Come si vive con un assistente personale? Lo abbiamo
chiesto a sei persone con gravi disabilità
fisiche. Perché sono ancora così poche le persone con disabilità che si
sforzano di vivere una vita indipendente? Come si vive con un assistente
personale accanto? Quali sono i problemi che si incontrano più spesso?
Ho intervistato, mediante un questionario, sei persone con gravi disabilità
fisiche tali da impedire loro di svolgere le funzioni essenziali della
vita senza ricorrere a figure assistenziali e a ausili.
Grazie ai finanziamenti della 162/'98, la legge a sostegno di persone
con handicap grave, gli intervistati, un uomo e cinque donne, di età compresa
tra i 32 e i 50 anni, residenti tra Brescia, Como, Varese e Milano, fruiscono
di uno o due assistenti personali e possono, così, tentare di condurre
una vita indipendente.
- In che misura l' assistente personale permette di realizzare il tuo
programma quotidiano e perché?
Delle tre persone che si avvalgono di assistenti a ore, le due che esprimono
piena soddisfazione sulla possibilità di realizzare il loro programma
quotidiano grazie all'assistente personale, vivono con un partner affettivo
senza disabilità. La terza, che vive con la famiglia d'origine, afferma
"Con l'assunzione dell'assistente rispondo alle mie necessità e ai bisogni
quotidiani con l'obiettivo di essere autonoma dai miei familiari in tutti
gli ambiti di vita che frequento". Questo è possibile, aggiunge, in "alcune
ore della mia giornata".
Le altre tre persone intervistate hanno assunto assistenti personali conviventi
(la badante come si suol dire) e una seconda figura per coprire il sabato
e la domenica.
Le loro risposte sono tutte cariche di problematiche: "Una badante non
può, da sola, assicurarmi il massimo dell'efficienza in ogni ora della
giornata, come richiederei. Chiunque, senza disabilità, fa i salti mortali
per realizzare ciò a cui tiene, ma come chiedere tanto a una persona che
lavora e vive a tempo pieno con te. Non è possibile né umanamente né tecnicamente.
Ci sono problemi di orari: " Le due sacrosante ore quotidiane che le toccano,
mi spezzano la giornata"; "per rispettare il suo riposo tendo a non uscire
troppo la sera e a non fare mai ore piccole"; "per le vacanze o per gite
più lunghe di un giorno sono in difficoltà per l'avvicendamento e le sostituzioni".
Si lamenta la difficoltà di trovare lavoratrici con la patente: "Io guido
però mi stanco molto e il fatto che la mia assistente non abbia la patente
è per me un grande limite" . Oppure: "la figura pagata a ore mi permette
di dedicarmi ad attività che nel quotidiano non mi posso concedere, come
gli spostamenti in macchina, ma su questa figura, considerati gli insufficienti
finanziamenti, sono costretta a risparmiare, con conseguenti rinunce".
Altre problematiche: "Cura della persona, della casa, alimentazione: soddisfacente.
Ma per le attività intellettuali: se ho bisogno di un libro non posso
indicare il titolo e per raggiungere lo scopo devo fare sforzi organizzativi
snervanti". "Riesco a realizzare abbastanza ciò che mi interessa finché
resto a casa: l'unico limite è che l'assistente settimanale non è in grado
di cucinare per più persone, e quindi mi è difficile avere spesso ospiti
(cosa che invece io farei molto più frequentemente, dato che esco poco).
Sono più in difficoltà invece, rispetto alle uscite...".
- In che misura questa figura ti permette di realizzare una vita indipendente?
C'è un buon grado di soddisfazione tra coloro che si giovano di assistenti
a ore. Il giudizio è ben espresso con queste parole: "Se il rapporto di
lavoro e umano è ben definito l'assistente personale mi permette sicuramente
una maggiore autodeterminazione negli aspetti della vita quotidiana. Sono
io che scelgo come vestirmi, cosa mangiare, quando alzarmi, come gestire
il mio tempo, con i vincoli dei miei impegni (come per tutti) e del rispetto
dell'assistente (non le chiedo di venire da me alle 5:00 del mattino).
Insomma non subisco le modalità e gli orari di una struttura apposita".
I limiti: "L'assistente personale mi permette di condurre la mia vita
per una parte della giornata come tutte le altre persone, senza dipendere
dai miei familiari".
Per le tre che si avvalgono di assistenti conviventi, parlando di vita
indipendente, valgono le osservazioni fatte con la domanda precedente.
Con una considerazione che ... dà forza; "mi permettono (le assistenti)
di vivere la vita che ho scelto: indipendente dagli altri, dalla e nella
famiglia (quando ci vado), indipendente da strutture assistenziali esterne
o chiuse o imposte".
- In che misura questa figura ti permette di essere te stesso?
