C’è uno scarto evidente tra i principi enunciati dalle Carte costituzionali,
oppure desumibili dall’ordinamento giuridico in vigore, e la prassi politico
amministrativa, ma anche commerciale e imprenditoriale, che è esperienza
quotidiana delle persone. A questo scarto sono riconducibili, più o meno
direttamente, molti dei problemi che riguardano i rapporti dei singoli
cittadini con la pubblica amministrazione: quando entrano in ospedale
o chiedono una visita; quando chiedono un documento di riconoscimento,
quando vogliono acquistare una casa, quando attivano un utenza… Le aspettative,
legittime o presunte tali (anche alla luce dell’evoluzione sociale), quando
non adeguatamente rappresentate e garantite, generano una domanda di tutela.
Domanda che si gioca anche attorno alla difesa civica, come funzione
sociale e come istituto giuridico.
A partire dagli anni ’90 la struttura delle istituzioni pubbliche ed il
loro funzionamento subiscono profonde modifiche, per effetto di una serie
di riforme che individuano anche un nuovo punto di equilibrio con gli
ambienti economici e sociali in cui le istituzioni operano. Il processo
di cambiamento naturalmente è ancora in corso, ché le prescrizioni normative
da sole non bastano a garantire risultati. In questi stessi anni il difensore
civico diventa oggetto di attenzione da parte del legislatore. Non è tuttavia
esplicitamente strumento di tali strategie di riforma, che costituiscono
piuttosto lo sfondo sul quale questa figura, gradualmente e con difficoltà,
viene affermandosi.
Istituti assimilabili al difensore civico italiano sono presenti, a livello
nazionale, nella maggior parte dei paesi europei: dai Paesi scandinavi,
dove l’esperienza “moderna” dell’ombudsman ha origine agli inizi
del sec. XIX, all’Inghilterra, la Danimarca, la Germania, ma anche Francia,
Spagna e Portogallo, e l’elenco potrebbe allungarsi; inoltre in paesi
extraeuropei, quali Israele e Nuova Zelanda per esempio. Generalmente
la figura si colloca in posizione dialettica rispetto agli organi amministrativi,
con l’obiettivo di verificare i comportamenti della Pubblica amministrazione
e, più o meno direttamente, di proteggere il cittadino evidenziando disfunzioni
e abusi.
Il Difensore civico in Italia
In Italia il difensore civico compare invece a livello regionale, nel
1974, a partire dalla Toscana e dalla Liguria. Solo nel 1990, però, se
ne ha un primo riconoscimento legislativo con la L. 141/1990. L’art. 8,
in particolare, afferma che il difensore civico svolge il ruolo di garante
dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione.
Alcuni anni dopo, con la L. 127/1997 si prevede espressamente la possibilità
di istituire il difensore civico nelle Regioni e nelle Province autonome,
con poteri di richiesta, proposta, sollecitazione, informazione (art.
16). La figura del difensore civico locale è però compiutamente delineata,
per così dire al plurale, soltanto negli statuti degli Enti che espressamente
lo istituiscono.
In questi anni il lavoro del difensore civico si è confrontato, in genere,
con un’azione amministrativa ancora scarsamente orientata al risultato
e poco propensa a pensarsi come servizio piuttosto che come lo strumento
per garantire il corretto svolgimento dei procedimenti. Questo atteggiamento
caratterizza le strutture amministrative di tipo ministeriale, in cui
le competenze sono frammentate ed i tempi delle decisioni sono allungati,
anche per la proliferazione e la moltiplicazione degli apparati pubblici.
La parcellizzazione dei compiti si affianca ad una cultura organizzativa
che è ancora quella tradizionale del pubblico dipendente, in cui
se una responsabilità sussiste rispetto al proprio operare, questa è limitata
al fatto di agire per l’esecuzione di un compito circoscritto e determinato.
Questa situazione tende a riprodursi, nonostante le riforme normative,
attraverso meccanismi di reclutamento clientelari e politiche di lottizzazione
nell’allocazione delle risorse, oltre che per la persistenza “ideologica”
nel personale di una concezione meramente strumentale dell’azione amministrativa.
In questo quadro, pur nella estrema variabilità delle enunciazioni, il
difensore civico locale si delinea nei vari statuti degli Enti locali
minori e delle Regioni come un organo che protegge i cittadini dalle disfunzioni
dell’apparato burocratico. I due nodi problematici che meritano una riflessione
sembrano dunque essere la rappresentanza degli interessi e l’efficacia
dell’amministrazione.
