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Manuela Cartosio ricorda Alexander Langer

Dal quotidiano “Il manifesto” del 3 luglio 2005

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Questa non è la storia di Alex Langer, la figura più eccentrica, poliedrica, mite e tragica della generazione del '68 italiano e dell'ambientalismo europeo. L'autoritratto che consegnò nel 1986 alla rubrica Minima personalia di “Belfagor” è un capolavoro così perfetto per profonda brevità da far sembrare impari qualsiasi aggiornamento di mano esterna. Qui, più modestamente, raccontiamo attraverso le testimonianze di alcuni compagni di viaggio un'assenza-presenza che oggi compie dieci anni. Dura dal 3 luglio 1995. Quel giorno a Pian dei Giullari - archetipo delle amene colline fiorentine persino nel nome – Alex l'infaticabile si diede la morte impiccandosi a un albicocco. “I pesi mi sono divenuti insostenibili”, lasciò scritto, “non siate tristi, continuate in ciò che era giusto”.

A quei “pesi” in molti attribuimmo per istinto il nome della Bosnia. A maggio, sulla piazza di Tuzla una bomba serba aveva fatto strage di giovani (70 morti). Il 26 giugno, a un vertice di capi di stato riuniti a Cannes, Langer con altri europarlamentari aveva lanciato per l'ultima volta il suo appello: “L'Europa nasce o muore a Sarajevo”. Il massacro su scala industriale di Srebrenica, il 12 luglio, sembrò dare una giustificazione postuma allo strappo di Alex: lui pacifista integrale si era convinto che per fermare l'orrore fosse necessario l'intervento della Nato.

Il disastro nella ex Jugoslavia certo pesò, dice il bolzanino Edi Rabini, il più stretto e assiduo collaboratore di Langer, l'ombra di un uomo che preferiva il minuto lavoro sul campo alle luci della ribalta. E però l'angoscia, la fatica, la stanchezza si erano insinuate nelle vita di Alex da prima.

Nel 1993 pensa di ritirarsi dall'attività politica, “per ragioni che non intendo rendere pubbliche”, scrive nella bozza di una lettera di dimissioni che resta nel cassetto. Due anni dopo, Alex si dimette dalla vita. “Un lutto che non finisce mai” per Edi che ha riempito il vuoto lavorando a tempo pieno alla Fondazione Langer. Ha ordinato carte, raccolto scritti sparsi in rivistine scolastiche e parrocchiali, organizzato festival e incontri internazionali, assegnato premi a chi opera per la convivenza interetnica, la pace, la giustizia, il rispetto dell'ambiente. Le carte d'archivio -1.911 fascicoli che riempivano 187 scatolini - sono state da poco ordinate su “206 metri lineari di scaffalature”. Il mitico indirizzario di Alex - diecimila nomi schedati in ordine alfabetico, per città e per ambito tematico - era stato travasato dalla carta al “computerino” che negli ultimi anni il “viaggiatore leggero” aveva aggiunto allo zainetto. Scriveva dappertutto, “in treno, in aereo, nelle stazioni”. Articoli, interventi, promemoria, domande a se stesso e una valanga di cartoline, perchè i diecimila erano persone da ricordare “una ad una”.

Viaggiatore leggero, anima nomade, visionario concreto, costruttore di ponti, saltatore di muri, facitore di paci. In tanti hanno cercato di stringere in una definizione la complessità di Langer. Edi resta affezionato a quella preferita da Alex: hoffnungstraeger, portatore di speranza. Sì, speranza, anche se si è ucciso “più disperato che mai”. L'attualità di Alex, secondo l'amico Edi, non consegue banalmente dal persistere dei problemi su cui si è arrovellato. Deriva dalla “durata” e dalla “profondità” del suo scrivere e pensare. “Per questo possiamo usare Alex come un angelo custode segreto (bella e involontaria definizione, ndr), anche se la responsabilità di quel che vien dopo è tutta nostra”.



