(Corte costituzionale 62/2004)
Ma l'inserimento nel nucleo familiare deve avvenire prima della fine della locazione
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È legittima la norma che prevede la sospensione degli
sfratti per gli inquilini che hanno in famiglia soggetti ultrasessantacinquenni
o handicappati. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale dichiarando infondata
la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Palermo
a proposito dell'art.80, comma 20 della legge n.388 del 2000 (che appunto stabilisce
tale sospensione). Il giudice siciliano aveva denunciato la mancanza di un riferimento
temporale relativamente al possesso dei requisiti richiesti per beneficiare
della sospensione ex lege della procedura di sfratto; la Consulta lo ha chiarito:
l'inserimento nel nucleo familiare dei soggetti disagiati indicati deve essere
anteriore alla cessazione del rapporto di locazione. (16 febbraio 2004)
Corte Costituzionale, sentenza n.62 del 12 febbraio 2004
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gustavo ZAGREBELSKY Presidente
- Valerio ONIDA Giudice
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA"
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA"
- Paolo MADDALENA"
- Alfio FINOCCHIARO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 80, comma 20, della legge
23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001), promosso con ordinanza
del 14 gennaio 2003 dal Tribunale di Palermo nel procedimento civile vertente
tra B.G. e F.A., iscritta al n. 302 del registro ordinanze 2003 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno
2003.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 novembre 2003 il Giudice relatore Romano
Vaccarella.
Ritenuto in fatto
1.- Il Tribunale di Palermo, nel corso di un processo di opposizione all'esecuzione
di un provvedimento di rilascio per finita locazione, in cui il conduttore-opponente
aveva dedotto di versare nelle condizioni, previste dall'art. 80, comma 20,
della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001) al fine di ottenere
la sospensione dell'esecuzione medesima (nella specie, per avere nel nucleo
familiare un ultrasessantacinquenne, non disponendo di altra abitazione o di
redditi sufficienti ad accedere alla locazione di altro immobile), con ordinanza
pronunziata il 14 gennaio 2003, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 80, comma 20,
della legge n. 388 del 2000.
Il giudice rimettente riferisce che, promossa l'opposizione all'esecuzione con
ricorso depositato il 24 gennaio 2002 - e cioè nella vigenza del decreto-legge
27 dicembre 2001, n. 450, convertito con modificazioni dall'art. 1 della legge
27 febbraio 2002, n. 14, che aveva prorogato fino al 30 giugno 2002 il termine
di sospensione previsto dalla norma impugnata - con ordinanza del 3 giugno 2002
è stata revocata la sospensione, concessa in via d'urgenza ai sensi dell'art.
625, secondo comma, cod. proc. civ., per la carenza del requisito personale,
richiesto dal citato art. 80, comma 20, in uno a quello reddituale, consistente
nella presenza nel nucleo familiare del conduttore di persona ultrasessantacinquenne
o handicappata grave e che, nel vigore della successiva proroga del termine
di sospensione - disposta fino al 30 giugno 2003 dall'art. 1 del decreto-legge
20 giugno 2002, n. 122, convertito, con modificazioni, dall'art. 1 della legge
1° agosto 2002, n. 185 - con istanza depositata il 16 settembre 2002 l'opponente
ha chiesto, e poi ottenuto in via cautelare, la revoca dell'ordinanza del 3
giugno 2002, avendo prodotto un nuovo certificato di stato di famiglia e di
residenza dal quale risulta inclusa nel proprio nucleo familiare una persona
ultrasessantacinquenne. Sull'istanza della locatrice-opposta, diretta alla revoca
della nuova ordinanza di sospensione, è stata rimessa alla Corte la questione
in esame.
