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«Molto rimarchevole». Romano Prodi, presidente della Commissione europea, non ha lesinato le lodi nel giudicare il progetto di «riforma» dell'assicurazione sanitaria del governo francese. È anche vero che le misure francesi assomigliano a quelle assunte (o previste) in Germania o in Italia e si inseriscono nell'ondata liberista sostenuta da Bruxelles. D'altro canto tali questioni - come quelle della «Costituzione» o quelle dei servizi pubblici - sono state escluse dalla campagna delle recenti elezioni europee. Così i liberisti possono percorrere, tappa dopo tappa il loro tragitto di privatizzazioni. Tutti i sistemi pubblici sono destinati al fallimento.
Secondo uno studio recente dell'agenzia di rating Standard & Poor's, l'indebitamento
rappresenterà prima del 2050 più del 200% del prodotto interno lordo (Pil)
in Germania, in Francia, in Portogallo, in Grecia, in Polonia e nella
Repubblica ceca (il tetto fissato dal patto di stabilità europea è del
60%), e più del 700% in Giappone. L'agenzia spiega che le pensioni sono
troppo alte, i tassi di riproduzione troppo bassi, le persone anziane
troppo numerose e troppo vecchie. Il futuro non è quindi dei migliori:
«Nei prossimi venticinque anni quasi tutti i paesi andranno incontro alla
disintegrazione del loro sistema fiscale».(1) Nel frattempo alcuni
liberali tedeschi lo dicono senza mezzi termini: «Mostrare quello che
potrebbe succedere se non si cambia politica è non solo legittimo ma necessario».
Secondo loro immaginare degli scenari catastrofici potrebbe costituire
«il metodo giusto» per proporre delle riforme dolorose.(2) È lecito
quindi immaginare che il «metodo giusto» abbia ispirato Philippe Douste-Blazy
quando ha annunciato il suo piano relativo al sistema sanitario: «Con
23.000 euro di deficit al minuto, non si può andare avanti (...). Siamo
al fallimento. Se non si fa nulla il sistema di previdenza sociale non
esisterà più».(3) Certo, si farà qualcosa. L'Istituto Montaigne
animato da Claude Bébéar, presidente del consiglio di sorveglianza di
una delle principali società di assicurazione private del mondo, Axa,
ha già proposto qualche soluzione. Ad esempio una «copertura medica di
solidarietà» che, «per responsabilizzare i pazienti e regolarizzare se
necessario le spese», escluda «determinati incidenti stradali e pratiche
sportive coperti da assicurazioni individuali» e integri dei «meccanismi
di franchigia annuale sulla base dei redditi familiari, con delle possibilità
di aggirare queste franchigie se i protocolli di prevenzione saranno rispettati»
(4). Negli Stati uniti, il paradiso della medicina che sogna Bébéar,
la copertura medica continua a ridursi ed è sempre di più sulle spalle
dei lavoratori, mentre gli imprenditori continuano ad affermare che la
protezione medica dei loro dipendenti costa troppo cara e favorisce la
decentralizzazione (5). Nel 1944 l'economista austriaco Friedrich
Hayek esprimeva il timore di una spirale collettivistica, «la via della
schiavitù», che avrebbe portato al sacrificio della responsabilità individuale
sull'altare della sicurezza sociale. Ma se oggi esiste una spirale, è
proprio quella del mercato. L'effetto domino ha invertito direzione. Quale
rivoluzione tecnica ha permesso di imporre la concorrenza o la privatizzazione
di imprese pubbliche spesso molto apprezzate, di far accettare la chiusura
definitiva di molti uffici postali e stazioni ferroviarie, di rimettere
in discussione la gratuità delle cure mediche e dell'istruzione, di trasformare
la funzione pubblica in un arcipelago di operatori in concorrenza fra
di loro e minacciati? Il tutto, per di più, quasi senza alcun «dibattito».
