IL RAPPORTO 2005
La dedica al Presidente del Senegal Abdoulaye Wade
(torna all'indice informazioni)
Il Rapporto 2005 di Nessuno tocchi Caino, curato anche
quest’anno da Elisabetta Zamparutti ed edito da Marsilio, è dedicato al
Presidente del Senegal, Abdoulaye Wade, autore della Prefazione e insignito
del Premio “L’Abolizionista dell’Anno 2005”, inaugurato quest’anno da
Nessuno tocchi Caino quale riconoscimento alla personalità che più di
ogni altra si è impegnata sul fronte della moratoria delle esecuzioni
capitali e dell’abolizione della pena di morte.
Abdoulaye Wade è stato eletto Presidente del Senegal il 19 marzo del 2000,
dopo quarant’anni dall’indipendenza del paese e alle prime elezioni giudicate
veramente libere e imparziali da osservatori internazionali.
Il 7 gennaio 2001 è stata approvata una nuova Costituzione che ha concesso
alle donne il diritto a possedere la terra e, dopo le elezioni politiche
dell’aprile 2001, il Presidente Wade ha designato una donna come primo
ministro. Era la prima volta che accadeva in Senegal, un paese con una
popolazione al 94 per cento musulmana.
La nuova Costituzione non fa riferimento esplicito alla pena di morte,
ma afferma: “L’essere umano è sacro e inviolabile. Lo stato ha l’obbligo
di rispettarlo e proteggerlo”.
Il 15 luglio 2004, il Consiglio dei ministri ha voluto cancellare ogni
margine di dubbio e ha approvato un progetto di legge relativo all’abolizione
completa della pena capitale. Lo stesso giorno, il Presidente Wade che
lo aveva sottoposto al governo ha deciso di portarlo anche all’esame del
parlamento. I fascicoli dei quattro prigionieri ancora nel braccio della
morte senegalese sono stati inviati al Presidente della Repubblica che
ha commutato le loro sentenze in pene detentive.
Il 10 dicembre 2004, nella giornata mondiale dei diritti umani, l’Assemblea
Nazionale del Senegal ha approvato all'unanimità la proposta del Presidente
della Repubblica Abdoulaye Wade che abolisce la pena di morte per tutti
i reati in Senegal, il terzo paese africano a maggioranza islamica ad
aver abolito totalmente la pena di morte.
Il Premio Abolizionista dell’Anno 2005
L’opera in bronzo, creata dall’artista Massimo Liberti per il Premio “L’Abolizionista
dell’Anno”, raffigura una Terra a forma di palloncino sul quale sono seduti
dei bambini per volare più in alto e guardare lontano. Vista di fronte,
l’opera pone in rilievo l’Africa, il continente-simbolo di una storia,
quella di Caino e di Abele, che lì ha visto forse la sua rappresentazione
più tragica, ma anche il luogo dal quale giungono al mondo sempre più
forti segnali di nonviolenza e di speranza. L’opera è dedicata al Presidente
Abdoulaye Wade, l’artefice dell’abolizione della pena di morte in Senegal,
avvenuta il 10 dicembre 2004, nella Giornata Mondiale dei Diritti Umani.
SINTESI DEI FATTI PIU’ IMPORTANTI DEL 2004
(e dei primi mesi del 2005)
La situazione ad oggi
L’evoluzione positiva verso l’abolizione della pena di morte in atto nel
mondo da almeno dieci anni, si è confermata anche nel 2004 e nei primi
mesi del 2005.
I paesi o i territori che hanno deciso di abolirla per legge o in pratica
sono oggi 138. Di questi, i paesi totalmente abolizionisti sono
86; gli abolizionisti per crimini ordinari sono 11;
1 paese, la Russia, in quanto membro del Consiglio d’Europa
è impegnato ad abolirla e, nel frattempo, attua una moratoria delle esecuzioni;
quelli che hanno introdotto una moratoria delle esecuzioni sono
5; i paesi abolizionisti di fatto, che non eseguono cioè sentenze
capitali da oltre dieci anni, sono 35. Dall’inizio del 2004, 3
paesi sono passati dal fronte dei mantenitori a quello a vario titolo
abolizionista, mentre altri 5 hanno fatto ulteriori passi in avanti
all’interno dello stesso fronte abolizionista.
I paesi mantenitori della pena di morte sono 58, a fronte dei 61
del 2003 e dei 64 del 2002.
La tendenza a un abbandono della pena di morte trova conferma anche nel
fatto che diminuisce ogni anno non solo il numero dei paesi mantenitori,
ma tra questi anche quello di coloro che la praticano effettivamente.
Nel 2004, solo 25 di questi paesi hanno effettuato esecuzioni,
a fronte dei 30 del 2003 e dei 34 nel 2002.
Di conseguenza, è diminuito anche il numero delle esecuzioni nel mondo.
Nel 2004 sono state almeno 5.476, a fronte delle almeno 5.607 del
2003.
Ancora una volta, l’Asia si è confermata essere il continente dove
si pratica la quasi totalità della pena di morte nel mondo. Se contiamo
che in Cina vi sono state almeno 5.000 esecuzioni, il dato complessivo
del 2004 corrisponde ad almeno 5.403 esecuzioni, in diminuzione
comunque rispetto al 2003, quando ne erano state registrate almeno 5.482.
Le Americhe sarebbero un continente praticamente libero dalla pena
di morte, se non fosse per le 59 persone giustiziate negli Stati
Uniti, l’unico paese del continente che ha compiuto esecuzioni nel
2004, anche se sono in costante calo rispetto agli anni precedenti (erano
state 65 nel 2003 e 71 nel 2002).
In Africa la pena di morte è caduta ormai in disuso: nel 2004 è
stata eseguita in soli tre paesi – Egitto, Sudan e Somalia
– dove sono state registrate almeno 9 esecuzioni contro le 56 del
2003 e le 63 del 2002 effettuate in tutto il continente.
In Europa vi è una sola macchia che deturpa l’immagine di continente
totalmente libero dalla pena di morte: la Bielorussia che nel 2004
ha effettuato almeno 5 esecuzioni.
Cina, Iran e Vietnam i primi paesi boia del 2004
Dei 58 mantenitori della pena di morte, 44 sono paesi dittatoriali,
autoritari o illiberali. In questi paesi, nel 2004, sono state compiute
almeno 5.411 esecuzioni, pari al 98,8% del totale mondiale.
Un paese solo, la Cina, ne ha effettuate almeno 5.000, circa
il 91,3% del totale mondiale; l’Iran ne ha effettuate almeno
197; il Vietnam almeno 82; nella Corea del Nord,
il numero è imprecisato, ma siamo nell’ordine di parecchie decine; l’Arabia
Saudita almeno 38; il Pakistan almeno 29; il
Bangladesh almeno 12; il Kuwait almeno 9;
l’Egitto almeno 6.
