Ce l'hanno fatta alla fine. Credevamo che il grottesco
non avesse futuro, che il vaniloquio rimanesse confinato ai vacui eloqui,
e invece avevamo nettamente torto. Il termine cui avevamo persino dedicato
un editoriale per evidenziarne la subdola ipocrisia è stato usato
- tenetevi forte - da una legge dello Stato.
Ebbene sì: "diversamente abili", il neologismo politicamente
corretto, è apparso alfine anche nelle austere colonne della Gazzetta
Ufficiale. Lasciate perdere che non ha nessun senso all'interno del contesto
in cui è stato calato (e quale senso descrittivo potrebbe mai avere?):
questa è una vittoria di chi, caparbiamente o in modo strisciante,
ha adottato quella non-definizione nei propri discorsi arrotolandola con
gusto in bocca, restituendola con enfasi al pubblico e rimanendo in attesa
della soddisfazione degli astanti per la purezza oltranzista delle proprie
vedute.
Diversamente abili, per noi, continua ad essere una locuzione priva di
senso, una terminologia negazionista dei bisogni reali, un esercizio lessicale
che ottunde meschinamente gli spigoli dolorosi di un problema ben più
complesso dell'abilità, una rincorsa scomposta alla normalizzazione
solo verbale. Diversamente abili... se non addirittura, in una inquietante
crasi, "diversabili" o ancora, con sentore boccaccesco, "diversamente
dotati".
È come se tutti, indipendentemente dall'età, dalle menomazioni,
dalle deficienze, dalle zoppie, sordità, ipovisioni, all'improvviso
e grazie alle due nuove e miracolose paroline fossero in grado di zappare
un campo incolto, ma non banalmente con la zappa come fanno i "normalmente
abili". Chi si ingegna con la protesi, chi con il bastone, chi con
il boccaglio del respiratore, chi con la scatola dei cateteri, chi con
un ausilio agganciato alla carrozzina, chi infine con il cucchiaino della
merenda, perché tanto l'importante è fare, essere freneticamente
abili. Bosch (Hieronymus, non quello dei trapani), se non fosse diversamente
vivo, ne avrebbe tratto uno dei suoi onirici ma gustosi dipinti.
Tutto questo non ha nulla a che vedere con le pari opportunità
che devono essere garantite alle persone con disabilità, garanzie
che devono consentire loro di essere parte della società. Parte
attiva o meno! Perché c'è anche chi, né diversamente
né ugualmente né in modo inferiore, è in grado di
essere abile in nulla, ma deve poter vivere in modo dignitoso e incluso
nella sua collettività come la Costituzione, con altrettante vuote
parole, aveva già previsto sessant'anni fa.
Ma forse a qualcuno, a questo punto, è venuta la curiosità
di sapere in quale norma dello Stato siano state interpolate le due paroline
magiche.
Non è una legge di settore, una di quelle, per intenderci, che
si occupano solo di disabilità. Si tratta invece di una norma di
quelle che sfuggono ai tecnici di settore (il nostro) perché mai
si penserebbe che riservassero qualche attenzione alle persone disabili.
È il Codice della navigazione aerea che è stato rivisto
nella parte aeronautica con un recente Decreto Legislativo (9 maggio 2005,
n. 96). La parte che ci interessa è quella della polizia di bordo
e dell'imbarco.
Citiamo, non per pedanteria: "Articolo 815 (Imbarco dei passeggeri
infermi e diversamente abili): Per l'imbarco di passeggeri infermi e diversamente
abili si osservano le norme speciali".
La mera analisi letterale dovrebbe già far riflettere e deflettere
chi, fra i fautori della rivoluzione lessicale, è in buona fede.
Agli altri lasciamo un paio di riflessioni. Perché anche agli infermi
non viene riservato lo stesso buonismo terminologico garantito agli invalidi?
Chessò... "diversamente mobili" o "diversamente
sani"?
Chi sono gli infermi? E quando un diversamente abile diventa un infermo?
Un tetraplegico è un infermo o è un diversamente abile?
Una persona che utilizza il ventilatore polmonare è un infermo
o un diversamente abile? Sono già state previste delle tabelle
di conversione?
Ma andiamo oltre il titolo dell'articolo. La sostanza è questa:
puoi farti chiamare come ti pare, ma per te, comunque, valgono norme speciali!
Ma questo già lo sapevamo: per viaggiare in aereo, a parte le sempre
più frequenti amare sorprese soprattutto, ma non solo, nei voli
a basso costo, bisogna sottostare a regole fatte di richieste largamente
anticipate e di certificati medici. Con buona pace della diversa abilità.
Non ci risulta che nessun aereo sia ancora caduto per colpa di un disabile
a bordo, ma si ostinano a giustificarsi con "motivi di sicurezza",
una formula che chiude le bocche più riottose.
E già... è sorprendente come le parole possano condizionare
le opinioni, far digerire rospi, dipingere la realtà diversa da
quella che è, prefigurare disastri o nefandezze. Le parole vengono
create e utilizzate a seconda dell'effetto che si vuole ottenere. La stampa
insegna!
Le persone scovate a Napoli a percepire indebitamente pensioni di invalidità
grazie a false certificazioni, le chiamiamo con il loro nome: disgraziati.
Solo un disgraziato può pensare di poter vivere con 230 euro al
mese di pensione. Detto questo, i disgraziati vanno perseguiti come pure
vanno puniti (sul serio, non come in occasione delle altre campagne) medici,
funzionari e politici che hanno reso possibile tutto ciò perché
questo significa potere.
Disgraziati e non falsi invalidi né, come forse a qualcuno sarebbe
più gradito, falsi diversamente abili.
Carlo Giacobini