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In APPUNTI sulle politiche sociali, n. 5/2005

Prendersi cura dei diritti. Per un manifesto della difesa civica locale


Samuele Animali
Difensore civico Comune di Jesi, Università di Macerata

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C’è uno scarto evidente tra i principi enunciati dalle Carte costituzionali, oppure desumibili dall’ordinamento giuridico in vigore, e la prassi politico amministrativa, ma anche commerciale e imprenditoriale, che è esperienza quotidiana delle persone. A questo scarto sono riconducibili, più o meno direttamente, molti dei problemi che riguardano i rapporti dei singoli cittadini con la pubblica amministrazione: quando entrano in ospedale o chiedono una visita; quando chiedono un documento di riconoscimento, quando vogliono acquistare una casa, quando attivano un utenza… Le aspettative, legittime o presunte tali (anche alla luce dell’evoluzione sociale), quando non adeguatamente rappresentate e garantite, generano una domanda di tutela. Domanda che si gioca anche attorno alla difesa civica, come funzione sociale e come istituto giuridico.
A partire dagli anni ’90 la struttura delle istituzioni pubbliche ed il loro funzionamento subiscono profonde modifiche, per effetto di una serie di riforme che individuano anche un nuovo punto di equilibrio con gli ambienti economici e sociali in cui le istituzioni operano. Il processo di cambiamento naturalmente è ancora in corso, ché le prescrizioni normative da sole non bastano a garantire risultati. In questi stessi anni il difensore civico diventa oggetto di attenzione da parte del legislatore. Non è tuttavia esplicitamente strumento di tali strategie di riforma, che costituiscono piuttosto lo sfondo sul quale questa figura, gradualmente e con difficoltà, viene affermandosi.
Istituti assimilabili al difensore civico italiano sono presenti, a livello nazionale, nella maggior parte dei paesi europei: dai Paesi scandinavi, dove l’esperienza “moderna” dell’ombudsman ha origine agli inizi del sec. XIX, all’Inghilterra, la Danimarca, la Germania, ma anche Francia, Spagna e Portogallo, e l’elenco potrebbe allungarsi; inoltre in paesi extraeuropei, quali Israele e Nuova Zelanda per esempio. Generalmente la figura si colloca in posizione dialettica rispetto agli organi amministrativi, con l’obiettivo di verificare i comportamenti della Pubblica amministrazione e, più o meno direttamente, di proteggere il cittadino evidenziando disfunzioni e abusi.