Molti di questi paesi non forniscono statistiche ufficiali sulla pratica
della pena di morte, per cui il numero delle esecuzioni potrebbe essere
molto più alto.
A ben vedere, in questi paesi, la soluzione definitiva del problema, più
che alla lotta contro la pena di morte, attiene alla lotta per la democrazia,
l’affermazione dello stato di diritto, la promozione e il rispetto dei
diritti politici e delle libertà civili.
Sul terribile podio dei primi tre paesi che nel 2004 hanno compiuto più
esecuzioni nel mondo figurano tre paesi autoritari: la Cina, l’Iran
e il Vietnam.
Cina, primatista ufficiale di esecuzioni nel mondo
La pena di morte continua a essere in Cina un segreto di stato
ma nel 2004, per la prima volta, una stima realistica sulla carneficina
giudiziaria cinese è filtrata dall’interno dello stesso regime comunista
ed è stata pubblicata da un giornale controllato dallo stato.
Secondo Chen Zhonglin, deputato al Congresso Nazionale del Popolo per
la municipalità di Chongqing, “ogni anno in Cina vengono emesse circa
10.000 condanne a morte che vengono immediatamente eseguite, un dato circa
cinque volte superiore a quello di tutti gli altri casi capitali di tutte
le altre nazioni messe insieme.” La sua dichiarazione è uscita sul 'Quotidiano
della Gioventù Cinese' del 15 marzo 2004 e conferma la Cina come primo
paese boia al mondo, un primato che molto probabilmente resterà imbattuto
nella storia moderna della pena di morte.
Già nel 2002, era emerso che 15.000 persone erano state mandate a morte
ogni anno in Cina dal 1998 al 2001, ma la notizia era stata pubblicata
in un volume, Disidai o La Quarta Generazione, scritto da
un membro interno del partito che aveva usato uno pseudonimo, quello di
Zong Hairen. Mentre la notizia che nel 2003 erano state giustiziate circa
5.000 persone era stata riferita da una fonte giudiziaria, rimasta anonima.
Questi dati superano ampiamente le cifre più alte stimate dagli occidentali
sulle esecuzioni cinesi.
Nessuno tocchi Caino ritiene che la stima più vicina alla realtà sia,
anche per il 2004, tra le 5.000 e le 10.000 esecuzioni.
Il 9 marzo 2005, davanti al Congresso Nazionale del Popolo riunito in
sessione ordinaria, il capo della Procura Suprema del Popolo, Jia Chunwang,
ha reso noto i risultati della repressione in Cina che nell'arco del solo
2004 ha portato in carcere più di ottocentomila persone per “minacce alla
sicurezza dello Stato” oppure per “attività terroristiche, separatistiche
o comunque estremistiche”.
Nel nome della sicurezza nazionale e dell’ordine pubblico, sono finiti
nel mirino delle autorità autori di omicidi, attentati dinamitardi e incendi,
ma anche il pacifico dissenso politico. ‘Minacce’ o ‘messa a repentaglio’
della sicurezza statale è la formula giuridica in forza della quale il
regime comunista cinese legittima la detenzione di dissidenti e oppositori:
anche nel 2004 migliaia di questi ultimi sono stati rinchiusi in prigione
su tali basi, specie in Tibet e nella provincia nord-occidentale dello
Xinjiang, l'ex Turkestan a maggioranza musulmana e turcofona. Numerosi
separatisti uiguri sono stati condannati a morte o giustiziati nel 2004.
Nel corso dell’anno e sulle stesse basi, si è inasprita pure la persecuzione
dei sospetti appartenenti al Falun Gong, movimento spirituale bandito
nel 1999 come “culto malvagio” e accusato di minacciare il potere del
Partito Comunista.
Per prevenire ogni censura della comunità internazionale, il Governo cinese
sta considerando di restituire alla Corte Suprema del Popolo il potere
esclusivo di approvare le condanne a morte, come è stato fino al 1983,
quando il potere di emettere gli ordini di esecuzione è stato concesso
anche alle Alte Corti delle Province, che sono 300 in tutto il paese.
Il cambiamento dovrebbe portare a una notevole riduzione del numero di
esecuzioni praticate nel Paese.
Iran, di nuovo secondo sul podio della disumanità
Nel 2004 l’Iran è salito di nuovo sull’orribile podio olimpico dei primi
paesi boia del mondo, battendo anche la prestazione dell’anno prima. Le
esecuzioni sono state almeno 197, a fronte delle 154 del 2003. Si è piazzato
sempre al secondo posto, dopo la Cina, anche se in rapporto alla popolazione
è come se fosse arrivato primo.
I dati reali sulle esecuzioni potrebbero essere ancora più alti: le autorità
non forniscono statistiche ufficiali e i numeri riportati sono relativi
alle sole notizie pubblicate dai giornali iraniani, che evidentemente
non riportano tutte le esecuzioni.
Nel 2004, la stampa iraniana ha riportato l’esecuzione pubblica di almeno
5 donne, tra cui una ragazza di 16 anni, Atefeh (Sahaleh) Rajabi, impiccata
in pubblico a Neka il 15 agosto. L’Iran ha giustiziato almeno tre minorenni
nel 2004 e altri 11 sono stati condannati a morte.
Secondo le stesse autorità, molte esecuzioni in Iran sono relative a reati
di droga, ma è opinione di osservatori sui diritti umani che molti di
quelli giustiziati per reati comuni, in particolare per droga, possano
essere in realtà oppositori politici.
Non c’è solo la pena di morte, secondo i dettami della Sharia iraniana,
ci sono anche torture, amputazioni degli arti, fustigazioni e altre punizioni
crudeli, disumane e degradanti. Non si tratta di casi isolati e avvengono
in aperto contrasto con il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici
che l’Iran ha ratificato e queste pratiche vieta.
Vietnam
Nella graduatoria mondiale della pena di morte eseguita, il
Vietnam si piazzato al terzo posto.
L’escalation di esecuzioni registrata negli ultimi anni, in particolare
per reati di droga, ha raggiunto il suo culmine nel 2004. A gennaio, il
governo vietnamita ha stabilito essere un reato diffondere informazioni
sulla pena di morte, classificate come segreto di stato, ma in base alle
notizie ricavate da media statali e da fonti giudiziarie, le condanne
a morte comminate nel corso dell’anno sono state almeno 115 e almeno 82
le esecuzioni, tra cui almeno 11 nei confronti di donne. Le persone messe
a morte nel 2003 erano state almeno 69. Ma il numero reale delle esecuzioni
nel paese è molto probabilmente più alto di quello che filtra pubblicamente.
