Da LA NONVIOLENZA E'
IN CAMMINO - Centro di ricerca per la pace di Viterbo - e-mail: nbawac@tin.it
Numero 1079 del 10 ottobre 2005
Fabrizio Gatti. Una testimonianza dal campo di concentramento di Lampedusa
Fabrizio Gatti, "Io, clandestino a Lampedusa", pubblicato sul settimanale
"L'espresso", n. 40 del 13 ottobre 2005 alle pp. 36-50.
Un nome inventato e un tuffo in mare. Non serve altro
per essere rinchiusi nel centro per immigrati di Lampedusa. Basta fingersi
clandestino e in poco tempo ci si ritrova nella gabbia dove ogni anno
migliaia di persone finiscono il loro viaggio e dove nessun osservatore
o giornalista puo' entrare. La via piu' veloce per infiltrarsi nella Cayenna
dell'Unione Europea prevede un salto dagli scogli e qualche ora in acqua.
Se non si vuole partire dalla Libia e rischiare di affondare con le barche
sovraccariche, non esistono alternative. Cosi' ho scelto un nome straniero
e uno stratagemma preso in prestito da Papillon, il mitico film del 1973:
per fuggire dalla Cayenna, quella vera, Steve McQueen si butta dalle rocce
e si affida all'Oceano aggrappato a una zattera di fortuna. Solo che qui
lo scopo non e' scappare ma farsi prendere. Ed e' cio' che mi e' successo:
ripescato da un automobilista, catturato dai carabinieri sul lettino del
pronto soccorso e rilasciato la settimana dopo, la sera di venerdi' 30
settembre. Libero, con la possibilita' di andare a lavorare in qualunque
citta' d'Europa come clandestino, nonostante i precedenti penali e una
condanna nel 2004.
Comincia e finisce cosi' il diario di otto giorni da prigioniero nell'inferno
di Lampedusa. Il prezzo da pagare per assistere in prima fila a umiliazioni,
abusi, violenze e a tutto quanto l'Italia ha sempre nascosto alle ispezioni
del Parlamento europeo e delle Nazioni Unite. Ma e' anche l'opportunita'
per vivere l'immane solitudine di uomini, donne e bambini che, nella fatica
di migliorare la propria vita, hanno avuto contro il deserto, i trafficanti,
le tempeste e adesso che sono sbarcati hanno contro la legge che dovrebbero
rispettare.
Venerdi' 23 settembre Il Mediterraneo stasera ha il respiro lento. Sotto il cielo senza
luna, l'acqua non si vede. Si sente soltanto il suono, due o tre metri
laggiu' ai piedi della scogliera. Prima del salto, bisogna sincronizzarsi
con il ritmo del mare. Entrare in acqua quando l'onda e' piu' alta, sfruttare
la risacca e allontanarsi subito dalle rocce. Uno. Due. Al tre il freddo
gia' avvolge il corpo: da questo momento sono Bilal Ibrahim el Habib,
nato il 9 settembre 1970 nel villaggio immaginario di Assalah, distretto
di Aqrah, Kurdistan iracheno. Sugli scogli non sono rimaste tracce. Scarpe
e calze sono state affondate con quattro sassi. E anche il rotweiler randagio
che aveva deciso di seguirmi e passare la sera in compagnia, adesso se
ne sta andando un po' perplesso. Bilal non ha molto con se'. Ha addosso
pantaloni di tela neri, boxer, maglietta di cotone, una felpa blu, un
pile pesante e un giubbotto di salvataggio con una scritta in arabo. Sul
petto Bilal stringe una borsa sportiva. Dentro ci sono tre scatolette
di sardine "Product of Morocco", tre panini ormai poltiglia, una bottiglia
d'acqua e un paio di vecchie ciabatte di plastica. Ma quella borsa, gonfia
d'aria, aiuta soprattutto a galleggiare. E' la serata ideale per buttarsi
in mare senza essere visti
Nel cielo rimbalzano le luci e i suoni di 'O' Scia'', il festival di Claudio
Baglioni. Quasi tutti i turisti, gli abitanti e le pattuglie di polizia
e carabinieri sono allo spettacolo. E Bilal puo' nuotare indisturbato
fino a un promontorio su cui brillano le finestre di una villa. C'e' un
andirivieni di ragazzi, auto e scooter. E prima che qualcuno si accorga
dell'uomo in mare, passano almeno quattro ore e mezzo
La gente di Lampedusa e le infermiere del pronto soccorso hanno regalato
tutta la loro generosita'. Ma adesso Bilal e' su una macchina dei carabinieri.
