Da La nonviolenza e' in cammino,
n. 980 del 3 luglio 2005 - Centro di ricerca per la pace di
Viterbo. e-mail: nbawac@tin.it
Francesco Comina: Alex Langer fragile come la speranza
f.comina@ladige.it, da L’ADIGE
3 luglio 2005.
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Permettete un ricordo personale di Alexander Langer. Nel dicembre del
1994 mi arriṿ in dono un abbonamento alla rivista di Forli' "Una Citta'"
con una lettera di Alex in cui presentava questo nuovo progetto editoriale
e indicava i presupposti per un impegno politico "a partire dal territorio
e dai cittadini impegnati e non dai salotti televisivi o dalle stanze
dei partiti". Era il regalo che Langer faceva per natale a circa 800 amici.
Un mese prima lo avevo invitato a parlare a Merano, nell'ambito di una
giornata interetnica organizzata da Pax Christi con il titolo tutto langeriano:
"I muri non si costruiscono da soli". Alex elenco' i dieci punti per l'elaborazione
di un ordinamento della convivenza pluriculturale. Lo sentii al telefono
poche settimane prima del suo ultimo e tragico addio, che mi ricorda sempre
quello di frei Tito, il domenicano brasiliano morto suicida su un albero
a Lione dopo essere fuggito alle torture e alle sevizie della dittatura
nel carcere di San Paolo. Volli ringraziarlo per il dono di natale e rinnovargli
l'invito a proseguire il decalogo sulla convivenza in una nuova edizione
della giornata interetnica che avevo in mente di organizzare in autunno
a Bolzano. Lui come sempre disse di si', sorridendo come lo vidi sorridere
ad Assisi quando arrivo' al convegno giovanile della Cittadella con un
enorme zaino per lanciare il motto della societa'
eco-compatibile: "Lentius, profundius, suavius", piu' lenti, piu' profondi,
piu' dolci.
Ma il 3 luglio del 1995 Alex fuggi' dalle ombre della storia appendendosi
all'albero di albicocche a Pian dei Giullari (Firenze): "I pesi mi sono
divenuti davvero insostenibili, non ce la faccio piu' - lascio' scritto
nei
bigliettini d'addio - 'Venite a me, voi che siete stanchi ed oberati'.
Anche nell'accettare questo invito mi manca la forza. Cosi' me ne vado
piu' disperato che mai. Non siate tristi, continuate in cio' che era giusto".
Credo che Langer sia stato l'ultimo politico italiano ad aver cercato
con tutte le forze di fondere insieme etica e politica, profezia e storia,
liberta' e responsabilita', alterita' e identita'. Fino alla fine. Fino
a cadere per troppo amore.
Edi Rabini e' stato l'amico di sempre di Alex Langer, il suo braccio operativo,
potremmo dire con un linguaggio forse poco appropriato. Inutile chiedere
a Rabini quali sono stati i motivi del suicidio perche' quei motivi resteranno
sempre inconoscibili, come sono sempre misteriosi i momenti dell'inizio
e della fine di ogni vita umana. Nessuna ricerca di causa-effetto ne'
con l'eccidio di Srebrenica in ex Jugoslavia, ne' con
l'esclusione della candidatura a sindaco di Bolzano di Alex e della lista
che lo sosteneva alle elezioni comunali del '95 perche' obiettore al censimento
etnico. "Alex aveva vissuto tante tragedie umane, tante
difficolta' personali - spiega Rabini - era passato attraverso il dramma
dell'Albania, le uccisioni indiscriminate in Brasile, per cui non possiamo
parlare di causa-effetto rispetto al dramma di Srebrenica. Eppure la coincidenza
dell'eccidio e della sua tragica morte ce la teniamo bene stretta. L'elaborazione
del lutto per le morti violente, sia che si tratti di omicidio o suicidio,
non finisce mai. Cosi' e' accaduto in Ruanda, cosi' e' accaduto in Sudafrica
con quello straordinario tribunale per la riconciliazione e la verita'
per gli anni dell'apartheid". "Alex – continua Rabini - parlava spesso
in forma di metafora, per cui se ci fosse stata davvero una relazione
fra l'eccidio di Srebrenica e la sua fine lo avrebbe
scritto nei biglietti che ci ha lasciato".
