Gruppo Solidarietà
Via D'Acquisto, 7
- 60030 Moie di Maiolati Sp. AN- ITALY
tel/fax 0731703327
grusol@grusol.it
 
Il materiale presente nel sito può essere ripreso citando la fonte
Home page - Indietro

 

Amministratore di sostegno: quali gli ambiti di applicazione, i punti cardine e le criticità della nuova legge?
Procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno e non necessità di assistenza da parte di un difensore
(Avv. Giorgio Grasselli)

(torna all'indice informazioni)

Già dalla sue prime applicazioni, la recente l. n. 6 del 2004 ha sollevato qualche dubbio, in particolare per quanto riguarda la necessità del ricorrente di avvalersi di un difensore.
Si sostiene, a tale proposito, che l’obbligo per il ricorrente di munirsi di un difensore risulterebbe da una serie di disposizioni normative che non lascerebbero dubbi al riguardo, in primo luogo l’art. 82 c.p.c., che stabilisce il principio generale per cui in ogni giudizio davanti ad un organo giurisdizionale la parte deve essere assistita da un difensore munito di procura speciale, salvo che la legge disponga altrimenti.
Si tratterebbe quindi, nel nostro caso, di dare attuazione ad una disposizione di carattere generale che costituisce esplicazione del diritto irrinunciabile alla difesa previsto dall’art. 24 della nostra Costituzione.
Si richiama sul punto il costante orientamento della Corte di Cassazione, secondo il quale, ove “il procedimento camerale tipico, disciplinato dagli artt. 737 e ss. c.p.c. sia previsto per la tutela di situazioni sostanziali di diritto o di status, esso deve essere espletato con le forme adeguate all’oggetto, tra le quali rientra il patrocinio di un procuratore legalmente esercente; con la conseguenza che il reclamo avverso provvedimento in camera di consiglio non sottoscritto da procuratore abilitato è affetto da nullità insanabile (Cass. 30.7.96, n. 6900).
Sulla base di tali considerazioni, conclude pertanto una decisione del Tribunale di Padova (decr. 21.5.2004, Famiglia e Diritto, 2004, 6, 607), affermando che la l. 9.1.2004, n. 6 “non contiene alcuna disposizione che escluda la necessità della difesa tecnica per il procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno; dunque a detto procedimento, che attiene allo status ed ai diritti delle persone, si applica la regola generale di cui al comma 3 dell’art. 82 c.p.c.”.
In sostanza, la ragione di carattere sostanziale che depone a favore della tesi che ritiene necessaria l’assistenza di un difensore nel procedimento di cui trattasi, è rinvenuta nell’analogia che parrebbe intercorrere con la disciplina in tema di interdizione e inabilitazione, ritenendosi che l’istituto dell’amministrazione di sostegno presenti, al pari dei suddetti istituti, sia pure in termini quantitativamente più lievi, una limitazione della capacità di agire. Tale motivazione, secondo gli assertori della tesi, troverebbe una ulteriore conferma sotto il profilo processuale, nel novellato art. 720 bis c.p.c., per il quale, ai procedimenti in materia di amministrazione di sostegno, si applicano “in quanto compatibili” le disposizioni per i procedimenti di interdizione e inabilitazione di cui agli artt. 712, 713, 716, 719 e 720 c.p.c.
Non si può porre in dubbio che il legislatore della l. n. 6 del 2004, richiamando le norme processuali in tema di interdizione e inabilitazione, sembri, ad un primo e sommario esame, aver inteso dettare un’unica disciplina anche al procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno. Tuttavia, vale la pena di rilevare come l’applicazione di dette norme sia subordinata al requisito della compatibilità, e ciò in quanto diverso è l’oggetto ed il fine cui è diretta l’amministrazione di sostegno rispetto all’inabilitazione e ancor più nei riguardi dell’interdizione.
Una più approfondita disamina della legge ci porta invero a rilevare notevoli differenze tra i suddetti procedimenti e soprattutto tra i provvedimenti cui essi tendono, il che è, del resto, reso palese dal fatto che, all’amministrazione di sostegno, è dedicato un capo autonomo e distinto, il Capo I°, rispetto al Capo II° che mantiene le previgente disciplina in tema di infermità di mente, interdizione e inabilitazione, con ciò confermando il carattere profondamente diverso dell’istituto.