Il Difensore civico in Italia

In Italia il difensore civico compare invece a livello regionale, nel 1974, a partire dalla Toscana e dalla Liguria. Solo nel 1990, però, se ne ha un primo riconoscimento legislativo con la L. 141/1990. L’art. 8, in particolare, afferma che il difensore civico svolge il ruolo di garante dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione. Alcuni anni dopo, con la L. 127/1997 si prevede espressamente la possibilità di istituire il difensore civico nelle Regioni e nelle Province autonome, con poteri di richiesta, proposta, sollecitazione, informazione (art. 16). La figura del difensore civico locale è però compiutamente delineata, per così dire al plurale, soltanto negli statuti degli Enti che espressamente lo istituiscono.
In questi anni il lavoro del difensore civico si è confrontato, in genere, con un’azione amministrativa ancora scarsamente orientata al risultato e poco propensa a pensarsi come servizio piuttosto che come lo strumento per garantire il corretto svolgimento dei procedimenti. Questo atteggiamento caratterizza le strutture amministrative di tipo ministeriale, in cui le competenze sono frammentate ed i tempi delle decisioni sono allungati, anche per la proliferazione e la moltiplicazione degli apparati pubblici. La parcellizzazione dei compiti si affianca ad una cultura organizzativa che è ancora quella tradizionale del pubblico dipendente, in cui se una responsabilità sussiste rispetto al proprio operare, questa è limitata al fatto di agire per l’esecuzione di un compito circoscritto e determinato. Questa situazione tende a riprodursi, nonostante le riforme normative, attraverso meccanismi di reclutamento clientelari e politiche di lottizzazione nell’allocazione delle risorse, oltre che per la persistenza “ideologica” nel personale di una concezione meramente strumentale dell’azione amministrativa.
In questo quadro, pur nella estrema variabilità delle enunciazioni, il difensore civico locale si delinea nei vari statuti degli Enti locali minori e delle Regioni come un organo che protegge i cittadini dalle disfunzioni dell’apparato burocratico. I due nodi problematici che meritano una riflessione sembrano dunque essere la rappresentanza degli interessi e l’efficacia dell’amministrazione.
Si può osservare anzitutto che il difensore civico non è vincolato da definizioni normative stringenti circa la “giurisdizione”, o meglio, non ha una vera e propria giurisdizione, poiché le sue determinazioni non hanno alcun contenuto coercibile. Egli pertanto non si occupa soltanto di situazioni giuridiche soggettive giurisdizionalmente tutelabili, quali diritti ed interessi legittimi, ma anche di interessi non tutelati (c.d. interessi di fatto) o superindividuali (interessi collettivi o diffusi), ascrivibili ad una pluralità di soggetti non identificabili.
Il riferimento va anche ai c.d. moral rights, riconosciuti da parte del legislatore, talvolta anche nelle costituzioni, ma non coattivamente tutelabili e per i quali non esiste un soggetto dal quale pretendere la prestazione, un soggetto specificamente obbligato; e dunque non vi è giustiziabilità. Si pensi per esempio al diritto al lavoro, ma anche a molti dei contenuti del diritto alla salute, specie nei riguardi dei soggetti più deboli
Ci sono poi situazioni giuridiche soggettive che sono conseguenza in gran parte delle riforme amministrative degli ultimi 15 anni e che non sempre o solo con una certa difficoltà possono essere tutelate per via giudiziaria. Il diritto all’informazione per esempio (ad essere informati, ad avere accesso alle informazioni amministrative); il diritto alla semplicità dell’azione amministrativa, alla sua efficienza, efficacia ed economicità; alla partecipazione ai procedimenti amministrativi ed alla conclusione in tempi certi di tali procedimenti; alla motivazione dei provvedimenti amministrativi; alla qualità dei servizi pubblici (sancito dalle varie carte dei servizi); alla verificabilità dei risultati dell’azione amministrativa.
Insomma, sebbene non esista un generale sindacato del difensore civico sulla legittimità degli atti, egli finisce per occuparsi di tutti i casi di maladministration (un termine questo utilizzato nella normativa inglese istitutiva dell’ombudsman, sta ad indicare abuso, scorrettezza, disfunzione dell’attività amministrativa, negligenza, inefficienza e simili). E’ questa anche una sorta di clausola di chiusura di un complesso di tutele senz’altro imperfetto: quando non c’è, non si può, non si sa utilizzare altro modo per tutelare i diritti, o quando lo strumento alternativo per qualsiasi motivo è ritenuto insufficiente o comunque bisognoso di ulteriore supporto, allora si fa ricorso al difensore civico.

Interessi pubblici

Non si tratta di pensare ad altrettanti interessi cui si contrappone un interesse pubblico monolitico. Invece l’agire amministrativo fa i conti con molti interessi pubblici in misura diversa meritevoli di tutela, talvolta contrapposti, di cui si fanno portatori non solo i privati interessati, ma anche le diverse amministrazioni e talvolta i diversi uffici all’interno della stessa amministrazione (questo il senso delle conferenze dei servizi e delle conferenze dei dirigenti). L’interesse pubblico è oggi concepito come l’aggregato degli interessi e delle esigenze degli individui all’interno di una realtà sociale, piuttosto che - come è avvenuto in passato - come interesse dello stato personificato. Così efficienza, efficacia, economicità - parametri di orientamento dell’azione amministrativa sempre più rilevanti e comunque sempre più citati dagli amministratori - sono il mezzo, modalità ed orientamenti operativi, non il fine. Così l’interesse, per esempio, della persona disabile non si contrappone all’interesse collettivo; l’interesse alla tutela del valore della dignità umana, che è collettivo, non si può realizzare se non nella tutela dell’individuo concreto. E infatti l’art. 32 primo comma della Costituzione configura il diritto alla salute come diritto dell’individuo e interesse della collettività; più in generale per l’art. 3 secondo comma Cost. è interesse collettivo, “compito della Repubblica”, la rimozione degli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana.