In alcuni casi, in particolare nelle zone rurali del Vietnam, le persone
sono state processate da tribunali “ambulanti”, presieduti da funzionari
giudiziari locali e all’aperto. In questi procedimenti gli imputati non
godono di garanzie adeguate, raramente possono scegliersi un avvocato,
il quale peraltro ha un minimo accesso al suo cliente.
Democrazia e pena di morte
Dei 58 paesi mantenitori della pena di morte, sono 14 quelli
che possiamo definire di democrazia liberale, con ciò considerando non
solo il sistema politico del paese, ma anche il sistema dei diritti umani,
il rispetto dei diritti civili e politici, delle libertà economiche e
delle regole dello stato di diritto. Le democrazie liberali che nel 2004
hanno praticato la pena di morte sono state 4 e hanno effettuato
in tutto 65 esecuzioni, pari all’1,2% del totale mondiale:
Stati Uniti (59), Taiwan (3), Giappone (2) e India
(1).
Nel 2004, non vi sono state esecuzioni in Mongolia, Thailandia
e Botswana, gli altri tre dei sei paesi democratici che nel
2003 avevano giustiziato dei condannati a morte.
Si conferma quindi anche per quest’anno la tendenza in corso da almeno
cinque anni nelle democrazie liberali ad abbandonare la pratica della
pena di morte. Le esecuzioni nei paesi liberali erano state 81 nel 2003,
91 nel 2002, 97 nel 2001 e 108 nel 2000.
Nel 2004, si è confermata negli Stati Uniti la tendenza in corso
da alcuni anni a una diminuzione del numero delle esecuzioni, delle condanne
e dei detenuti nel braccio della morte. A fronte delle 65 del 2003, le
esecuzioni nel 2004 sono state 59 e segnano un calo del 40% rispetto al
1999, anno record - con le 98 esecuzioni effettuate - nella storia moderna
della pena di morte in America, dopo la sua reintroduzione nel 1976. Non
si è confermata solo la diminuzione del numero delle esecuzioni, ma anche
delle nuove condanne a morte pronunciate dai tribunali. Nel 2004 le sentenze
capitali sono state 125 (erano state 144 nel 2003), il 54% in meno rispetto
al 1999. E’ diminuito anche il numero dei detenuti nel braccio della morte
che, a fronte dei 3.504 del 2003, sono scesi a 3.471, il 4% in meno rispetto
al 1999.
Inoltre, dai sondaggi risulta che si sta riducendo anche il sostegno della
popolazione alla pena capitale, in particolare quando è data la possibilità
di scegliere tra pena di morte ed ergastolo senza condizionale. L’ultimo
sondaggio della Gallup, che è del maggio 2004, ha rilevato che il 50%
degli americani è a favore della pena di morte e il 46% è favorevole invece
all’ergastolo senza condizionale. Nel 1997 il divario tra le due opzioni
era del 32%.
Hanno contribuito a riaprire la discussione sulla pena di morte, soprattutto,
le continue scoperte di errori giudiziari. Nel 2004 vi sono state altre
6 persone liberate perchè riconosciute innocenti, il che porta a 119 (al
28 febbraio 2005) il totale degli esonerati dal 1973.
Hanno inciso sicuramente sul numero delle condanne a morte e delle esecuzioni
capitali le due sentenze della Corte Suprema degli Stati Uniti del 2002
che hanno stabilito, l’una, l’incostituzionalità delle norme che attribuiscono
a un giudice monocratico, anziché a una giuria, la decisione della pena
nei casi capitali e, l’altra, che l’esecuzione di condannati a morte minorati
mentali è una pena “crudele e inusuale” e per questo è incostituzionale.
Il ciclo di decisioni garantiste si è chiuso, per ora, con la sentenza
del 1° marzo 2005 con cui la Corte Suprema ha dichiarato incostituzionale
la pena di morte nei confronti di persone condannate per crimini commessi
quando avevano meno di 18 anni. Una sentenza di portata storica, che allinea
gli Stati Uniti al diritto internazionale, elimina un argomento di forte
polemica nei loro confronti e consegna a una manciata ormai di paesi totalitari
o illiberali l’esclusiva su una pratica che è vietata da tutti i trattati
sui diritti umani, dal Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici
alla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo.
Ma la vera battaglia sulla pena di morte si sta giocando a livello di
legislature statali. Nel 2004, si è continuato a discutere di moratoria
delle esecuzioni capitali o abolizione della pena di morte in molti dei
38 stati mantenitori della federazione americana. Si è trattato per lo
più di dibattiti parlamentari legati ai dubbi su come la pena di morte
viene applicata. Il fatto più rilevante a livello statale è avvenuto nel
2005 nello Stato di New York, dove il 12 aprile la Commissione
Giustizia dell’Assemblea statale ha respinto con 11 voti contro 7 il progetto
relativo a una nuova legge sulla pena di morte lasciando così in vigor
il blocco delle esecuzioni stabilito, nel giugno 2004, dalla Corte d’Appello
di Albany.
In controtendenza a quanto sta accadendo negli Stati Uniti, il Maryland
ha effettuato nel 2004 la prima esecuzione dopo sei anni di
moratoria di fatto, mentre il Connecticut le ha riprese nel 2005
dopo 45 anni.
Il Giappone mantiene il massimo riserbo sulle esecuzioni. I detenuti
di solito non sono informati sulla data della loro esecuzione fino al
giorno dell'impiccagione. Poiché vengono avvertiti solo un'ora prima,
non possono incontrare i parenti o presentare un appello finale. Il governo
si limita a dichiarare il numero di detenuti giustiziati, rifiutando perfino
di rivelarne i nomi.
Le persone giustiziate nel 2004 sono state due, a fronte di una sola uccisa
nel 2003. Le esecuzioni sono avvenute il 14 settembre e, come al solito,
il Ministero della Giustizia non ha reso noti i nomi dei due uomini, che
però sono stati identificati dagli organi di informazione locali come
Mamoru Takuma e Sueo Shimazaki. Dopo le due impiccagioni, le autorità
giapponesi hanno annunciato che continueranno a non rivelare i nomi dei
giustiziati. “Bisogna, tra l'altro, tutelare la privacy delle famiglie,”
ha dichiarato il ministro della Giustizia, Daizo Nozawa.
Secondo uno studio condotto da Kyodo News e basato su dati forniti da
organismi giudiziari, 42 persone sono state condannate a morte da tribunali
giapponesi nel 2004. A fronte delle 12 dell’anno precedente, il numero
delle condanne a morte del 2004 è stato il più alto dal 1980, anno in
cui i tribunali hanno cominciato a rilevare i dati.
