Prestazioni
socio-sanitarie e competenze istituzionali
Considerazioni sui "Livelli essenziali di assistenza -
LEA" alla luce dell'art. 54 della legge finanziaria 2003
Mauro Perino*
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L'inserimento nella legge finanziaria di un articolo specificamente dedicato
ai "livelli essenziali di assistenza" rappresenta una conferma della tesi -
sostenuta nei diversi ricorsi amministrativi presentati da soggetti erogatori
di servizi sanitari e da comuni - secondo la quale la "determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale" deve avvenire con legge dello
Stato e non con un semplice decreto amministrativo.
Se è dimostrata la prima parte della tesi - e cioè che le prestazioni concernenti
i diritti civili e sociali sono competenze legislativa (e regolamentare) esclusiva
dello Stato - dovrà trovare opportuna conferma anche la seconda argomentazione
sostenuta dal complesso dei soggetti (istituzionali e non) che si sono opposti
all'applicazione "automatica" del DPCM 29 novembre 2001. La "tutela della salute"
(oggetto dei LEA) è - in base alla riforma costituzionale - materia di legislazione
concorrente: spetta quindi alle Regioni dare attuazione al disposto statale
con proprie leggi che garantiscano non solo il rispetto dei livelli
essenziali delle prestazioni ma anche dei principi fondamentali (la cui
determinazione è riservata alla legislazione dello Stato).
A questo proposito occorre ricordare che sono tutt'ora vigenti i principi
indicati dall'articolo 1 della legge 23 dicembre 1978, n.833 che così recita
"La repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo
e interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale.
La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità
e della libertà della persona umana. Il servizio sanitario nazionale
è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle
attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero
della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione
di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l'eguaglianza
dei cittadini nei confronti del servizio. L'attuazione del servizio sanitario
nazionale compete allo Stato, alle regioni e agli enti locali territoriali,
garantendo la partecipazione dei cittadini". In buona sostanza
così come lo Stato ha dovuto fissare con legge i livelli essenziali delle
prestazioni assistenziali sui quali si fonda il sistema di tutela della salute,
anche le Regioni dovranno intervenire in materia con proprie leggi
- e non, come è avvenuto, con semplici deliberazioni - nel rispetto dei principi
fissati dalla legge 833/78 e garantendo la partecipazione dei cittadini.
Ma l'articolo 54 della finanziaria apre altre interessanti prospettive. Il comma
2 precisa infatti che "Le prestazioni riconducibili ai suddetti livelli di assistenza
e garantite dal Servizio sanitario nazionale sono quelle individuate
all'allegato 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre
2001, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n.33 dell'8
febbraio 2002, con le esclusioni e i limiti di cui agli allegati 2 e 3 del citato
decreto, con decorrenza dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto".
A parte la dubbia legittimità dell'applicazione di una efficacia retroattiva
al decreto , credo si possa ragionevolmente sostenere che, a far data dall'entrata
in vigore della legge finanziaria, grava sul Servizio sanitario nazionale l'onere
di garantire tutte le prestazioni riconducibili ai livelli di assistenza
individuate all'allegato 1 del decreto fra le quali rientrano dunque, a pieno
titolo, anche quelle elencate nell'allegato 1.C e relative all' "Area dell'integrazione
socio-sanitaria".
Se cosi' è le "prestazioni terapeutiche, di recupero e mantenimento funzionale
delle abilità per non autosufficienti" (ma anche per disabili gravi o per disabili
privi di sostegno familiare) "in regime residenziale, ivi compresi interventi
di sollievo" (così come in regime semiresidenziale) dovranno essere garantite
dalle Aziende sanitarie locali. E' pur vero che il decreto - "sanato" con la
legge finanziaria - assoggetta tali prestazioni all'iniquo balzello rappresentato
dall'attribuzione di una percentuale di costo all'utente o al comune , ma -
di contro - sarà ben difficile negare ai cittadini "l'esercizio del diritto
soggettivo a beneficiare delle suddette prestazioni" proclamato dall'articolo
4, comma 2, del DPCM 14. 02.2001. Competerà inoltre alle Aziende sanitarie,
in quanto titolari per legge delle prestazioni, provvedere all'ingrato compito
di riscuotere il contributo dall'utente o dal comune secondo criteri che le
Regioni - alle quali spetta ogni decisione in merito all'applicazione dei "ticket
sanitari" - dovranno definire con proprie leggi. Per completare il ragionamento
occorre - proprio con riferimento al DPCM 14.02.2001 (decreto Amato - Turco
- Veronesi) - esaminare "le esclusioni e i limiti di cui agli allegati 2 e 3"
alle quali fa rimando il comma 2 dell'art.54 della legge finanziaria.