I fari illuminano una strada senza uscita accanto all'aeroporto. Poi un
cancello sulla destra, decorato dal filo spinato. Apre un carabiniere
in tuta antisommossa, anfibi e pistola nella fondina. Saranno le due e
mezzo di notte. Anche se per la legge resta un libero cittadino, da qui
Bilal non puo' piu' andarsene. "Dal pronto soccorso ci hanno consegnato
questo", dice al collega il militare sceso dall'auto. Bilal viene accompagnato
a testa bassa fino a un piccolo cortile dove aspettano altri carabinieri
e un ragazzo con la divisa della Misericordia, l'associazione che ha in
appalto il centro di Lampedusa. Il ragazzo offre un bicchiere d'acqua
e quattro confezioni di cornetti. Poi toglie da un sacchetto una maglietta
di cotone e una tuta da ginnastica: "Mettiti queste che stai piu' caldo",
dice. "Come ti chiami? Da dove vieni?", vuol sapere un carabiniere. "I
don't understand", sussurra Bilal, non capisco. La domanda viene rifatta
in inglese maccheronico. "Kurdistan? Ma se questo e' piu' bianco di me,
come fa a essere curdo?", chiede un carabiniere molto abbronzato. Bilal
tiene gli occhi bassi sulle sue ciabatte logore e ascolta le voci. "Un
curdo che parla inglese. Sara'. Non e' che questo e' un giornalista della
Cnn infiltrato qui dentro?". "Si', o magari e' un giornalista italiano?".
"Ma va', gli italiani non fanno queste cose", risponde la prima voce.
Pericolo scampato. "Bilal, you must tell ze verity", urla un carabiniere,
devi dire ze verity. "Ze verity, understand? Se no bam bam", e mima gli
schiaffi. Verity? In inglese verita' si dice truth. Sara' un errore o
un tranello? "Bilal vieni", chiama il ragazzo della Misericordia. Trascina
un materassino di gommapiuma preso da una pila di materassi. Lo sistema
in corridoio, tra una fila di cessi puliti e la porta di un altro gabinetto
molto sporco. Poi lo ricopre con un lenzuolo di carta. "Stanotte lo facciamo
dormire qui", dice il ragazzo ai carabinieri. Un altro immigrato sta russando,
avvolto come una mummia in una coperta. E da una porta semichiusa si intravvedono
le sagome di decine di donne stese sul pavimento e un bambino. Quando
Bilal torna dal gabinetto, dove e' sempre stato seguito da un carabiniere,
trova il suo posto occupato
Piu' di 200 mosche hanno pensato che quel lenzuolo bianco e fresco di
cartiera fosse per loro. Ma sono mosche educate. Si alzano quando Bilal
arriva e si riappoggiano su di lui soltanto dopo che si e' sdraiato. Il
tentativo di scacciarle e' una battaglia persa. Dal pavimento sale un
fortissimo odore di urina. Dal soffitto la luce non si spegne mai. I carabinieri
ridono e parlano a voce alta tutta la notte. E' difficile prendere sonno.
E poi c'e' il problema del colore della pelle. Occorre inventarsi una
spiegazione credibile prima di domani mattina. Forse questa puo' andare:
Bilal e' cosi' pallido perche' il papa' e' curdo, ma la mamma e' bosniaca.
Sabato 24 settembre L'alba si annuncia con un fragore assordante. Nel dormiveglia sembra
il rumore di un aspirapolvere. No, forse e' una lucidatrice. Ma no, e'
troppo forte. La puzza risolve il mistero. Si', queste sono esalazioni
di jp, il carburante degli aerei. Ecco cos'e': l'aeroporto accanto. Quando
gli Airbus fanno manovra, sparano il getto dei motori dritto dentro le
finestre dove dormono gli immigrati. E' ancora buio, ma ormai sono tutti
svegli. Dalla stanza delle donne escono ragazze eritree o etiopi. Altre
appaiono da una seconda porta. C'e' anche una donna con il pancione della
gravidanza. Il conto e' subito fatto: tra teenager e adulte sono quasi
una cinquantina. In piu' Bilal e l'altro uomo che dorme in corridoio.
