L'integrazione
sociale delle persone autistiche passa anche attraverso l'inserimento al lavoro
http://www.superabile.it/cgi-bin/Superabile.dll/home.jsp
di Carlo Hanau (vicepresidente Fish e consigliere Angsa )
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L'inserimento delle persone disabili nel mondo del lavoro è uno strumento cardine
nel percorso di integrazione sociale. Un'affermazione ampiamente condivisa,
che però potrebbe sembrare pura utopia e assolutamente inapplicabile alla maggior
parte dei soggetti autistici. In effetti, le due indagini recentemente compiute
dalle regioni Veneto ed Emilia Romagna attraverso le aziende sanitarie, non
trovano alcun autistico inserito in posti di lavoro normali, fra i pochi autistici
adulti che le Aziende sanitarie ricordano di avere in carico. La differenza
fra questo risultato e quello che Eric Schopler può vantare - dopo l'applicazione
della strategia Teacch come programma di Stato del Nord Carolina, negli Usa
- è immensa: da oltre trent'anni in quello Stato il 90 per cento degli autistici
viene inserito in un ambiente lavorativo normale. I genitori degli autistici
adulti non devono tuttavia rassegnarsi all'esclusione dalla speranza di mandare
a lavorare il proprio figlio e devono chiedere come 'risarcimento' alle Aziende
sanitarie un surplus di abilitazione, uno sforzo eccezionale per cercare di
recuperare il tempo perduto.
Si ricorda che non è compito dei genitori essere aggiornati sulle metodiche
di abilitazione dei disabili e che quasi tutti gli operatori delle neuropsichiatrie
infantili del nostro Paese sono rimasti per decenni su posizioni errate (quelle
di Bettelheim, della Tustin, dei Tinbergen, della Selvini Palazzoli e simili)
chiudendo deliberatamente gli occhi sui risultati negativi ottenuti e dando
l'ostracismo assoluto a coloro che cercavano di introdurre, anche in Italia,
le metodiche cognitivistiche e comportamentali che possono garantire dei buoni
risultati, soprattutto se inserite in strategie complete e complessive di vita,
che nel nostro Paese sono ben più facili da realizzarsi che non negli Stati
Uniti e nell'Europa del Nord.
Si può ipotizzare un'azione esemplare di risarcimento danni contro le Aziende
sanitarie che ancora oggi nascondono le possibilità abilitative esistenti, ritardano
la comunicazione della diagnosi ai genitori con lo scopo confessato di preservare
il bambino piccolo da quegli interventi abilitativi che, secondo loro, guasterebbero
il profondo della personalità del bambino, già messa a dura prova dall'incapacità
o inadeguatezza dei genitori a dare amore ed accoglienza al loro figlio. Non
basta cambiare i vocaboli, sostituendo a 'colpa della madre' la parola 'inadeguatezza',
se poi tutto resta come prima. La battaglia intrapresa dall'Angsa, l'Associazione
nazionale genitori soggetti autistici, negli ultimi vent'anni non mirava soltanto
a ridare l'onore alle madri ingiustamente accusate di essere la causa più o
meno consapevole dell'handicap autistico, ma principalmente a migliorare l'integrazione
degli autistici.
È necessario che i servizi di riabilitazione delle aziende sanitarie facciano
il possibile per recuperare quanto si può del tempo perduto, nella consapevolezza
che qualcosa si può ancora ottenere anche trattando gli adulti 'maltrattati'
('malpractice' in inglese) dai loro Colleghi dei servizi di Neuropsichiatria
infantile. Non si tratta della pena del contrappasso, che oltre tutto graverebbe
ormai su altri operatori, ben diversi da quelli che hanno compiuto la malpractice,
ma di sfruttare ogni capacità residua dei disabili, per i quali si possono ottenere
anche piccoli ma buoni risultati, come dimostrano le esperienze dell'Asphi.
Mi sembra invece diabolica la perseveranza nell'errore dimostrata da alcuni
neuropsichiatri infantili, che difendono la necessità di attendere anni prima
di comunicare notizia della sindrome autistica ai genitori. Poiché secondo loro
ci sono alcuni rarissimi casi in cui un bambino di due anni può mostrare la
sintomatologia autistica che poi si risolverebbe col trattamento psicanalitico
del 'profondo' della personalità, mostrando che autismo non era, essi preferiscono
attendere.
A loro contestiamo di violare il diritto dei genitori a conoscere la diagnosi
dei figli, senza falsi pietismi, e a scegliere per loro la terapia, soprattutto
quando queste scelte devono essere effettuate in un più ampio progetto di vita,
a loro si deve ricordare che per legge costituzionale l'educazione compete ai
genitori, e non ai direttori dei servizi dell'Asl. La diagnosi della sindrome
autistica viene compiuta sulla base di sintomi e non delle cause e neppure degli
esami di laboratorio, e questi sintomi sono ben descritti nel manuale ufficiale
di classificazione delle malattie, perciò non è difficile fare diagnosi di anomalie
così evidenti. Vorremmo inoltre conoscere quali drammatiche conseguenze verrebbero
ai bambini erroneamente classificati autistici e perciò trattati con strategie
tipo Teacch, che non sono costituite dalle pacche sulla scimmia affinché esegua
correttamente i suoi compiti al circo, delle quali si è espressamente fatto
riferimento in un recente convegno a Parma, ma da un concerto di azioni ben
coordinate e dirette a ridurre il complesso problema, con il duplice risultato
del miglioramento della vita dell'autistico e la sua accettazione sociale quando
sarà diventato adulto.
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