Peppe Sini, Centro di ricerca per la pace – Viterbo nbawac@tin.it
Della mitezza
In "Azione nonviolenta" n. 8-9 dell'agosto-settembre 2005 www.nonviolenti.org)
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Alcune forse non inopportune premesse
Cio' su cui di seguito si approssimano alcune interrogative riflessioni
richiede altresi' alcuni chiarimenti preliminari.
Mitezza e nonviolenza naturalmente non coincidono, si puo' essere persone
amiche della nonviolenza senza essere affatto persone miti (anche tra
le piu' note e fin celebrate, pochissime persone amiche della nonviolenza
ed impegnate in lotte nonviolente sono state anche miti, sebbene qui si
cerchera' di argomentare che solo scegliendo la mitezza si possa essere
buoni ed efficaci militanti nonviolenti), e si puo' naturalmente essere
persone miti senza per questo aver nulla a che fare con la nonviolenza.
Non solo: vorremmo mettere in guardia anche rispetto all'espressione "personalita'
nonviolenta", che e' una formula utile per intendersi e nei suoi limiti
felice, ma che a rigore, cioe' se interpretata rigidamente,
designa qualcosa che semplicemente non esiste. Inoltre: chi scrive queste
righe non crede che esistano persone nonviolente, ma solo persone amiche
della nonviolenza: il termine "nonviolento/a" puo'
ben essere - a precise condizioni - un adeguato aggettivo, ma mai un pronome.
Crede anche che la mitezza sia una qualita' morale che si apprende e si
affina (o si logora) nell'esercizio, e non una essenza metafisica.
Infine: ritiene che il concetto stesso di nonviolenza sia complesso e
pluridimensionale e di assai ardua definizione (la riflessione consapevole
sulla nonviolenza, quantunque essa sia "antica come le montagne", e' ancora
agli inizi ed in impetuoso creativo svolgimento tale per cui ogni persona
che ad essa si accosta ed ogni esperienza che ad essa si richiama apporta
nuovi originali preziosi contributi teoretici ed empirici, euristici ed
applicativi); qui di seguito lo si utilizzera' nel senso specifico proposto
da Aldo Capitini, come equivalente sintetico dei due concetti gandhiani
di ahimsa e satyagraha, ovvero - per dirla assai rozzamente - come scelta
di non nuocere e come legame con il permanentemente vero che fonda e promuove
l'azione buona, cioe' l'azione che si oppone alla violenza, l'azione che
salva, l'azione che libera, l'azione che guarisce, l'azione che accomuna.
Ma ancora una cosa va detta, ed e' questa: la nonviolenza e' gestione
del
conflitto: senza lotta non si da' nonviolenza; senza incontro con l'altro
non si da' nonviolenza, senza riconoscimento dell'altro non si da' nonviolenza,
senza conflitto con l'altro non si da' nonviolenza, senza
comunicazione con l'altro non si da' nonviolenza: la nonviolenza e' sempre
relazionale, contestuale e dialogica a un tempo. Parlare di nonviolenza
al di fuori della lotta nonviolenta (che beninteso puo' anche essere solo
– e sempre e' comunque anche - lotta interiore) e' mera retorica.
Una minima definizione
Proporremmo la seguente definizione, provvisoria e parziale, complessa
e dialettica, di mitezza: una qualita' morale, ovvero un modo di condursi
nelle relazioni con le altre persone e con il mondo, che tiene insieme
fermezza nel buono e nel vero e umilta' personale, benevolenza non sorda
ma anche non cieca, comprensione e carita' ma insieme limpida e intransigente
difesa della dignita' altrui e propria, amore per la giustizia ed insieme
coscienza del limite e della propria ed altrui fallibilita', un onesto
ascoltare e ascoltarsi che si traduca in un operare giusto e misericordioso.
Ovvero la mitezza come contrario sia dell'iracondia che dell'accidia,
come opposto della presunzione, del pregiudizio e della prepotenza.
Dieci tesi sul rapporto tra mitezza e nonviolenza
Nell'articolare il rapporto tra mitezza e nonviolenza proporremmo quindi
le seguenti tesi.
I. Per resistere al male senza lasciarsene contaminare e' bene esercitare
la virtu' della mitezza. Senza mitezza la resistenza e' fragile, la violenza
invade la persona.
II. Per agire il conflitto senza esserne travolti e' bene esercitare la
virtu' della mitezza. Senza mitezza il conflitto e' lacerante, la violenza
disgrega la persona.
III. Solo la mitezza sa essere misericordiosa. E un'azione buona e giusta
ma senza misericordia e' gia' meno buona e meno giusta.
IV. Solo nella mitezza si puo' istituire una convivenza tra persone libere
ed eguali in dignita' e diritti; una societa' non oppressiva, non autoritaria,
non alienante; una comunita' che non omologhi o peggio annienti
le preziose diversita' di cui ogni persona consiste ed e' portatrice.
V. La mitezza si fonda sulla coscienza della dimensione tragica della
vita. Chi e' frivolo, cosi' come chi e' cinico, non e' adeguato ai compiti
dell'ora, non sa essere responsabile, non sa essere solidale.