Guido Viale, militante di Lotta continua e ambientalista senza collare, la definizione ce l'ha pronta: “Un grande statista senza Stato”. Statista perchè Alex non andava in giro ad acchiappare farfalle, era una persona “molto concreta”, un “realista”. Solo i fessi o i disinformati credono che il “limite” e la “conversione ecologica” siano cose da anime belle. La profonda ispirazione etico-religiosa in Alex era coniugata con una forte inclinazione al fattibile. La conversione ecologica, il “pentimento” dei ricchi e dei sazi, non può essere imposta d'autorità. “Va resa socialmente desiderabile”, ripeteva Langer. Smetto d'usare l'automobile se ho un “guadagno” andando in autobus. Spetta alla politica creare le condizioni perchè il guadagno risulti evidente. Altrimenti, il pentimento resta per forza esercizio solo di minoranze sensibili, avvedute, meritevoli. La “voce” di Alex, aggiunge Viale, manca in Italia e manca in Europa. “Non mi azzardo a dire che sarebbe seguita, ma ascoltata sì”.

Il tragitto di Franco Travaglini, un altro della covata di Lotta continua, ha incrociato di nuovo quello di Langer alla la Fiera delle utopie concrete di Città di Castello. Il bello di Alex? “Era una persona con cui si poteva non andare d'accordo. La differenza non era un muro invalicabile, non uscivi dal suo orizzonte perchè la pensavi diversamente”. Io, spiega Travaglini, non sono mai stato pacifista e nonviolento in senso stretto ed integrale, “alla Capitini”. Alex lo era. Questa differenza, invece che allontanarci, ci ha resi reciprocamente più interessanti. Chiedere l'intervento armato in Bosnia fu un trauma che ad Alex costò parecchio nel rapporto con se stesso. “Il movimento pacifista italiano lo considerò un traditore, temo che molti lo pensino ancora”. Traditore, nel lessico di Langer, era una parola positiva. Per fare le paci, diceva, servono “traditori” delle rispettive appartenenze che si parlino. Il “metodo” Alex l'aveva pensato e sperimentato per il suo Sud Tirolo - Alto Adige e voleva esportarlo nel mondo.



È il 1962, “l'anno dei fuochi” in Alto Adige, quando Lidia Menapace, insegnante al liceo italiano di Bolzano, nota tra le facce giovani che organizzano una contromanifestazione per il 4 novembre - “anniversario della Vittoria con fanfare nazionaliste” - quella di Alex, studente al liceo tedesco dei francescani. “Un grillo che saltava di qua e di là, parlando in tutte le lingue, citando tutte le letterature e tutte le teologie. Faceva già impressione.

Non era un cattolico per caso, perchè nato sotto un campanile. Lo era per scelta”. Amibile, gentile, dolce con gli altri. Forte e fragile con se stesso per la durezza che si imponeva. “Non si perdonava niente”. Con quel ragazzo fattosi adulto Lidia ricorda d'aver “litigato parecchio”. Per la posizione sui Baschi e sull'aborto, prima ancora che sull'intervento armato in Bosnia.

“Invitò Ratzinger a Bolzano per un dibattito sull'aborto. Senza contraddittorio!

Noi femministe insorgemmo. Il cardinale rifiutò il confronto e restò a casa”. Il suicidio di Alex suggella tragicamente una sconfitta individuale e collettiva? La parola sconfitta non piace a Lidia, “la storia ha un andamento carsico”. Sceglie per ricordare Langer una frase di Pascoli, antieroica per eccellenza: “Mi dispiace morire, sono pieno di semi come una zucca”.

Anche qui, un coincidenza: “la semina verde” era una delle espressioni ricorrenti di Alex.

Le buone idee possono “andare in letargo” come gli animali, ma poi si risvegliano al cambio di stagione. Pensa positivo anche Wolfgang Sachs, del Wuppertal Institut, prestigiosa fucina dell'ambientalismo tedesco. “Un traduttore infaticabile”, è la sua definizione di Alex. “L'ho pensato la prima volta che l'ho incontrato, un dibattito a Trento nel 1983. Io parlavo e lui traduceva, instancabile nel mettersi al servizio, anche se aveva sulle spalle un viaggio massacrante”. La metafora del “traduttore” vale per l'intera vita di Alex. Traduttore da una lingua all'altra, “ogni lingua è una vita”, diceva. Il mestiere del traduttore come “carta di riserva” da giocare nei momenti difficili (sua la traduzione in tedesco di Lettera a una professoressa, sua la traduzione simultanea di Dario Fo che recita Mistero Buffo in Germania). Traduttore nel senso anche di “traghettatore”. Come San Cristoforo, il santo particolare di Alex, che non disdegna l'umile compito di portare sulle spalle da una sponda all'altra del fiume un Bambinello che si rivelerà molto speciale.