Ed è proprio la fase introduttiva del procedimento che presenta una prima sostanziale differenza, in quanto, come recita il nuovo art. 405 c.c., competente ad emanare il provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno è il giudice tutelare, al quale pertanto va proposta la domanda e non invece al tribunale come prevede l’art. 712 c.p.c., e con ciò viene a cadere un primo argomento addotto dal Tribunale di Padova con la sopra richiamata decisione, in quanto il giudice tutelare non è un organo giurisdizionale bensì di volontaria giurisdizione.
Un’ulteriore differenza, e non di poco conto, consiste in ciò che il procedimento di cui alla l. n. 6/2004, qualora sussistano i presupposti per l’accoglimento della domanda, si esaurisce con un provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno, che è dato con decreto e non con sentenza, come avviene per il procedimento di inabilitazione o interdizione.
Questa differenza, la cui importanza non può sfuggire all’interprete, è conseguente alla finalità propria del nuovo istituto: in sostanza, il procedimento in questione non comporta alcuna declaratoria di incapacità del soggetto interessato, ma si limita ad accertare che le condizioni di vita dello stesso legittimano la richiesta di assistenza per alcuni e determinati atti. La funzione dell’amministratore di sostegno, come definita dalla sua stessa denominazione, è quindi non sostitutiva della volontà del soggetto, bensì complementare ad essa, anche per gli atti che l’amministratore di sostegno può compiere direttamente, in quanto ciò avviene in nome e per conto del beneficiario, trattandosi di atti, come la pratica della legge confermerà, che il beneficiario non può compiere, non perché non ne abbia la capacità, che altrimenti si dovrebbe avviare d’ufficio nei suoi confronti un giudizio di inabilitazione o interdizione, ma perché impedito, anche momentaneamente, per una qualche infermità fisica o psichica.
Ritengo per ciò arbitrario rinvenire analogie con istituti che sono profondamente diversi, sia per il fine che intendono realizzare, sia per l’oggetto, sia, di conseguenza, per le modalità con cui il fine è conseguito.
Il giudice tutelare, dunque, e non il tribunale, abbiamo evidenziato, è competente ad emanare il provvedimento, che è decreto e non sentenza, proprio a confermarne la non definitività e, vorremmo dire, la precarietà, perché è provvedimento non suscettibile di passare in giudicato e sempre modificabile, sia dallo stesso giudice che l’ha pronunciato, sia, eventualmente, dal giudice superiore, adito con reclamo.
Riprendendo la questione affacciata all’inizio di questo scritto - necessità dell’assistenza di un difensore -, a me sembra che i suddetti elementi abbiano un rilievo decisivo ad escludere tale necessità.
Certo è che la chiave di lettura del testo legislativo non va fatta con l’ottica di una normativa vetusta, quale è quelle in tema di interdizione o inabilitazione, poiché, nel nostro caso, l’interessato, se pure abbisognevole di assistenza, è perfettamente capace di agire, ed il decreto del giudice tutelare che nomina l’amministratore di sostegno non menoma in alcun modo tale sua capacità. Non è esatto, pertanto, invocare la giurisprudenza della S.C., secondo cui la necessità di un patrocinio di un procuratore legalmente esercente si presenta ogni qual volta anche un procedimento camerale tipico sia previsto “per la tutela di situazioni sostanziali di diritto o di status” (Trib. Padova decr. 21.5.2004), proprio perché l’amministrazione di sostegno non modifica affatto una situazione sostanziale di diritto e nemmeno di status, bensì, vorremmo dire, incide “di fatto”, assegnando ad un soggetto debole, ma capace di agire, un ausilio per alcune incombenze quotidiane.
E’ quindi errato affermare “l’omogeneità funzionale e strutturale dell’amministrazione di sostegno con gli altri istituti di protezione degli incapaci”, proprio perché il soggetto interessato all’amministrazione non è, come ho detto, un incapace, né viene dichiarato tale dal decreto di nomina dell’amministratore: egli è semplicemente un soggetto in difficoltà ad operare in certe situazioni per motivi affatto contingenti. Si pensi alla persona anziana e sola, che deambula con difficoltà, alle prese con denunce fiscali, depositi bancari, riscossione di canoni ed altro: per un siffatto soggetto, poter disporre di un amministratore che in suo nome e per conto possa consultare professionisti, redigere o far redigere denunce di redditi, richieste di pensioni e simili, è solo e soltanto un vantaggio che non incide per nulla sulle sue capacità ma anzi le amplia.