Rispetto a questo bisogno vitale le risposte spaziano dal pragmatico:
"Se non hai la possibilità di alzarti, mangiare, muoverti, etc. ... come
puoi essere te stesso?! Oppure: "Mi permette di essere una persona normale,
di fare la mia vita come qualsiasi altra persona", a considerazioni più
complesse: essere sé stessi "non dipende dall'avere o meno un'assistente
personale. Anzi mi pesa tantissimo essere dipendente dagli altri, dover
instaurare rapporti di lavoro in casa mia, avere qualcuno in casa mia
solo perché ne ho bisogno, avere la continua mannaia sul collo del reperire
i soldi per pagare l'assistente, Detto ciò, poiché per ora è così, è buona
cosa trovare una collaboratrice che come carattere e modi d'agire fa il
suo lavoro in modo funzionale alle mie esigenze. Questo rapporto si deve
costruite, ma ho imparato che se non c'è compatibilità di carattere e
di motivazioni, il rapporto sarà brutto e durerà poco".
Tra le persone che ricorrono a assistenti conviventi la fatica della relazione
diventa un problema: "anche se sono io a prendere le decisioni, quando
scelgo qualcosa per accontentare loro, divento irritabile e so che, prima
di tutto, il problema è mio. Però, come si fa a ignorare la stanchezza
di una persona che, per tutta la giornata deve dedicarsi a me?"
Oppure: "È comunque una mediazione molto difficile: io ho sempre avuto
assistenti straniere, con problemi di vita personali molto grandi che,
volenti o nolenti, riversano nella relazione. Credo sia impensabile sottrarsi
del tutto alla disponibilità ad ascoltare o farsi carico, almeno in parte
o apparentemente, dei loro problemi. Io cerco di rimanere il più distaccata
possibile senza farmi esageratamente coinvolgere. La cosa che più mi pesa,
però, è il fatto che queste persone sono a conoscenza di quasi tutta la
mia "vita", da ciò che faccio, a ciò che mangio, ai miei problemi fisici,
le mie relazioni, le amicizie, gli amori ecc.. Alle volte devo proprio
chiudere la porta per trovare quella riservatezza che mi serve anche solo
per piangere o fare una telefonata".
C'è stato perfino un secco: "No comment".
- Come l'hai trovato?
Il passaparola è il metodo di ricerca più adottato dagli intervistati.
Quasi tutti hanno fatto ricorso a centri di domanda e offerta fatti da
associazioni, associazioni di colf (Acli, o altri sindacati), centri per
l'impiego.
Più di uno affiggendo biglietti ai negozi del paese. Chi mandando inserzioni
sui giornali e all'Informagiovani della sua città.
E c'è chi si è rivolto alle sue conoscenze.
- Come avviene il colloquio preliminare?
In tutti i casi i colloqui avvengono in casa. Chi da solo, per lo più
con altri.
In un caso con la collaborazione di una amica che lavorava in una cooperativa.
Un'altra preseleziona con un colloquio telefonico che, se è il caso, prosegue
a casa, meglio se in compagnia del fidanzato o sola.
Una terza chiede di leggere le condizioni di lavoro, il mansionario e
di compilare una scheda.
- In base a quali requisiti scegli l'assistente?
La qualità comune a tutti, si misura ... a pelle: "Simpatia","mi fido
delle mie sensazioni", "Intuito" "un minimo di affinità culturale", "gradevolezza"
. "Se straniera meglio sudamericana".
Segue: 1) la disponibilità 2) la comprensione della lingua italiana 3)
l'età: 25 ? 35; 35 ? 50 4) la predisposizione o esperienza ad assistere
in genere 5) la situazione personale: "i suoi impegni familiari" "i tempi
d'arrivo", "alcuni requisiti fisici correlati alle mie esigenze" 6) il
permesso di soggiorno.
Qualcuno chiede referenze.
Chi va sul difficile: "garanzia di continuità" o " patente".
Il periodo di prova, otto giorni se ci si attiene al contratto (impossibile),
consente di verificare l'esistenza di altri requisiti: "pulizia, capacità
di gestire una casa" ... "rispettare me il mio fidanzato e la nostra privacy,
il nostro modo di essere, la mia casa, essere affidabile".
- Come lo addestri?
Per tutti: con spiegazioni teoriche e con la pratica su se stessi: "Io
sono disponibile a spiegare una cosa molte volte ma pretendo che dopo
due mesi abbia imparato qualcosa. Inizio dalle cose più importanti e,
mano a mano, arrivo a far capire le cose più marginali". "Se il contatto
fisico nello svolgere operazioni facili come imboccarmi, mettermi una
maglia, è stato buono, passo a cose più difficili come mettermi a letto
e, poco dopo, a vestirmi. Poi, se convivente, inizia il periodo di prova...
su tutto il resto" accompagnandomi in tutti gli ambiti di vita che frequento".
