Morire di carcere. Il caso Lonzi
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Il carcere è diventato da tempo un deposito di “vite a
perdere”: tossicodipendenti, immigrati, senza dimora, disagiati psichici.
Forse per questo, troppo spesso vi avvengono morti considerate leggere
come piume. Quella di Marcello Lonzi, 29 anni, rischia di essere una di
queste. Tossicodipendente, detenuto per tentato furto, con soli 4 mesi
di reclusione ancora da scontare, il suo corpo è stato rinvenuto l’11
luglio 2003, riverso in un lago di sangue sul pavimento della cella numero
21, sezione sesta, padiglione “D” del carcere Le Sughere di Livorno.
Pochi giorni fa, il 10 dicembre 2004 è arrivata la parola giudiziariamente
conclusiva: il GIP ha archiviato il caso. Abbiamo fiducia nella correttezza
formale della sua decisione, anche perché questo stesso giudice, nel settembre
scorso, aveva respinto una prima e immediata richiesta di archiviazione
avanzata dal pubblico ministero. In seconda istanza, la richiesta è stata
invece accolta, poiché gli elementi raccolti sarebbero serviti «a escludere
ipotesi diverse da quelle che riconducono la morte del Lonzi a cause naturali».
Nell’autopsia il medico legale parla di «un’aritmia maligna instauratasi
su una ipertrofia ventricolare sinistra».
Una conclusione che non pare però sufficiente ad allontanare tutti i dubbi,
e le domande sono molte, come scrive la testata d’informazione locale
che ha riepilogato il caso: «Le ricostruzioni della vicenda che si susseguono
scandiscono una cronologia dei fatti che apre una serie di interrogativi»
(“Il Tirreno”, 10 dicembre 2004).
La nostra conoscenza del carcere e le nostre quotidiane attività di volontariato
e impegno su queste problematiche, ci hanno abituato a evitare sempre
giudizi frettolosi o superficiali, in un senso o nell’altro. La medesima
esperienza ci ha portato a conoscere e tenere presente una faccia oscura
del carcere, quale pozzo nero in cui non di rado precipitano i diritti
e la dignità delle persone.
Il carcere, per propria natura e tradizione, è spesso insofferente rispetto
agli sguardi esterni (si vedano, ad esempio, le difficoltà, lentezze e
ostruzionismi che ha incontrato la proposta di legge tesa a istituire
un Garante nazionale delle persone private della libertà, da tempo ferma
in Parlamento). Come fosse un sistema a sé, autoreferenziale e autosufficiente.
Sul sito del ministero della Giustizia è contenuta una sezione che si
chiama, curiosamente ma significativamente ,“Pianeta carcere”. Noi crediamo
che le prigioni non possano e debbano essere mai considerate un mondo
a sé stante.
Perché ciò sia possibile, occorre la garanzia della massima trasparenza,
necessaria allo stesso controllo di legalità. Occorre l’obiettiva ma tenace
ricerca della verità, quale che sia.
Noi, nel rispetto delle decisioni del GIP di Livorno, conserviamo un dubbio,
dopo aver visionato le foto del cadavere, dove si evidenziano contusioni,
ferite ed ecchimosi. Le alleghiamo qui, per offrire a tutti un elemento
diretto di valutazione, con l’avvertenza di non farle visionare a persone
impressionabili, stante la loro crudezza.
Se vi sono state percosse, come l’esame delle fotografie potrebbe indurre
a ritenere, può essere che non abbiano relazione diretta, di causa ed
effetto, con il decesso. Ma se vi sono state, occorre comunque sapere
come, quando, perché e da chi sono state poste in essere. Perché l’incolumità
e i diritti di una persona sottoposta a privazione della libertà devono
essere sempre e comunque garantiti.
La domanda che insomma vogliamo porre a questo punto, ulteriore a quelle
cui ha risposto il GIP di Livorno con l’archiviazione, è se Lonzi se abbia
mai subito violenze durante la sua permanenza in carcere.
Non ci sembrano sufficienti e convincenti le risposte del ministro della
Giustizia ad alcune interrogazioni avanzate da parlamentari di opposizione
nei mesi scorsi, laddove il ministro riferisce di percosse e lesioni denunciate
da Lonzi e riscontrate dai medici al momento dell’arresto. L’arresto infatti
è avvenuto il 3 marzo 2003, mentre le foto qui accluse sono riferite all’autopsia,
avvenuta dopo l’11 luglio 2003. Difficile credere che le lesioni evidenziate
a luglio siano le stesse del marzo.
Noi speriamo e chiediamo che ai dubbi che questa vicenda lascia in molti
vengano date risposte nette da parte di chi ne ha il potere e il dovere
istituzionale.
Per parte nostra, lavoreremo affinché vi sia informazione piena e corretta
sulla vicenda, valutando al contempo la possibilità di un esposto o ricorso
presso la Corte europea sui diritti umani. Ci aspettiamo un'informazione
piena da parte dei media e chiediamo a tutti adesioni a questa richiesta.
(scrivere a gruppoabele.milano@fastwebnet.it)
Sergio Segio (Gruppo Abele di Milano), Patrizio Gonnella
(Coordinatore nazionale di Antigone), Franco Corleone (Garante
dei diritti dei detenuti di Firenze), Ornella Favero (Ristretti
Orizzonti)
Milano, 13 dicembre 2004
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