Si può osservare anzitutto che il difensore civico non è vincolato da
definizioni normative stringenti circa la “giurisdizione”, o meglio, non
ha una vera e propria giurisdizione, poiché le sue determinazioni non
hanno alcun contenuto coercibile. Egli pertanto non si occupa soltanto
di situazioni giuridiche soggettive giurisdizionalmente tutelabili, quali
diritti ed interessi legittimi, ma anche di interessi non tutelati (c.d.
interessi di fatto) o superindividuali (interessi collettivi o diffusi),
ascrivibili ad una pluralità di soggetti non identificabili.
Il riferimento va anche ai c.d. moral rights, riconosciuti da parte
del legislatore, talvolta anche nelle costituzioni, ma non coattivamente
tutelabili e per i quali non esiste un soggetto dal quale pretendere la
prestazione, un soggetto specificamente obbligato; e dunque non vi è giustiziabilità.
Si pensi per esempio al diritto al lavoro, ma anche a molti dei contenuti
del diritto alla salute, specie nei riguardi dei soggetti più deboli
Ci sono poi situazioni giuridiche soggettive che sono conseguenza in gran
parte delle riforme amministrative degli ultimi 15 anni e che non sempre
o solo con una certa difficoltà possono essere tutelate per via giudiziaria.
Il diritto all’informazione per esempio (ad essere informati, ad avere
accesso alle informazioni amministrative); il diritto alla semplicità
dell’azione amministrativa, alla sua efficienza, efficacia ed economicità;
alla partecipazione ai procedimenti amministrativi ed alla conclusione
in tempi certi di tali procedimenti; alla motivazione dei provvedimenti
amministrativi; alla qualità dei servizi pubblici (sancito dalle varie
carte dei servizi); alla verificabilità dei risultati dell’azione amministrativa.
Insomma, sebbene non esista un generale sindacato del difensore civico
sulla legittimità degli atti, egli finisce per occuparsi di tutti i casi
di maladministration (un termine questo utilizzato nella normativa
inglese istitutiva dell’ombudsman, sta ad indicare abuso, scorrettezza,
disfunzione dell’attività amministrativa, negligenza, inefficienza e simili).
E’ questa anche una sorta di clausola di chiusura di un complesso di tutele
senz’altro imperfetto: quando non c’è, non si può, non si sa utilizzare
altro modo per tutelare i diritti, o quando lo strumento alternativo per
qualsiasi motivo è ritenuto insufficiente o comunque bisognoso di ulteriore
supporto, allora si fa ricorso al difensore civico.
Interessi pubblici
Non si tratta di pensare ad altrettanti interessi cui si contrappone un
interesse pubblico monolitico. Invece l’agire amministrativo fa i conti
con molti interessi pubblici in misura diversa meritevoli di tutela,
talvolta contrapposti, di cui si fanno portatori non solo i privati interessati,
ma anche le diverse amministrazioni e talvolta i diversi uffici all’interno
della stessa amministrazione (questo il senso delle conferenze dei servizi
e delle conferenze dei dirigenti). L’interesse pubblico è oggi concepito
come l’aggregato degli interessi e delle esigenze degli individui all’interno
di una realtà sociale, piuttosto che - come è avvenuto in passato - come
interesse dello stato personificato. Così efficienza, efficacia, economicità
- parametri di orientamento dell’azione amministrativa sempre più rilevanti
e comunque sempre più citati dagli amministratori - sono il mezzo, modalità
ed orientamenti operativi, non il fine. Così l’interesse, per esempio,
della persona disabile non si contrappone all’interesse collettivo; l’interesse
alla tutela del valore della dignità umana, che è collettivo, non si può
realizzare se non nella tutela dell’individuo concreto. E infatti l’art.
32 primo comma della Costituzione configura il diritto alla salute come
diritto dell’individuo e interesse della collettività; più in generale
per l’art. 3 secondo comma Cost. è interesse collettivo, “compito della
Repubblica”, la rimozione degli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo
della persona umana.
Questa vocazione del difensore civico è garantita da una serie di caratterizzazioni
che rilevano dal punto di vista organizzativo, a partire dall’assenza
di controlli sull’operato dei singoli uffici e dall’assenza di rapporti
gerarchici tra i vari uffici del difensore civico. Questo assetto ne ha
accentuato la prossimità rispetto al territorio e soprattutto segna una
forte autonomia della figura del difensore civico, anche come presupposto
della sua autorevolezza. Ciò non impedisce un coordinamento anche verticale
(tra uffici locali e uffici regionali), che però è collaborazione e se
mai riparto di competenze (coordinamenti, reti….), mai subordinazione.
Il Progetto di legge sul difensore civico nazionale, primo firmatario
il senatore Boato, attualmente giacente in Parlamento, assume in questo
senso una connotazione regressiva, visto che inquadra i vari uffici locali
in un assetto organizzativo unitario a livello nazionale e prevede bacini
di utenza minimi per il singolo ufficio piuttosto ampi (città con almeno
50.000 abitanti).