All'allegato 3, lettera d) del decreto sui LEA si ricorda infatti che - per
quanto attiene all'integrazione socio sanitaria "per la quale la precisazione
delle linee prestazionali, a carico del Servizio sanitario nazionale, dovrà
tenere conto dei diversi livelli di dipendenza o non autosufficienza, anche
in relazione all'ipotesi di utilizzo di fondi integrativi" - "Il riferimento
fondamentale sul piano normativo, è costituito dall'atto di indirizzo e coordinamento
sull'integrazione socio sanitaria di cui al DPCM 14. 02.2001". Dal decreto si
riprende, infatti, l'indicazione secondo la quale "L'erogazione delle prestazioni
va modulata in riferimento ai criteri dell' appropriatezza, del diverso grado
di fragilità sociale e dell'accessibilità. Risultano inoltre determinanti: 1.
l'organizzazione della rete delle strutture di offerta; 2. le modalità di presa
in carico del problema, anche attraverso una valutazione multidimensionale;
3. una omogenea modalità di rilevazione del bisogno e classificazione del grado
di non autosufficienza o dipendenza."
Infine - con riferimento al primo punto, relativo alle "strutture di offerta"
- l'allegato ricorda "quanto già indicato dalle innovazioni introdotte dal D.Lgs.
30 dicembre 1992, n.502 e successive modifiche ed integrazioni in materia di
autorizzazione ed accreditamento delle strutture socio-sanitarie e, per
le strutture socio assistenziali, dalla legge 8 novembre 2000, n.328,
nonché, per quanto attiene l'organizzazione dei servizi a rete, dai diversi
progetti obiettivo" . In buona sostanza, dalla lettura dell'allegato, sembrerebbe
confermata la tesi - ripresa nel primo documento sull'applicazione dei LEA dell'ANCI
Piemonte - secondo la quale il D.P.C.M 14.02.2001 "Atto di indirizzo e coordinamento
in materia di prestazioni socio - sanitarie" attribuisce alle ASL il complesso
delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale anche se non connotate
da specifica ed elevata integrazione.
L'articolo 3, comma 1, del decreto afferma infatti che le prestazioni sanitarie
a rilevanza sociale, in quanto tali, sono "di competenza delle aziende unità
sanitarie locali ed a carico delle stesse, sono inserite in progetti personalizzati
di durata medio/lunga e sono erogate in regime ambulatoriale, domiciliare
o nell'ambito di strutture residenziali e semiresidenziali". Lo stesso articolo,
al comma 3, con riferimento alle prestazioni socio - sanitarie ad elevata integrazione
sanitaria precisa che "sono erogate dalle aziende sanitarie e sono a carico
del fondo sanitario. Esse possono essere erogate in regime ambulatoriale
domiciliare o nell'ambito di strutture residenziali e semiresidenziali e
sono in particolare riferite alla copertura degli aspetti del bisogno socio
- sanitario inerenti le funzioni psicofisiche e la limitazione delle attività
del soggetto, nelle fasi estensive e di lungoassistenza".
Infine, al comma 2 dell'articolo, nel ribadire che le prestazioni sociali
a rilevanza sanitaria sono "di competenza dei comuni, sono prestate
con partecipazione alla spesa, da parte dei cittadini, stabilita dai comuni
stessi" precisa che esse "si esplicano attraverso:
gli interventi di sostegno e promozione a favore dell'infanzia, dell'adolescenza
e delle responsabilità familiari;
gli interventi per contrastare la povertà nei riguardi dei cittadini impossibilitati
a produrre reddito per limitazioni personali o sociali;
gli interventi di sostegno e di aiuto domestico familiare finalizzati
a favorire l'autonomia e la permanenza nel proprio domicilio di persone non
autosufficienti;
gli interventi di ospitalità alberghiera presso strutture residenziali
e semiresidenziali di adulti e anziani con limitazione dell'autonomia, non assistibili
a domicilio;
gli interventi, anche di natura economica, atti a favorire l'inserimento sociale
di soggetti affetti da disabilità o patologia psicofisica e da dipendenza, fatto
salvo quanto previsto dalla normativa vigente in materia di diritto al lavoro
dei disabili;
ogni altro intervento qualificato quale prestazione sociale a rilevanza sanitaria
ed inserito tra i livelli essenziali di assistenza secondo la legislazione vigente.