"E' incredibile - prosegue ancora Rabini - come dopo la sua morte siano
venute a galla innumerevoli presenze di uomini, donne, giovani, con i
quali Alex aveva instaurato collegamenti personali. Si e' resa concreta
quell'etica del rapporto diretto che ha rappresentato sempre una costante
nella vita di Langer, fin dal suo primo attivismo al ginnasio". Rabini
ricorda il colloquio che Langer ha avuto con don Lorenzo Milani durante
gli anni degli studi universitari a Firenze. In particolar modo una parabola,
che don Lorenzo racconto' al giovane altoatesino che era salito a Barbina
per esprimere al priore il suo sogno di cambiare il mondo: "Io so come
andra' al giudizio universale" racconto' don Milani: "Il Signore Iddio
chiamera', insieme a me, davanti a se' il rettore del collegio dei gesuiti
a Milano. Dira' al rettore 'vedi, tu sei stato sempre con i ricchi. Hai
fatto le loro stesse letture, hai condiviso la loro compagnia, sei stato
loro commensale, hai educato i loro figli - non puoi non essere diventato
come loro. Hai sbagliato tutto, credendo magari di far bene. Hai chiuso
gli occhi davanti a coloro che rappresentavano me, e ti sei immedesimato
nei loro oppressori. Guarda invece don Lorenzo che e' qui accanto a te:
lui ha scelto unilateralmente. Lui ha capito che non si possono amare
concretamente piu' di 3-400 persone, ed ha scelto i poveri, i suoi campagnoli.
Si e' messo
dallal loro parte e ha condiviso il loro mondo'". La lezione di don Dilani
accompagnera' Langer per tutta la vita (sua anche la traduzione in tedesco
di Lettera a una professoressa).
Negli anni del suo impegno frenetico all'Europarlamento, Langer terra'
vivo lo spirito del rapporto diretto con i gruppi attivi nei vari contesti
internazionali. Anche gli incontri che ebbe con i testimoni del tempo,
come con il famoso sindacalista brasiliano difensore dell'Amazzonia, Chico
Mendes, fatto uccidere da un potente allevatore di Manaus, o con l'allora
fondatore del partito dei lavoratori rurali, Ignacio Lula da Silva, oggi
presidente del Brasile, o con l'intellettuale "eretico" Ivan Illich, o
con il sindaco "santo" di Firenze Giorgio La Pira, o con il vescovo della
pace presidente di Pax Christi don Tonino Bello, erano per Langer non
un semplice bisogno di conoscenza ma un'esigenza di far crescere l'amicizia
e la collaborazione perche' la cultura dei diritti e della pace dilagasse
sulla terra. Ecco perche' i suoi atti politici non si esaurivano con la
formulazione di una semplice interrogazione parlamentare, ma diventavano
progetti concreti di partecipazione personale al riscatto dei poveri,
come e' accaduto per un gruppo di indios Xavantes, oppure i pigmei del
Congo difesi dal missionario bolzanino Antonio Mazzucato, oppure per i
giovani albanesi o gli universitari di Sarajevo.
"Alex era forte e fragile allo stesso tempo - racconta Lidia Menapace,
figura storica del pacifismo italiano - era colto, aveva un attivismo
formidabile, una profondita' di analisi unica, eppure fragile anche per
via
della commistione di elementi che caratterizzavano la sua identita' poliedrica".
Menapace conosceva bene Alex: "Mi ha invitato molte volte a Firenze a
parlare con gli studenti. Scriveva per la rivista di Giorgio La
Pira, "Politica", con lo pseudonimo di Alessandro Longo. Poi ci incontravamo
nelle ore piu' incredibili della notte in qualche treno o in qualche stazione
italiana di ritorno da un convegno, da un incontro. Sbaglio' -
prosegue la Menapace - quando penso' che a Sarajevo bastasse sparare su
certe colline per fermare la guerra, e fui contro la sua decisione di
chiedere l'intervento della Nato per porre termine al conflitto. Quella
richiesta creo' un certo sconcerto nel movimento per la pace, pero' oggi
il movimento gli perdona quel passaggio e noto con gioia che Langer e'
considerato una icona della cultura della pace".
