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REPUBBLICA ITALIANA N. 479/04 REG.DEC.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO N. 6463 REG.RIC.

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Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta ANNO 1998
ha pronunciato la seguente


DECISIONE

sul ricorso in appello n. 6463/1998 proposto da A.S.L./5 di Jesi, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Roberto Marchegiani e Giuseppe Ramadori, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo, in Roma via Marcello Prestinari n. 13.


CONTRO

Istituto Ospedaliero di Sospiro, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Giovanni Bottini e Vittorio Biagetti, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo, in Roma via Bertoloni n. 35.


E NEI CONFRONTI DI

A.S.L. n. 23 di Cremona, (ora Azienda Ospedaliera "Ospedale Maggiore" di Crema rappresentata e difesa dagli Avv.ti, R. Mangia ed E. Romanelli ed elettivamente domiciliate presso lo studio del secondo, in Roma via Cosseria n. 5.
Comune di Belvedere Ostrense rappresentato e difeso dall'avv. Alessandra Giombetti ed elettivamente domiciliato in Roma via Archimede n. 44 (studio avv. S. Coèn).

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, Sezione Staccata di Brescia, n. 244/1998 del 25 marzo 1998.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della parte appellata;
Esaminate le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti di causa;
Relatore alla pubblica udienza del 4 novembre 2003, il Consigliere Marco Lipari;
Uditi, altresì, gli avv.ti Ramadori e Villani, Colagrande e Pafundi quest'ultimi per delega di Biagetti, Giombetti e Romanelli.
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:


FATTO

La sentenza appellata, accogliendo il ricorso proposto dall'Istituto Ospedaliero di Sospiro, ha dichiarato l'Unità Sanitaria Locale n. 5 di Jesi obbligata al pagamento delle rette di degenza relative al ricovero presso l'Istituto ricorrente del Sig. Mario Rossetti, affetto da insufficienza mentale di grado elevato con disturbo autistico, disabile psichico intellettualmente e mentalmente.
L'Azienda Sanitaria n. 5 di Jesi, subentrata alla USL, impugna la sentenza, deducendo, in primo luogo, il difetto di giurisdizione amministrativa. Inoltre, l'appellante sostiene di non essere tenuta al pagamento delle rette di degenza, in quanto si tratterebbe di prestazioni non sanitarie ma assistenziali, gravanti sull'amministrazione comunale di Belvedere Ostrense. Afferma, in subordine, che se si trattasse di prestazioni sanitarie, l'onere del pagamento delle rette competerebbe alla ASL di attuale residenza dell'assistito (Azienda USL n. 23 di Cremona),
Le amministrazioni intimate contestano l'appello.


