overdose di indecenza e temo che non sia agevole
trovare l'antidoto per uscirne. La sentenza che condanna Cuffaro a 5 anni
di carcere per favoreggiamento a singoli mafiosi (questa e' la lettura
che danno del dispositivo i procuratori Grasso e Messineo, mentre Cuffaro
e i suoi avvocati escludono qualsiasi riferimento a imputati o condannati
per mafia), ma non alla mafia nel suo complesso, e' un capolavoro di bizantinismo
e viene incontro all'attesa del presidente che aveva piu' volte manifestato
il suo pensiero: se non mi condannano per mafia resto al mio posto.
Difficile dire quanto gli abbiano giovato le preghiere dei suoi amici
o quanto sia piu' terrenamente da addebitare a una giustizia che non e'
nuova a sortite del genere. Gia' con il processo Andreotti si era messo
a punto un modello: quello del bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno, cosi'
sono contenti tutti. Contenta la Procura che otteneva l'accertamento del
delitto di associazione semplice fino al 1980, ma impunibile perche' prescritto;
contento l'imputato che da quell'anno in poi veniva riconosciuto innocente
e santificato come antimafioso.
Ora, sulla linea di quel precedente, Cuffaro viene condannato per favoreggiamento
senza l'aggravante mafiosa, in base a un'interpretazione delle norme vigenti
che sara' correttissima per gli addetti ai lavori ma e' indigeribile sul
piano logico: non si capisce come favorire dei mafiosi, che sono tali
per l'appartenenza all'organizzazione, non significhi favorire la mafia.
Si aggiunga che il reato per cui e' stato condannato e' soggetto a rapida
prescrizione, che l'esclusione perpetua dai pubblici servizi scatta solo
con sentenza definitiva, che con ogni probabilità non ci sara'
mai. E volete che Toto' non festeggiasse con vassoi di cannoli? La stampa
annuncia che due magistrati, che a quanto pare hanno idee un po' diverse,
indagano per incriminare Cuffaro per concorso esterno ma non e' detto
che ci riescano. Il precedente non puo' non pesare come non puo' non aver
pesato su quanto e' accaduto la scelta dell'allora procuratore capo di
andarci piano e puntare solo sul favoreggiamento, con il risultato di
produrre profonde spaccature nel palazzo di giustizia.
Ora, giustissimamente, l'opposizione, le associazioni, finora qualche
migliaio di persone, chiedono che Cuffaro si dimetta e dalla maggioranza
arrivano prese di distanza da Micciche' e perfino da Dell'Utri che ha
sulle spalle una condanna per concorso, ma si riuscira' a scalzare Toto'
dalla poltrona?
Mi auguro che ci si riesca, perche' la vergogna e' troppo grande, ma i
problemi che ci troviamo di fronte vanno oltre le disavventure di un singolo
personaggio. Per cominciare, una giustizia che, sulla base di una legislazione
antimafia, frettolosa, contraddittoria e lacunosa, picchia duro su capi
e gregari ma balbetta sul sistema di relazioni che fanno forte e, finora,
indistruttibile il potere mafioso. Si continua con un vero e proprio imbarbarimento
della vita politica: l'antico clientelismo ha lasciato spazio all'illegalita'
sistemica e diffusa, grembo ospitale per il proliferare delle mafie. Gli
elettori siciliani hanno votato Cuffaro pur sapendo che era indagato:
gli interessi di molti, le attese di tanti evidentemente hanno pesato
piu' delle inchieste giudiziarie o forse le inchieste sono servite ad
aureolare il volto tondeggiante di Toto'. Qualcuno parla di una "questione
meridionale" irrisolta precipitata in questione criminale, ma, per
fare qualche esempio, le montagne di rifiuti campani prima che prodotto
dei camorristi lo sono di politici sedicenti di sinistra incapaci e pasticcioni.
E le ultime vicende di Mastella rimandano alle scelte dell'attuale governo:
non ci voleva molto a capire che tutto avrebbe dovuto fare meno che il
ministro della giustizia. Se il centrodestra inclina al criminale, ma
e' riuscito finora a salvare un bel po' di penne, il centrosinistra si
e'
liquefatto, ben piu' delle previsioni di Bauman.
Per una fenomenologia dell'Italia contemporanea non guasta aggiungere
qualcosa sui rapporti con il Vaticano. Un rettore ha la felice idea di
invitare il papa all'inaugurazione dell'anno accademico, alcuni dicono:
cosa c'entra il papa e ricordano che questo papa non perde occasione per
proclamare la superiorita' della fede sulla scienza. La lettera di 67
docenti e l'annuncio di proteste di qualche centinaio di studenti vengono
bollati come intolleranza e si ha un miracoloso rovesciamento delle parti:
la chiesa e' per la liberta' di pensiero, gli scienziati che ricordano
il processo a Galilei sono dei "laicisti" come oggi si dice,
fanatici e antidemocratici. E, su invito del cardinal Ruini, in duecentomila
accorrono in piazza san Pietro per essere vicini al papa a cui si sarebbe
impedito di parlare. Tra di essi parecchi del neonato Partito democratico
che e' certamente meno laico della Dc degasperiana. Per una fenomenologia
dell'eta' contemporanea il materiale basta e avanza...
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