Per tutti c'e' un solo water, quattro docce e qualche lavandino. I carabinieri
non vogliono che si usino le loro turche, le uniche che profumano di candeggina.
Per evitare domande e guai, Bilal finge di dormire. Ma osserva e ascolta.
C'e' un viavai di carabinieri e qualche poliziotto intorno a lui. Si chiedono
se sia davvero curdo. Le ragazze africane passano il tempo ad annodarsi
treccine
Una di loro, che non avra' piu' di vent'anni, ha tutte le unghie smaltate
a meta'. La parte sopra e' abbellita da un leggero velo perlaceo, la parte
sotto e' cresciuta senza cura. Forse dove finisce lo smalto e' cominciato
il suo viaggio. Fuori, nel piccolo cortile, pendono scarpe, pantaloni
e maglie delle ultime arrivate. Ieri sera sono sbarcati 161 immigrati,
poi altri 37, e poi Bilal. C'e' un libro del Corano messo ad asciugare
al sole. "Bilal", urla forte una voce. "Tu", dice un poliziotto e con
la mano fa capire che bisogna seguirlo.
L'ufficio identificazioni della polizia e' una grande stanza con quattro
scrivanie. Bilal lo fanno sedere in fondo a destra. Di fronte a lui due
poliziotti in borghese, un computer e un ragazzo con il volto berbero.
E' l'interprete: "Parli arabo?", chiede in arabo. "Si'". "Da dove vieni?"
"Kurdistan. Ma vorrei continuare in inglese, l'arabo non e' la mia lingua,
gli arabi hanno occupato la mia terra", risponde Bilal. Scegliere la lingua
e' il primo nell'elenco dei "Diritti degli immigrati" scritto su carta
della Prefettura di Agrigento e appeso in corridoio. All'interrogatorio
si aggiunge una ragazza che chiamano dottoressa e indossa una maglietta
mimetica stile esercito americano. Vuole sapere tutto. Bilal racconta
di voler andare in Germania. E di essere stato chiuso in un container
in Turchia, caricato su un mercantile e messo su una lancia a motore a
qualche miglio dalla costa italiana. Poi la lancia si e' spaccata, e'
affondata e Bilal si e' salvato a nuoto. Vogliono sapere della scritta
in arabo sul giubbotto salvagente. "C'e' scritto: La felicita' 3. Forse
e' il nome di una nave", spiega l'interprete di arabo. "Tu sai cosa c'e'
scritto?", chiede la dottoressa, sempre in inglese. "Se', as Soror, la
felicita': tutti noi siamo venuti in Europa a cercarla". Bilal deve ripetere
tre volte la storia del suo viaggio. Cercano di metterlo in contraddizione.
Fanno domande tranello: "Se sei curdo, parli urdu". "No, l'urdu e' una
lingua del Pakistan". Poi si arrabbiano: "Tu non vieni dalla Turchia,
tu arrivi dalla Libia. E quella scritta in arabo lo dimostra. Noi adesso
ti rimandiamo da Gheddafi", promette la dottoressa. "Ce lo lascia un attimo
che lo portiamo nella sala delle torture?", le chiede un poliziotto robusto
che si e' appena aggiunto al gruppo. Ma forse e' solo un modo per capire
se Bilal parla italiano e per spaventarlo. L'interrogatorio ritorna subito
a un volume piu' umano. La dottoressa prende il telefono e protesta con
la stazione dei carabinieri perche' chi ha prelevato Bilal al pronto soccorso
non ha scritto il verbale e nessuno sa dove sia stato pescato e chi lo
abbia portato nel centro.
"Ecco, devi dire al maresciallo che e' un coglione", conclude la dottoressa.
Dopo l'interrogatorio, bisogna lasciare le impronte digitali. Le dita
e il palmo delle mani vanno premuti sul vetro rosso di uno scanner e si
e' automaticamente schedati. Fuori, 21 teenager aspettano il loro turno
Avranno tra i 15 e i 20 anni, visti insieme sembrano una classe di liceali
in gita. Sono tutti di Kerouane, in Tunisia, tutti vicini di casa, tutti
partiti con la stessa barca. Bilal non ha il tempo di sedersi accanto
a loro. Un poliziotto gli consegna un biglietto con il numero di matricola
001 e lo affida ai carabinieri. Lo portano davanti a un grande cancello
verde incorniciato da rotoli di filo spinato. Un altro carabiniere apre
il lucchetto, poi sblocca il catenaccio. Subito dopo il cancello si richiude.