Cade così un ulteriore argomento a sostegno della tesi che qui si contesta, ovvero che esistono atti che sono annullabili (e quindi non radicalmente nulli) se compiuti dal soggetto assistito senza l’assistenza dell’amministratore.
Gli ulteriori argomenti che a tale proposito vengono addotti, consistono nella considerazione che il procedimento di nomina abbia carattere contenzioso, ma ritengo di poter tranquillamente negare tale carattere in quanto non esiste una controparte, tale non essendo il beneficiato il cui interesse si realizza semplicemente con la concessione del servizio richiesto.
Se tale affermazione appare ovvia nel caso in cui sia lo stesso soggetto interessato a presentare la domanda, si potrebbe pervenire ad una diversa conclusione se la domanda sia proposta da altri legittimati. Sul punto ci soccorre il nuovo art. 407, 2° co., c.c., che fa obbligo al giudice, prima di decidere (in ogni caso, e quindi anche in presenza di domanda proposta dallo stesso interessato), di sentire personalmente la persona cui il procedimento si riferisce e di tener conto dei bisogni e delle richieste di questa.
Sono dell’avviso che un netto rifiuto della parte all’amministrazione di sostegno, se non accompagnata da un evidente stato di menomazione psichica – che in tal caso il giudice d’ufficio può avviare il procedimento di inabilitazione o interdizione – debba indurre il giudice a non accogliere la domanda per una evidente mancanza di interesse.
In sostanza, ritengo che difetti in questo procedimento una contrapposizione di interessi tra il soggetto per il quale è chiesta l’amministrazione di sostegno ed il soggetto che tale assistenza ha richiesto.
La conseguenza è che il procedimento ha natura esclusivamente camerale e di volontaria giurisdizione, risolvendosi nella nomina dell’amministratore e nella specificazione delle sue incombenze, senza alcuna ingerenza nella capacità del beneficiario che è “sorretta” e non certo menomata. Si noti infatti che, quanto alla scelta dell’amministratore, l’art. 408 c.c. prescrive che essa deve essere fatta “con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi della persona del beneficiario”.
Il carattere di giurisdizione volontaria deriva pertanto da tali premesse, e l’obiezione più seria a tale configurazione del procedimento, che deriva dalla formulazione del nuovo art. 720 bis c.p.c. che rinvia alle norme del procedimento di interdizione anziché a quelle dei procedimenti in camera di consiglio, può essere agevolmente superata non soltanto perché l’applicabilità delle norme richiamate è subordinata al requisito della “compatibilità”, ma sopratutto perché il procedimento in questione si articola in maniera del tutto nuova ed autonoma, cosicché il presupposto della compatibilità assume una particolare rilevanza.
La competenza a decidere è infatti di un giudice monocratico, il giudice tutelare, e non del tribunale in camera di consiglio. Al giudice tutelare, e non al presidente del collegio, è affidata l’intera istruttoria, che egli compie d’ufficio, interrogando la parte ed eventualmente i congiunti più prossimi, disponendo, se lo rileva necessario, le opportune indagini tecniche medico legali. E’ lui, dunque, il dominus assoluto del processo, che dirige a sua discrezione, valutando gli elementi acquisiti ed infine decidendo sulla richiesta di nomina con decreto come previsto dall’art. 43 disp. att. cod. civ. Una siffatta procedura non si ritrova né nei procedimenti di interdizione ma nemmeno nelle c.d. disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio o in quelle relative ai minori, agli interdetti ed agli inabilitati di cui all’art. 732 c.p.c., laddove i provvedimenti sono pronunciati in camera di consiglio sentito il parere del giudice tutelare il quale pertanto non ha alcun potere decisionale.
