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LE MONDE diplomatique - Giugno 2004
Serge Halimi
La logica del profitto nel settore pubblico La strada senza ritorno verso il liberismo

(indice informazioni)

«Molto rimarchevole». Romano Prodi, presidente della Commissione europea, non ha lesinato le lodi nel giudicare il progetto di «riforma» dell'assicurazione sanitaria del governo francese. È anche vero che le misure francesi assomigliano a quelle assunte (o previste) in Germania o in Italia e si inseriscono nell'ondata liberista sostenuta da Bruxelles. D'altro canto tali questioni - come quelle della «Costituzione» o quelle dei servizi pubblici - sono state escluse dalla campagna delle recenti elezioni europee. Così i liberisti possono percorrere, tappa dopo tappa il loro tragitto di privatizzazioni.

Tutti i sistemi pubblici sono destinati al fallimento. Secondo uno studio recente dell'agenzia di rating Standard & Poor's, l'indebitamento rappresenterà prima del 2050 più del 200% del prodotto interno lordo (Pil) in Germania, in Francia, in Portogallo, in Grecia, in Polonia e nella Repubblica ceca (il tetto fissato dal patto di stabilità europea è del 60%), e più del 700% in Giappone. L'agenzia spiega che le pensioni sono troppo alte, i tassi di riproduzione troppo bassi, le persone anziane troppo numerose e troppo vecchie. Il futuro non è quindi dei migliori: «Nei prossimi venticinque anni quasi tutti i paesi andranno incontro alla disintegrazione del loro sistema fiscale».(1) Nel frattempo alcuni liberali tedeschi lo dicono senza mezzi termini: «Mostrare quello che potrebbe succedere se non si cambia politica è non solo legittimo ma necessario». Secondo loro immaginare degli scenari catastrofici potrebbe costituire «il metodo giusto» per proporre delle riforme dolorose.(2) È lecito quindi immaginare che il «metodo giusto» abbia ispirato Philippe Douste-Blazy quando ha annunciato il suo piano relativo al sistema sanitario: «Con 23.000 euro di deficit al minuto, non si può andare avanti (...). Siamo al fallimento. Se non si fa nulla il sistema di previdenza sociale non esisterà più».(3) Certo, si farà qualcosa. L'Istituto Montaigne animato da Claude Bébéar, presidente del consiglio di sorveglianza di una delle principali società di assicurazione private del mondo, Axa, ha già proposto qualche soluzione. Ad esempio una «copertura medica di solidarietà» che, «per responsabilizzare i pazienti e regolarizzare se necessario le spese», escluda «determinati incidenti stradali e pratiche sportive coperti da assicurazioni individuali» e integri dei «meccanismi di franchigia annuale sulla base dei redditi familiari, con delle possibilità di aggirare queste franchigie se i protocolli di prevenzione saranno rispettati» (4). Negli Stati uniti, il paradiso della medicina che sogna Bébéar, la copertura medica continua a ridursi ed è sempre di più sulle spalle dei lavoratori, mentre gli imprenditori continuano ad affermare che la protezione medica dei loro dipendenti costa troppo cara e favorisce la decentralizzazione (5). Nel 1944 l'economista austriaco Friedrich Hayek esprimeva il timore di una spirale collettivistica, «la via della schiavitù», che avrebbe portato al sacrificio della responsabilità individuale sull'altare della sicurezza sociale. Ma se oggi esiste una spirale, è proprio quella del mercato. L'effetto domino ha invertito direzione. Quale rivoluzione tecnica ha permesso di imporre la concorrenza o la privatizzazione di imprese pubbliche spesso molto apprezzate, di far accettare la chiusura definitiva di molti uffici postali e stazioni ferroviarie, di rimettere in discussione la gratuità delle cure mediche e dell'istruzione, di trasformare la funzione pubblica in un arcipelago di operatori in concorrenza fra di loro e minacciati? Il tutto, per di più, quasi senza alcun «dibattito». È stato sufficiente creare un «corridoio di riforme» all'interno del quale una porta si chiude non appena è stata oltrepassata, per arrivare a un'altra che si apre via via che ci si avvicina. Poi, come dice la canzone, «non si ha più benzina per tornare indietro. Così bisogna andare avanti». La fatalità del «non ci sono alternative» svolge perfettamente la sua funzione; la volontà si trova ancora più sguarnita in quanto le hanno tolto le armi e si pratica senza sosta la tattica della terra bruciata. La