È stato sufficiente creare un «corridoio di riforme» all'interno del quale
una porta si chiude non appena è stata oltrepassata, per arrivare a un'altra
che si apre via via che ci si avvicina. Poi, come dice la canzone, «non
si ha più benzina per tornare indietro. Così bisogna andare avanti». La
fatalità del «non ci sono alternative» svolge perfettamente la sua funzione;
la volontà si trova ancora più sguarnita in quanto le hanno tolto le armi
e si pratica senza sosta la tattica della terra bruciata. La destinazione
la si scoprirà solo alla fine del viaggio. Si tratta in realtà di un progetto
rivoluzionario, di un grande salto nel passato, ma il cui movimento di
insieme è il risultato di una serie di tappe intermedie. Si aprono le
frontiere perché non si è protezionisti, si privatizza perché si aprono
le frontiere, si sacrifica l'occupazione e il servizio pubblico perché
si privatizza. «Libero scambio», «taglia critica», «alleanze», «concorrenza»,
«creazione di valore» costituiscono altrettanti pezzi di una costruzione
i cui artefici hanno immaginato in anticipo il progetto futuro. Il ruolino
di marcia liberista parla solo di «pragmatismo» e di «buon senso». Per
compensare i deficit di bilancio bisogna privatizzare. Per vendere le
imprese pubbliche a buon prezzo, bisogna attirare gli investitori stranieri.
Per attirare gli investitori stranieri bisogna ridurre gli stipendi e
gli «oneri». Dopo di che nel nuovo mondo concorrenziale così creato, la
copertura previdenziale dei lavoratori diventa troppo generosa. L'esplosione
della disoccupazione e della precarietà - ma anche della desindacalizzazione
che ne deriva - permettono di mettere a tacere le proteste («corporative»)
di chi dispone di un lavoro e di una buona protezione sociale. E se tacendo
si dimostra il proprio «senso di responsabilità», non si può neppure accettare
che i disoccupati prendano una paga quasi altrettanto elevata per non
fare nulla. Si devono quindi rafforzare i controlli che li riguardano(6).
Senza dimenticare di ridurre i loro sussidi, troppo legati a una cultura
«assistenziale» e «dipendente». Il cordiale Ernest-Antoine Seillière,
presidente della Confindustria francese (Movimento delle imprese di Francia-Medef)
lo ha detto chiaramente: «Non si possono condurre le lotte di oggi pensando
all'infermeria»(7). Ma i liberisti, lo abbiamo visto, non si disinteressano
della sanità collettiva. In questo settore, come nel campo dell'istruzione,
la «progressione logica» da un sistema pubblico e gratuito a un'industria
largamente privata e finanziata da assicurazioni o da prestiti bancari
comincia affermando che il sistema centralizzato non funziona, che è burocratico,
fallimentare, non ugualitario. Bisogna decentralizzare la struttura -
sulla base del principio di «prossimità» - abbandonare alle regioni la
«responsabilità» dei loro bilanci, creare un mercato dell'istruzione o
della sanità per stabilire dei prezzi che permetteranno di controllare
e di orientare la gestione. In seguito si dovranno chiudere gli ospedali
(scuole, uffici postali) che non sono produttivi, stringere collaborazione
di «partenariato» con imprese locali, rivedere la gratuità delle cure
mediche e dello studio, delegare al privato - o alla «società civile»
- una parte crescente dei compiti dell'istruzione o della sanità, d'ora
in poi divise in unità sempre più piccole. Si è spiegato, infatti, che
è preferibile conservare solo il cuore delle attività, che non è necessario
avere dei dipendenti statali che garantiscano la custodia, la pulizia,
la ristorazione, che facciano fotocopie, che elaborino e controllino dei
questionari, che controllino un ingombrante parco macchine, che gestiscano
le spese di personale e gli alloggi militari, che formino piloti di elicottero.
