Ecc. Rev.ma Mons. Giuseppe Agostino
Curia Arcivescovile Segreteria Arcivescovado
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Eccellenza Rev.ma Monsignor Giuseppe Agostino,
sono una donna con una grave disabilità fisica, bisognosa di assistenza per
tutti gli atti della vita quotidiana. Ho vissuto quindici interminabili anni
in un istituzione totale, il Cottolengo di Roma, ora vivo a Lamezia Terme nella
Comunità Progetto Sud, con altre persone disabili e non. Questa nuova situazione
ha cambiato completamente la mia vita.
L'istituto mi ha regalato quindici anni di morte civile, ne sono uscita spogliata
della mia identità, non mi era permesso di dire e pensare, era una vita squallida
per tutti, anche per le suore che ci assistevano, tanto da imbruttire chiunque
di noi e favorire dinamiche violente che calpestavano la nostra dignità, uno
per uno.
Ora sono diventata una persona impegnata socialmente e la mia più importante
conquista è stata quella di riconquistare il "mio" diritto di donare e donarmi.
Devo la mia liberazione ad un sacerdote, Don Franco Monterubbianesi fondatore
della Comunità di Capodarco. Non lo ringrazierò mai abbastanza perché, con un
gesto di grande accoglienza e umanità nei miei confronti mi ha permesso di lasciarmi
dietro le spalle i cancelli dell'istituto e di iniziare l'avventura nella comunità
autogestita in cui ancora oggi vivo.
Ripensare alla mia vita in istituto mi fa ancora molto male. Ho scritto un autobiografia
con l'idea di mettere a confronto qindici anni vissuti in istituto totale e
quindici in una piccola comunità. E' stato difficile scrivere perché ho dovuto
rinvangare un passato dolorosissimo, ma mi ha aiutato a rielaborare quel periodo
buio di rinchiusura in un istituto e ad apprezzare e a dare maggiore senso alla
mia vita di oggi in un piccolo gruppo dove posso fare la "mia" parte nella vita.
Ora sono una donna felice e vivo con intensità il mio impegno sociale. La disabilità
in questo contesto è diventata una situazione "gestibile", che mi appartiene;
sono diventata punto di riferimento per molte persone con disabilità e dei loro
familiari, sono presidente della FISH (Federazione Italiana Superamento Handicap)
della Calabria, federazione che unisce 36 associazioni di, con e per disabili
calabresi e membro del Consiglio Direttivo della FISH nazionale, del DPI (Disabled
People's International) Italia, una organizzazione che lotta contro la violazione
dei Diritti Umani e civili delle persone con disabilità, del Coordinamento Regionale
Alogon e del CND (Consiglio Nazionale sulla Disabilità).
Tutto il mio impegno è concentrato sull'aiutare le persone con disabilità a
trovare soluzioni che garantiscano loro una vita dignitosa: chiaramente sono
contro ogni forma di istituzione totale.
Sono convinta che anche per le situazioni più difficili sia possibile organizzare
luoghi di vita, dove le persone possono essere assistite senza diventare ospiti
a vita.
Mi sono interessata più volte del'istituto di Serra D'Aiello, alcune volte denunciando,
altre volte collaborando con l'intento di favorire un cambiamento della vita
delle persone ricoverate; in particolare, nel periodo in cui l'istituto fu commissariato,
alcune, piccole cose erano cambiate, si parlava di piccoli appartamenti, e personalmente
ho partecipato all'innauguazione di due villette che avevano permesso il trasferimento
di 30 persone: 15 in una e 15 in un'altra.
Nello stesso periodo - circa cinque anni fa - ho avuto il piacere di vivere
una vacanza con un gruppo di ricoverati dell'istiuto di Serra D'Aiello, in un
"campo vacanza-studio" organizzato dal Coordinamento Regionale Alogon a Cirò
Marina; è stata una esperienza magnifica, nessuno dei presenti immagginava che
i partecipanti provenienti dall'istituto si sarebbero integrati così bene.
Poi è cambiata la gestione dell'istituto, e si è notato un ritorno indietro.
Come "ospite indesiderata" non ho più potuto collaborare e, inserendomi nel
dibattito aperto dai tanti interventi giornalistici finalizzati a tutelare il
diritto al lavoro degli operatori, sono intervenuta più volte con la speranza
di portare l'attenzione sulla qualità della vita delle persone con disabilità
ricoverate. Impresa molto difficile la mia, poiché mentre gli operatori trovavano
la solidarietà dei sindacati, le persone ricoverate erano prive di ogni tipo
di tutela ed erano considerate come oggetti di possibilità di garantire o negare
lavoro a qualcuno. I ricoverati non erano, e non sono, trattati da persone.