destinazione la si scoprirà solo alla fine del viaggio. Si tratta in realtà di un progetto rivoluzionario, di un grande salto nel passato, ma il cui movimento di insieme è il risultato di una serie di tappe intermedie. Si aprono le frontiere perché non si è protezionisti, si privatizza perché si aprono le frontiere, si sacrifica l'occupazione e il servizio pubblico perché si privatizza. «Libero scambio», «taglia critica», «alleanze», «concorrenza», «creazione di valore» costituiscono altrettanti pezzi di una costruzione i cui artefici hanno immaginato in anticipo il progetto futuro. Il ruolino di marcia liberista parla solo di «pragmatismo» e di «buon senso». Per compensare i deficit di bilancio bisogna privatizzare. Per vendere le imprese pubbliche a buon prezzo, bisogna attirare gli investitori stranieri. Per attirare gli investitori stranieri bisogna ridurre gli stipendi e gli «oneri». Dopo di che nel nuovo mondo concorrenziale così creato, la copertura previdenziale dei lavoratori diventa troppo generosa. L'esplosione della disoccupazione e della precarietà - ma anche della desindacalizzazione che ne deriva - permettono di mettere a tacere le proteste («corporative») di chi dispone di un lavoro e di una buona protezione sociale. E se tacendo si dimostra il proprio «senso di responsabilità», non si può neppure accettare che i disoccupati prendano una paga quasi altrettanto elevata per non fare nulla. Si devono quindi rafforzare i controlli che li riguardano(6). Senza dimenticare di ridurre i loro sussidi, troppo legati a una cultura «assistenziale» e «dipendente». Il cordiale Ernest-Antoine Seillière, presidente della Confindustria francese (Movimento delle imprese di Francia-Medef) lo ha detto chiaramente: «Non si possono condurre le lotte di oggi pensando all'infermeria»(7). Ma i liberisti, lo abbiamo visto, non si disinteressano della sanità collettiva. In questo settore, come nel campo dell'istruzione, la «progressione logica» da un sistema pubblico e gratuito a un'industria largamente privata e finanziata da assicurazioni o da prestiti bancari comincia affermando che il sistema centralizzato non funziona, che è burocratico, fallimentare, non ugualitario. Bisogna decentralizzare la struttura - sulla base del principio di «prossimità» - abbandonare alle regioni la «responsabilità» dei loro bilanci, creare un mercato dell'istruzione o della sanità per stabilire dei prezzi che permetteranno di controllare e di orientare la gestione. In seguito si dovranno chiudere gli ospedali (scuole, uffici postali) che non sono produttivi, stringere collaborazione di «partenariato» con imprese locali, rivedere la gratuità delle cure mediche e dello studio, delegare al privato - o alla «società civile» - una parte crescente dei compiti dell'istruzione o della sanità, d'ora in poi divise in unità sempre più piccole. Si è spiegato, infatti, che è preferibile conservare solo il cuore delle attività, che non è necessario avere dei dipendenti statali che garantiscano la custodia, la pulizia, la ristorazione, che facciano fotocopie, che elaborino e controllino dei questionari, che controllino un ingombrante parco macchine, che gestiscano le spese di personale e gli alloggi militari, che formino piloti di elicottero. Alla fine di queste valutazioni ricorrenti e delle successive deleghe - e difficoltà di tesoreria - ci si è sbarazzati di attività un tempo organizzate dallo stato. «Qualunque missione che può essere esercitata dal settore privato dovrà essere privatizzata», annuncia Jean-Pierre Raffarin, mentre il suo sottosegretario per la riforma dello stato precisa: «La nostra strategia è ricentrare lo stato sulle sue missioni essenziali e cedere al privati tutte le altre, in particolare quelle logistiche» (8). In Iraq l'esercito americano ha subappaltato compiti legati alla condotta della guerra e alla raccolta (forse un po' troppo energica) di «informazioni». Il ministero della Difesa francese prevede di «appaltare all'esterno gli alloggi della gendarmeria», così da ottenere 500 milioni di euro. Quando era ministro delle Finanze, Francis Mer ha fatto appello a consulenti privati (Mercer Delta, Cap Gemini, ecc.) per studiare la maniera migliore per sopprimere 30.000 posti di dipendenti pubblici. Ma chi è riuscito a sfuggire a questo taglio non si può certo considerare al sicuro: non appena possibile, si