Il 14 agosto 2004, è stata effettuata la prima esecuzione in India
dopo nove anni di una moratoria di fatto. Un ex custode di 39 anni, Dhananjay
Chatterjee, è stato impiccato nel carcere di Alipora a Calcutta, nel Bengala
occidentale.
L'esecuzione ha necessitato il richiamo in servizio di Nata Mullick, un
boia di 84 anni in pensione che, aiutato dal figlio e dal nipote, aveva
detto di non aver problemi nell'eseguire la condanna.
Le ultime esecuzioni conosciute erano avvenute nel 1995, quando furono
impiccate 5 persone.
Negli ultimi anni, il numero dei detenuti nel braccio della morte e dei
giustiziati a Taiwan ha mostrato un chiaro declino, risultato della
volontà più volte manifestata dal governo di arrivare all’abolizione della
pena di morte e, più in generale, di una maggiore attenzione alla tutela
dei diritti umani.
Dopo l’abrogazione nel gennaio 2002 della “Legge sui banditi”, con la
quale sono state riviste anche le norme sulla obbligatorietà della pena
di morte e limitato il suo campo di applicazione e l'abolizione nell’
ottobre 2002 della pena di morte per i minori di 18 anni, nel gennaio
2005 il parlamento di Taiwan ha promulgato una riforma del Codice Penale
che prevede l’abolizione graduale della pena di morte.
L’evoluzione positiva nel senso su descritto si è tradotta in una drastica
riduzione delle condanne a morte e delle esecuzioni nel paese. Dalle 32
esecuzioni nel 1998 si è passati alle 24 nel 1999, alle 17 nel 2000, alle
10 nel 2001, alle 9 nel 2002, alle 7 nel 2003 e alle 3 soltanto effettuate
nel 2004.
L’ultima esecuzione è avvenuta nella prigione di Taichung, il 12 gennaio
2005.
Abolizioni legali, di fatto e moratorie
Il trend mondiale verso l’abolizione di diritto o di fatto della pena
di morte in corso ormai da oltre dieci anni ha trovato una decisa conferma
anche nel 2004 e nei primi mesi del 2005.
Dall’inizio del 2004, 3 paesi sono passati dal fronte dei mantenitori
a quello a vario titolo abolizionista: il Tagikistan ha abolito
totalmente la pena di morte, mentre Tanzania e Saint Vincent
e Grenadine hanno superato dieci anni senza praticarla e quindi vanno
considerati abolizionisti di fatto.
Altri 5 hanno fatto ulteriori passi in avanti all’interno dello
stesso fronte abolizionista: Samoa, Bhutan e Senegal,
già abolizionisti di fatto, sono diventati totalmente abolizionisti, mentre
la Turchia e la Grecia, già abolizionisti per crimini ordinari,
hanno abolito la pena di morte in tutte le circostanze.
Conferme e ulteriori progressi sono stati registrati in altri due paesi:
il Kirghizistan ha prorogato di un altro anno una moratoria legale
delle esecuzioni in atto dal 1998; il Senato del Messico ha approvato
in seconda lettura un disegno di legge che elimina dalla Costituzione
la possibilità per i tribunali militari di emettere condanne a morte.
Ulteriori passi verso l’abolizione o sviluppi positivi si sono verificati
nei seguenti paesi: Algeria, Corea del Sud, Filippine, Giamaica,
Guatemala, Kazakistan, Kenia, New Mexico, Nigeria, Sierra
Leone, Taiwan, Uzbekistan e Zambia.
Ripristino della pena di morte e ripresa delle esecuzioni
Sul fronte opposto, dall’inizio del 2004 quattro paesi hanno ripreso le
esecuzioni dopo anni di sospensione. Nel gennaio del 2004, il Libano
ha ripreso le esecuzioni dopo cinque anni di moratoria di fatto. Ad aprile
2004, l’Afghanistan ha compiuto la prima esecuzione dalla caduta
dei Talebani. Nell’agosto 2004, è stata effettuata la prima esecuzione
in India dopo nove anni di una moratoria di fatto. Sempre ad agosto
2004, l’Indonesia ha ripreso le esecuzioni dopo tre anni di sospensione.
In controtendenza a quanto avviene negli Stati Uniti, nel giugno 2004
il Maryland ha effettuato la prima esecuzione dopo sei anni
di moratoria di fatto e il 13 maggio 2005 il Connecticut ha ripreso
le esecuzioni dopo 45 anni.
L’8 agosto 2004, l’Iraq ha ripristinato la pena di morte, dopo
un anno di sospensione dalla caduta del regime di Saddam Hussein. Lo Sri
Lanka, che ne aveva annunciato la ripresa, non ha finora effettuato
nessuna esecuzione.
Il 12 giugno 2005, giustiziando quattro detenuti condannati per omicidio,
l'Autorità Palestinese ha interrotto una moratoria di fatto delle
esecuzioni che durava da tre anni.
Pena di morte in base alla Sharia
Nel 2004, almeno 315 esecuzioni sono state effettuate in 15
paesi a maggioranza musulmana, molte delle quali ordinate da tribunali
islamici in base a una stretta applicazione della Sharia. Ma il problema
non è il Corano, perché non tutti i paesi islamici che a esso si ispirano
praticano la pena di morte o fanno di quel testo il proprio Codice Penale,
civile o, addirittura, la propria Carta fondamentale. Il problema è la
traduzione letterale di un testo millenario in norme penali, punizioni
e prescrizioni valide per i nostri giorni, operata da regimi fondamentalisti,
dittatoriali o autoritari al fine di impedire qualsiasi processo democratico.
Dei 48 paesi a maggioranza musulmana nel mondo, 23 possono
essere considerati a vario titolo abolizionisti, mentre i mantenitori
della pena di morte sono 25, dei quali solo 15 l’hanno praticata
nel 2004.
Impiccagione, crocifissione, decapitazione e fucilazione, sono stati i
metodi con cui è stata applicata la Sharia nel 2004.
Condanne a morte tramite lapidazione sono state emesse nel 2004 solo in
Nigeria e in Iran, ma nessuna è stata eseguita. Una
donna è stata lapidata in Afghanistan nel 2005, ma si è trattato
di una esecuzione extra-giudiziaria, effettuata dal marito della donna
a seguito di una decisione di un Mullah locale.
L’alternativa alla lapidazione, in esecuzione di sentenze capitali in
base alla Sharia, può essere l’impiccagione, la quale è preferita per
gli uomini ma non risparmia le donne. Impiccagioni in base alla Sharia
sono state effettuate nel 2004 in Iran, Kuwait, Pakistan,
Siria e Sudan. L’impiccagione è spesso eseguita in pubblico
e combinata a pene supplementari come la fustigazione e l’amputazione
degli arti prima dell’esecuzione. E’ quel che è accaduto in molti casi
in Iran, dove le esecuzioni sono state a volte contestate dalla
folla chiamata ad assistervi.
