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- Settembre 2008
EDITORIALE
di Livio Pepino
L'eclisse del diritto
(torna all'indice informazioni)
I primi cento giorni del Governo Berlusconi sono stati, per quanto riguarda
la questione dei diritti e dell’uguaglianza, devastanti. La riedizione,
ostentata e rivendicata, della pratica delle leggi ad personam (con una
sospensione dei procedimenti nei confronti delle alte cariche dello Stato
disegnata sulle esigenze contingenti del presidente del Consiglio) sta
determinando lo stravolgimento della funzione legislativa. Sull’onda
della questione sicuritaria e di altre ricorrenti emergenze (a cominciare
dell’accumulo di rifiuti nelle strade di Napoli) lo stato di eccezione
è diventato regola, provocando – insieme al bisticcio delle
parole – ferite senza precedenti all’unità dell’ordinamento
giudiziario e processuale e finanche del sistema penale. L’ossessione
dei migranti ha incentivato meccanismi premoderni di differenziazione
della cittadinanza e dato la stura a un’ondata repressiva presto
estesa – complici molti sindaci e amministratori locali –
a ogni settore di devianza e diversità. Il principio di uguaglianza
e lo Stato sociale – nuclei forti della Costituzione del 1948 –
sono stati umiliati fino alla configurazione del regime di precarietà
come regola anche per rapporti di lavoro pregressi caratterizzati da stabilità
e durata indeterminata (sic!) mentre nuove “carte di povertà”
si apprestano a sostituire servizi e interventi di sostegno fondamentali
per tutti. E, in questo quadro, si anticipa, per l’autunno, una
coerente “campagna” tesa, da un lato, a normalizzare la giurisdizione
e la magistratura rendendole compatibili con il nuovo sistema e, dall’altro,
a introdurre – mediante il cosiddetto federalismo fiscale –
ulteriori profili di disuguaglianza tra i cittadini. Sullo sfondo, poi,
è sempre in agguato il progetto di riscrivere la Costituzione.
Tale sequenza dimostra che il problema è più profondo del
– pur grave – succedersi di alcuni impropri interventi legislativi.
La realtà è che viviamo, ormai, in una stretta culturale
e ideale drammatica, che va ben oltre la già drammatica situazione
politica. In questa stretta è in gioco una questione – quella
dei diritti, della uguaglianza, delle regole della convivenza –
che è, insieme, la vera questione sociale e costituzionale. L’eclisse
del diritto e dei diritti a cui stiamo assistendo non accade per caso.
Ciò che non si governa (che si rifiuta di governare) con l’inclusione,
infatti, non può che essere gestito con il suo opposto, cioè
con l’esclusione. Non ci sono vie di mezzo. La storia e l’attualità
non lasciano dubbi. Così, sulle ceneri dello Stato sociale nasce
lo Stato penale in cui si risponde al disagio con la repressione, la esclusione,
la chiusura e in cui non c’è posto per l’uguaglianza
e i diritti di tutti.
Ma – merita sottolinearlo – lo Stato sociale non è
semplicemente una delle possibili manifestazioni della Costituzione repubblicana.
Esso ne è l’inveramento. E non è un caso che la crisi
e la delegittimazione della Carta fondamentale siano diventati, nel nostro
paese, sentire comune con l’affermarsi, sotto il profilo politico,
del blocco della destra liberista. Sorprende che la reale portata della
questione costituzionale sfugga anche a sinistra, e che si consolidino
luoghi comuni circa la necessità di una modifica della Costituzione
quantomeno nella seconda parte (come se ciò non avesse ricadute
inevitabili sulla prima...).
Esiste un’alternativa a questa spirale, che investe sia il piano
delle politiche sociali che quello dell’assetto costituzionale?
Credo di sì. Anche perché il senso di insicurezza che alimenta
tale spirale non è una variabile indipendente, ma il frutto di
politiche economiche, sociali, culturali. Il suo ruolo e la sua stessa
esistenza sono destinati a cambiare con il mutare di queste politiche.
La società inclusiva non è un (impossibile) paradiso terrestre
ma – lo abbiamo detto ormai molte volte – è cosa diversa
dalla società della paura. Sta nella capacità di investire
su questi temi lo specifico della politica come arte di organizzazione
della società e della convivenza.
Di più non so dire, e comunque non mi compete. Salvo una cosa.
Viviamo certamente in un momento di grande disorientamento politico e
culturale, nel quale la sinistra è sconfitta e priva di un progetto
e di una prospettiva capaci di aggregare e di mobilitare (se non di far
sognare...). Ma – lo dico con grande convinzione – una stella
polare esiste. È la Costituzione del 1948, tutta la Costituzione
del 1948, che conserva una modernità assoluta a fronte dei farfugliamenti
di questi tempi. Da qui occorre partire, consapevoli che toccarne una
parte significa minarne la struttura e il disegno complessivo, facendo
il gioco di chi – nemico fin dall’inizio della Carta o ad
essa estraneo – continua a coltivare il sogno di una società
fondata sulla disuguaglianza.
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