rimetterà in discussione il suo statuto e la sicurezza del posto, sostituito da contratti a tempo determinato, di diritto pubblico e successivamente di diritto privato. Christian Blanc, deputato Udf, si è già detto favorevole alla soppressione in Francia dello statuto della funzione pubblica ereditato dalla liberazione. «L'opportunità di ridurre gli effettivi è di portata storica e sarebbe un peccato lasciarsela sfuggire», scrive L'Expansion. «La direttiva trasmessa da Jean-Pierre Raffarin a tutti i ministri è rigorosa: si deve creare un nuovo posto di lavoro per ogni due persone andate in pensione. Un obiettivo ambizioso che, se seguito, permetterebbe teoricamente in otto anni di ridurre di 300.000 posti il numero di dipendenti pubblici e di risparmiare nel 2012, secondo il senatore Ump Philippe Marini, 12 miliardi di euro» (9). In questo caso però non si dice mai che il dipendente statale potrebbe rappresentare per il contribuente non un semplice onere, bensì un'infermiera che lo cura, un pompiere che lo soccorre, un insegnante che educa i suoi figli, un ispettore del lavoro che lo protegge dall'arbitrio dell'imprenditore. Si tratta di un costo, tutto qui. In Svizzera, «per essere più competitivi e per cambiare cultura», l'ufficio federale del personale si è, secondo i suoi stessi termini, «appropriato degli strumenti del privato»: così la garanzia del posto di lavoro per i dipendenti pubblici è stata abolita nel novembre 2000. Il numero di funzionari statali neozelandesi è passato da 71.000 nel 1988 a 32.900 nel 1996. Lavorano di più con meno risorse; i loro compiti sono aumentati e la sicurezza del lavoro soppressa. Una volta ridotto e modificato, lo stato diventa meno suscettibile di contenere l'espansione della legge del libero mercato. La pubblica amministrazione continua a frammentarsi, la sua specificità viene meno. La precarizzazione del lavoro pubblico può addirittura fornire delle idee al mondo imprenditoriale. Quando Seillière si stupisce dei malumori che suscita un «contratto di missione di lungo periodo», spiega: «Perché il privato non avrebbe diritto a utilizzare quello che la funzione pubblica adotta quotidianamente? Nell'esercito vi sono contratti di quattro o sei anni; i contratti per i giovani durano cinque anni; nel cuore dello stato alcuni funzionari sono assunti per contratti a durata determinata. Quando si tratta invece del privato, vengono ripresi concetti conservatori e immobilistici» (10). Ma venti anni fa la destra francese e i proprietari terrieri erano piuttosto critici di fronte al ruolo di «vetrina sociale» svolto dal settore pubblico, all'epoca meno favorevole ai lavoratori precari e alla riduzione degli oneri sociali. «La sua impunità finanziaria - spiegava l'ex amministratore della Elf Albin Chalandon - crea un'impressione di sicurezza di cui il personale approfitta per lavorare di meno, per proliferare [sic] e per ottenere attraverso l'intervento di sindacati forti dei vantaggi che diventano dei privilegi» (11). Per i liberisti, la privatizzazione, in blocco o in fasi successive, presenta anche il vantaggio di ridurre le capacità di resistenza dei sindacati, cosa che permetterà di preparare il terreno alle «riforme» che seguiranno. In Francia la percentuale di imprese pubbliche nel lavoro dipendente si è già dimezzata fra il 1985 e il 2000 e raggiunge attualmente solo il 5,3% del totale (12). E anche qui gli obiettivi perseguiti sono sempre gli stessi. Di fatto la rivendicazione sociale è stata spesso appannaggio delle imprese pubbliche, più sindacalizzate delle altre, che con i loro grandi scioperi hanno fatto la storia del paese (Charbonnages nel 1963, Régie Renault nel 1968, Sncf e Ratp nel 1995). Così lo scorso autunno, quando l'Assemblea nazionale ha accettato che la maggioranza del capitale di France Télécom passasse sotto il controllo privato, il deputato Udf Jean Dionis du Séjour, membro della commissione superiore del servizio pubblico delle poste e telecomunicazioni precisava: «Il testo prevede la normalizzazione delle istanze rappresentative del personale. In altre parole, i sindacati che partecipavano al consiglio di amministrazione di France Télécom non ne faranno più parte» (13).