Il giudice rimettente osserva che l'art. 1 del decreto-legge n. 450 del 2001,
vigente al momento della instaurazione del giudizio a quo, nel disporre l'ulteriore
proroga del termine di sospensione delle procedure di rilascio, non precisava
le modalità processuali con cui i soggetti in possesso dei requisiti previsti
dall'art. 80, comma 20, della legge n. 388 del 2000 potessero ottenere il riconoscimento
di detto beneficio, ragion per cui il Tribunale di Palermo, come del resto molti
altri, aveva ritenuto necessaria l'instaurazione, come nel caso di specie, di
un giudizio di opposizione all'esecuzione. Solo il successivo decreto-legge
n. 122 del 2002 aveva introdotto un apposito procedimento semplificato, ad iniziativa
del locatore, senza peraltro dettare alcuna norma transitoria per i giudizi
di opposizione già pendenti; sicché il processo in corso, ad opinione del rimettente,
doveva essere istruito e definito coerentemente con il rito e le forme imposte
dall'atto introduttivo.
Il Tribunale osserva, quanto alla rilevanza della questione, che essa concerne
una norma di cui va fatta applicazione in sede di definizione della controversia
concernente l'operatività della sospensione ex lege dell'esecuzione.
In punto di non manifesta infondatezza, il giudice rimettente considera poi
come - in assenza di qualsivoglia norma di coordinamento tra la legge n. 388
del 2000 (e successive proroghe) e la legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina
delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), dettanti
peraltro discipline fondate su diversi presupposti (la prima non tiene alcun
conto, a differenza della seconda, delle condizioni del locatore) - entrambe
possono ritenersi contemporaneamente e parallelamente operanti. Ciò posto, e
valutata l'impossibilità di applicare al caso concreto l'art. 6, comma 5, della
legge n. 431 del 1998, stante il suo carattere di eccezionalità, il giudice
a quo ritiene irragionevole il diverso trattamento previsto dal legislatore
del 2000: l'art. 80, comma 20, infatti, prevede come requisito concorrente con
quello reddituale, alternativamente, la presenza nel nucleo familiare del conduttore
di un soggetto ultrasessantacinquenne o affetto da grave handicap, ma non prevede
- a differenza dell'art. 6, comma 5 - che il soggetto il quale versi in tali
condizioni faccia parte del nucleo familiare e sia convivente con il conduttore
da almeno sei mesi.
Osserva ancora il Tribunale che dagli atti del giudizio a quo risulta che il
soggetto ultrasessantacinquenne, la cui presenza nel nucleo familiare del conduttore
legittimerebbe l'accoglimento del ricorso, è entrato a comporre detto nucleo
solo in data successiva sia alla proposizione della domanda che alla prima pronunzia
cautelare sulla stessa; circostanza che, ad avviso del rimettente, non influirebbe
sulla decisione dell'opposizione ex art. 615 cod. proc. civ., avente ad oggetto
l'accertamento dei requisiti indicati dal citato art. 80, comma 20, tra i quali
non figura, irragionevolmente, quello temporale (con grave rischio di strumentalizzazioni
e distorsioni).
Considera infine il giudice a quo come neppure la temporaneità della norma denunciata
possa costituire ostacolo alla rilevanza della questione, viste le numerose
proroghe di cui essa è già stata oggetto e quelle possibili per il futuro.
2.- E' intervenuto, rappresentato dell'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente
del Consiglio dei ministri il quale ha eccepito, in primo luogo, l'inammissibilità
della questione per l'inapplicabilità nel giudizio a quo della invocata sospensione
dell'esecuzione per rilascio di immobili adibiti ad uso abitativo: tale sospensione,
prevista dal più volte citato art. 80, comma 20, è stata prorogata dall'art.
1 del decreto-legge n. 122 del 2002, il quale fa riferimento alla precedente
proroga disposta dall'art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 450 del 2001, la
quale, a sua volta, faceva riferimento alle procedure "iniziate nei confronti
degli inquilini in possesso dei requisiti indicati al comma 20 dell'articolo
80 della legge 23 dicembre 2000, n. 388"; sicché di tali proroghe potrebbero
beneficiare soltanto gli inquilini nei cui confronti fossero state iniziate
procedure di sfratto alla data di entrata in vigore della legge n. 388 del 2000.