Alla fine di queste valutazioni ricorrenti e delle successive deleghe
- e difficoltà di tesoreria - ci si è sbarazzati di attività un tempo
organizzate dallo stato. «Qualunque missione che può essere esercitata
dal settore privato dovrà essere privatizzata», annuncia Jean-Pierre Raffarin,
mentre il suo sottosegretario per la riforma dello stato precisa: «La
nostra strategia è ricentrare lo stato sulle sue missioni essenziali e
cedere al privati tutte le altre, in particolare quelle logistiche» (8).
In Iraq l'esercito americano ha subappaltato compiti legati alla condotta
della guerra e alla raccolta (forse un po' troppo energica) di «informazioni».
Il ministero della Difesa francese prevede di «appaltare all'esterno gli
alloggi della gendarmeria», così da ottenere 500 milioni di euro. Quando
era ministro delle Finanze, Francis Mer ha fatto appello a consulenti
privati (Mercer Delta, Cap Gemini, ecc.) per studiare la maniera migliore
per sopprimere 30.000 posti di dipendenti pubblici. Ma chi è riuscito
a sfuggire a questo taglio non si può certo considerare al sicuro: non
appena possibile, si rimetterà in discussione il suo statuto e la sicurezza
del posto, sostituito da contratti a tempo determinato, di diritto pubblico
e successivamente di diritto privato. Christian Blanc, deputato Udf, si
è già detto favorevole alla soppressione in Francia dello statuto della
funzione pubblica ereditato dalla liberazione. «L'opportunità di ridurre
gli effettivi è di portata storica e sarebbe un peccato lasciarsela sfuggire»,
scrive L'Expansion. «La direttiva trasmessa da Jean-Pierre Raffarin a
tutti i ministri è rigorosa: si deve creare un nuovo posto di lavoro per
ogni due persone andate in pensione. Un obiettivo ambizioso che, se seguito,
permetterebbe teoricamente in otto anni di ridurre di 300.000 posti il
numero di dipendenti pubblici e di risparmiare nel 2012, secondo il senatore
Ump Philippe Marini, 12 miliardi di euro» (9). In questo caso però
non si dice mai che il dipendente statale potrebbe rappresentare per il
contribuente non un semplice onere, bensì un'infermiera che lo cura, un
pompiere che lo soccorre, un insegnante che educa i suoi figli, un ispettore
del lavoro che lo protegge dall'arbitrio dell'imprenditore. Si tratta
di un costo, tutto qui. In Svizzera, «per essere più competitivi e per
cambiare cultura», l'ufficio federale del personale si è, secondo i suoi
stessi termini, «appropriato degli strumenti del privato»: così la garanzia
del posto di lavoro per i dipendenti pubblici è stata abolita nel novembre
2000. Il numero di funzionari statali neozelandesi è passato da 71.000
nel 1988 a 32.900 nel 1996. Lavorano di più con meno risorse; i loro compiti
sono aumentati e la sicurezza del lavoro soppressa. Una volta ridotto
e modificato, lo stato diventa meno suscettibile di contenere l'espansione
della legge del libero mercato. La pubblica amministrazione continua a
frammentarsi, la sua specificità viene meno. La precarizzazione del lavoro
pubblico può addirittura fornire delle idee al mondo imprenditoriale.
Quando Seillière si stupisce dei malumori che suscita un «contratto di
missione di lungo periodo», spiega: «Perché il privato non avrebbe diritto
a utilizzare quello che la funzione pubblica adotta quotidianamente? Nell'esercito
vi sono contratti di quattro o sei anni; i contratti per i giovani durano
cinque anni; nel cuore dello stato alcuni funzionari sono assunti per
contratti a durata determinata. Quando si tratta invece del privato, vengono
ripresi concetti conservatori e immobilistici» (10). Ma venti anni
fa la destra francese e i proprietari terrieri erano piuttosto critici
di fronte al ruolo di «vetrina sociale» svolto dal settore pubblico, all'epoca
meno favorevole ai lavoratori precari e alla riduzione degli oneri sociali.