Questa vocazione del difensore civico è garantita da una serie di caratterizzazioni che rilevano dal punto di vista organizzativo, a partire dall’assenza di controlli sull’operato dei singoli uffici e dall’assenza di rapporti gerarchici tra i vari uffici del difensore civico. Questo assetto ne ha accentuato la prossimità rispetto al territorio e soprattutto segna una forte autonomia della figura del difensore civico, anche come presupposto della sua autorevolezza. Ciò non impedisce un coordinamento anche verticale (tra uffici locali e uffici regionali), che però è collaborazione e se mai riparto di competenze (coordinamenti, reti….), mai subordinazione. Il Progetto di legge sul difensore civico nazionale, primo firmatario il senatore Boato, attualmente giacente in Parlamento, assume in questo senso una connotazione regressiva, visto che inquadra i vari uffici locali in un assetto organizzativo unitario a livello nazionale e prevede bacini di utenza minimi per il singolo ufficio piuttosto ampi (città con almeno 50.000 abitanti).
Un ulteriore dato significativo è che l’opera di tutela e garanzia non è rivolta, di regola, esclusivamente ai cittadini, ma si espleta anche a favore di stranieri, apolidi, anche se minori, interdetti o inabilitati, enti pubblici o privati, associazioni e formazioni sociali. Queste specificazioni, che invece si ritrovano pienamente riconosciute nel P.d.L., riproducono l’atteggiamento dei vari uffici, al di là delle esplicite enunciazioni degli statuti, e rimandano a criteri di universalità che travalicano quelli abitualmente osservati in campo amministrativo e giudiziario (diritti umani vs. diritti di cittadinanza).
Altro tratto peculiare collegato a quanto appena detto è nella disponibilità del difensore civico. Disponibilità nel senso di grande accessibilità da parte del cittadino, e apertura verso la P.A. Ma anche perché di regola non sono delineate rigidamente le competenze, e spesse volte si tratta di fornire consigli ed indirizzi là dove non è possibile intervenire (ovviamente non si parla mai di patrocinio, come invece per gli avvocati di strada), svolgendo di fatto una funzione di informazione e di orientamento in particolare nei confronti delle categorie deboli.
Ciò anche a conferma del suo essere figura di chiusura e residuale rispetto ad un sistema dei controlli e ad un sistema dello welfare state che sono stati pesantemente rivisitati in anni relativamente recenti.
C’è chi, con un espressione colorita, ha definito il difensore civico un angelo custode per i cittadini. Altri lo hanno assimilato ad un servizio sociale. Più interessante sembra la sottolineatura del fatto che nell’attività del difensore civico formulazioni astratte quali “i diritti umani” e la “dignità della persona” divengono pratica quotidiana, riferimento normativo in senso sociologico.
Affermatosi - là dove è stato istituito - come il soggetto istituzionale che si occupa della tutela non giurisdizionale degli interessi e dei diritti dei cittadini, il difensore civico diviene localmente anche uno strumento per combattere le resistenze culturali e burocratiche alle riforme amministrative. Più in generale, promuove la trasparenza e la correttezza dei rapporti tra la pubblica amministrazione e tutti coloro che sono interessati dall’azione dei pubblici poteri.
Nel lavoro del difensore civico sembrano dunque combinarsi, secondo un dosaggio variabile, supporto all’empowerment del cittadino e istruttoria del procedimento amministrativo in vista dell’autotutela della P.A.: rettificare azioni errate o comunque non ottimali migliora la qualità dell’azione amministrativa, con diretto vantaggio anche per i destinatari e per gli altri interessati ai provvedimenti. Un servizio pubblico inefficiente non è solo un problema aziendale, ma anche un problema sociale, in quanto porta danno alla collettività ed ai singoli; determina inoltre la violazione di un principio costituzionale basilare, quale il principio di uguaglianza, rappresentando un ostacolo al “pieno sviluppo della persona umana”, pure richiamato nell’art. 3 della Costituzione.

Il rapporto tra cittadini e istituzioni

Questo portare alla luce i problemi è un rimedio che si potrebbe pensare non necessario ed anzi deleterio. Ma il malcontento strisciante genera sfiducia almeno quanto quello adeguatamente rappresentato, e non si può amministrare bene senza fiducia. Anche perché la sfiducia genera diversi e nuovi problemi, primi tra tutti l’aumento di costi per i controlli e la caduta del consenso.
La possibilità di una reciproca fiducia tra cittadini e istituzioni costituisce il presupposto per impostare i rapporti civili sulla base della cittadinanza - in senso lato - come valore e come stile. Questo significa per i cittadini poter contare su di un’amministrazione affidabile ed efficace, che applica le norme in maniera imparziale e con discernimento, con attenzione alle forme ma anche all’interesse di tutti e di ciascuno. Questo significa per l’amministrazione poter contare sulla lealtà dei cittadini, cioè su una coscienza concreta e diffusa di quelli che sono i diritti ed i doveri propri della vita in collettività.
Il ruolo che svolge il difensore civico è dunque politico nel senso più proprio del termine, e instaura un rapporto dialettico anche con chi è chiamato a compiere scelte e valutazioni che possono avere un contenuto politico. Il contatto diretto e quotidiano con i problemi concreti delle persone permette al difensore civico di ricostruire in maniera piuttosto attendibile e puntuale le problematiche più rilevanti con le quali si misura un’amministrazione locale. Queste problematiche possono essere viste con gli occhi degli amministrati e nella prospettiva del caso particolare, della conseguenza inattesa, dell’esito iniquo o paradossale di una regolazione generale. L’opera di selezione, comunicazione, impulso, che il difensore civico svolge contribuisce alla costruzione di una buona amministrazione e di una città sempre più a misura d’uomo, capace di rispondere alle esigenze ed agli interessi dei cittadini.
Si tratta di utilizzare gli strumenti che - in un regime democratico - permettono di curare direttamente le proprie pretese, i propri diritti, i propri interessi nei confronti del potere, ogni volta che le forme normali di questa cura rimangono frustrate dall’atteggiamento dell’amministrazione, dalla difficoltà di interpellare direttamente i rappresentanti politici, dalla natura singolare dei problemi, dall’oscurità delle norme. Contemporaneamente all’amministrazione assicura maggiore consapevolezza e controllo sulle decisioni e sul loro esito, a garanzia del patto tra eletti ed elettori.