La decapitazione come metodo per eseguire sentenze in base alla Sharia,
è un’esclusiva dell’Arabia Saudita, il paese islamico che segue
l’interpretazione più rigida della legge islamica e che fa registrare
un numero di esecuzioni tra i più alti al mondo, sia in termini assoluti
che in percentuale sulla popolazione. Il record è stato stabilito nel
1995 con 191 esecuzioni. Le esecuzioni nel 2004 sono state 38, il numero
più basso nella storia degli ultimi anni, ma subito superato nei primi
mesi del 2005 con le 42 esecuzioni già effettuate (al 18 aprile 2005).
Non propriamente una punizione islamica, la fucilazione è pure stata applicata
nel 2004 in esecuzione di condanne in base alla Sharia in Pakistan,
Yemen e Somalia.
Pena di morte nei confronti dei minori
Applicare la pena di morte a persone che avevano meno di 18 anni al momento
del reato è in aperto contrasto con quanto stabilito dal Patto Internazionale
sui Diritti Civili e Politici e dalla Convenzione delle Nazioni Unite
sui Diritti del Fanciullo.
Nel 2004, sono stati giustiziati nel mondo almeno 5 minorenni: in Cina
(1), Iran (3) e Pakistan (1). Un altro minorenne è stato
impiccato in Iran nel gennaio del 2005.
Sebbene la legge cinese escluda espressamente l’esecuzioni di persone
che abbiano commesso il reato quando avevano meno di 18 anni, minorenni
hanno continuato a essere giustiziati a causa di una scarsa attenzione
da parte dei tribunali nell’accertamento dell’età effettiva degli imputati.
In base alla legge iraniana, le femmine di età superiore a nove anni e
i maschi con più di quindici anni sono considerati adulti e, quindi, possono
essere condannati a morte, anche se le esecuzioni sono normalmente effettuate
al compimento del diciottesimo anno d’età. Secondo l’avvocatessa iraniana
Fahimeh Hajmohammad-Ali, nel carcere minorile di Teheran e in quello di
Rajai-Shahr, al 16 gennaio 2005, c’erano almeno 30 persone condannate
a morte che avevano meno 18 anni quando hanno compiuto il reato.
Nel dicembre 2004, l’Alta Corte di Lahore nel Punjab, la più popolosa
provincia del Pakistan, ha abrogato la legge federale che aboliva la pena
di morte per i minori di 18 anni, rendendo ammissibile l’esecuzione di
bambini maggiori di sette anni. La decisione della corte di Lahore è stata
impugnata di fronte alla Corte Suprema la quale, l’11 febbraio 2005, ha
sospeso la sentenza in attesa di una sua decisione sulla questione. Il
30 novembre 2004, in completa violazione dell’Ordinanza sul Sistema della
Giustizia Minorile del 2000, un ragazzo di nove anni, Rehmat Ali alias
Raja, era stato giustiziato nel Punjab, nella prigione di Bahawalpur dove
era detenuto con l’accusa di omicidio.
Nel luglio del 2004, sette detenuti minori di 18 anni erano ancora presenti
nel braccio della morte delle Filippine.
Il 1° marzo 2005, dopo ventidue minori di 18 anni al momento del reato
giustiziati dal 1976, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha dichiarato
incostituzionale questa pratica. Decidendo con 5 voti contro 4 sul caso
'Roper contro Simmons', incentrato sulla vicenda di un condannato a morte
del Missouri, Christopher Simmons, che aveva ucciso a 17 anni, la Corte
si è ispirata all'ottavo emendamento alla Costituzione, che vieta punizioni
ritenute “crudeli o inusuali”. Dei 38 stati su 50 della Federazione, erano
19 quelli che ancora ammettevano le esecuzioni di minori. L’abolizione
della pena capitale nei loro confronti ha avuto effetto immediato per
circa 72 detenuti nei bracci della morte degli Stati Uniti. Il gruppo
più consistente che ora sfugge all'iniezione letale è in Texas, dove sono
29 i detenuti che beneficiano della decisione. L’ultimo minorenne è stato
giustiziato nel 2003, in Oklahoma, il che ha portato a 22 il numero dei
minori di 18 anni al momento del reato giustiziati negli Stati Uniti dal
1976 (13 sono stati uccisi dal Texas).
La “guerra alla droga”
Anche per il 2004, il proibizionismo sulle droghe ha dato un contributo
consistente alla pratica della pena di morte. Nel nome della guerra alla
droga e in base a leggi sempre più restrittive, sono state effettuate
esecuzioni in Arabia Saudita, Cina, Kuwait, Indonesia,
Iran, Singapore e Vietnam. In Thailandia, fermate
quelle legali, nel corso dell’anno si è assistito a un’ondata di esecuzioni
sommarie o extragiudiziarie.
Delle 38 esecuzioni del 2004 in Arabia Saudita, 14 sono state effettuate
per reati di droga.
Come accade di solito in Cina in prossimità di feste nazionali
e di date simboliche internazionali, decine di trafficanti di droga sono
stati condannati a morte o giustiziati in occasione del 26 giugno 2004,
Giornata Internazionale Contro la Droga.
Delle nove persone messe a morte in Kuwait nel 2004, due erano
state condannate per traffico di droga.
Tutte e tre le esecuzioni avvenute in Indonesia nel 2004 sono state
effettuate per traffico internazionale di eroina.
Secondo le stesse autorità, molte esecuzioni in Iran sono relative
a reati di droga, ma è opinione di osservatori sui diritti umani che molti
di quelli giustiziati per reati comuni, in particolare per droga, possano
essere in realtà oppositori politici.
A Singapore la pena di morte è obbligatoria per il traffico di
15 grammi o più di eroina, 30 grammi di cocaina o 500 grammi di cannabis
Il governo, di solito molto restio a fornire dati sulla applicazione della
pena di morte, ha reso noto il 30 gennaio 2004 che tra il 1998 e il 2003
sono state giustiziate 138 persone, 110 delle quali punite per reati di
droga.
Nel 2004, si è registrata in Vietnam una escalation nell’applicazione
della pena di morte e delle 82 esecuzioni pubblicate da media statali
almeno 44 sono state effettuate per traffico di droga.
Le ultime esecuzioni legali in Thailandia sono state effettuate
nel dicembre 2003 proprio nei confronti di tre presunti spacciatori di
droga, per i quali era stato inaugurato il nuovo metodo di esecuzione
tramite iniezione letale. Fermate quelle legali, nel corso del 2004 si
è assistito a un’ondata di esecuzioni sommarie o extragiudiziarie. Il
3 ottobre 2004, il capo del governo Thaksin ha annunciato una nuova fase
della guerra alla droga, promettendo “misure brutali” contro i trafficanti,
considerati un pericolo per la sicurezza sociale e nazionale.