Ad avviso della difesa erariale intervenuta, la questione sollevata sarebbe
comunque manifestamente infondata nel merito per la disomogeneità delle situazioni
comparate, posto che l'art. 80, comma 20, della legge n. 388 del 2000, nel disporre
provvidenze pubbliche in favore di inquilini bisognosi assoggettati a procedure
esecutive di sfratto, prevede, in via moratoria, la sospensione ex lege di queste
ultime al ricorrere di determinati presupposti, mentre l'art. 6, comma 5, della
legge n. 431 del 1998 è norma a regime che, ricorrendo taluni requisiti (tra
i quali, peraltro, non v'è quello di avere nel nucleo familiare soggetto ultrasessantacinquenne
diverso dal conduttore), dispone il differimento, fino ad un termine massimo
di diciotto mesi, delle esecuzioni di cui al comma 1 del medesimo articolo.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale di Palermo dubita della legittimità costituzionale, in relazione
all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 80, comma 20, della legge 23 dicembre
2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2001), in quanto creerebbe una irragionevole
disparità di trattamento, ai fini della sospensione delle procedure di sfratto,
tra gli inquilini ai quali tale norma fa riferimento e quelli che debbono valersi
del disposto dell'art. 6, comma 5, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina
delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), ed
in quanto, inoltre, la norma impugnata sarebbe di per sé "del tutto irragionevole"
per la mancata previsione di un riferimento temporale quanto al possesso dei
requisiti richiesti all'inquilino per poter usufruire della sospensione stessa.
2.- Preliminarmente deve respingersi l'eccezione di inammissibilità proposta
dall'Avvocatura erariale, ad avviso della quale la norma impugnata non potrebbe
applicarsi al caso di specie; sicché la questione di legittimità costituzionale
sarebbe irrilevante.
Tale tesi si fonda sul rilievo che - poiché il periodo di sospensione (originariamente
di 180 giorni dall'entrata in vigore della legge n. 388 del 2000) è stato prorogato
(dapprima fino al 31 dicembre 2001: decreto-legge 2 luglio 2001, n. 247; quindi
fino al 30 giugno 2002: decreto-legge 27 dicembre 2001, n. 450; poi fino al
30 giugno 2003: decreto-legge 20 giugno 2002, n. 122; da ultimo fino al 30 giugno
2004: decreto-legge 24 giugno 2003, n. 147) con formulazione che fa riferimento
alla "sospensione delle procedure esecutive ., già disposta ai sensi dell'articolo
80, comma 22 . , iniziate nei confronti degli inquilini in possesso dei requisiti
indicati al comma 20 ." - tali proroghe riguarderebbero soltanto le procedure
già iniziate alla data di entrata in vigore della legge n. 388 del 2000 e, come
tali, "investite" dalla sospensione da quella legge introdotta.
Tale interpretazione, pur se possibile in base alle parole sopratrascritte della
norma, è improponibile in quanto - anche a prescindere dalla sua dubbia conformità
a Costituzione (art. 3) - essa trascura di considerare che la lettera dei vari
decreti-legge di proroga va coordinata con il disposto dell'art. 80 della legge
n. 388 del 2000, il quale prevede una sospensione delle procedure esecutive
di sfratto coordinata al reperimento, da parte dei Comuni, di immobili da destinare
agli inquilini che versino nelle particolari condizioni di bisogno ivi indicate.
Essendo indubbio che l'art. 80 citato non è norma che esaurisca la sua efficacia
allo scadere dei 180 giorni dalla sua entrata in vigore - e cioè a quella che
la norma stessa definisce, significativamente, la sua "prima applicazione" -
ma, al contrario, una norma che mira ad avviare un meccanismo permanente di
reperimento da parte dei Comuni di immobili da destinare a persone bisognose
soggette a sfratti, è altrettanto indubbio che i successivi provvedimenti di
proroga investono la norma di base in tutta la sua portata "permanente", e non
già limitata alla sua prima (e, secondo la tesi dell'Avvocatura, unica) applicazione.