Il Sud Tirolo non sarà un paradiso, ammette Sachs, ma poteva finire molto male senza il ruolo positivo dei traghettatori, dei saltatori di muri come Alex. “Almeno qui, un parziale successo l'abbiamo avuto”.



Gianni Saporetti, che a Forlì con un gruppo di amici-compagni edita “Una città”, mensile molto langeriano che dalla “provincia” guarda al mondo, ci sorprende. Definisce Alex “un grandissimo militante”. Non è una parolaccia, dice, da consegnare alla pattumiera della storia. Alex era flessibile, disponibile, pluralista, aperto. “Però militava con dedizione. Magari ce ne fossero altri”.

Il contrasto tra percezione della finitezza ambientale e illimitata abnegazione di sè è il tratto che più colpì Mario Agostinelli nell'incontro “tardo, ma amicale e stimolante” con Langer. Ad Alex interessava il sindacalista perchè aveva ben chiaro che il lavoro è “parte rilevante di ogni trasformazione”.

Al segretario della Cgil lombarda interessava il Verde perchè il lavoro deve rispettare l'ambiente. “Alex era un mite frenetico, il suo tempo era troppo denso”. Aveva rovesciato il motto olimpico “più veloce, più alto, più forte” nel motto verde “più lento, più profondo, più dolce”. Profondo e dolce lo era. Ma l'unica cosa lenta che aveva “era la Dyane rossa”.



Postilla: Due libri e un video per Alex, “uno che non trovava mai pace” Quando arriva il '68, Alex Langer è già un “adulto”. Non tanto per età anagrafica, era nato nel 1946 a Sterzing (Vipiteno) da padre ebreo viennese non praticante e da madre cattolica sudtirolese, ma per formazione culturale e politica. Il “muro etnico”, il “locale” - anche se allora non si diceva così - detta a Langer le scelte fondamentali che terrà ferme per tutta la vita: parlare più lingue, costruire ponti, attraversare confini, senza però perdere identità, memoria, radici. I primi viaggi li fa in motorino, attraversa a nuoto il lago di Garda, segue un corso di stenografia. È lo stesso ragazzino con i denti da coniglio che legge in latino, padroneggia l'antico e il nuovo testamento, sforna rivistine a getto continuo, organizza gruppi di discussione tra giovani di lingua italiana e tedesca. La prima laurea la prende a Firenze (dove frequenta i cattolici del dissenso), la seconda a Trento. Insegna in varie città, milita in Lotta continua, lavora tra gli immigrati in Germania dove vede affacciarsi il movimento pacifista.

Nel 1978 in Sud Tirolo viene eletto consigliere regionale nella lista Nuova Sinistra. Al censimento dell'81 rifiuta la schedatura etnica nominativa.

Farà lo stesso nel '91 e il rifiuto gli impedirà di candidarsi sindaco di Bolzano nel '95. Negli anni Ottanta promuove in Italia e in Europa il movimento politico dei Verdi, l'ambientalismo, il consumo equo e solidale.

È eletto più volte europarlamentare verde a Strasburgo. Negli anni Novanta si impegna nella Campagna “Nord-Sud: biosfera, debito e sopravvivenza dei popoli” e si butta anima e corpo nell'Est terremotato dalla caduta del muro di Berlino: ex Jugoslavia, Albania, Cecenia.

Nel decennale della morte di Langer, due libri si aggiungono all'ormai classico Il viaggiatore leggero, curato da Edi Rabini per Sellerio. Terre di mezzo pubblica Una vita più semplice, biografia e parole di Alexander Langer. “Era speciale, ma non unico”, scrive nella prefazione Giuseppina Ciuffreda.

Il settimanale “Diario” ha raccolto in Lettere dall'Italia una scelta delle corrispondenze (una al mese per undici anni) inviate da Langer alla rivista “Kommune” di Francoforte. In quel caso, Alex traduceva noi italiani per i tedeschi.

n cortometraggio, realizzato da due giornalisti tedeschi, ricorda Alex Langer tramite interviste ad Adriano Sofri e a Daniel Cohn-Bendit. Ne abbiamo visto uno spezzone sottotitolato e ci è rimasta impressa una domanda dell'intervistatrice a Sofri: “Dunque, era uno che non trovava mai la pace?”. Proprio così, risponde Adriano Sofri, “non si può amare la pace senza sentirne la mancanza”.