Restrizione del potere sindacale. Quasi metà dei 110.000 dipendenti dell'Edf (compagnia nazionale francese di energia elettrica) sono sindacalizzati; negli Stati uniti il 12,9% dei dipendenti sono organizzati nell'Afl-Cio, una percentuale che scende all'8,2% nel settore privato. Nello sviluppo del progetto liberista cause e conseguenze sono spesso legate: la debolezza delle organizzazioni operaie favorisce l'imposizione della flessibilità dell'occupazione, che a sua volta rende più difficile il reclutamento sindacale. Anche lo scoraggiamento e la sconfitta non sono lasciati al caso. «Se vogliamo mantenere la speranza di un ritorno a un'economia di libertà, una delle questioni principali è rappresentata della restrizione del potere sindacale» (14), avvertiva Hayek. Una società privata si incarica della pulizia, un'altra dell'informatica, una terza della comunicazione aziendale. Moltiplicando gli imprenditori e i regimi di assunzione, si colpisce la solidarietà tra i lavoratori e i mestieri. Si va avanti generalizzando il sistema degli incentivi meritocratici, cioè individualizzando le retribuzioni. Quello che diventa privato lo rimarrà, quello che rimane pubblico ha tendenza a essere privatizzato in seguito, nella prossima campagna politico-mediatica legata al «buco della previdenza sociale» o al «fallimento» di un'impresa nazionale. Progressivamente la logica del profitto si diffonde nel settore pubblico, la cui missione principale era quella di soddisfare bisogni collettivi (15). Valutazione, ristrutturazione, delega di funzioni: le compagnie subappaltatrici alle quali si ricorre sono più concorrenziali in quanto il loro personale non beneficia dello status «privilegiato» di dipendente pubblico e non sono infastidite dai sindacati. Alla fine del percorso, quando le imprese e i servizi pubblici hanno perso le loro specificità (funzione, personale) e si impone loro di essere innanzi tutto produttivi, la strada della loro liquidazione è ormai aperta. E il giorno in cui un nome societario troppo francese - Air France, Edf, France Télécom - dovesse indisporre gli investitori stranieri, nulla impedirà di cambiarlo, un po' come si cancella dietro di sé le tracce di una giovinezza dissoluta. Ancora ieri la posta, l'elettricità, l'istruzione, la sanità non erano unità di produzione che cercavano di realizzare dei profitti maggiori dei loro concorrenti. Non avevano concorrenti. Amministrazioni statali o servizi pubblici, la loro missione consisteva nel portare la posta, l'elettricità, nel garantire l'istruzione, la salute della popolazione. Senza emarginare i più isolati, i meno produttivi. Non si dava troppo peso a questi elementi. Il mercato occupava uno spazio ben definito all'interno di un'economia mista. Si sapeva che non era buono per tutte le situazioni. Non si può chiedere al mercato di preoccuparsi dell'uguaglianza di accesso all'educazione e alla sanità. Né della programmazione urbanistica del territorio. Né di investire in attività vitali le cui aspettative di profitto superano l'orizzonte temporale dei mercati finanziari. Né di valutare il costo per la collettività di decisioni individuali redditizie solo per le imprese che le prendono. Così, ad esempio, quando si integra nel costo del trasporto su camion il rischio di incidenti stradali e la certezza dell'inquinamento, il trasporto stradale smette di costare meno caro del trasporto ferroviario e il deficit di quest'ultimo settore (429 milioni di euro secondo la Sncf) appare meno grave. Se c'è «concorrenza» fra trasporto su ferro e su gomma, la società ha interesse a sovvenzionare il trasporto su treno e ad attribuire ai camion, macchine che producono gas a effetto serra, la responsabilità di una parte degli effetti delle ondate di caldo eccezionali, vittime comprese (16).
La «società». Una parola che dava fastidio a Margaret Thatcher. I liberisti preferiscono pensare solo agli individui. La loro visione della proprietà pubblica ne è la diretta conseguenza. «Quando tutti possiedono qualcosa, nessuno la possiede del tutto e nessuno ha interesse a mantenerla in buone condizioni o a migliorarla - spiegava Milton Friedman nel 1990. Per questo motivo gli edifici sovietici - e le case popolari negli Stati uniti - hanno un'aria così fatiscente già un anno o due dopo la loro costruzione» (17). Questo ragionamento sarebbe però sembrato meno evidente a Friedmann se avesse fatto un viaggio in treno nel Regno unito dopo la sua privatizzazione. In questo caso il liberismo avrebbe forse rischiato di