Centinaia di immigrati sono seduti sull'asfalto in file da dieci tra due
baracche prefabbricate e quattro container. "Oggi siamo a quota 447",
avevano detto nell'ufficio di polizia. I carabinieri gridano e ridono.
Sulla tuta hanno il distintivo rosso del reparto: 1 Brigata Mobile. "Vai
in fondo, muoversi, muoversi", urla uno dei militari. Bilal va a sistemarsi
dietro a tutti, accanto a un cinquantenne magro e piccolo con la maglia
di Bergkamp, e due ragazzi egiziani. Due rigagnoli di liquido violaceo
escono da una porta a destra e scivolano sotto i piedi delle ultime file.
Il liquame puzza di urina e fogna. "Seduti", urla uno dei carabinieri,
"Sit down". "Ma qui in fondo e' una schifezza", dice il collega, un ragazzone
con accento napoletano. "Il maresciallo ha detto di farli sedere. Sit
down", grida piu' forte il primo e sorprende un immigrato alle spalle,
frustandolo sulle orecchie con i suoi guanti in pelle. Bilal e gli altri
si erano accovacciati sulle caviglie per non sporcarsi con il liquame.
Ma non basta ai carabinieri. Per evitare botte bisogna rassegnarsi e bagnarsi.
La' davanti l'interprete berbero e un poliziotto in borghese chiamano
i prossimi che lasceranno il campo. Un aereo e' in partenza per il Cpt
di Bari o forse per la Libia. Nessuno spiega nulla. Il carabiniere con
i guanti di pelle tenta di chiudere a calci la porta da dove escono i
rigagnoli. Poi si piazza in posizione strategica e sempre con i guanti
frusta sulle orecchie chi viene chiamato dall'interprete. Qualcuno deve
ripassargli davanti per andare a prendere in camerata il sacchetto con
le poche cose. E si riprende un'altra sventola. Ride il carabiniere, occhiali
e carnagione pallida. E ridono anche i suoi colleghi. Altra frustata.
Per loro e' solo un gioco. L'interprete e i poliziotti fanno finta di
non vedere. Ma tra le file sedute a terra, ragazzi e uomini mormorano
di rabbia. "Italiano, puttana, cornuto", sussurra lo smilzo con la maglietta
di Bergkamp.
Non sembra per niente un centro di accoglienza. E qui dentro non c'e'
nemmeno l'atteggiamento di rispetto che i poliziotti dell'ufficio di identificazione
avevano alla fine mantenuto. Bilal e tutti gli altri devono rimanere seduti
e rannicchiati per piu' di un'ora perche' dopo l'appello si resta in coda
per il pranzo. Un piatto di plastica con pasta e tonno, un altro con bocconcini
di pesce fritto (forse) e verdura in agrodolce, un panino, una mela e
una bottiglia di due litri d'acqua da dividere in due senza bicchieri.
Un'occasione per socializzare ma anche un rischio se qualcuno e' entrato
con malattie infettive. Nemmeno Bilal e' stato visitato dal medico del
centro. Si mangia per terra sotto il sole rovente, appoggiando pane e
mela sull'asfalto o sui muretti. Il pomeriggio bisogna trovare un posto
dove ripararsi dal caldo. I letti a castello sono tutti occupati. Dormono
a decine perfino sui tavoli della mensa. Nessun assistente della Misericordia
spiega a Bilal cosa deve fare. Dietro alla mensa-dormitorio c'e' qualche
materassino lasciato da chi e' appena partito
Guardando meglio molti sono pieni di insetti minuscoli, forse pulci. E
non ci sono nemmeno le lenzuola di carta per proteggersi, abbandonate
fuori perche' un poliziotto aveva fatto capire che la Misericordia le
avrebbe distribuite una volta dentro la gabbia. Ma non era vero. Bilal
crolla addormentato sotto il sole, proteggendosi la testa con l'asciugamano
che gli hanno dato come coperta. Lo risveglia un egiziano: "Ehi, ashara-ashara"
Ashara? In arabo significa dieci. "Ashara-ashara", urlano pattuglie di
carabinieri entrate nel campo con i manganelli Tonfa infilati nel cinturone
Bisogna andare a risedersi sul viale dei liquami. In file da dieci, "ashara-ashara".