DIRITTO

Con un primo motivo, l'amministrazione appellante deduce il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sostenendo che la controversia in esame ha come oggetto "l'accertamento del diritto al pagamento delle rette di ricovero del Sig. Rossetti e, quindi, la "dichiarazione dell'obbligo" del comune di Belvedere Ostrense ovvero della ASL di Jesi (eventualmente pro quota) a tale pagamento.
A sostegno del proprio assunto, l'appellante richiama una decisione delle Sezioni Unite della Cassazione (10 gennaio 1991 n. 161), secondo la quale "la controversia fra un istituto di assistenza sociale e il comune, con riguardo all'ammontare del rimborso dovuto al primo, per rette di ricovero o mantenimento, nella disciplina del servizio sanitario nazionale introdotta dalla legge 23 dicembre 1978, n. 833, spetta alla cognizione del giudice ordinario, dato che investe posizioni di diritto soggettivo ed esula dalle ipotesi di giurisdizione esclusiva dal giudice amministrativo di cui all'articolo 29 primo comma, numeri 5 e 6, del testo unico del Consiglio di Stato 26 giugno 1924, n. 1054, mentre non rileva, al fine indicato, che l'istituto abbia chiesto statuizioni esorbitanti dai limiti interni delle attribuzioni del giudice ordinario (quale l'annullamento di atti amministrativi attinenti a quei diritti, anziché la mera disapplicazione degli stessi."
La tesi dell'appellante non è condivisibile. Al riguardo è sufficiente osservare che, ora, la controversia in esame è incontestabilmente affidata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell'articolo 33 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, come sostituito dalla legge 10 luglio 2000, n. 205.
La norma, nel riferirsi alla controversie riguardanti i servizi pubblici, prende in considerazione espressamente proprio il servizio sanitario nazionale, con la sola esclusione dei rapporti individuali di utenza. Ma la disposizione dell'articolo 33 assume una valenza più ampia e generalizzata, comprensiva anche di attività a rilevanza pubblicistica, concernenti l'espletamento del servizio assistenziale privo di connotazione sanitaria.
La ripartizione delle spese del servizio erogato tra le diverse amministrazioni a vario titolo coinvolte nell'attività considerata riguarda i profili generali di organizzazione dell'attività e presenta un'indubbia rilevanza pubblicistica, giustificando razionalmente l'attribuzione delle relative controversie al giudice amministrativo, anche quando siano dedotte, a sostegno della domanda, posizioni di diritto soggettivo.
Oltretutto, la controversia in oggetto rientra senza alcun dubbio nell'ambito delle domande riguardanti i rapporti tra il gestore del servizio (in questo caso l'Istituto di Sospiro) e le amministrazioni titolari dei poteri di organizzazione e di controllo riguardanti l'espletamento dei servizi sanitari e assistenziali.
Non vale obiettare che la controversia in esame è stata radicata dinanzi al Tar in epoca anteriore all'entrata in vigore della legge n. 205/2000. Infatti, nel caso di specie, devono trovare applicazione i consolidati principi in materia di giurisdizione sopravvenuta: non avrebbe senso logico pronunciare il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in relazione ad una controversia che, in ogni caso, dovrebbe essere riproposta dinanzi allo stesso giudice amministrativo.
Per completezza, occorre osservare che il precedente citato dall'amministrazione appellante riguarda una fattispecie diversa, e per certi aspetti simmetrica rispetto a quella considerata nella presente controversia. Nel caso affrontato dalla Cassazione, il comune agiva in giudizio chiedendo il rimborso delle spese sostenute, sul presupposto che esse non riguardassero il servizio sanitario, inerendo, invece, a prestazioni puramente assistenziali. Al contrario, nell'ipotesi in esame, l'Istituto di Sospiro ha agito nei confronti della USL di Jesi indicando quale causa pretendi la connessione dell'attività svolta con le spese di spedalità di carattere sanitario. Quindi, almeno per questa domanda sussiste la giurisdizione esclusiva amministrativa, anche sulla base dei criteri tradizionali (articolo 29, n. 7 del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato). Pertanto, la pronuncia di condanna adottata dal TAR nei confronti della amministrazione sanitaria rientra a pieno titolo nei confini della giurisdizione amministrativa, anche applicando i criteri precedenti l'entrata in vigore dell'articolo 33 del decreto legislativo n. 80/1998.
Nel merito, l'appellante sostiene che le prestazioni erogate hanno natura assistenziale e, quindi, devono gravare interamente sull'amministrazione comunale. In linea subordinata, l'appellante ritiene che le spese di degenza presso l'Istituto, se qualificate di natura sanitaria, dovrebbero gravare esclusivamente sulla ASL di attuale residenza dell'assistito e non su quella in cui il soggetto risiedeva al momento del ricovero.
L'appello è infondato.
Il collegio ritiene che:
in punto di diritto, tutte le spese di carattere sanitario anticipate dagli istituti di ricovero, cura e assistenza devono gravare sulle amministrazioni sanitarie e non sui comuni, quando siano dirette in via esclusiva o prevalente alla riabilitazione e rieducazione degli handicappati, nonché alla cura ed al recupero fisico-psichico dei malati di mente, purché le suddette prestazioni siano integrate con quelle dei servizi psichiatrici territoriali;
in punto di fatto, le prestazioni in oggetto, per le loro caratteristiche oggettive, devono considerarsi di natura sanitaria.