Dette prestazioni, inserite in progetti personalizzati di durata non limitata,
sono erogate nelle fasi estensive e di lungo assistenza".
L'articolo 3 septies, comma 3, del D.Lgs 502/92 e s.m.i rinviava, tra l'altro,
al DPCM la definizione dei livelli uniformi di assistenza per le prestazioni
sociali a rilevanza sanitaria. Gli interventi che definiscono le prestazioni
sociali a rilevanza sanitaria elencati nell'atto di indirizzo del 14.02.2001
indicherebbero pertanto il livello essenziale delle prestazioni sociali a
rilevanza sanitaria assegnate alla competenza dei comuni che vengono così
chiamati:
ad erogare, nelle fasi estensive e di lungo assistenza, le prestazioni
sociali a rilevanza sanitaria definite dagli interventi elencati dall'articolo
3, comma 2, lettere a), b), c) d) ed e) del DPCM 14.02.2001;
ad erogare inoltre, in base alla successiva lettera f), ogni altro intervento
qualificato quale prestazione sociale a rilevanza sanitaria ed inserito
tra i livelli essenziali di assistenza secondo la legislazione vigente.
In definitiva il decreto conferma le competenze istituzionali indicate
dalla legge di riferimento e rinvia alle regioni la concreta organizzazione
della modalità di erogazione delle prestazioni socio - sanitarie di cui
all'articolo 3 septies del D.Lgs. 502/92 e s.m.i indicando alcuni criteri di
riferimento:
l'assistenza socio-sanitaria viene prestata sulla base di "progetti personalizzati
redatti sulla scorta di valutazioni multidimensionali";
le prestazioni sono definite tenendo conto della natura del bisogno, della complessità,
dell'intensità e della durata dell'intervento assistenziale;
l'intensità è stabilita in base a fasi temporali: la fase intensiva, quella
estensiva ed infine la fase di lungo assistenza.
Appare dunque evidente - dall'esame combinato del DPCM e dell'art.54 della legge
finanziaria - che viene integralmente ripreso il disposto dell'articolo 3 septies
del D.Lgs.502/92 e s.m.i - legge dalla quale sia l'Atto di Indirizzo del 14.02.2001
che il DPCM sui LEA traggono fondamento - che, al comma 8, recita testualmente:
"Fermo restando quanto previsto dal comma 5 (le prestazioni sociosanitarie
ad elevata integrazione sono garantite dalle ASL e comprese nei LEA) e dall'articolo
3 quinquies, comma 1, lettera c) (l'erogazione delle prestazioni sanitarie
a rilevanza sociale, connotate da specifica ed elevata integrazione, gravano
sul distretto sanitario) le regioni disciplinano i criteri e le modalità
mediante i quali comuni e aziende sanitarie garantiscono l'integrazione, su
base distrettuale, delle prestazioni socio sanitarie di rispettiva competenza,
individuando gli strumenti e gli atti per garantire la gestione integrata dei
processi assistenziali socio - sanitari". E' dunque la Regione che - con
l'autonomia legislativa ed i poteri che le derivano dalla modifica del testo
costituzionale - deve mettere in condizione i comuni e le aziende sanitarie
di garantire "l'integrazione, su base distrettuale, delle prestazioni socio
sanitarie di rispettiva competenza" avendo ben chiaro che ai comuni competono
esclusivamente le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria descritte
nel decreto del 14.02.2001 ferma restando, dunque, la titolarità del Servizio
sanitario nazionale, per quanto attiene a tutte le altre.