Lidia Menapace propende a pensare che ci sia un nesso fra il suicidio
di Alex e l'esclusione della sua candidatura a sindaco di Bolzano: "Lo
ricordo in quei mesi, era molto scosso, molto deluso di sentirsi rifiutato
dalla citta'. Credo che la genesi del suicidio possa rintracciarsi in
questo momento di delusione molto forte, che egli sentiva come una sconfitta
personale e culturale".
Lo storico altoatesino Leopold Steurer ha discusso tanto con Langer, soprattutto
negli anni in cui era consigliere provinciale. "Alex non riusciva mai
a dire no. Era come convocato da un senso immenso della
responsabilita' a dire si' a chiunque lo chiamasse. Aveva dentro di se'
uno spirito francescano radicale. Alex ha dimostrato nel concreto che
si puo' morire anche per troppa bonta'. Alla fine l'equilibrio psicofisico
non regge piu', la mente si adombra, non riesci piu' a stare in piedi.
In questo senso prendo per buono l'appello di Adriano Sofri a non voler
emulare Alexander Langer, perche' una azione di altruismo senza ancore,
rischia di diventare fatale".
Lo sa l'ex assessore all'urbanistica del Comune di Bolzano, Silvano Bassetti,
che insieme ad Alex ha condiviso gli anni di Lotta Continua. Entrambi
rientravano a Bolzano dopo aver militato nel '68 studentesco,
Bassetti a Milano, nel gruppo storico della Cattolica (con Capanna e gli
altri), Langer a Firenze nel ribollire del dissenso cattolico. "Io mi
occupavo del settore scuola di Lc, lui era attivo nel progetto sull'immigrazione.
Langer trascorse parte della sua militanza in Germania, dove mise in piedi
una sezione tedesca. Credo che fu in quel momento che egli tesse' i rapporti
con il cuore dirigente della sinistra europea, che poi approdera' nei
Verdi, da Daniel Cohn Bendit a Joschka Fischer. Langer porto' in Lc le
sue tematiche interetniche, che nei programmi nazionali erano praticamente
assenti. E dalla Germania porto' in Italia il tema ambientale dandogli
profilo politico". Con lo scioglimento di Lotta Continua, il rapporto
fra Bassetti e Langer si fa discontinuo. "Ci fu anche un contrasto molto
forte quando, nel '92, accettai di candidarmi per la lista Senza Confini,
che aveva come candidato forte in Trentino l'intellettuale della nonviolenza
Giuliano Pontara. Langer avverti' quel mio rientro in campo come un tradimento
nei confronti del progetto verde che lui portava avanti con grande forza
e intensita'". "Langer - continua Bassetti - personalizzava molto l'amore
e il conflitto. Quello che ci distingueva era l'idea della politica. Lui
sentiva come una ossessione profetica della politica, io che mi abbevero
alle sorgenti della profezia, sentivo invece il bisogno di dare tempo
alla politica di fare i suoi corsi, di mettere in moto le sue procedure.
Eppure oggi Langer manca moltissimo, la sua statura, la sua cultura, la
sua comprensione delle cose, hanno lasciato un gran vuoto nella politica,
nelle istituzioni e nella societa' civile".
Il giornalista e saggista Paolo Valente, all'epoca dela morte di Langer
direttore del settimanale diocesano "Il Segno", traccia cosi' l'importanza
del politico verde: "Alex Langer e' stato uno dei rari politici altoatesini
in grado di comunicare e di mettersi nei panni delle persone di entrambi
i gruppi linguistici e di vedere oltre i ristretti confini provinciali
e nazionali. E' stata una persona che ha dato dignita' alla politica intesa
come servizio incondizionato al bene comune e non come autoaffermazione
personale o mera lotta per il potere fine a se stesso. Questa dedizione
totale lo ha portato ad incontrare l'aspetto tragico della politica intesa
in questo senso. Tragico perche' in esso la tensione al bene si scontra
con una realta' di segno opposto. Credo che cio' che lo ha fatto cedere
e' stata l'amara sensazione di non vedere una reale via d'uscita ai mali
che affliggono il mondo. Di vedere ovunque prevalere gli interessi di
bottega sul bene comune. Sono constatazioni che fanno sentire inadeguati
e soli". E conclude Valente: "Il suo non e' stato un idealismo senza senso
della realta': in molti casi e' stata vera e propria profezia capace di
far emergere le molte contraddizioni di una situazione, come quella altoatesina,
in cui in molti campi predomina il tabu'".
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