La Sezione ha recentemente affrontato le questioni giuridiche proposte nel presente giudizio, con particolare riguardo all'individuazione del soggetto pubblico, comunale o sanitario, tenuto a sostenere l'onere della retta di degenza per un cittadino affetto da grave insufficenza mentale (decisione n. 3377/03).
Secondo tale pronuncia, è noto che, a norma dell'art. 30 della legge 27 dicembre 1983 n. 730, sono poste a carico del servizio sanitario nazionale gli oneri delle attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio assistenziali, e che il successivo d.P.C.M. 8 agosto 1985, all'art. 1, ha definito attività di rilievo sanitario quelle "che richiedono personale e tipologie di intervento propri dei servizi socio-assistenziali, purché siano diretti immediatamente e in via prevalente alla tutela della salute del cittadino e si estrinsechino in interventi a sostegno dell'attività sanitaria di ...cura e/o riabilitazione fisica e psichica del medesimo".
In termini non sostanzialmente diversi si esprime il d.P.C.M. 14 febbraio 2001, allorché, all'art. 3, propone una classificazione che pone a carico del servizio sanitario nazionale le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, definendole come "prestazioni assistenziali che, erogate contestualmente ad adeguati interventi sociali, sono finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite o acquisite".
La ricordata normativa ministeriale, sia nella formulazione del 1985 che in quella del 2001, attribuisce rilievo sanitario agli interventi con carattere di "cura" delle patologie in atto, ma non dispone che debbano definirsi tali solo i trattamenti che lascino prevedere la guarigione o la riabilitazione del paziente. A tale riguardo pare dirimente proprio il d.P.C.M. del 2001, nella parte che considera di carattere sanitario i trattamenti volti al contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite o acquisite.
In punto di fatto, si deve rilevare che il Sig. Rossetti risulta affetto, sin dalla nascita, da "insufficienza mentale grave con disturbo autistico".
La documentazione medica prodotta dall'Istituto compie ripetuti riferimenti agli interventi sanitari e farmacologici a scopo parzialmente riabilitativo e conservativo anche per limitare eventuali comportamenti autoloesionistici dell'interessato.
Al riguardo, assume particolare rilevanza la relazione della Dottoressa Galizzi, medico psichiatra, la quale, in data 13 maggio 1991, afferma: "attualmente il disturbo autistico appare l'elemento più rilevante del quadro psicopatologico; tuttavia esso è anche inscindibilmente legato al deficit intellettivo di base di cui ha probabilmente influenzato l'evoluzione. Il paziente è in trattamento con Tioridazina e Diasepam".
Anche la successiva relazione sanitaria del 1996 evidenzia che il Sig. Rossetti è sottoposto a una articolata terapia psichiatrica, consistente in un "trattamento educativo di gruppo", diretto "al recupero possibile delle minime autonomie in precedenza acquisite ed al rallentamento dell'evoluzione autistica".
In tale contesto, il Rossetti usufruisce anche di un' "assistenza suppletiva ambientale richiesta dalla carenza intellettiva di base" per il soddisfacimento dei bisogni quotidiani. Ma si tratta di un'attività certamente non esclusiva e destinata ad integrarsi con altre prestazioni più propriamente sanitarie.
Si tratta di elementi univoci nel senso che le prestazioni erogate dall'Istituto non possono ridursi alla pura e semplice sostituzione dell'assistenza familiare. Al contrario, dette prestazioni vanno inquadrate a pieno titolo tra gli interventi sanitari, o, quanto meno, tra le attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio assistenziali, di competenza delle Aziende USSL.
Pertanto, non è condivisibile la tesi dell'appellante, secondo cui il TAR avrebbe enfatizzato l'uso da parte del Sig. Rossetti di alcuni farmaci aventi una "qualche valenza terapeutica".
Per completezza, occorre precisare che, contrariamente a quanto affermato dall'ASL appellante, l'Istituto Sospiro, in base alla convenzione stipulata con la USL competente, è una struttura destinata allo svolgimento di "prestazioni sanitarie, prestazioni di rilievo sanitario e prestazioni socio-assistenziali", oltre che all' "attività di riabilitazione per disabili psichici".
Sotto un secondo profilo, l'ASL appellante sostiene che l'onere delle spese sanitarie deve gravare sulla ASL di attuale residenza dell'assistito, individuata nella USL n. 53 di Cremona, nell'ambito del cui territorio è ubicato l'Istituto di Sospiro, presso cui il Sig. Rossetti è ricoverato.
La tesi dell'appellante non è condivisibile. La Sezione ha ripetutamente affrontato il problema interpretativo posto dall'appellante.
La recente decisione n. 6300/03 ha affermato il principio secondo cui l'ASL tenuta al pagamento è quella in cui l'assistito aveva la residenza al momento del ricovero.
Secondo la pronuncia, "A seguito dell'emanazione della legge 23 dicembre 1978, n. 833, di istituzione del servizio sanitario nazionale, le funzioni in tema di assistenza ospedaliera per le malattie fisiche e psichiche, nonché di riabilitazione dei soggetti affetti da menomazione, fisico psichiche o sensoriali, sono passate alle UU.SS.LL. (art. 14, comma terzo) nel cui territorio gli utenti interessati hanno la residenza (art. 19, comma terzo).