C'è chi si avvale dell'aiuto dell'assistente precedente o di parenti o
di amici per quanto riguarda le tecniche e le manovre da eseguire, e "con
il tempo e la pazienza, ripetendo le informazioni fino a raggiungere un
apprendimento soddisfacente?"
- Quanto ti costa?
- Due assunzioni a ore: per l'anno 2005 circa euro 23.000.
- Per 4 ore al giorno, dal lunedì al venerdì, la retribuzione, comprensiva
di ferie, tredicesima, contributi, Tfr, è di euro 9,27 (9640,8).
- Per 35 ore settimanali, considerando le festività, le ferie e qualche
ora di straordinario, il costo attuale a Milano è di circa 15000 euro
all'anno.
- Badante più assistente a ore (25 ? 30 ore la settimana) 24 000 euro
per il 2005
- Quella fissa euro 826 + tfr, ferie, tredicesima, quella del week-end
euro 85 (senza contratto).
-La fissa: euro 900, contributi, vitto e alloggio; sabato pomeriggio e
domenica 100 euro + vitto.
- Per l'amministrazione delle paghe ti avvali di esperti?
Tutti si rivolgono ad associazioni o a parenti competenti. Solo una ha
imparato a fare da sé.
- Ritieni che il rapporto tra te e l'assistente sia paritario?
"Si, nei limiti di chi ... uno chiede, l'altro esegue!". "Ho un rapporto
paritario con la mia assistente, ma non mi sento riconosciuta come datrice
di lavoro e lei non lo vive più come un lavoro. ... dopo tanto tempo che
passi vicino ad una persona, ci si lascia coinvolgere in un diverso tipo
di rapporto che non è più un rapporto di lavoro. Si instaura inevitabilmente
un rapporto d'amicizia e l'assistente ne approfitta non considerandolo
un lavoro come tutti gli altri. La mia assistente attuale devo licenziarla".
"Quando instauro un rapporto di collaborazione/lavoro definisco i ruoli
per i quali la persona che lavora non è qui per farmi compagnia, ma per
assolvere a delle funzioni specifiche per le quali io la devo retribuire
adeguatamente. Io mi impegno a dare rispetto e lo pretendo. A casa mia
sono io che decido, ma apprezzo i consigli e le esperienze da cui posso
imparare. Se ce ne sono i presupposti creo dei momenti di conversazione
amicale e cordiale che interrompe la routine del lavoro"
Per chi vive con l'assistente la risposta è tre volte negativa: "Troppo
spesso i loro numerosi problemi, familiari o personali ricadono sul datore
di lavoro; inoltre, accedono all'intimità dello stesso, per cui a volte
esiste il problema di recuperare l'autorità. Questo spesso comporta un
aumento di stress e senso di frustrazione nel datore di lavoro".
- Pensi si possa migliorare la qualità del rapporto? E come?
Le soluzioni considerate più utili sono i corsi: corsi per persone con
disabilità future datrici di lavoro; corsi destinati a assistenti. Qualcuno
spiega: " lo standard medio è abituato a gestire persone anziane con problemi
di memoria". Qualcuno precisa che i corsi per assistenti è bene che siano"
tenuti da "associazioni per la Vita Indipendente delle persone con disabilità",
"da ENIL?" oppure da "qualunque ente pubblico o sindacato purché vengano
coinvolte le persone con disabilità" ... "corsi per la famiglia di persone
con disabilità e per chi lavora all'interno di associazioni e assistenti
sociali dell'ente pubblico".
Anche l'istituzione di agenzie per la Vita Indipendente è considerata
una risposta utile "agenzie o comunque servizi per la vita indipendente
gestiti da associazioni di persone con disabilità insieme all'ente pubblico".
Qualche consenso a un contratto diverso che preveda "il riconoscimento
della figura dell'assistente personale con un contratto nazionale come
tutti gli altri lavori" "un periodo di prova più lungo; distinzione tra
notte attiva e notte passiva; modalità di cessazione del rapporto di lavoro".
C'è chi vede la soluzione in una miglior retribuzione, ma per lo più si
pensa che "sono già pagate abbastanza, calcolando che sono completamente
spesate" e che basta "una retribuzione equa, ma non esagerata: il rispetto
non si compra.
E se ci fosse un confronto costante tra persone con disabilità datrici
di lavoro? "sarebbe fantastico, ma per il momento secondo me è prematuro:
non esiste ancora una figura professionale vera che si possa definire
assistente personale. È ancora troppo un lavoro "di ripiego".
Qualcuno osa una soluzione personale (apparentemente): "l'avvicendarsi
in turni di quattro assistenti per coprire le 24 ore". Auguri.
