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Tommaso Losavio e Rocco Canosa ricordano Franca Ongaro Basaglia

Tommaso Loosavio, Da "Epidemiologia e psichiatria sociale", 14, 1, 2005,

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Il 13 gennaio 2005 Franca Ongaro Basaglia e' morta nella sua casa veneziana dopo una vita intensa dedicata allo studio e alla pratica sociale, all'azione politica, a fare ricerca in modo nuovo e diverso rispetto alla
cultura scientifica dominante. Franca Ongaro era nata a Venezia nel 1928 ed aveva iniziato la sua attivita' letteraria dedicandosi alla letteratura per bambini: aveva scritto il testo Le avventure di Ulisse, illustrato dal suo amico Hugo Pratt, pubblicato a puntate sul "Corriere dei Piccoli" per il quale aveva scritto anche alcune favole e una riduzione di Piccole donne di Louise May Alcott. Nel 1962 si trasferi' con la famiglia a Gorizia dove il marito, Franco Basaglia giovane psichiatra colto ("il filosofo", lo chiamavano i colleghi), insoddisfatto dell'esperienza trascorsa nell'Universita' di Padova, rischiando non poco, aveva deciso di andare a dirigere quel manicomio di confine. Quella scommessa risulto' per molti aspetti vincente: l'esperienza goriziana riusci' ad attrarre dapprima un piccolo gruppo di giovani psichiatri e, dopo pochi anni, a dimostrare nella pratica come fosse possibile trasformare non soltanto la condizione dei malati di mente internati in manicomio, ma anche come fosse necessario ripensare criticamente ai rapporti tra follia e ragione, tra salute e malattia, tra diritti e bisogni, tra tutela e oppressione, tra eguaglianza e diversita'. Quel piccolo gruppo iniziale ha poi fatto scuola, non soltanto in Italia, e Franca Ongaro ha sempre rappresentato per chi quelle esperienze ha avuto la fortuna di viverle in prima persona, ma anche per tutti quelli che le hanno seguite con interesse e passione, una voce autorevole ma nello stesso tempo inquietante.
Franca Ongaro, in quel gruppo, seppe mantenere un ruolo importante ed autonomo, dando un contributo fondamentale alla riflessione che le pratiche di deistituzionalizzazione andavano producendo.

In tutti i suoi scritti - in collaborazione con Franco Basaglia: Che cos'e' la psichiatria (1967), L'istituzione negata (1968), Morire di classe (1969), La maggioranza deviante (1971), Crimini di pace (1975), e come autrice di Salute/malattia. Le parole della medicina (1979), Una voce. Riflessioni sulla donna (1982), oltre a molti saggi pubblicati su riviste di scienza e di politica - ha costantemente messo in guardia sui rischi di semplificare la complessita' dei problemi con i quali tutti, sani e malati, siamo costantemente costretti a fare i conti. E sulla necessita' ineludibile, pena la perdita di liberta' e di democrazia, di avere la capacita' di sostenere le contraddizioni personali, sociali e sanitarie che il campo della psichiatria rappresentava e continua a rappresentare in maniera esemplare, ma non esclusiva.
La riduzione dell'uomo sofferente a malattia, a semplice oggetto di studio e d'intervento, non puo' non condurre a forme di oggettivizzazione e di espulsione e alla negazione della sofferenza stessa sul piano teorico e alla sua espulsione dal corpo sociale, alla sua ghettizzazione in vecchi o nuovi manicomi sul piano dell'organizzazione sociale. Se cio' e' vero, e che fosse vero e' stato concretamente dimostrato per i malati di mente determinando la definitiva chiusura dei vecchi miserabili manicomi, e altrettanto vero per
tutti quei soggetti che, a causa di una loro momentanea o permanente debolezza, rischiano pericolosamente di perdere i loro diritti, oppressi da risposte inadeguate che tendono a tutelare piu' chi sta bene e chi ha la
capacita' di farsi rispettare, piuttosto che i soggetti fragili perche' malati, vecchi o piu' semplicemente poveri.
Dopo la morte di Franco Basaglia, Franca Ongaro continuo' nel suo impegno: fu eletta senatrice per due legislature dal 1984 al 1991 come indipendente nelle liste del Pci, nel 2000 ha ricevuto il premio "Ives Pelicier" della International Accademy of Law and Mental Health e nel 2001 l'Universita' di
Sassari le ha conferito la laurea honoris causa in scienze politiche.