Oggetto centrale del giudizio è l'interpretazione di tali disposizioni, ed in particolare se per residenza debba intendersi quella del malato psichico al momento del ricovero ovvero al tempo in cui usufruisce delle prestazioni erogate dall'ente ospitante. La questione riveste notevole importanza pratica perché determina il soggetto tenuto al pagamento delle rette ospedaliere, che nel caso in esame riguardano il periodo dal 1 gennaio 1981 al 20 ottobre 1994.
In merito, il Collegio, aderendo all'orientamento già espresso dalla giurisprudenza di questa Sezione, (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 25.2.97, n. 187) ritiene che, ai fini dell'individuazione dell'ente obbligato a sostenere le spese della degenza ospedaliera dei malati psichici, debba farsi riferimento al momento del ricovero, e dunque alla residenza del malato risultante a quell'epoca, rimanendo irrilevante la circostanza che questi abbia, in seguito al ricovero, acquisito la residenza nel luogo in cui è situata la struttura dove vive stabilmente in regime di degenza ospedaliera.
Infatti, una diversa opinione condurrebbe alla conclusione, che non pare coerente con la previsione di una articolazione territoriale del S.S.N., di porre le spese di ricovero degli alienati mentali a carico delle sole UU.SS.LL. nel cui territorio si trovano le strutture ospitanti ed in proporzione alle dimensioni delle medesime. Ciò comporterebbe che una U.S.L., la quale non curi direttamente o tramite strutture convenzionate situate nel proprio ambito territoriale il ricovero di malati ivi residenti non sosterrebbe gli oneri relativi ai propri assistiti ricoverati per le necessarie cure.
La diversa tesi avanzata dal ricorrente, in base alla quale occorrerebbe, invece, tener conto della residenza acquisita dal degente nel luogo dove è situata la struttura ospitante, va disattesa.
L'interpretazione seguita da questo Collegio non è smentita, infatti, da alcuna delle norme richiamate in senso contrario dall'appellante.
La previsione contenuta negli art. 8 e 15 del d.p.r. 30 maggio 1989 n. 223, per cui la degenza oltre i due anni provoca il trasferimento della residenza del malato dal Comune di provenienza a quello ove ha sede la struttura sanitaria, inevitabile ove si ricolleghi la residenza, intesa conformemente all'interpretazione dell'art. 43 c.c., ad una situazione di fatto, non ha rilevanza per l'individuazione dell'U.S.L. obbligata al pagamento delle spedalità manicomiali (cfr. Cons. Stato, Sez. V, cit.).
Né, d'altra parte, hanno rilievo decisivo le norme che disciplinano le modalità di finanziamento della struttura del servizio sanitario.
Da un lato, l'art. 12 del d.lgs. 502/92, nel prevedere, con riguardo ai criteri di divisione del fondo sanitario nazionale, che la quota capitaria di finanziamento da assicurare alle regioni viene determinata sulla base di un sistema di coefficienti parametrici, anche con riferimento alla popolazione residente, non esclude che all'interno di quest'ultima possano essere ricompresi quei soggetti che, pur avendo trasferito la residenza anagrafica in altre regioni a seguito di un lungo ricovero ospedaliero, debbano essere ancora ritenuti residenti nel luogo in cui vivevano al momento del ricovero con riguardo alle prestazioni economiche cui è tenuta la U.S.L. che li ha avviati alle cure. Né, in proposito, può essere ritenuto influente ai fini della decisione il difforme parere del Ministero della Sanità, Dipartimenti I-II, contenuto nella nota n. 900 dell'1 marzo 1996, che non può vincolare in alcun modo l'organo giurisdizionale nell'interpretazione delle norme di legge.
Per altro verso, quanto disposto dall'art. 17, comma terzo, della legge 22 dicembre 1994, n. 887, in ordine alla circostanza che la ripartizione della quota relativa all'assistenza ospedaliera deve tener conto della mobilità interregionale ai fini della compensazione centrale, non contrasta l'orientamento di questo Collegio, nel senso di ritenere gravata dagli oneri in questione la regione di residenza originaria del malato. Infatti, tale criterio della compensazione interregionale, in ossequio proprio al principio di buona amministrazione, che erroneamente l'appellante ritiene violato, va inteso nel senso di far usufruire dell'assegnazione delle risorse del fondo sanitario nazionale, a seguito di una complessa procedura contabile, la regione di provenienza del degente, in quanto gravata dell'obbligo al pagamento delle rette del ricovero, e non la regione dove si trova la struttura ospitante, e che ha fra i propri assistiti i malati lungodegenti residenti in altre regioni all'epoca del ricovero."
La Sezione non ha motivo di discostarsi da questo orientamento, considerando che l'appellante non introduce nuovi argomenti idonei a contrastare l'interpretazione seguita dalla giurisprudenza consolidata.
Pertanto, la sentenza appellata merita conferma anche sotto questo profilo.
In definitiva, quindi, l'appello deve essere rigettato.
Le spese possono essere compensate.

Per Questi Motivi

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l'appello, compensando le spese;
ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4 novembre 2003, con l'intervento dei signori:
Agostino Elefante Presidente
Giuseppe Farina Consigliere
Aldo Fera Consigliere
Marco Lipari Consigliere Estensore
Marzio Branca Consigliere

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

f.to Marco Lipari f.to Agostino Elefante



IL SEGRETARIO
f.to Antonietta Fancello


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10 febbraio 2004
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

IL DIRIGENTE
f.to Antonio Natale