L'ABC. dell'assunzione
Di Marcella Codini e Veronica Imparato
Tutto quello che serve sapere. per assumere un’assistente personale
La scelta di assumere una colf, ma soprattutto un'assistente a tempo pieno,
non è una cosa facile e non solo per le implicazioni psicologiche o familiari
che comporta, ma anche per la complessità degli adempimenti da seguire,
spesso non sufficientemente conosciuti. Per questo abbiamo pensato di
dare una risposta a quelli che sono i dubbi più frequenti. Anche se ci
siamo impegnati a essere il più possibile esaurienti, consigliamo comunque
chi desidera procedere ad un'assunzione di fare riferimento alle associazioni
specializzate in questo campo (soprattutto Api-colf e Acli-colf) per una
consulenza (vedi box).
- Voglio assumere una persona per l'assistenza, ma non so come reperirla,
a chi mi rivolgo? Alcuni canali possibili oltre al passaparola (canale efficace e spesso
impiegato) sono: contatto con le Parrocchie, con i Servizi Sociali, con
agenzie di somministrazione di manodopera (ex interinali), i sindacati
e le associazioni, soprattutto Acli-colf e Api-colf.
- Come posso assumere una colf o badante? L'assunzione avviene normalmente in maniera diretta da parte dei datori
di lavoro (è possibile anche ricorrere ad un'agenzia di somministrazione
di manodopera o a cooperative e in futuro sarà ammesso anche il lavoro
accessorio previsto dalla Legge Biagi).
Il primo atto è la lettera di assunzione firmata dal datore di lavoro
e dal lavoratore, dove vengono indicate, oltre ad eventuali clausole specifiche,
tutta una serie di informazioni: data di inizio del rapporto di lavoro,
livello di inquadramento, durata del periodo di prova, esistenza o meno
della convivenza, durata e distribuzione dell'orario, indicazione dei
giorni di riposo, retribuzione, previsione di eventuali temporanei spostamenti
per villeggiatura o altri motivi, periodo concordato di godimento delle
ferie, indicazione dello spazio dove il lavoratore può custodire i propri
effetti personali.
Appena avvenuta l'assunzione scattano una serie di adempimenti: occorre
infatti fare una denuncia all'Inps (anche tramite il loro sito internet),
una all'Inail nelle 24 ore dall'assunzione e un' ulteriore comunicazione
al Centro per l'Impiego entro 5 giorni.
- Se proviene da un Paese extracomunitario ci sono degli adempimenti
in più?
Se la collaboratrice è cittadina extracomunitaria, oltre agli adempimenti
già descritti, occorre anche inviare una comunicazione all'Autorità di
Pubblica Sicurezza entro 48 ore e inviare entro cinque giorni dall'assunzione
il contratto di soggiorno all'Utg della Prefettura (in attesa che sia
costituito lo Sportello Unico previsto dalla Legge Bossi Fini). Il modulo
è scaricabile da internet dal sito del ministero del Welfare o può essere
richiesto in Prefettura. L'obbligo dell'invio del contratto di soggiorno
è piuttosto recente e deriva dal regolamento attuativo della Bossi Fini.
All'interno del contratto di soggiorno vi è l'impegno da parte del datore
di lavoro di provvedere alle spese di rientro in patria in caso di espulsione
e di sostenere le spese di alloggio in caso di necessità. Occorre tener
presente che anche chi ha attualmente in carico badanti deve provvedere
alla redazione del contratto di soggiorno che viene richiesto dalle Questure
al momento del rinnovo del permesso di soggiorno.
Sempre nel caso di badante extracomunitaria occorre verificare che sia
in possesso di regolare permesso di soggiorno con una motivazione che
consenta di svolgere attività lavorativa in Italia (lavoro subordinato,
lavoro autonomo, lavoro stagionale, famiglia, ricongiungimento familiare,
attesa occupazione, motivi umanitari, asilo politico, protezione sociale,
affidamento). Non possono svolgere attività lavorativa quanti non hanno
un permesso di soggiorno o ce l'hanno per motivi che non consentono di
lavorare: turismo, salute, richiesta asilo politico, motivi religiosi,
affari. Chi ha un permesso per studio può invece lavorare, ma solo part-time
fino a 20 ore mensili. In base alla Bossi Fini può lavorare anche chi
ha un permesso in attesa di rinnovo (con ricevute rilasciate dalla Questura),
purché ne abbia chiesto il rinnovo nei termini previsti dalla legge. Questi
termini sarebbero di 60 giorni prima della scadenza. Teniamo presente
però che le Questure spesso non raccolgono le istanze prima dei 15 giorni
dalla scadenza. Questo fa sì che inevitabilmente ci sia una tolleranza
maggiore sui termini. Un termine più estensivo che si può considerare
è quello allora dei 60 giorni successivi alla scadenza del permesso, dopo
il quale può scattare addirittura un provvedimento di espulsione.