Trattatasi quindi,come detto, di “attività di tipo amministrativo sia sotto il profilo strutturale (perché non idonea al giudicato, ma è, al contrario, caratterizzata dalla revocabilità e dalla modificabilità) e sia sotto il profilo funzionale (perché non tende ad attuare diritti, ma situazioni meno definite, riconducibili alla figura degli interessi legittimi o degli interessi semplici)” (Mandrioli 2000, III°, 399). Non vi è dubbio, quindi, che per siffatti procedimenti non vi alcuna necessità di assistenza da parte di un difensore.
Rimane infine da considerare l’aspetto delle impugnazioni, ed anche qui le opinioni divergono.
La tesi che propugna la necessità di una difesa tecnica, parte, ovviamente dal presupposto che il procedimento in questione rivestirebbe, comunque, il carattere “cameral-contenzioso” come sarebbe confermato dall’espressa previsione dell’art. 720 bis c.p.c. che prevede, nei confronti del decreto del giudice tutelare, oltre al reclamo alla corte d’appello, anche il ricorso per cassazione (cfr. Tommaseo F., amministrazione di sostegno e difesa tecnica, Famiglia e Diritto, 2004, 6, 609).
Non vi è dubbio che l’argomento testuale giovi alla tesi della necessità di un difensore tecnico, anche se, fondatamente, potrebbe essere censurata l’iniziativa del legislatore di prevedere il reclamo alla corte d’appello, anziché al Tribunale in composizione collegiale (v. art. 739 c.p.c.) avverso un provvedimento emanato da un giudice monocratico, e addirittura il ricorso per cassazione nei confronti di un decreto, provvedimento per sua natura non definitivo.
La norma dell’art. 720 bis c.p.c. diverge infatti da quanto dispone l’art. 739 c.p.c., che pure si occupa dei reclami avverso i provvedimenti del giudice tutelare, e nega l’ammissibilità dell’ulteriore reclamo avverso i provvedimenti della corte d’appello.
Tale sovrabbondanza di rimedi nei confronti di un provvedimento ritenuto ingiusto, se da un lato sottolinea ancora una volta l’autonomia del procedimento relativo all’amministrazione di sostegno, si giustifica solo per un eccesso di zelo del legislatore a salvaguardia degli interessi del beneficiario del provvedimento, ma non scalfisce nella sostanza la facoltà della parte di promuovere personalmente il procedimento di cui alla l. n. 6 del 2004, avvalendosi, se del caso, di un difensore, qualora ritenga opportuno impugnare il provvedimento ritenuto lesivo ed ingiusto.
Si deve tener presente che il giudizio d’appello si svolge, in questo caso, con le medesime formalità del giudizio di primo grado, in altre parole, il giudice superiore, oltre ad esercitare i poteri istruttori del giudice tutelare per l’acquisizione di nuovi elementi, se ritenuti necessari, può limitarsi ad una rivalutazione di quelli già acquisiti; in sostanza, il reclamo può ben limitarsi a lamentare l’ingiustizia del provvedimento impugnato senza necessità di argomentare in proposito, stanti i poteri esercitabili d’ufficio dal giudice d’appello, anche ad integrazione di carenze difensive della parte, essendo scopo primario della normativa in questione, la soddisfazione dell’interesse del beneficiario.
Sulle modalità del ricorso in cassazione nulla dice la legge, tant’è che si debba richiamare le disposizioni specificatamente previste dal codice di procedura, ed in tal caso è evidente che, se da un lato le censure debbano avere a sostegno motivi di diritto – il che, all’evidenza, è ipotesi invero eccezionale – il ricorso dovrà essere sottoscritto da un avvocato abilitato al patrocinio avanti le magistrature superiori.
Ma l’esigenza di una difesa tecnica in un procedimento che di per sé si rivela come assolutamente eccezionale e sovrabbondante, attesa la materia del contendere, non ritengo possa scalfire la tesi di base, ovvero la possibilità per la parte di promuovere il giudizio personalmente, come in definitiva si evince dal chiaro disposto dell’art. 406 c.p.c. che indica, come legittimato, in primo luogo lo “stesso soggetto beneficiario”, e fa inoltre obbligo ai responsabili dei servizi sanitari e sociali, impegnati nella cura della persona, di attivarsi per la nomina dell’amministratore di sostegno, qualora ne ravvisino la necessità.