Un ulteriore dato significativo è che l’opera di tutela e garanzia non
è rivolta, di regola, esclusivamente ai cittadini, ma si espleta anche
a favore di stranieri, apolidi, anche se minori, interdetti o inabilitati,
enti pubblici o privati, associazioni e formazioni sociali. Queste specificazioni,
che invece si ritrovano pienamente riconosciute nel P.d.L., riproducono
l’atteggiamento dei vari uffici, al di là delle esplicite enunciazioni
degli statuti, e rimandano a criteri di universalità che travalicano quelli
abitualmente osservati in campo amministrativo e giudiziario (diritti
umani vs. diritti di cittadinanza).
Altro tratto peculiare collegato a quanto appena detto è nella disponibilità
del difensore civico. Disponibilità nel senso di grande accessibilità
da parte del cittadino, e apertura verso la P.A. Ma anche perché di regola
non sono delineate rigidamente le competenze, e spesse volte si tratta
di fornire consigli ed indirizzi là dove non è possibile intervenire (ovviamente
non si parla mai di patrocinio, come invece per gli avvocati di strada),
svolgendo di fatto una funzione di informazione e di orientamento in particolare
nei confronti delle categorie deboli.
Ciò anche a conferma del suo essere figura di chiusura e residuale rispetto
ad un sistema dei controlli e ad un sistema dello welfare state
che sono stati pesantemente rivisitati in anni relativamente recenti.
C’è chi, con un espressione colorita, ha definito il difensore civico
un angelo custode per i cittadini. Altri lo hanno assimilato ad un servizio
sociale. Più interessante sembra la sottolineatura del fatto che nell’attività
del difensore civico formulazioni astratte quali “i diritti umani” e la
“dignità della persona” divengono pratica quotidiana, riferimento normativo
in senso sociologico.
Affermatosi - là dove è stato istituito - come il soggetto istituzionale
che si occupa della tutela non giurisdizionale degli interessi e dei diritti
dei cittadini, il difensore civico diviene localmente anche uno strumento
per combattere le resistenze culturali e burocratiche alle riforme amministrative.
Più in generale, promuove la trasparenza e la correttezza dei rapporti
tra la pubblica amministrazione e tutti coloro che sono interessati dall’azione
dei pubblici poteri.
Nel lavoro del difensore civico sembrano dunque combinarsi, secondo un
dosaggio variabile, supporto all’empowerment del cittadino e istruttoria
del procedimento amministrativo in vista dell’autotutela della P.A.: rettificare
azioni errate o comunque non ottimali migliora la qualità dell’azione
amministrativa, con diretto vantaggio anche per i destinatari e per gli
altri interessati ai provvedimenti. Un servizio pubblico inefficiente
non è solo un problema aziendale, ma anche un problema sociale, in quanto
porta danno alla collettività ed ai singoli; determina inoltre la violazione
di un principio costituzionale basilare, quale il principio di uguaglianza,
rappresentando un ostacolo al “pieno sviluppo della persona umana”, pure
richiamato nell’art. 3 della Costituzione.
Il rapporto tra cittadini e istituzioni
Questo portare alla luce i problemi è un rimedio che si potrebbe pensare
non necessario ed anzi deleterio. Ma il malcontento strisciante genera
sfiducia almeno quanto quello adeguatamente rappresentato, e non si può
amministrare bene senza fiducia. Anche perché la sfiducia genera diversi
e nuovi problemi, primi tra tutti l’aumento di costi per i controlli e
la caduta del consenso.
La possibilità di una reciproca fiducia tra cittadini e istituzioni costituisce
il presupposto per impostare i rapporti civili sulla base della cittadinanza
- in senso lato - come valore e come stile. Questo significa per i cittadini
poter contare su di un’amministrazione affidabile ed efficace, che applica
le norme in maniera imparziale e con discernimento, con attenzione alle
forme ma anche all’interesse di tutti e di ciascuno. Questo significa
per l’amministrazione poter contare sulla lealtà dei cittadini, cioè su
una coscienza concreta e diffusa di quelli che sono i diritti ed i doveri
propri della vita in collettività.
Il ruolo che svolge il difensore civico è dunque politico nel senso più
proprio del termine, e instaura un rapporto dialettico anche con chi è
chiamato a compiere scelte e valutazioni che possono avere un contenuto
politico. Il contatto diretto e quotidiano con i problemi concreti delle
persone permette al difensore civico di ricostruire in maniera piuttosto
attendibile e puntuale le problematiche più rilevanti con le quali si
misura un’amministrazione locale. Queste problematiche possono essere
viste con gli occhi degli amministrati e nella prospettiva del caso particolare,
della conseguenza inattesa, dell’esito iniquo o paradossale di una regolazione
generale. L’opera di selezione, comunicazione, impulso, che il difensore
civico svolge contribuisce alla costruzione di una buona amministrazione
e di una città sempre più a misura d’uomo, capace di rispondere alle esigenze
ed agli interessi dei cittadini.