VI. Non si puo' essere persone amiche della nonviolenza se non ci si esercita
nella virtu' della mitezza. Proprio perche' la nonviolenza e' conflitto,
a maggior ragione le persone che nella lotta nonviolenta si
impegnano hanno il dovere di scegliere la mitezza. Promuovere il conflitto,
resistere all'ingiustizia, contrastare il male, e' inane senza mitezza.
La mitezza e' la virtù principe del combattente satyagrahi.
VII. Virtu' relazionale per eccellenza, la mitezza e' terapeutica, socializzante,
giuriscostituente. La persona mite mitiga le altre persone, disinquina
le relazioni, da' sollievo agli attori coinvolti nel conflitto. Ma non
solo: la mitezza e' altresi' virtu' politica e puo' essere finanche principio
di organizzazione giuridica.
VIII. La mitezza s'impara, e s'impara passando attraverso le prove del
dolore e dello smarrimento. Non si nasce miti, lo si diventa scegliendolo.
IX. "Beati i miti, poiche' erediteranno la terra" (Matteo, V, 4): interpreto
cosi': solo la scelta della mitezza puo' salvare un mondo che va insieme
trasformato e conservato, difeso e rovesciato, restituito e redento. Solo
la nonviolenza nella sua pienezza (non solo insieme di scelte logiche,
epistemologiche, assiologiche, esistenziali; non solo insieme di tecniche
ermeneutiche, metodologiche, deliberative, operative; non solo azione
e progetto politico e sociale: ma insieme di insiemi) puo' salvare l'umanita'.
X. E' nel momento della lotta che si prefigura e quindi si decide l'esito
di essa. Una lotta contro l'ingiustizia condotta senza mitezza non e'
una lotta contro l'ingiustizia, poiche' ingiustizia riproduce; una lotta
per la pace
senza mitezza non e' una lotta per la pace, poiche' pace non costruisce.
La mitezza e' liberazione dall'oppressione. La nonviolenza e' solo in
cammino.
Due amici
Quando penso alla mitezza subito mi vengono in mente Primo Levi ed Alexander
Langer.
Due persone che resistevano, due persone che non opprimevano. Due persone
gentili e magnanime.
Due persone che conoscevano la tragedia, ma che la tragedia non aveva
reso feroci bensi' ancor più benevole, limpide, rigorose, essenziali.
Quando penso all'umanita' come dovrebbe essere subito mi vengono in mente
Primo Levi ed Alexander Langer. La fragilita' delle persone e del mondo:
e tu abbine cura.
La resistenza che e' da opporre al male: e tu resisti.
Per approfondire
Innanzitutto il dialogo sulla mitezza tra Norberto Bobbio e Giuliano Pontara,
dialogo che si puo' leggere in Norberto Bobbio, Elogio della mitezza
e altri scritti morali, Linea d'ombra, Milano 1994, alle pp. 11-51;
e naturalmente cfr. anche Giuliano Pontara, La personalita' nonviolenta,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996, particolarmente alle pp. 61-63. Di
Primo Levi occorrerebbe leggere tutto (nell'edizione delle Opere,
Einaudi, Torino 1997, in due volumi), ma almeno Se questo e' un uomo
e I sommersi e i salvati.
Di Alexander Langer l'antologia degli scritti piu' ampia e rappresentativa
e' Il viaggiatore leggero, Sellerio, Palermo 1996. Come e' noto,
nelle grandi tradizioni culturali indiane e cinesi, ma anche nelle grandi
tradizioni culturali occidentali - sia quelle religiose in senso stretto:
l'ebraismo, il cristianesimo, l'islam; sia quelle piu' late: la grecita',
l'umanesimo, la laicita', il pensiero delle donne - vi sono molti fulgidi
esempi sia di figure e di condotte miti, sia di riflessioni sulla mitezza
dense e complesse.
Volendo proporre qualche testo e figura esemplare: il discorso della montagna
in Luca e Matteo, le figure di Averroe', Francesco d'Assisi, Thomas More,
Etty Hillesum. E volendo ricordare qualche persona che vi ha riflettuto
con lucidita' e pieta' grandi: Simone Weil e Hannah Arendt, Aldo Capitini
ed Emmanuel
Levinas. Somme figure di resistenti miti sono emerse nella lotta contro
il totalitarismo e nella resistenza contro il sistema concentrazionario.
Ricordano donne e uomini che seppero difendere l'umanita' di fronte all'estremo
due fondamentali libri di Tzvetan Todorov: Face a' l'extreme, Seuil,
Paris 1991, 1994 (seconda edizione rivista), e Memoria del male,
tentazione del bene, Garzanti, Milano 2001.
Sul versante giuridico cfr. almeno Cesare Beccaria, Dei delitti e delle
pene (da leggere nell'edizione curata da Franco Venturi, Einaudi,
Torino 1965, 1994), e Gustavo Zagrebelsky, Il diritto mite, Einaudi,
Torino 1992; ma soprattutto l'esperienza della Commissione per la verita'
e la riconciliazione sudafricana. Sulle lacerazioni, i drammi e gli scacchi
della mitezza hanno scritto pagine terribili e magnifiche Dostoevskij
e Tolstoj.
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