La “guerra al terrorismo”
Nel 2004, proposte di legge antiterrorismo che prevedono l’applicazione
della pena di morte e una restrizione delle libertà pubbliche e dei diritti
civili, sono state approvate in Qatar, Bangladesh e negli
Emirati Arabi Uniti. Paesi come Indonesia e India
hanno, invece, rivisto in senso garantista la loro legislazione antiterrorismo.
Una proposta di legge che prevede la pena di morte per azioni “terroristiche”
è stata presentata dal governo del Bahrein nell’aprile del 2005.
In nome della lotta al terrorismo e “legittimati” dalla partecipazione
alla Grande Coalizione nata in seguito agli attentati dell’11 settembre
negli Stati Uniti, paesi autoritari e illiberali hanno continuato nella
violazione dei diritti umani al proprio interno e, in alcuni casi, hanno
giustiziato e perseguitato persone in realtà coinvolte solo nella opposizione
pacifica o in attività sgradite al regime. Ciò è avvenuto, in particolare,
in Cina nei confronti di leader musulmani Uiguri del movimento
che lotta per uno stato indipendente nel Turkestan Orientale. In base
ai suoi stessi dati, le autorità cinesi hanno comminato 50 condanne a
morte da gennaio ad agosto 2004 per attività separatiste. La persecuzione
di appartenenti a movimenti religiosi o spirituali Nel 2004, sono continuati
in alcuni paesi gli attacchi, gli interrogatori, le incarcerazioni e i
maltrattamenti fisici nei confronti di membri di movimenti religiosi o
spirituali non autorizzati dallo Stato.
In Cina, centinaia di luoghi di culto, moschee “clandestine”, templi
tibetani, seminari, chiese cattoliche e chiese protestanti “domestiche”,
sono stati chiusi dalla polizia e, in alcuni casi, demoliti. Centinaia
di migliaia di praticanti del Falun Gong sono ancora costretti in prigione,
nei campi di rieducazione o nei manicomi dove sono stati sottoposti al
“lavaggio del cervello”. Da quando è iniziata la persecuzione nei loro
confronti nel luglio del 1999 fino ad aprile 2005, il Falun Gong ha denunciato
1.880 morti, avvenute spesso a seguito di torture e maltrattamenti subiti
in carcere. Nel 2004, gruppi religiosi e per la difesa dei diritti umani
fuori dalla Corea del Nord hanno continuato a fornire informazioni
relative alla persecuzione di protestanti, cattolici, buddisti e membri
di chiese cristiane clandestine. Fedeli cristiani sono stati imprigionati,
picchiati, torturati o uccisi per aver letto la Bibbia e predicato su
Dio, in particolare per aver avuto legami con gruppi evangelici operanti
oltre confine in Cina.
La dura persecuzione iniziata nel 1998 nei confronti dei cristiani del
Laos è continuata nel 2004. Intimidazioni sono state messe in atto
in tutto il paese e molti fedeli sono stati imprigionati. Alcuni di loro
sono stati costretti a sottoscrivere forme di abiura dalla loro religione.
Alcuni altri sono stati messi alla prova e costretti a partecipare a rituali
animisti, fumare, bere alcol e sangue.
Non si è interrotta nel 2004 la campagna condotta in Vietnam contro
le chiese cristiane “illegali”, “contaminate dai protestanti americani
e quindi contrarie agli interessi del paese”. Particolarmente dura la
repressione nei confronti dei Montagnard, la minoranza etnica di religione
cristiana che abita gli altipiani centrali. Nella giornata del 10 aprile
2004, in occasione della Pasqua, migliaia di Montagnard hanno condotto
manifestazioni pacifiche sugli altipiani centrali per chiedere la fine
degli anni di persecuzione religiosa, di confisca delle terre ancestrali
e di negazione di autonomia politica che hanno subito. Le forze paramilitari
vietnamite hanno attaccato i manifestanti. In una dichiarazione del 22
aprile 2004, Human Rights Watch ha riferito di “decine di protestanti
feriti durante le manifestazioni”, con alcuni di loro “picchiati a morte”.
Palestina, pena di morte ed esecuzioni sommarie per collaborazione
con Israele
Da quando l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) è stata istituita nel
1994, sono stati giustiziati undici palestinesi, di cui due per aver “collaborato”
con Israele. Le ultime esecuzioni legali in Palestina sono state quattro,
sono avvenute il 12 giugno 2005 e tutte per omicidio. Ma, in dieci anni
di vita dell’ANP, oltre 100 palestinesi, sospettati di aver collaborato
con Israele, sono stati linciati o fucilati per strada, la maggior parte
ad opera di membri del gruppo della fazione di Fatah dell’attuale Presidente
dell’Autorità Mahmoud Abbas (Abu Mazen), le Brigate dei Martiri di Al
Aksa, che sono andate a prenderli nelle loro case, nei commissariati,
nel carcere in cui erano detenuti o nelle aule di giustizia dove venivano
processati.
Secondo il Palestinian Human Rights Monitoring Group, 19 palestinesi sono
stati “giustiziati” in questo modo nel 2004. Altri 6 “collaboratori” sono
stati uccisi sommariamente nei primi due mesi del 2005.
Delle otto condanne a morte emesse dai tribunali dell’ANP nel 2004, tre
sono state per “collaborazionismo” nei confronti di Israele.
Secondo una notizia non smentita uscita sul Jerusalem Post del 16 febbraio
2005, il Presidente Abu Mazen ha autorizzato l’esecuzione di tre palestinesi
condannati a morte per aver “collaborato” con Israele. Se i tre presunti
collaborazionisti venissero giustiziati sarebbe la prima volta che accade
dopo le due esecuzioni effettuate nel 2001 e autorizzate da Yasser Arafat.
Dopo quelle esecuzioni, l’Autorità Palestinese aveva assicurato alla Unione
Europea che non ce ne sarebbero state altre. Il 4 maggio 2005, in risposta
all’interrogazione presentata dagli europarlamentari Marco Pannella e
Emma Bonino, la Commissione europea ha dichiarato di essere estremamente
preoccupata dalla prospettiva di una ripresa delle esecuzioni in Palestina
e ha invitato l’Autorità a non ratificare e a non eseguire nessuna condanna
a morte.
La pena di morte “top secret”
Molti paesi, per lo più autoritari, non forniscono statistiche ufficiali
sulla applicazione della pena di morte.
In Cina e Vietnam la questione è considerata per legge un
segreto di stato e le notizie di esecuzioni riportate dai giornali locali
rappresentano una minima parte del fenomeno.