Si tratta di utilizzare gli strumenti che - in un regime democratico -
permettono di curare direttamente le proprie pretese, i propri diritti,
i propri interessi nei confronti del potere, ogni volta che le forme normali
di questa cura rimangono frustrate dall’atteggiamento dell’amministrazione,
dalla difficoltà di interpellare direttamente i rappresentanti politici,
dalla natura singolare dei problemi, dall’oscurità delle norme. Contemporaneamente
all’amministrazione assicura maggiore consapevolezza e controllo sulle
decisioni e sul loro esito, a garanzia del patto tra eletti ed elettori.
Si viene a configurare un’amministrazione capace di riformarsi giorno
per giorno, modificando il proprio comportamento (anche) in base alle
indicazioni dei cittadini, di cui il difensore civico è soltanto uno dei
tramiti istituzionalizzati. In questo modo diviene strumento di rinnovamento
ed allargamento delle dinamiche di decision-making, nell’ambito
di una messa in discussione della relazione tra le politiche ed i destinatari
delle politiche; inoltre, perché no, sembra essere anche un filtro che
seleziona le forme di interferenza rispetto alle pratiche di governo:
non tutte le interferenze sono ammissibili e costruttive (non a caso negli
statuti il difensore civico viene in genere citato tra gli “istituti di
partecipazione”).
Ciò che viene posto continuamente in discussione dall’operato del difensore
civico è la struttura del processo del policy making, i meccanismi
attraverso cui sono identificati i problemi collettivi, discusse le alternative
di soluzione, attuate le decisioni assunte. Non si tratta di interloquire
nella gestione dei servizi, ma di operare materialmente una riconcettualizzazione
del rapporto tra burocrazia e politica, evitando per quanto possibile
l’autoreferenzialità nei sistemi politici e amministrativi.
Certamente il lavoro del difensore civico può anche essere la mera rappresentazione
di quanto sopra, l’arma retorica che un’amministrazione brandisce per
affermare sul piano simbolico una “disponibilità” che, reale o solo rappresentata,
è comunque strumento di marketing politico.
Ovvio che le due cose non sono in contraddizione tra loro, nel senso che
anche in piena onestà intellettuale il difensore civico è comunque strumento
di “pubblicità” per l’amministrazione. Piuttosto il dilemma è nell’atteggiamento
di chi si rapporta con il difensore civico, nella suscettibilità o meno
di chi è disposto o meno a fare revisione critica dell’operato amministrativo,
e dunque nella disponibilità ad ascoltare critiche. Salvo poi decidere
politicamente e liberamente, s’intende.
Non una qualsiasi riforma, ma la valorizzazione di questo istituto, si
inserisce a pieno titolo in un contesto più ampio di iniziative che hanno
come obiettivo l’empowerment del cittadino; si configura come un
aspetto della ricerca di scenari condivisi di gestione del territorio
e della socialità, a tutti i livelli e a tutte le scale; rappresenta un
supporto per le fasce più deboli di fronte (non necessariamente
contro) all’amministrazione.
Per valorizzazione s’intende uno spazio maggiore nella vita civile e politica
di una comunità, a cominciare dai mezzi di informazione. Significa dotare
gli uffici del difensore civico di adeguate risorse umane e finanziarie
perché possano dare risonanza alla propria azione. Al di là del discorso
puramente economico, significa garantire visibilità a cominciare dall’aspetto
meramente logistico. Visibilità a cominciare da modalità di nomina trasparenti
e non arbitrarie, gestite come momento di confronto con la società civile.
I difensori civici possono offrire un contributo al consolidamento delle
garanzie civili - a partire da quelle costituzionalmente riconosciute
- ma anche con riferimento a quelle che vanno via via affermandosi nella
società. Ciò può avvenire a condizione che, pur in possesso delle necessarie
competenze tecniche, siano espressione non (solo) della politica e dell’amministrazione,
ma anche del territorio: del mondo del volontariato, dei movimenti dei
consumatori, della cooperazione, dell’impegno sociale, dell’associazionismo,
dei comitati più o meno stabili e spontanei che caratterizzano la storia
politica delle città.
In questo modo il difensore civico può contare sulla massima autorevolezza
quando si rapporta con i suoi interlocutori ed essere un rimedio alla
diffusa mancanza di prossimità nelle relazioni tra amministrazione
e cittadini, alla mancanza di piena informazione su ragioni e modalità
delle scelte, alla scarsità di strumenti di confronto sufficientemente
articolati ed efficaci. E ovviamente può contribuire a rendere esigibili
i diritti di ciascuno ed in particolare delle persone più deboli, in quanto
prive risorse per provvedere autonomamente.