In conclusione, un'interpretazione sistematicamente corretta del combinato disposto
dell'art. 80 citato e dei successivi provvedimenti di proroga comporta che il
richiamo operato da tali successivi provvedimenti all'art. 80 mira esclusivamente
ad individuare i requisiti soggettivi che, del tutto a prescindere dal momento
in cui è iniziata o potrebbe iniziare la procedura esecutiva di sfratto, debbono
possedere gli inquilini beneficiari della proroga.
3.- La questione di legittimità costituzionale posta dal rimettente assumendo
quale tertium comparationis l'art. 6, comma 5, della legge n. 431 del 1998 è
infondata, non potendo tale norma essere adottata quale termine di confronto
con la norma impugnata.
Di ciò, invero, sembra aver consapevolezza lo stesso rimettente allorquando
rileva che l'art. 6, comma 5, citato non consente, attesa la sua eccezionalità,
una applicazione analogica del requisito temporale in esso previsto; e la circostanza
che, ad avviso del rimettente, sia "altrettanto eccezionale" la norma impugnata
conferma, con l'impraticabilità del ricorso all'analogia, l'impossibilità di
operare un confronto tra le due norme indicate.
In effetti - a prescindere dalla correttezza della loro qualificazione come
"eccezionali" - le due norme (art. 6, comma 5, della legge n. 431 del 1998 e
art. 80, commi 20-22, della legge n. 388 del 2000) hanno in comune esclusivamente
la generica finalità di procrastinare - nei Comuni ad alta tensione abitativa
- il momento di effettiva attuazione del rilascio forzato dell'immobile locato
in vista della piena entrata a regime del sistema tendenzialmente "liberalizzato"
introdotto dalla legge n. 431 del 1998 (sentenza n. 310 del 2003), ma divergono
radicalmente sotto altri e ben più pregnanti profili.
In primo luogo, i requisiti soggettivi dei beneficiari delle due norme sono
profondamente diversi: non soltanto perché l'art. 6, comma 5, ha come destinatari
inquilini nei cui confronti, attesa la prevedibile temporaneità del loro interesse
ad occupare l'immobile locato (assegnatario di alloggio di edilizia residenziale
pubblica o di ente previdenziale o assicurativo; prenotatario di alloggio cooperativo
in costruzione; acquirente di alloggio in costruzione; proprietario di alloggio
che abbia iniziato azione di rilascio), la procedura esecutiva appare inopportuna
per lo sproporzionato disagio che essa creerebbe all'inquilino rispetto al vantaggio
che ne conseguirebbe il locatore, ma anche perché, laddove ha come destinatari
inquilini bisognosi di particolare protezione, li individua secondo criteri
divergenti da quelli utilizzati dall'art. 80, comma 20, della legge n. 388 del
2000: in particolare, la prima norma considera disgiuntivamente le condizioni
personali (età di 65 anni del conduttore, cinque o più figli a carico, presenza
nel nucleo familiare e convivenza da almeno sei mesi di un portatore di handicap
o di un malato terminale) e quelle reddituali ("tipizzate" nell'iscrizione nelle
liste di mobilità o nella percezione di un trattamento di disoccupazione o di
integrazione salariale), laddove la seconda norma esige sia le une (esistenza
nel nucleo familiare di ultrasessantacinquenni o handicappati gravi) sia le
altre (genericamente individuate nel non disporre di altra abitazione o di redditi
sufficienti ad accedere all'affitto di una nuova casa).