- E se è priva di permesso di soggiorno?
Nel caso di un immigrato extracomunitario senza permesso di soggiorno
o con permesso che non consenta di svolgere attività lavorativa non si
può procedere ad un'assunzione regolare.
Si può però avviare una procedura di nuovo ingresso nel caso vi sia disponibilità
nelle quote di ingresso previste annualmente da un apposito decreto presidenziale.
Le quote prevedono un numero molto limitato di nuovi ingressi e vengono
esaurite quasi immediatamente, tranne nel caso di persone provenienti
da Paesi neo comunitari (es. Polonia) per i quali sono molto più "abbondanti"
e in gran parte non utilizzate.
In ogni caso la domanda di nuovi ingressi va fatta avere alla Direzione
Provinciale del Lavoro o all'Utg della Prefettura (in attesa dell'apertura
dello sportello unico) che rilasciano l'eventuale autorizzazione al lavoro.
Occorre tener presente che la procedura richiede che l'immigrato, anche
se attualmente soggiornante in Italia, compia le pratiche necessarie all'Ambasciata
Italiana nel suo Paese di origine. Al di fuori di questa procedura (nella
maggior parte dei casi impraticabile per la limitatezza delle quote e
per la disponibilità riservata solo ad alcuni paesi) non è possibile "regolarizzarsi".
A meno di attendere un'eventuale ulteriore sanatoria, evento probabilmente
non remoto, dato che la cadenza delle sanatorie in Italia è di circa una
ogni 4/5 anni e l'ultima è avvenuta nel 2002.
- Devo dimostrare di avere un determinato reddito per procedere all'assunzione?
Sì, il datore di lavoro, per assumere un assistente cittadino extracomunitario,
deve dimostrare di possedere il requisito della capacità economica, che
sussiste ogniqualvolta il richiedente possegga un reddito annuo, al netto
dell'imposta, di importo almeno doppio rispetto all'ammontare della retribuzione
annuale dovuta al lavoratore da assumere, aumentata dei connessi contributi.
Il requisito può risultare anche dal cumulo dei redditi dei parenti di
primo grado non conviventi o, in mancanza, di altri soggetti tenuti legalmente
all'assistenza sulla base dell'autocertificazione dei medesimi.
- Quali sono i costi da sostenere per l'assunzione?
I costi sono rappresentati dallo stipendio, compresi ferie, tredicesima
e TFR e dai contributi che devono essere versati all'Inps il quale provvede
a inviare a casa trimestralmente i bollettini. Occorre tener presente
che nel caso l'assistenza debba essere fornita in via continuativa non
è possibile impiegare una sola persona. Pertanto bisogna prevedere una
seconda figura che copra i periodi di riposo domenicale, infrasettimanale
e le ferie. Per le retribuzioni esistono dei minimali, ma in genere vengono
poi definite in base ai valori di mercato delle singole zone. Ad esempio
nella zona di Varese un'assistente convivente prende uno stipendio variabile
tra i 700 e i 1000 euro più vitto e alloggio. Per avere comunque dei riferimenti
è possibile rivolgersi alle associazioni che supportano i datori di lavoro
nella gestione delle pratiche relative al rapporto di lavoro. Per conoscere
l'ammontare dei contributi da versare è possibile anche consultare il
sito internet: www.inps.it.
- Ci sono sconti fiscali per le famiglie che sostengono i costi per
una collaboratrice?
Per effetto dell'art 30 della L.342/00 vi è la possibilità di dedurre
dal reddito complessivo ai fini Irpef, fino all'importo di euro 1.549,37,
i contributi previdenziali versati per gli addetti ai servizi domestici;
i benefici raddoppiano per la badante.
Oltre al predetto sconto si può fruire di una nuova deduzione introdotta
dalla Legge Finanziaria 2005. Tecnicamente si chiama "deduzione per addetti
all'assistenza personale di soggetti non autosufficienti". L'Agenzia delle
Entrate considera non autosufficienti le persone che non sono in grado
di compiere atti di vita quotidiana quindi di assumere alimenti, di espletare
le funzioni fisiologiche e di provvedere all'igiene personale; di deambulare,
di indossare indumenti; nonché la persona che necessita sorveglianza continuativa.
Lo stato di non autosufficienza deve risultare da certificazione medica.
La deduzione quindi riguarda tutte le famiglie che abbiano assunto una
badante o una colf per destinarla all'assistenza di familiari non autosufficiente
nel limite massimo di euro 1.820,00. Non è necessario che il familiare
assistito e per il quale si chiede la nuova deduzione sia a proprio carico,
e nemmeno che il soggetto non autosufficiente conviva con il soggetto
che sostiene l'onere.