In piena continuità con la tradizione sovietica, la pena di morte è considerata
un segreto di stato anche in Bielorussia, Kirghizistan,
Tagikistan e Uzbekistan. In questi paesi i dati disponibili
su condanne a morte ed esecuzioni sono quelli forniti da organizzazioni
internazionali oppure relativi solo a notizie uscite su media statali
o dalle prigioni tramite parenti dei giustiziati. Anche qui il numero
reale delle esecuzioni potrebbe essere molto più alto.
In quasi tutti i paesi autoritari, dall’Egitto all’Iran,
allo Yemen o al Sudan, dove pure non esiste segreto di stato
sulla pena di morte, il governo non pubblica statistiche nè fornisce dati
ufficiali. Le sole informazioni disponibili sulle esecuzioni sono tratte
da notizie uscite su media statali che evidentemente non riportano tutti
i fatti. Ci sono poi situazioni in cui le esecuzioni sono tenute assolutamente
nascoste e le notizie non filtrano nemmeno dai giornali locali. È il caso
della Corea del Nord e della Siria.
Vi sono paesi, infine, dove le esecuzioni sono di dominio pubblico solo
una volta che sono state effettuate. I familiari, gli avvocati e gli stessi
detenuti condannati a morte, sono tenuti all’oscuro del giorno in cui
sarà eseguita la sentenza. E’ quel che avviene ad esempio in Arabia
Saudita e Giappone.
La “civiltà” dell’iniezione letale
I paesi che hanno deciso recentemente di passare dalla sedia elettrica,
dall’impiccagione o dalla fucilazione alla iniezione letale come metodo
di esecuzione, hanno presentato il cambio come una conquista di civiltà
e un modo più umano e indolore per giustiziare i condannati a morte. La
realtà è diversa.
Il 15 aprile 2005, l'autorevole rivista scientifica The Lancet
ha divulgato una ricerca dell’Università di Miami secondo la quale la
procedura seguita negli istituti penitenziari degli Stati Uniti
che applicano la pena di morte per iniezione letale infligge sofferenze
e dolori atroci ai condannati. Secondo il gruppo di ricercatori dell'istituto
di Medicina Miller dell'Università di Miami, il modo in cui vengono praticate
le iniezioni non è in linea neppure con gli standard utilizzati dai veterinari
per la soppressione degli animali. Prima dell'iniezione del veleno che
ne provocherà la morte per soffocamento, al condannato viene oggi praticata
un'anestesia per ridurre al minimo il dolore fisico che altrimenti risulterebbe
particolarmente devastante. Esaminando i dati degli esami post-mortem
compiuti sul sangue di 49 carcerati uccisi in Arizona, Georgia e nella
Carolina del Nord e del Sud, i ricercatori hanno trovato in 43 casi una
dose di anestetico inferiore a quella normalmente usata per gli interventi
chirurgici. In 21 casi, la concentrazione era tale da far dire che i prigionieri
potevano essere coscienti quando è stato iniettato loro il veleno. È possibile
che alcuni fossero del tutto svegli e dunque hanno dovuto sopportare impotenti,
senza muoversi e respirare, mentre il cianuro di potassio bruciava nelle
vene.
Nel 1997, la Cina ha introdotto il metodo dell’iniezione letale
(applicata per la prima volta nello Yunnan) e, di recente, in molte Province
sono state allestite delle unità mobili su dei furgoni opportunamente
modificati che raggiungono il luogo dell’esecuzione. Il furgone della
morte è una comune camionetta della polizia bianca e blu, al cui interno
si trova un lettino che si alza e abbassa come un tavolo operatorio. In
un raro racconto pubblicato su un giornale di un’esecuzione avvenuta il
19 gennaio 2005 a Liaoyang, la capitale della Provincia di Liaoning, si
legge che il condannato, Li Jiao, dopo il verdetto, è stato portato in
un luogo nei pressi del tribunale, a circa 10 minuti di guida. I furgoni,
che costano 48.000 euro ciascuno, sono dotati di televisione a circuito
chiuso, il che ha permesso di trasmettere in diretta l’esecuzione di Li
ai membri locali del Congresso Nazionale del Popolo, riuniti nella camera
mortuaria della città. Questo tipo di furgoni circolano in diverse province,
sono “sistemi puliti e semplici”, definiti “progresso” dai funzionari
cinesi. La morte con iniezione costa allo Stato circa 92 euro, ma è gratis
per i parenti della vittima, che una volta dovevano pagare il costo della
pallottola che aveva ucciso il proprio caro. Il metodo dell’iniezione
letale è stato usato nel 2004 in Cina a mo’ di legge del contrappasso
nei confronti di grossi trafficanti di eroina ma anche di piccoli spacciatori.
Boia cercasi
Anche nel 2004, è accaduto in alcuni stati che la penuria di boia abbia
impedito o ritardato l’esecuzione di condanne a morte.
In Bangladesh, in mancanza di boia ufficiali, si è pensato di far
ricorso a detenuti “affidabili”. Le esecuzioni nel 2004 sono state 12,
una delle quali è stata portata a termine per mano di un detenuto del
carcere. La prima impiccagione del 2005, avvenuta il 6 maggio, è stata
affidata a quattro detenuti di un’altra prigione, adeguatamente preparati.
In India, per la prima esecuzione dopo nove anni di una moratoria
di fatto, è stato richiamato un boia di 84 anni in pensione che, aiutato
dal figlio e dal nipote, aveva detto di non aver problemi nell'eseguire
la condanna.
A Papua Nuova Guinea e in Uganda, gli operatori penitenziari
hanno obiettato che il mestiere di boia contravviene ai loro doveri che
sono garantire la sicurezza delle carceri e la riabilitazione dei detenuti.
Nel febbraio 2003, le guardie carcerarie e i dirigenti della prigione
di Bomana a Papua avevano comunicato che non avrebbero impiccato un detenuto
per omicidio e che il giudice responsabile della condanna a morte avrebbe
dovuto “eseguirla lui stesso”. Il 24 novembre 2004, funzionari del carcere
della contea di Kawolo, in Uganda, hanno chiesto al governo di assumere
del personale esterno per impiccare i detenuti nel braccio della morte.
“Quando rimangono in carcere per un lungo periodo, questi detenuti diventano
per noi come dei parenti. Impiccandoli ci sembrerebbe di impiccare dei
nostri familiari,” ha detto il direttore del carcere, John Ssenjobe.
In Malesia, si è pensato a un incentivo economico. Nel marzo 2005,
i funzionari delle prigioni malesi addetti alle impiccagioni e alle fustigazioni
hanno ricevuto un aumento di paga. Per ogni impiccagione, il boia riceverà
490 Ringgits malesi (circa 100 euro) al posto dei 300 Ringgits (60 euro)
di prima. Per ogni colpo di canna di bambù riceveranno 10 Ringgits (2
euro) al posto dei 3 Ringgits (60 centesimi) di prima.
