|
Gruppo
Solidarietà Via D'Acquisto, 7 - 60030 Moie di Maiolati Sp. AN- ITALY tel/fax 0731703327 grusol@grusol.it |
|||
Il
materiale presente nel sito può essere ripreso citando la fonte |
||||
LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA - Numero 156 del 23 marzo 2008, e-mail: nbawac@tin.it Enzo Bianchi. Per cosa combatte il Tibet (torna all'indice informazioni) "Etichettando come nemici le autorita' cinesi, potremmo pronunciare
una ipocrita condanna della loro brutalita', ma non e' cosi' che si ottengono
la pace e l'armonia". Risuonano tragicamente attuali queste parole
che il Dalai Lama va ripetendo ormai da 50 anni - una delle occasioni
piu' vicine a noi nello spazio e nel tempo e' stata la sua conferenza
a Milano nel dicembre scorso su "La pace interiore e la nonviolenza"
- ma proprio per questo il poco che ci e' dato di conoscere degli eventi
di questi giorni in Tibet riveste una drammaticita' estrema. C'e', io credo, un'affermazione forte di una vita "altrimenti", di una diversita' che non accetta di scomparire: decenni di indottrinamento ateista non hanno arrestato il crescere della popolazione nei monasteri, le uniche comunita' umane che aumentano i propri membri non per generazione fisica ma per libera adesione interiore; anni di sistematica immissione di migliaia di persone di etnia, lingua e costumi diversi non hanno intaccato l'identita' profonda di un popolo; lo sfruttamento violento e sistematico del sottosuolo e l'emarginazione della pastorizia non hanno minato il rapporto dei tibetani con la loro terra, cosi' come non lo ha attenuato l'esilio obbligato cui sono stati costretti a milioni; la chiassosa invadenza del capitalismo di Stato e il volgare fascino del "mercato" con i suoi miti non riescono a sfondare al di la' delle strade commerciali delle citta' principali. E' proprio questa vita tenacemente differente che ha sussulti periodici
di riaffermazione, sussulti che non tengono conto di strategie o tempistiche
"ragionevoli", ma che sono come l'incontenibile ricerca della
boccata di ossigeno di chi e' costretto a vivere in apnea: in simili condizioni
non si calcola se nei polmoni invece dell'aria rischia di entrare acqua,
fango o terra, non si riflette se il risultato puo' essere una repressione
ancora piu' dura; si anela unicamente all'ossigeno, a quell'aria pura
che e' il proprio patrimonio vitale. In questo senso il monachesimo e' un fenomeno emblematico: i monaci del
Tibet, come quelli birmani, come i bonzi del Vietnam, come i monaci cristiani
in Algeria o in Iraq, sono uomini impegnati in una disciplina che tende
all'umanizzazione di tutti attraverso la rinuncia al potere, al possesso,
alla violenza, e perciò sono uomini che lottano ogni giorno per
disarmare se stessi, per far tacere la propria aggressivita' e cosi' indicare
a tutti cio' che parrebbe utopico, senza luogo di realizzazione, ma che
invece e' possibile, anche se mondanamente non vincente. Estremamente significativo in questo senso l'atteggiamento che sta tenendo
il Dalai Lama in questi giorni: reiterata domanda di dialogo, riaffermazione
della volonta' di autonomia e non di indipendenza, nessun boicottaggio
delle Olimpiadi e perfino disponibilita' a dimettersi se la situazione
dovesse finire fuori controllo: la verita' della pace non puo' accettare
di farsi servire dalla violenza. Si', l'uccisione della diversita' ostinata
di una cultura di pace e' quanto anche i tibetani temono ancor piu' della
morte fisica.
|