In secondo luogo, è del tutto evidente - e tale da dar conto anche delle segnalate
differenze circa i requisiti soggettivi - il meccanismo radicalmente diverso
al quale le due norme danno vita: l'art. 6, comma 5, mira ad attenuare gli effetti,
nei Comuni ad alta tensione abitativa, dell'entrata a regime del sistema "liberalizzato",
e pertanto prevede la possibilità per il giudice dell'esecuzione di accordare
agli inquilini "normali", per una sola volta ed a loro domanda, un termine di
grazia non superiore a sei mesi con decreto avverso il quale è proponibile opposizione
(camerale) e la possibilità di accordare agli inquilini "protetti" il differimento
dell'esecuzione fino a diciotto mesi; l'art. 80, commi 20-22, invece, prevede
una sospensione ex lege dell'esecuzione (al fine di consentire ai Comuni il
reperimento di immobili da destinare agli sfrattati bisognosi) per il tempo
dalla legge stessa (via via) indicato.
La prima norma si ispira al sistema della graduazione, con conseguente previsione
di un potere discrezionale del giudice dell'esecuzione quanto alla fissazione
del momento del rilascio entro un termine determinato nel massimo dalla legge,
laddove la seconda norma - prevedendo la sospensione automatica delle procedure
per il tempo fissato dalla legge - risponde alla logica propria del (nominalmente)
cessato regime c.d. vincolistico: sicché di quest'ultima norma (e non certamente
della prima) questa Corte ha dovuto sottolineare, a fronte delle numerose proroghe
che si sono succedute e che si sono sopra ricordate, che "la procedura esecutiva
. non può essere paralizzata indefinitamente con una serie di pure e semplici
proroghe, oltre un ragionevole limite di tollerabilità [in quanto] il legislatore
. non può indefinitamente limitarsi . a trasferire l'onere relativo [alla protezione
di categorie di soggetti bisognosi] in via esclusiva a carico del privato locatore"
(sentenza n. 310 del 2003, che affronta un profilo di illegittimità costituzionale
in questa sede non dedotto).
Non è casuale, può aggiungersi, ma ulteriore conferma della profonda diversità
delle due norme, che il decreto-legge n. 122 del 2002, nel disporre la terza
proroga del termine di sospensione introdotto dalla legge n. 388 del 2000, abbia
avvertito l'esigenza di creare un procedimento ad hoc - sostanzialmente inverso
rispetto a quello di cui all'art. 6, commi 3 e 4, della legge n. 431 del 1998
- secondo il quale è il locatore a dover adire il giudice dell'esecuzione per
contestare la sussistenza dei presupposti della sospensione dedotti dall'inquilino
in sede di accesso dell'ufficiale giudiziario (deduzione di fronte alla quale
l'ufficiale giudiziario deve arrestare la sua attività).
In conclusione, la generica comune funzione di procrastinare il compimento dell'esecuzione
forzata non è tale, a fronte delle radicali difformità quanto a presupposti
e struttura che si sono indicate, da consentire di utilizzare l'art. 6, comma
5, della legge n. 431 del 1998, quale tertium comparationis nel sindacato di
legittimità costituzionale, ex art. 3 della Costituzione, del censurato art.
80, comma 20, della legge n. 388 del 2000; sicché la relativa questione deve
ritenersi infondata.
4.- Infondata è anche la questione sollevata con riguardo alla intrinseca irrazionalità
della norma denunciata per la mancata previsione di ogni riferimento al momento
in cui deve sussistere il possesso dei requisiti richiesti per usufruire della
sospensione ex lege della procedura esecutiva di sfratto.
Osserva questa Corte che la censura sarebbe fondata qualora davvero la norma
consentisse esclusivamente la lettura che ne offre il giudice rimettente, ma
deve escludersi che essa sia l'unica consentita dal suo tenore letterale, e
sottolinearsi, per contro, che è ben possibile una sua interpretazione conforme
al canone di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione.