Ho letto il suo accorato appello al Governo regionale sui quotidiani calabresi
ed ho ascoltato l'intervista sulla Rai 3 regionale; condivido il suo forte disappunto
per la situazione che ha trovato, andando senza preavviso nell'istituto di Serra
D'Aiello. Colgo l'occasione per dirle che le persone disabili come me con il
"passa parola" raccontano che tale situazione, purtroppo, rappresenta da decenni
la normalità di quel "ghetto".
Sono convinta che non basterà un contributo economico per migliorare la qualità
della vita delle persone con disabilità ricoverate, per questo non troveranno
adeguata risposta le sue testuali parole: "Chiedo in nome di Dio che non si
trovino soluzioni che dislochino gli ammalati in altre strutture con il rischio
di licenziamento dei dipendenti, che mi hanno mostrato comportamenti che sfiorano
l'eroismo". Certo, un primo intervento dovrà essere orientato a ripristinare
una situazione assistenziale, igienica e sanitaria dignitosa e vivibile, ma
il futuro dovrà essere ripensato, nel rispetto delle Leggi vigenti e garantendo
alle persone ricoverate un tenore di vita rispettoso dei loro Diritti Umani
e civili. Tutto questo significa progettare delle alternative significative,
riqualificare il personale ed investire le risorse economiche per un progetto
concretamente fattibile e che abbia futuro. Non si può (ri)chiedere alla Regione
Calabria di investire per mantenere la situazione attuale di mega ricovero totale.
Comunque, l'istituto Serra D'Aiello è un Centro autorizzato come altri in Calabria
e in Italia, e come tale, della situazione che Lei descrive con molta chiarezza,
la responsabilità sono da imputare a chi dirige, a chi vi opera e a chi ha la
responsabilità di controllare nel livello AS e Regione.
Reverendissima Eccellenza Monsignor Giuseppe Agostino, ci sarò anch'io alla
Via Crucis di Venerdì Santo, con rispettosa partecipazione e con la speranza
che tale preghiera rappresenti la crocifisione e il passaggio alla resurrezione:
che si possa scrivere fine alla violazione dei Diritti Umani e civili delle
persone con disabilità male assistite in un istituto affollato di assistenti.
Cordiali saluti.
Nunzia Coppedé
Lamezia Terme 3 aprile 2004
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Il Quotidiano - 2 aprile 2004
E' una bestemmia sociale
Sono passato, da solo, dall'Istituto Papa Giovanni, mercoledì 31 marzo, nel
pomeriggio, ritornando dalla Conferenza Episcopale Calabra.
Ho visto una situazione insostenibile: uomini e donne come cartocci depositati
a terra, letti senza lenzuola, servizi igienici inguardabili, nessuna sedia,
finestre sgangherate.
Ho incontrato e visto piangere lavoratori delusi perché senza stipendio da diversi
mesi e che stentano a dare da mangiare ai loro figli.
Mi sono vergognato di essere uomo, cristiano, vescovo e di essere calabrese.
È insostenibile la stasi di soluzione da parte della politica che si sta rivelando
veramente bacata.
Negli ultimi tre anni sono stati presentati alla Regione Calabria e non assunti
progetti seri e vi sono tanti ritardi inaccettabili nel pagamento delle rette
per gli ammalati.
Insisto rispettosamente che si porti a compimento, in breve termine, il progetto
attualmente in discussione.
Non si possono cercare degli utili da parte di alcuni sulle sofferenze dei crocifissi
della terra.
È una bestemmia sociale.
Mi permetto, per questo, come riparazione di invitare Lei Signor Presidente
della Regione e tutta la sua Giunta, Mons. Luberto ed i suoi collaboratori e
quanti dalla Chiesa Cosentina lo vorranno, Venerdì Santo alle ore 15:00 di convenire
all'Istituto per una Via Crucis dal vivo tra i nostri crocifissi.
Assieme a tale gesto insisto per la soluzione concertata, non oltre la fine
di aprile. Se ciò non avvenisse sono pronto ad un gesto che sento in coscienza:
trasferirò la Sede Arcivescovile al Papa Giovanni per mobilitare tutta la Chiesa
cosentina per i bisogni primari degli ammalati, onde non abbiamo a vergognarci
di essere uomini. Sono convinto che la Carità è la provocazione e l'anima della
giustizia. Nessuno deve dimenticare che la Fondazione è nata dalla carità e
noi ne siamo eredi. La Chiesa ha anche una sua responsabilità e a nome di tutti,
come Pastore, chiedo perdono. Si superino, quindi, tutti i dissapori e si sappiano
perdonare gesti che hanno creato stasi. Non si può, in una Fondazione nata dalla
Carità isolarla e fermarsi ad aspetti tecnico-amministrativi.
Chiedo in nome di Dio che non si trovino soluzioni che dislochino gli ammalati
in altre strutture con il rischio di licenziamento dei dipendenti, che mi hanno
mostrato comportamenti che sfiorano l'eroismo.
Con profonda sofferenza vi saluto aspettandovi per questo doveroso incontro
con i nostri crocifissi.
Giuseppe Agostino
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