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Diversamenteabili? Ansiolitici linguistici!

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Chiedo ospitalità per una breve nota su un neologismo sempre più diffuso nel mondo dell’handicap, dell’informazione e della politica: "diversamenteabile", talvolta contratto in “diversabile”.
Riporto i pareri di alcuni tra i più attivi e preparati operatori italiani dell’area delle disabilità.
A. Pancaldi definisce questo termine carico di ambiguità; il giornalista F. Bomprezzi parla di deriva linguistica che, nell’enfatizzare le capacità di alcuni, ignora le persone con maggiori difficoltà; C. Giacobini, con acuta ironia, descrive il neologismo come un ansiolitico linguistico, utile al massimo a mettere in pace la coscienza di coloro che non si sono mai fatti carico sino in fondo di questi problemi; la teologa A. Zarri, infine, scrive che questa ridicola e ipocrita definizione rappresenta il colmo dell’imbarbarimento e, in fondo, dimostra una mancata accettazione di uno stato di difficoltà.
Personalmente ritengo che non si tratti di una banale questione lessicale, bensì di un tentativo maldestro e autolesionistico di sdoganare le disabilità, rimuovendo (o se preferite camuffando) i problemi reali che assillano quotidianamente le persone con disabilità e le loro famiglie.
Invece di lottare per affermare nella prassi quotidiana il diritto all’uguaglianza di opportunità, si inseguono goffamente modelli efficentisti ed estetici che, inevitabilmente, avranno ricadute negative soprattutto sulle disabilità più gravi.
Ai promotori ed ai sostenitori del neologismo, vorrei dire che ciascun essere umano è titolare di dignità e di diritti, indipendentemente dalle sue abilità.
Reputo doveroso valorizzare le abilità residue (quando ci sono), ma questo percorso ha come indispensabile presupposto il riconoscimento leale ed oggettivo dei deficit funzionali o intellettivi di ciascuno, non la loro rimozione, neanche attraverso bislacchi neologismi.
L’inserimento e l’integrazione sono possibili, da una parte, mediante provvedimenti amministrativi che favoriscano i progetti di vita di ciascuno colmandone gli svantaggi, dall’altra, attraverso processi culturali di accettazione lunghi e complessi, non certo proponendo nuove e ambigue definizioni.
Le persone disabili, soprattutto quelle con minori o nessuna abilità, hanno bisogno di pensioni decorose, di servizi di sollievo per i familiari, di assistenti alla persona preparati, di centri diurni e residenziali accoglienti e umani, di trasporti accessibili, etc. e non di questi biglietti da visita ingenui, ma anche fuorvianti.
Vale la pena ricordare che il termine "diversamenteabile" non ha nessuna connotazione scientifica, né alcuna valenza sul piano legislativo ed è intraducibile in altre lingue. L'Organizzazione Mondiale della Sanità, che il 22 maggio 2001 ha approvato la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, suggerisce di usare il termine "persone disabili" o "persone con disabilità". In ogni caso l'OMS conferma l'importante principio secondo il quale le persone hanno il diritto di essere chiamate con il loro nome e non nei termini delle loro menomazioni.
Concludo riportando una dedica illuminante di G. Pontiggia in un suo bel libro: “A tutte le persone disabili che lottano, non per diventare uguali agli altri, ma se stessi”.
Riguarda tutti.
Udine, 14 gennaio 2005
Innocentino Chiandetti
Presidente U.I.L.D.M. – Udine