Occorre infatti ribadire - visto il disposto del secondo comma dell'art.54 della
legge finanziaria - che il Servizio sanitario deve comunque assicurare
"attraverso le risorse finanziarie pubbliche individuate ai sensi del comma
3 e in coerenza con i principi e gli obiettivi indicati dagli articoli
1 e 2 della legge 23 dicembre 1978, n.833, i livelli essenziali e
uniformi di assistenza definiti dal Piano sanitario nazionale nel rispetto
dei principi della dignità della persona umana, del bisogno di
salute, dell'equità nell'accesso all'assistenza, della qualità
delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze,
nonché dell'economicità nell'impiego delle risorse" .
La pianificazione finalizzata alla gestione integrata dei processi assistenziali
sociali e sanitari - che costituisce l'obiettivo centrale dei piani di zona
- implica, in sostanza, la chiara definizione delle competenze dei
soggetti istituzionali chiamati a garantire i servizi e ad erogare, tramite
questi, le diverse prestazioni; avendo ben chiaro che la discriminante fondamentale
in questa fase è rappresentata dalla tutela del diritto alle cure delle
persone malate. Si deve, in tal senso, pretendere il pieno rispetto del disposto
normativo nazionale che prevede la valorizzazione del ruolo dei comuni nella
"verifica del raggiungimento dei risultati di salute definiti
dal Programma delle attività territoriali" che viene "proposto sulla
base delle risorse assegnate e previo parere del Comitato dei sindaci di
distretto, dal direttore generale, d'intesa, limitatatamente alle
attività socio sanitarie, con il Comitato medesimo e tenuto conto delle
priorità stabilite a livello regionale" . La definizione di assetti più funzionali
alla gestione delle attività socio sanitarie - che consentano l'effettivo esercizio
di una programmazione partecipata da parte della comunità locale - non può che
avvenire attraverso la piena applicazione del disposto normativo che individua
nel distretto l'articolazione dell'azienda unità sanitaria locale più
idonea per il confronto con le autonomie locali e per la gestione dei rapporti
con la popolazione. Il distretto - quale garante della salute e responsabile
della funzione di tutela - deve dunque assicurare i servizi di assistenza primaria
relativi alle attività sanitarie e socio-sanitarie nonché il coordinamento delle
proprie attività con quella dei dipartimenti e dei servizi aziendali, inclusi
i presidi ospedalieri, inserendole organicamente nel Programma delle attività
territoriali. Al distretto devono essere effettivamente attribuite - come
prevede la legge nazionale - risorse definite in rapporto agli obiettivi
di salute della popolazione di riferimento e - nell'ambito delle risorse
assegnate - al distretto deve essere riconosciuta la necessaria autonomia
tecnico gestionale ed economico-finanziaria con obbligo di tenere
una contabilità separata all'interno del bilancio della Azienda unità
sanitaria locale.
Il quadro di garanzie offerto dalla normativa sanitaria rappresenta - nel bene
o nel male - un supporto all'attività di pianificazione territoriale. E' dunque
opportuno che la produzione dei Piani di zona di cui alla legge 328/2000
avvenga a partire dalla definizione partecipata dei Programmi delle attività
territoriali che le Aziende unità sanitarie locali sono tenute ad
elaborare per ogni ambito distrettuale determinando a priori le risorse
per l'integrazione socio-sanitaria e le quote rispettivamente a carico dell'azienda
e dei comuni, nonché la localizzazione dei presidi per i territori di competenza.
In tal modo i Comitati dei sindaci di distretto - individuati dalla normativa
sanitaria come gli organismi istituzionali dei comuni chiamati a concertare
la programmazione delle attività afferenti all'area dell'integrazione socio-sanitaria
- possono effettivamente adottare "sul piano territoriale gli assetti più
funzionali alla gestione, alla spesa ed al rapporto con i cittadini per consentirne
l'esercizio del diritto soggettivo a beneficiare delle … prestazioni"
assolvendo così ai compiti di pianificazione zonale indicati dalla L.328/2000
con l'efficacia derivante dalla possibilità di agire in forza di alcuni poteri
certi assegnati, con legge, dallo Stato.
* Relazione tenuta all'Incontro di lavoro Dai Lea ai Liveas, Milano,
19 marzo 2003.
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