Si viene a configurare un’amministrazione capace di riformarsi giorno per giorno, modificando il proprio comportamento (anche) in base alle indicazioni dei cittadini, di cui il difensore civico è soltanto uno dei tramiti istituzionalizzati. In questo modo diviene strumento di rinnovamento ed allargamento delle dinamiche di decision-making, nell’ambito di una messa in discussione della relazione tra le politiche ed i destinatari delle politiche; inoltre, perché no, sembra essere anche un filtro che seleziona le forme di interferenza rispetto alle pratiche di governo: non tutte le interferenze sono ammissibili e costruttive (non a caso negli statuti il difensore civico viene in genere citato tra gli “istituti di partecipazione”).
Ciò che viene posto continuamente in discussione dall’operato del difensore civico è la struttura del processo del policy making, i meccanismi attraverso cui sono identificati i problemi collettivi, discusse le alternative di soluzione, attuate le decisioni assunte. Non si tratta di interloquire nella gestione dei servizi, ma di operare materialmente una riconcettualizzazione del rapporto tra burocrazia e politica, evitando per quanto possibile l’autoreferenzialità nei sistemi politici e amministrativi.
Certamente il lavoro del difensore civico può anche essere la mera rappresentazione di quanto sopra, l’arma retorica che un’amministrazione brandisce per affermare sul piano simbolico una “disponibilità” che, reale o solo rappresentata, è comunque strumento di marketing politico.
Ovvio che le due cose non sono in contraddizione tra loro, nel senso che anche in piena onestà intellettuale il difensore civico è comunque strumento di “pubblicità” per l’amministrazione. Piuttosto il dilemma è nell’atteggiamento di chi si rapporta con il difensore civico, nella suscettibilità o meno di chi è disposto o meno a fare revisione critica dell’operato amministrativo, e dunque nella disponibilità ad ascoltare critiche. Salvo poi decidere politicamente e liberamente, s’intende.

Non una qualsiasi riforma, ma la valorizzazione di questo istituto, si inserisce a pieno titolo in un contesto più ampio di iniziative che hanno come obiettivo l’empowerment del cittadino; si configura come un aspetto della ricerca di scenari condivisi di gestione del territorio e della socialità, a tutti i livelli e a tutte le scale; rappresenta un supporto per le fasce più deboli di fronte (non necessariamente contro) all’amministrazione.
Per valorizzazione s’intende uno spazio maggiore nella vita civile e politica di una comunità, a cominciare dai mezzi di informazione. Significa dotare gli uffici del difensore civico di adeguate risorse umane e finanziarie perché possano dare risonanza alla propria azione. Al di là del discorso puramente economico, significa garantire visibilità a cominciare dall’aspetto meramente logistico. Visibilità a cominciare da modalità di nomina trasparenti e non arbitrarie, gestite come momento di confronto con la società civile.
I difensori civici possono offrire un contributo al consolidamento delle garanzie civili - a partire da quelle costituzionalmente riconosciute - ma anche con riferimento a quelle che vanno via via affermandosi nella società. Ciò può avvenire a condizione che, pur in possesso delle necessarie competenze tecniche, siano espressione non (solo) della politica e dell’amministrazione, ma anche del territorio: del mondo del volontariato, dei movimenti dei consumatori, della cooperazione, dell’impegno sociale, dell’associazionismo, dei comitati più o meno stabili e spontanei che caratterizzano la storia politica delle città.
In questo modo il difensore civico può contare sulla massima autorevolezza quando si rapporta con i suoi interlocutori ed essere un rimedio alla diffusa mancanza di prossimità nelle relazioni tra amministrazione e cittadini, alla mancanza di piena informazione su ragioni e modalità delle scelte, alla scarsità di strumenti di confronto sufficientemente articolati ed efficaci. E ovviamente può contribuire a rendere esigibili i diritti di ciascuno ed in particolare delle persone più deboli, in quanto prive risorse per provvedere autonomamente.


Per contatti: www.comune.jesi.an.it/difensorecivico, difensore.civico@comune.jesi.an.it