L'art. 80, comma 20, della legge n. 388 del 2000, infatti, individua i beneficiari
della sospensione negli "inquilini" nel cui "nucleo familiare" vi siano ultrasessantacinquenni
o handicappati gravi.
E' del tutto evidente che la locuzione "nucleo familiare" non allude, qui, ad
un concetto tecnico e ben definito (come fa, ad esempio, ai fini dell'individuazione
dei beneficiari degli assegni familiari, l'art. 38 del d.P.R. n. 818 del 1957):
ai fini del soddisfacimento dell'esigenza di godere di un'abitazione il legislatore
ricorre - senza pretendere di interferire nella complessità e varietà dei rapporti
interpersonali, con l'operare tra di essi selezioni che suonerebbero come ingerenze
in sfere strettamente personali - ad una nozione empirica di nucleo familiare,
in tal modo alludendo ad un rapporto dotato di un grado di stabilità e continuità
tale da consentire di definirlo, a prescindere da (meramente eventuali) relazioni
di coniugio, parentela o affinità, come afferente ad un "nucleo familiare".
Peraltro, la norma de qua richiede che l'ultrasessantacinquenne o l'handicappato
grave sia inserito nel nucleo familiare dell'"inquilino", e cioè di soggetto
che occupa l'immobile in questione in forza del titolo costituito dal contratto
di locazione; laddove colui che occupa l'immobile dopo lo spirare del termine
di durata della locazione è un "occupante senza titolo", tenuto a corrispondere
al proprietario non già il canone, bensì una indennità (appunto) di occupazione.
E' evidente, allora, che l'esigenza di un minimo di stabilità e continuità della
relazione interpersonale sottesa all'atecnica locuzione "nucleo familiare" è
soddisfatta dalla norma esigendo che l'inserimento nel nucleo familiare del
soggetto (ultrasessantacinquenne o handicappato grave) in relazione al quale
è concesso il beneficio della sospensione ex lege deve risalire quanto meno
al momento in cui sussisteva ed era efficace il contratto di locazione, e con
esso la qualità di "inquilino". Così come è evidente che siffatto requisito
è verificabile dal giudice dell'esecuzione con rapidità e semplicità del tutto
compatibili con il carattere sommario dell'accertamento demandatogli dalla legge
in caso di contestazione da parte del locatore.
Non a caso, d'altra parte, la giurisprudenza dominante intende il requisito
reddituale come riferito al complesso dei componenti il "nucleo familiare",
ed adotta quale utile parametro di riferimento, al fine di stabilire se il reddito
"familiare" sia sufficiente per accedere all'affitto di una nuova abitazione,
i limiti di reddito stabiliti (dalle singole normative regionali e delle Province
autonome) per conseguire l'assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale
pubblica (cfr. circolare del Ministero dei Lavori pubblici del 23 febbraio 2001):
tale giurisprudenza, infatti, da un lato presuppone che "nucleo familiare" possa
definirsi solo quello connotato da un minimo di stabilità e continuità e, dall'altro
lato, conferma che il requisito reddituale (del nucleo familiare) per godere
della sospensione dello sfratto deve sussistere al momento (cessazione della
locazione) determinante per quello ("speculare") dell'inserimento nelle graduatorie
dei potenziali assegnatari di alloggi di edilizia residenziale pubblica.
Interpretata nel senso per cui l'inserimento nel nucleo familiare dell'ultrasessantacinquenne
o dell'handicappato grave deve risalire ad epoca anteriore alla cessazione del
rapporto di locazione la norma denunciata si sottrae ad ogni censura di irrazionalità
per la (pretesa) assenza, in essa, di un riferimento temporale quanto al possesso
dei requisiti richiesti per beneficiare della sospensione ex lege della procedura
di sfratto.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 80, comma 20, della legge 23 dicembre 2000, n. 388
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
- legge finanziaria 2001), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione,
dal Tribunale di Palermo, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 9 febbraio 2004.
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 12 febbraio 2004.
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