- Esistono dei finanziamenti per sostenere le spese per l' assistenza?
Vi sono dei contributi previsti da alcuni Comuni o Regioni e vi sono quelli
previsti dalla Legge nazionale di riforma dell' assistenza (L. 21/5/98
n. 162) che finanzia "progetti di vita indipendente".
La base fondamentale di ogni progetto di "Vita Indipendente" è l'assistenza
personale autogestita che può permettere a chi ha un'invalidità grave
di vivere a casa propria e di organizzare la propria vita, e consente
alle famiglie di essere più libere da obblighi assistenziali. La quantificazione
del finanziamento del progetto è frutto di un confronto fra l'interessato
e i Servizi Sociali, nel limite del trasferimento regionale alle Asl.
Per ogni informazioni è utile rivolgersi ai Servizi Sociali del Comune
di residenza.
I destinatari previsti dalla L. 21/5/98 n. 162 sono le persone adulte,
di età compresa tra i 18 e i 64 anni, con disabilità fisico-motoria e
in possesso della certificazione di gravità, ai sensi dell'art. 3, comma
3, della L. 104/92, o comunque con invalidità al 100% ed indennità di
accompagnamento.
La persona interessata deve presentare il progetto dal 1 al 30 settembre
presso Uvmd (unità di valutazione multidimensionale distrettuale). Tenendo
poi conto di alcuni requisiti, come ad esempio la condizione familiare,
reddito personale, ecc. ogni Asl predispone una graduatoria degli aventi
titolo. Sono rimborsabili esclusivamente le spese per gli assistenti personali.
L'utilizzo del finanziamento annuale può essere modulato nel corso dei
mesi, in base alle esigenze personali. Il rendiconto finale dovrà essere
presentato entro 90 giorni dal termine del progetto.
- Quanto dura il periodo di prova per un' assistente domiciliare?
Nel caso di assistenti domiciliari il periodo di prova ha una durata di
8 giorni di lavoro effettivo.
- Come sono regolati l'orario di lavoro e i giorni di riposo?
La durata normale dell'orario di lavoro è concordata dalle parti con un
massimo di: 10 ore giornaliere, non consecutive, per un totale di 54 ore
settimanali, per i lavoratori conviventi e 8 ore giornaliere non consecutive,
per un totale di 44 ore settimanali per i lavoratori non conviventi.
Molto articolata è la gestione dei periodi di riposo. La L. 339/58 prevede
il diritto del lavoratore domestico convivente ad un riposo di almeno
8 ore consecutive durante il giorno e ad un riposo intermedio non retribuito
di due ore (di solito nel pomeriggio). E' inoltre consentito il recupero
consensuale e a regime normale di eventuali ore non lavorate, per non
più di 2 ore giornaliere. La legge prevede poi il diritto ad un riposo
settimanale di 36 ore: che deve essere goduto per 24 ore la domenica,
e per le residue 12 ore in qualsiasi altro giorno della settimana, concordato
tra le parti.
Le eventuali prestazioni di lavoro fatte nelle 12 ore di riposo non domenicale
vanno retribuite con una maggiorazione del 40% oppure fruite in un altro
giorno della settimana. Il riposo domenicale, invece, è considerato irrinunciabile:
qualora fossero richieste prestazioni di lavoro per esigenze imprevedibili,
al lavoratore è concesso un uguale numero di ore non retribuito nel corso
della giornata immediatamente seguente e le ore lavorate devono essere
retribuite con la maggiorazione del 60%.
E' inoltre consentito, qualora il lavoratore professi una fede religiosa
che preveda la solennizzazione in un giorno diverso dalla domenica, che
le parti concordino sulla sostituzione ? a tutti gli effetti contrattuali
? della domenica con un'altra giornata.
- Quante ferie ha diritto?
Il lavoratore domestico ha diritto ad un periodo di ferie di almeno 26
giorni lavorativi. Viene ammessa la possibilità, per i lavoratori di cittadinanza
non italiana che abbiano necessità di godere di un periodo di ferie più
lungo per tornare nel loro paese, di accumulare le ferie nell'arco massimo
di un biennio.
- Vi sono altre assenze e permessi?
Come gli altri lavoratori, anche il lavoratore domestico ha diritto ad
assenze e permessi per cause diverse: visite mediche (16 ore annue per
i lavoratori conviventi e 12 ore per quelli non conviventi con orario
non inferiore alle 30 ore settimanali), comprovata disgrazia a familiari
(3 giorni), nascita di un figlio (2 giorni), malattia e infortunio, frequenza
a corsi (40 ore annue), matrimonio (15 giorni consecutivi), maternità.
- In che modo si può interrompere il rapporto di lavoro?