perdere in un incidente ferroviario uno dei suoi più accaniti sostenitori. Risorse sempre più ridotte «Il sistema pubblico arretrerà solo di fronte a una manovra a tenaglia di deficit insostenibili e di risorse sempre più ridotte» (18). Enunciata da Alain Minc venti anni fa, questa strategia non era certo una novità. Infatti negli Stati uniti Ronald Reagan aveva già ridotto le imposte dirette per creare dei deficit enormi, che gli sarebbero serviti in seguito come pretesto per smantellare lo stato assistenziale. Nel frattempo il presidente americano si era impegnato («il nuovo federalismo») a delegare alle autorità locali dei servizi e delle amministrazioni pubbliche, ma senza offrire loro i mezzi per metterli in atto. Le strutture locali dovevano sbrigarsela da sole. Come si vede, Bush e Raffarin non hanno inventato nulla. I liberisti hanno però scelto di alzare la voce per accelerare il ritmo. Le loro strutture di propaganda (media ed «esperti») si incaricano di diffondere i loro progetti. L'insegnamento superiore gratuito è a sua volta entrato nel processo di riforme per l'insufficienza degli stanziamenti pubblici. Annualmente e per studente i fondi nel Regno unito sono passati da 8.000 sterline (12.000 euro) nel 1990 a circa 5.000 sterline (7.500 euro) dieci anni dopo (19). Blair preferisce far pagare i contribuenti. Le tasse di iscrizione universitarie si sono triplicate e potrebbero raggiungere le 3.000 sterline all'anno (4.500 euro). «Ovunque nel mondo - si rallegra l'Organizzazione di cooperazione e di sviluppo economico (Ocse) - l'insegnamento superiore è sottoposto a pressioni che ne favoriscono il cambiamento. [...] In questo ambiente più complesso non è ormai opportuno che i poteri pubblici gestiscano direttamente questo settore, i meccanismi del mercato sono spesso più efficienti degli amministratori per regolare l'offerta e la domanda dei diversi tipi di formazione fornita ai loro clienti» (20). Si sarebbe però potuto immaginare un'altra risposta. Se, ad esempio, in Francia i governi Jospin e Raffarin non avessero ridotto l'imposta sul reddito, il paese avrebbe potuto raddoppiare il bilancio per l'istruzione superiore (21). Ma anche se l'ingranaggio della liberalizzazione cerca di mostrarsi come una successione di scelte politiche e non un accumulo di squilibri, le decisioni vitali sono state raramente ufficializzate dal voto popolare. Quasi tutte le grandi privatizzazioni britanniche hanno suscitato l'ostilità preventiva della maggior parte della popolazione. Interpellato sulla vendita delle foreste demaniali del loro paese, il 79% dei neozelandesi si era dichiarato contrario; solo il 4% lo approvava. Il programma liberista radicale di Alain Madelin presentato alle elezioni presidenziali francesi del 2002 ha raccolto solo il 3,91% dei voti. Tuttavia la maggior parte delle industrie e dei servizi pubblici del Regno unito sono stati privatizzati. Così come le foreste demaniali neozelandesi. E quando il secondo mandato di Jacques Chirac sarà concluso, quello realizzato al meglio sarà stato proprio il programma di Madelin e non le promesse presidenziali relative alla lotta contro «l'insicurezza» o alla riduzione della «frattura sociale». Se i paesi europei ratificheranno il progetto di Costituzione proclamando che uno degli obiettivi dell'Unione è quello di «offrire ai cittadini un mercato unico dove la concorrenza è libera e non distorta» e accetteranno un Accordo generale sul commercio dei servizi (Agcs) liberalizzando la sanità, l'istruzione e la cultura, il resto diventerà relativamente secondario. E non sarà più importante il nome di chi vincerà le elezioni. In ogni caso il sussulto d'orgoglio da parte dello stato non verrà di certo dalla commissione per la pianificazione. Il suo presidente, Alain Etchegoyen, ha scelto di recente come consigliere scientifico il senior vicepresident strategy della Manpower Inc. Un comunicato stampa del 3 maggio 2004 spiegava: «La nomina di un uomo d'impresa permetterà al Piano di diversificare e di arricchire i suoi approcci nei confronti del mercato dell'occupazione e del lavoro, asse prioritario definito dal primo ministro». La Manpower è una delle più grandi società di lavoro interinale ed è facile immaginare quale «approccio del mercato del lavoro» potrà adottare il nuovo consigliere scientifico incaricato di difendere il bene pubblico.