La sua opera dovrebbe essere ancora di stimolo e di guida in un'epoca nella quale da una parte sono esaltate le capacita' e le risorse dell'individuo e dall'altra si continuano a sottrarre le possibilita' perche' quelle risorse
(tante o poche che siano) abbiano le condizioni per potersi realizzare nella concretezza della quotidianita'.
Cosa succede oggi, per esempio, nel dilagare del modello di semplificazione biologica (il Bollettino d'informazione sui farmaci inviato a tutti i medici italiani dal Ministero della Salute mette in guardia sul crescente consumo di psicofarmaci e sulla loro cattiva utilizzazione specialmente negli anziani, nei bambini e negli adolescenti) a quei malati di mente che, nonostante gli obiettivi progressi delle terapie farmacologiche, non guariscono o non guariscono nei tempi che i protocolli hanno previsto? Come e' possibile che vengano riproposte soluzioni che negano l'esistenza dell'uomo malato, i suoi bisogni, la sua storia, i suoi rapporti, le sue difficolta', riducendo tutto di nuovo semplicemente a malattia?
La lezione di Franca Ongaro e il suo impegno sono in tal senso per molti
aspetti attualissimi eppure lontani in una sanita' italiana che riduce l'efficienza a un obiettivo e non a mezzo, che fa dell'aziendalizzazione lo strumento per impoverire le gia' scarse risorse destinate a questo settore,
che delega all'industria farmaceutica gran parte della ricerca, che pone sullo sfondo la cultura dei diritti e l'etica dei servizi a favore di un mercato (pubblico e privato) della salute che fornisce, a prezzi sempre
crescenti, risposte di una scarsa efficacia.
E' incombente il rischio che possa venire cosi' disperso e vanificato quel patrimonio di risorse umane, di cultura e di attenzione al sociale ancora vivo e presente in tante persone ancora impegnate nelle strutture sanitarie e nei servizi sociali. Patrimonio in gran parte ereditato da quelle esperienze e da quelle ricerche iniziate nel piccolo manicomio di Gorizia che hanno avuto tra i protagonisti Franca Ongaro Basaglia.
Cara Franca, molti di noi sentiranno la tua mancanza, il tuo incoraggiamento, la tua tenacia, la tua speranza in un mondo capace di dare ospitalita' a tutti: cercheremo di farti conoscere ai piu' giovani, a quelli
che non hanno avuto l'opportunita' di conoscerti di persona e di lavorare insieme con te perche' il tuo impegno possa, forse con nuove forme, ma con identici contenuti, essere d'insegnamento per chi e' venuto dopo di noi e non ha vissuto in prima persona le lotte antiistituzionali, ma ha ancora voglia e piacere di mettersi in gioco e di lavorare per una societa' che tuteli tutti, ma in modo particolare quegli uomini e quelle donne che, per motivi diversi, corrono maggiori rischi di essere oppressi e messi ai
margini.