Il licenziamento avviene con lettera scritta rispettando il periodo di
preavviso che è di 15 giorni (per un'anzianità inferiore ai 5 anni) o
di 30 giorni (se l'anzianità è superiore). I termini di preavviso sono
ridotti del 50% in caso di dimissione del lavoratore, per rapporti inferiori
alle 25 ore settimanali (8 giorni fino a 2 anni di anzianità, altrimenti
15 giorni) e aumentati nel caso di portieri privati o custodi che hanno
un alloggio indipendente (fino ad un anno di anzianità 30 giorni, oltre
60 giorni).
Indispensabili ASSISTENTI
di Marcella Codini
Latitanza delle istituzioni, difficoltà delle famiglie, bisogno di lavoro
delle immigrate, hanno dato vita al crescente fenomeno delle badanti.
In una ricerca della Caritas luci e ombre di un rapporto di lavoro molto
particolare.
E' sotto gli occhi di tutti il fenomeno del sempre crescente impiego di
assistenti domiciliari (comunemente definite "badanti") per far fronte
ai bisogni di assistenza provenienti dalle famiglie. Questo fenomeno,
particolarmente diffuso in Lombardia e pressoché sconosciuto fino a pochi
decenni fa, rappresenta un punto di incontro tra i bisogni di assistenza
delle famiglie, che non trovano adeguata risposta nelle istituzioni pubbliche,
e la richiesta di lavoro da parte di donne provenienti da Paesi extra
Cee.
Dell'argomento si è occupata la Caritas ambrosiana in una ricerca condotta
per conto dell'Osservatorio Regionale per l'integrazione e la multietnicità
nella quale sono state messe in luce caratteristiche e aspetti problematici
di questo fenomeno.
All'origine dell'impiego diffuso di personale extracomunitario vi sono
più elementi.
Innanzitutto un crescente bisogno di assistenza dovuto agli attuali andamenti
demografici, alla sempre maggiore presenza delle donne sul mercato del
lavoro e a cambiamenti all'interno delle relazioni familiari.
Tale bisogno non ha trovato adeguata risposta da parte delle istituzioni
pubbliche che tendono a offrire (quando va bene!) unicamente sostegno
economico al soggetto in difficoltà e ai suoi familiari.
Va osservato che la scelta "tradizionale" dell'"istituto" sta poi diventando
un'ipotesi sempre meno interessante (e per questo si stanno riducendo
anche le liste di attesa delle case di riposo?) non solo per la carenza
di strutture residenziali ma anche per un cambiamento culturale che porta
al rifiuto di soluzioni istituzionalizzanti per il desiderio di mantenere
la persona nel proprio ambiente di vita in modo da non sconvolgere i suoi
ritmi e le sue abitudini.
Questo bisogno si incontra con le esigenze di donne immigrate, spesso
appena arrivate, che trovano in questa forma di impiego un canale, pur
precario e poco tutelato, di inserimento lavorativo e abitativo sul territorio
italiano.
Anzi, nel caso non dispongano di permesso di soggiorno, ottengono anche
il risultato di diventare pressoché “invisibili" ai controlli, anche per
la scelta dello Stato di tollerare le scelte "informali" delle famiglie
in questo campo.
Nel volume "Un' assistenza senza confini" che racconta i risultati della
ricerca della Caritas, Maurizio Ambrosini fa una serie di considerazioni
interessanti. Ad esempio sottolinea come il fenomeno travalichi i confini
del nostro Paese e si iscriva in un processo internazionale di globalizzazione
dei compiti di cura, rispecchiando una tendenza "all'importazione di accudimento
ed amore dai paesi poveri verso i paesi ricchi". Stiamo passando ? sottolinea
- da una fase in cui i Paesi del nord del mondo hanno attinto alle risorse
naturali e ai prodotti agricoli delle terre che colonizzavano, a una fase
in cui i paesi ricchi "cercano anche di attingere qualcosa di più difficile
da misurare e quantificare, qualcosa che può sembrare prossimo all'amore".
Pregi e insidie di un rapporto singolare
Il rapporto di lavoro che si viene a creare nel campo del assistenza domiciliare
ha delle caratteristiche molto peculiari. Intanto crea una modifica del
ruolo del familiare che da soggetto prestatore di cura diventa "regista"
dei compiti assistenziali. Per certi versi poi questo rapporto ? soprattutto
quando è "fisso" è un ritorno ai rapporti di lavoro premoderni. Ricompare
infatti la sovrapposizione tra abitazione e luogo di lavoro. Ritorna un'assimmetria
e insieme una dipendenza profonda nei rapporti tra datori di lavoro e
lavoratrici. Si intride di componenti informali, si confonde con le relazioni
di mutuo aiuto delle persone. Questo con effetti magari inevitabili, ma
non per questo meno problematici e insidiosi.