note:

(1) Päivi Munter e Norma Cohen, «Debat crisis threatens "fiscal Armageddon"», The Financial Times, 1° aprile 2004.

(2) Bertrand Benoit, «Politician tells it like it is to convince German state's public of need for reform», The Financial Times, 6 aprile 2004.

(3) Telegiornale di Tf1 delle 20, 2 maggio 2004.

(4) Correspondance économique, 14 aprile 2004.

(5) Nel Regno unito i «clienti» che chiedono un lavoro devono rendere conto ogni settimana al loro «consigliere» delle loro attività per cercare lavoro. «Se un disoccupato britannico non accetta il posto che gli viene proposto nel suo settore di competenza, sospendiamo immediatamente le sue indennità», precisa la direttrice di un job center. La situazione è simile in Danimarca.

(6) Ernest-Antoine Seillière, France 2, 22 gennaio 1998.

(7) «Fonctionnaires: ce qui les attendent», L'Expansion, aprile 2004.

(8) Le Figaro, 4 maggio 2004.

(9) L'Expansion, aprile 2004.

(10) Intervista, «Ernest-Antoine Seillière; La société est enfin prête à se réformer», Les Echos, 20 gennaio 2004.

(11) Albin Chalandon, «Denationaliser: pourquoi?», Le Monde, 11 luglio 1984.

(12) Les Echos, 21 novembre 2000.

(13) Le Figaro, 20 ottobre 2003.

(14) Cfr. Le Grand Bond en arrière, Paris, Fayard, 2004.

(15) Si legga l'inchiesta di Gilles Balbastre, «à la Poste aussi, les agents doivent penser en termes de marché», Le Monde diplomatique, ottobre 2002.

(16) Cfr. Serge Latouche, «Moin loin, moin vite», La Décroissance, n. 21, maggio 2004.

(17) Milton e Rose Friedman, Free to Choose, Orlando (Florida), Harcourt, 1990, p. 24. Trad. it. Liberi di scegliere, Longanesi. È in nome dello stesso ragionamento che alcuni liberisti, come Pascal Salin in Francia, raccomandano la privatizzazione delle mandrie di elefanti africani per proteggerli dai bracconieri.

(18) L'Expansion, 2 novembre 1984.

(19) «Drowning Spires», The Economist, 29 novembre 2003.

(20) Ocse, Analyse des politiques d'éducation, 2003, p. 66.

(21) Secondo Louis Maurin., «La grande misère des facs», Alternatives Economiques, gennaio 2004. (Traduzione di A. D. R.)