«La sua impunità finanziaria - spiegava l'ex amministratore della Elf
Albin Chalandon - crea un'impressione di sicurezza di cui il personale
approfitta per lavorare di meno, per proliferare [sic] e per ottenere
attraverso l'intervento di sindacati forti dei vantaggi che diventano
dei privilegi» (11). Per i liberisti, la privatizzazione, in blocco
o in fasi successive, presenta anche il vantaggio di ridurre le capacità
di resistenza dei sindacati, cosa che permetterà di preparare il terreno
alle «riforme» che seguiranno. In Francia la percentuale di imprese pubbliche
nel lavoro dipendente si è già dimezzata fra il 1985 e il 2000 e raggiunge
attualmente solo il 5,3% del totale (12). E anche qui gli obiettivi
perseguiti sono sempre gli stessi. Di fatto la rivendicazione sociale
è stata spesso appannaggio delle imprese pubbliche, più sindacalizzate
delle altre, che con i loro grandi scioperi hanno fatto la storia del
paese (Charbonnages nel 1963, Régie Renault nel 1968, Sncf e Ratp nel
1995). Così lo scorso autunno, quando l'Assemblea nazionale ha accettato
che la maggioranza del capitale di France Télécom passasse sotto il controllo
privato, il deputato Udf Jean Dionis du Séjour, membro della commissione
superiore del servizio pubblico delle poste e telecomunicazioni precisava:
«Il testo prevede la normalizzazione delle istanze rappresentative del
personale. In altre parole, i sindacati che partecipavano al consiglio
di amministrazione di France Télécom non ne faranno più parte» (13).
note: (1) Päivi Munter e Norma Cohen, «Debat crisis threatens "fiscal Armageddon"», The Financial Times, 1° aprile 2004. (2) Bertrand Benoit, «Politician tells it like it is to convince German state's public of need for reform», The Financial Times, 6 aprile 2004. (3) Telegiornale di Tf1 delle 20, 2 maggio 2004. (4) Correspondance économique, 14 aprile 2004. (5) Nel Regno unito i «clienti» che chiedono un lavoro devono rendere conto ogni settimana al loro «consigliere» delle loro attività per cercare lavoro. «Se un disoccupato britannico non accetta il posto che gli viene proposto nel suo settore di competenza, sospendiamo immediatamente le sue indennità», precisa la direttrice di un job center. La situazione è simile in Danimarca. (6) Ernest-Antoine Seillière, France 2, 22 gennaio 1998. (7) «Fonctionnaires: ce qui les attendent», L'Expansion, aprile 2004. (8) Le Figaro, 4 maggio 2004. (9) L'Expansion, aprile 2004. (10) Intervista, «Ernest-Antoine Seillière; La société est enfin prête à se réformer», Les Echos, 20 gennaio 2004. (11) Albin Chalandon, «Denationaliser: pourquoi?», Le Monde, 11 luglio 1984. (12) Les Echos, 21 novembre 2000. (13) Le Figaro, 20 ottobre 2003. (14) Cfr. Le Grand Bond en arrière, Paris, Fayard, 2004. (15) Si legga l'inchiesta di Gilles Balbastre, «à la Poste aussi, les agents doivent penser en termes de marché», Le Monde diplomatique, ottobre 2002. (16) Cfr. Serge Latouche, «Moin loin, moin vite», La Décroissance, n. 21, maggio 2004. (17) Milton e Rose Friedman, Free to Choose, Orlando (Florida), Harcourt, 1990, p. 24. Trad. it. Liberi di scegliere, Longanesi. È in nome dello stesso ragionamento che alcuni liberisti, come Pascal Salin in Francia, raccomandano la privatizzazione delle mandrie di elefanti africani per proteggerli dai bracconieri. (18) L'Expansion, 2 novembre 1984. (19) «Drowning Spires», The Economist, 29 novembre 2003. (20) Ocse, Analyse des politiques d'éducation, 2003, p. 66. (21) Secondo Louis Maurin., «La grande misère des facs»,
Alternatives Economiques, gennaio 2004. (Traduzione di A. D. R.)
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