Ad esempio, è noto che per ragioni di disponibilità e flessibilità il
reclutamento delle lavoratrici segue di solito criteri opposti e quelli
della promozione e dell'integrazione sociale. I datori di lavoro preferiscono
persone sole, senza figli da accudire, magari arrivate da poco. In altri
termini sembra che la buona aiutante domiciliare per svolgere bene il
proprio lavoro debba essere socialmente isolata.
A causa del nesso con le attività e le relazioni interne alla famiglia,
queste occupazioni comportano poi una richiesta di coinvolgimento affettivo,
di sostituzione anche relazionale di congiunti. Spesso anche la lavoratrice
ricerca e gradisce la familiarizzazione o almeno la accetta. Separata
dal mondo degli affetti e dal proprio ambiente di vita può trovare apprezzabile
che una famiglia le offra non solo un lavoro, ma un ambiente accogliente
ed emotivamente ben disposto nei suoi confronti. Nella vita quotidiana
datori di lavoro e aiutante domiciliare molto spesso mangiano insieme,
guardano insieme la televisione, escono per far compere o a passeggio;
il rapporto di impiego deborda dall'alveo strettamente lavorativo trascinando
con sé stati d'animo, emozioni, affetti. Vi è talvolta una pretesa di
"lealtà eccessiva" sproporzionata rispetto al rapporto contrattuale, ma
inquadrabile nel bisogno di trovare punti di riferimento affettivi. La
familiarizzazione, strettamente intrecciata con la coabitazione e corollario
per certi aspetti inevitabile, non è priva di benefici, ma rappresenta
un terreno insidioso di quello che in definitiva rimane un rapporto di
lavoro. Proprio la conclusione del rapporto, specie quando avviene per
scelta delle lavoratrici, svela le ambiguità della situazione: rompe l'involucro
della familiarizzazione e riconduce il rapporto ad uno scambio contrattuale.
Proprio per questo trascina con sé frequentemente qualche forma di recriminazione
e risentimento, per l'ingratitudine, la strumentalità, l'orientamento
all'interesse personale, che improvvisamente vengono riscontrati nella
donna immigrata "accolta come una persona di famiglia".
Un altro esempio delle possibili distorsioni è rappresentato da quello
che è avvenuto nell'ultima sanatoria del 2002 dove oltre il 40% delle
lavoratrici domestico-assistenziali ha dovuto pagare di tasca propria
gli oneri della regolarizzazione che la legge poneva in carico ai datori
di lavoro. La regolarizzazione è stata presentata e vissuta dai datori
di lavoro come una benevola concessione, un grande favore fatto alle loro
dipendenti e spesso è stata percepita in questo modo anche dalle lavoratrici.
Proposte per un miglioramento dei servizi Alla luce delle problematiche emerse, gli autori della ricerca avanzano
alcune proposte al fine di avere un miglioramento e una qualificazione
dei servizi di cura a domicilio.
Innanzitutto ? sostengono - occorre rivedere l'attuale regime di restrizione
dell'immigrazione per lavoro che rischia di favorire di fatto la riproduzione
del lavoro sommerso con necessità di procedere periodicamente a nuove
sanatorie. Poi c'è la necessità di ripensare l'attuale scelta di "privatizzazione"
completa di queste attività che le istituzioni pubbliche hanno deciso
sostanzialmente di accettare, applicando poi una benevole tolleranza sugli
"aggiustamenti informali" delle famiglie. Insieme occorre introdurre nuovi
incentivi economici alle famiglie. Può essere inoltre utile varare - a
livello per esempio provinciale - un albo delle aiutanti domiciliari che
hanno seguito un'apposita formazione, riservando all'assunzione di queste
la possibilità di impiego di eventuali voucher.
Sembra inoltre molto importante introdurre soggetti terzi che intervengano
nella gestione del rapporto tra famiglie e aiutanti domiciliari, provvedendo
alla selezione, formazione, monitoraggio, sostituzione (per ferie, malattie,
giorni di riposo, permessi?) del personale.
In prospettiva si potrebbe pensare ? sottolinea ancora Maurizio Ambrosini
- di affidare la gestione delle aiutanti domiciliari a imprese sociali,
senza fine di lucro, che applichino contratti di lavoro "normali", sgravando
le famiglie dall'onere della gestione del rapporto di lavoro.
Occorre naturalmente prevedere opportune fonti di finanziamento del sistema.
Qualcuno ha avanzato la proposta di una "tassa di scopo" su modello tedesco.
Comunque sia, è necessario che le istituzioni sospendano l'attuale politica
di risparmio occulto, che porta a scaricare i costi economici e non dell'attuale
disorganizzazione dell'assistenza, su disabili, anziani, famiglie e sulle
stesse assistenti domiciliari.