Rocco Canosa - Da "Liberazione" del 15 gennaio 2005. Rocco Canosa

"Bisogna capire che il valore dell'uomo sano e malato, va oltre il valore della salute e della malattia; che la malattia come ogni altra contraddizione umana puo' essere usata come occasione di appropriazione o di
alienazione di se', quindi come strumento di liberazione o di dominio; ... che in base al diverso valore e uso dell'uomo, salute e malattia acquistano o un valore assoluto (l'una positivo, l'altra negativo) come espressione
dell'inclusione del sano e dell'esclusione del malato dalla norma, o un valore relativo in quanto avvenimenti, esperienze, contraddizioni della vita che si svolge sempre fra salute e malattia". E' un brano tratto dal testo di
Franca Ongaro Basaglia, Salute/malattia, Einaudi, Torino 1982. Franca ci ha sostenuto in questi duri anni di lotta contro le istituzioni totali in tanti modi. Sempre presente quando la chiamavamo nelle nostre
iniziative politiche e culturali, sempre attiva nella difesa della legge 180, soprattutto durante il suo mandato al Senato, sempre rigorosa nelle analisi delle trasformazioni istituzionali della psichiatria, ci ha
insegnato molto. I suoi scritti, molti in collaborazione con Franco Basaglia, e i suoi interventi ci hanno aiutato a tener dritta la barra del timone nel nostro lavoro pratico, a superare ogni trionfalismo o
autoreferenzialita'.
Franca ci ha spinto sempre a ragionare oltre i luoghi comuni del riformismo assistenziale, a collegare i bisogni individuali con i fenomeni macrosociali, a svelare continuamente i meccanismi di potere occultati dalle "nuove scienze".
Nella voce "Follia/delirio" (op. cit.) scrive: "La storia della psichiatria consiste essenzialmente in questo continuo dare la parola a qualcosa che non puo' esprimersi in un linguaggio imposto: se il linguaggio della follia – il delirio- e' l'espressione soggettiva di bisogni e desideri che non hanno la possibilita' di esprimersi se non attraverso l'irrazionalita' e la sragione, esso non potra' mai essere il linguaggio della razionalita' del potere... La follia - accerchiata dalla ragione- dovra' esprimersi secondo questo schema interpretativo che gli e' estraneo, cioe' nel linguaggio della malattia, che e' il linguaggio della razionalita' del potere, dove la soggettivita' del folle, espressa nel delirio, sara' definitivamente oggettivata".
La straordinaria attenzione "per l'uomo malato e non per la malattia" (affermazione di Franco Basaglia che ritroviamo in un intervista per la Rai di Sergio Zavoli) e' il leit-motiv di Franca nella sua critica alla medicina
in generale. "Dipendenza, oggettivazione e passivizzazione del malato sono essenziali allo sviluppo di una medicina, che, pur fondandosi sull'esperimento e sulla verifica del corpo, non si misura e non si verifica
mai con l'uomo nella complessita' dei suoi bisogni, cioe' con l'uomo come entita' storico-sociale".
Questa riflessione, di grande attualita', e' una lancia acuminata contro le pretese di chi vuol ridurre la persona che sta male a puro oggetto di intervento e di studio, contro un approccio tecnologico e biologistico alla
sofferenza. Ci induce ad essere vigili e relativizzare costantemente il sapere clinico, il quale, sganciato dalla storia e dalla societa', produce solo sopraffazione.
Franca, anche dopo la scomparsa di Franco Basaglia, ha continuato con tenacia sia il suo lavoro scientifico, sia il suo impegno per l'applicazione della legge 180, opponendosi ai numerosi progetti di controriforma e
difendendo il servizio pubblico. Nel gennaio del 1993 ("Fogli di Informazione" n. 158) scriveva: "La natura del ricovero privato e' estranea alla ricerca di soluzioni alternative piu' adeguate alla persona, ai diversi livelli di sofferenza, ai diversi bisogni di cura, ma anche di autonomia, di rapporti e di vita... Un servizio pubblico funzionante puo' essere in grado di metter in moto tutte le risorse possibili, necessarie ad una positiva evoluzione del disturbo in famiglia, nella comunita', nelle istituzioni; cosa che la struttura privata non puo' ne' vuole fare".
In un'intervista abbastanza recente sottolineava come chi soffre di disturbi psichici raramente ha bisogno di un letto di ospedale, quindi non richiede automaticamente forme di internamento e di degenza ospedaliera prolungata. Poneva, dunque, ancora una volta l'accento sull'importanza di strutture vicine alla gente, la' dove nasce e si sviluppa il disagio.
Di Franca Ongaro Basaglia ci ha sempre colpito la capacita' di coniugare il rigore delle sue analisi teoriche con la lucidita' e l'essenzialita' delle sue proposte pratiche. Invitata al trentennale di Psichiatria Democratica,
tenutosi a Matera nel novembre del 2003, non potendo partecipare per seri motivi di salute, ci telefono' e con voce flebile ma decisa ci raccomando' di continuare a batterci affinche' le nuove strutture della psichiatria non diventassero dei nuovi manicomi, perche' le persone non subissero la violenza dei legacci e dei farmaci, perche' i pazienti potessero praticare i loro diritti.
Franca, dunque, per noi e' stato un faro di sapienza, di rigore, di continuo stimolo a migliorarci e a migliorare il mondo. Con l'affetto di sempre ricordiamo il suo cuore, la sua intelligenza e i suoi sorridenti, profondi occhi azzurri.