LE PROSPETTIVE DELLA CAMPAGNA PER LA MORATORIA ONU DELLE ESECUZIONI
Il 20 aprile 2005, per il nono anno consecutivo, la Commissione Onu per
i Diritti Umani ha approvato la risoluzione contro la pena di morte presentata
dall’Unione Europea. Il numero record di cosponsor, 81, ottenuto quest’anno
a Ginevra testimonia del fatto che una risoluzione con gli stessi contenuti
potrebbe essere approvata anche subito dall’Assemblea Generale dell’Onu
a New York. Ma l’analisi dei dati evidenzia anche il limite rappresentato
oggi dall’Unione Europea nella possibilità di sviluppare e rafforzare
l’iniziativa internazionale contro la pena di morte. Per la prima volta
quest’anno, non vi è stato nessun nuovo co-patrocinatore, segno evidente
che l’Unione Europea rappresenta ormai un ostacolo e non un elemento di
forza nel prosieguo dell’iniziativa in sede Onu. Non è stata in grado,
infatti, di tenere insieme i 92 paesi che nell’arco di questi anni hanno
sostenuto l’iniziativa all’Onu e tanto meno è riuscita a suscitare nuove
simpatie.
La posizione dell’Unione Europea, diventata sempre più dubbiosa nel corso
degli anni, è oggi decisamente contraria al passaggio della risoluzione
pro moratoria in Assemblea Generale. E’ dell’avviso che sia più prudente
aspettare finché non ci sarà un maggior consenso internazionale e una
previsione di voto favorevole in Assemblea non solo certa nella maggioranza,
ma prossima all’unanimità. Non considera, l’Unione Europea, che una decisione
a favore della moratoria da parte dell’organismo maggiormente rappresentativo
della Comunità Internazionale, seppure presa a maggioranza, avrebbe l’indiscutibile
effetto di consolidare l’opinione mondiale della necessità di mettere
al bando le esecuzioni capitali così contribuendo allo sviluppo dell’intero
sistema dei diritti umani.
In base alle previsioni di voto di Nessuno tocchi Caino, una proposta
di “moratoria universale delle esecuzioni, in vista dell’abolizione della
pena di morte”, passerà con la maggioranza assoluta dei voti: tra i 95
e i 103 paesi voteranno a favore, tra i 19 e i 27
si asterranno, tra i 62 e i 69 voteranno contro. Un
emendamento tendente a riaffermare il primato della “giurisdizione interna”
su questa come su altre materie inerenti ai diritti umani, che sarà certamente
avanzato da Egitto e Singapore e altri paesi mantenitori, sarà respinto
con 94 voti contrari, 75 voti a favore e 20 astensioni
e 2 paesi indecisi tra voto contrario e astensione.
Sono dati che illustrano un sicuro e ampio successo in Assemblea Generale.
Ma, di fronte a tante titubanze e cautele, è forse giunto il momento di
prendere atto dell’inadeguatezza dell’Unione Europea nel condurre a buon
fine l’iniziativa e di constatare che, per dare nuova e maggiore forza
in vista soprattutto della presentazione della risoluzione pro moratoria
al Palazzo di Vetro, è necessario creare una “coalizione” di paesi promotori
che veda coinvolti stati rappresentativi di tutti continenti, non solo
europei e occidentali.
In fondo, il fronte abolizionista non ha le sue basi solo in Europa.
Le Americhe sono un continente praticamente libero dalla pena di
morte. Nel Sud ci sono paesi che l’hanno abolita oltre un secolo fa, ad
esempio, il Venezuela che l’ha formalmente abolita nel 1863, il
primo stato moderno a farlo. In centro-america, il Messico è il
paese che più si è esposto a livello internazionale contro la pena di
morte. Nel 2001, la Corte Suprema ha stabilito per la prima volta che
è incostituzionale estradare cittadini messicani in paesi dove rischiano
l’ergastolo, non solo la pena di morte.
In Africa la pena di morte è caduta ormai in disuso. La situazione
è totalmente cambiata negli ultimi anni: su 53 paesi, quelli mantenitori
si sono ridotti a 21 e il trend appare ancora più significativo se si
considera che nel 1990 vi era un solo paese abolizionista per legge, Capo
Verde. Oggi, quelli che hanno abolito completamente la pena di morte
sono 12, tra cui il Senegal che lo ha fatto il 10 dicembre scorso,
scegliendo la data più simbolica, quella della Giornata Mondiale dei Diritti
Umani.
Anche se l’Asia si è confermata nel 2004 essere il continente dove
si pratica la quasi totalità della pena di morte nel mondo, non mancano
esempi che vanno in senso opposto. In Asia centrale, dopo l’abolizione
avvenuta nel febbraio 2005 in Tagikistan, è rimasto solo l'Uzbekistan
fra le cinque repubbliche ex sovietiche a praticare la pena di morte.
Nel sud-est asiatico, è emblematico il caso di Timor Est, il primo
Stato venuto alla luce nel terzo millennio all’insegna dell’abolizione
totale della pena di morte.
Australia e Nuova Zelanda sono stati in questi anni gli
sponsor più fedeli della risoluzione a Ginevra e potranno svolgere un
ruolo decisivo nei confronti dei piccoli paesi della regione e in vista
di un voto all’Onu.
Per quanto riguarda l’Europa, i segnali sono contrastanti. Mentre
dalla Gran Bretagna sembrano giungere - in termini di posizioni
di Governo e di società civile - le più forti resistenze alla moratoria
Onu delle esecuzioni capitali, in Spagna il parlamento ha approvato
nell’ottobre 2004, all’unanimità, una mozione che impegna il governo a
compiere questo passo già alla prossima Assemblea Generale. L’Italia
che, nel 1994, è stata la prima a portare all’attenzione dell’Assemblea
Generale la proposta di moratoria per poi, nel 1999, consegnare il testimone
all’Unione Europea nella speranza di dare così maggior forza alla battaglia
per la moratoria, ha tutti i titoli per riassumerla a fronte dell’impasse
in cui l’Europa attualmente si trova.
Grazie alla moratoria ONU - e in attesa dell’abolizione mondiale e totale
- migliaia di condannati a morte potrebbero essere risparmiati: non solo
quelli di cui tutti sanno e si preoccupano, i detenuti nei bracci americani,
ma anche gli innominati e i dimenticati della pena di morte, i detenuti
nei bracci della morte cinesi, iraniani, vietnamiti e di tutti gli altri
regimi autoritari che muoiono ammazzati nel silenzio e nell’indifferenza
generali.
|