E' un altro trasferimento: questa volta l'aereo dell'Alitalia parte per
Crotone. Chiamano anche lo scafista egiziano di Rosetta che ha guidato
la barca di 161 persone arrivata ieri sera
Carnagione chiara, capelli neri voluminosi. Nel suo zainetto gli hanno
trovato (e lasciato) cinquemila euro in contanti, la paga per il suo lavoro
"Questo qua e' la terza volta quest'anno che passa da Lampedusa", lo indica
un appuntato dei carabinieri. Qualcuno dovrebbe pero' spiegare perche'
questa volta lo scafista e' rimasto a Lampedusa meno di 24 ore
Prima di sera l'ufficio identificazioni scopre che le impronte di Bilal
corrispondono a quelle di un altro immigrato: Roman Ladu, nato a Bucarest
il 29 dicembre 1970. E' il nome che ho usato nel 2000 per entrare nel
Cpt di via Corelli a Milano, poi chiuso per le precarie condizioni di
detenzione
Il computer pero' non dice ai poliziotti che Roman Ladu e' in realta'
un giornalista. E forse nemmeno che il giornalista, alias Roman Ladu,
per quell'inchiesta e' stato denunciato e condannato a venti giorni di
carcere
Cosi' Bilal, vero pregiudicato, puo' tenere duro. "Tu sei romeno e parli
italiano", insiste un ispettore in borghese. Un suo collega si avvicina
e chiede "Ce face?", come stai. E poi all'orecchio di Bilal sussura: "Pizda,
pizda, pizda, pizda, pizda...", un modo poco elegante usato in Romania
e altrove per chiamare i genitali femmili. Lo sguardo di Bilal resta fisso
nel vuoto. Ci riprovano con un'interprete marocchina che alla fine conclude:
"Non credo sia romeno. Parla l'arabo, pero' continua a chiedere che l'interrogatorio
sia in inglese"
Domenica 25 settembre Bilal ha deciso di andare al gabinetto quando e' notte. I gabinetti
sono un'esperienza indimenticabile. Il prefabbricato che li ospita e'
diviso in due settori. In uno, otto docce con gli scarichi intasati, quaranta
lavandini. E otto turche di cui tre stracolme fino all'orlo di un impasto
cremoso: la sorgente dei due rigagnoli. L'altro settore ha cinque water,
di cui due senza sciacquone, cinque docce e otto lavandini. Dai rubinetti
esce acqua salata. Non ci sono porte, non c'e' elettricita', non c'e'
privacy. Si fa tutto davanti a tutti. Qualcuno si ripara come puo' con
l'asciugamano. E non c'e' nemmeno carta igienica: bisogna usare le mani.
La' dentro e' meglio andarci di notte perche' di giorno il livello dei
liquami sul pavimento e' piu' alto dello spessore delle ciabatte e bisogna
affondarci i piedi. Ma anche il pediluvio nel lavandino prima di uscire
diventa un problema: perche' non appena si sfila il piede, la ciabatta
comincia a galleggiare e a navigare con la corrente. Eppure il 15 settembre
il leghista Mario Borghezio, guidando una delegazione di europarlamentari,
ha detto che il centro di Lampedusa e' un hotel a cinque stelle e che
lui ci abiterebbe: quel giorno il ministero dell'Interno gli aveva fatto
trovare soltanto 11 reclusi e quella settimana i trafficanti avevano deviato
la rotta dei barconi fino in Sicilia. Chissa', forse nell'appartamento
di Borghezio e' normale avere i pavimenti coperti di liquami. Ma la maggior
parte degli immigrati rinchiusi qui dentro viene da case pulite in cui
si entra addirittura a piedi nudi.
La colazione e' un bicchiere di latte freddo, due cornetti e la bottiglia
d'acqua da dividere in due. All'ashara-ashara del mattino i carabinieri
si accorgono che mancano cinque persone. Ma parlando tra loro decidono
di non segnalarlo. Impossibile sapere chi sia scappato perche' non si
fa nessun appello: i reclusi vengono solo contati. A meta' della recinzione
che separa dall'aeroporto, proprio dietro uno dei pali con le telecamere
a circuito chiuso, il filo spinato e' tagliato. E sul palo sono rimasti
due lacci di stoffa bianca, forse legati li' per facilitare la presa di
chi si e' arrampicato fin sopra la rete. I carabinieri rifanno il conto
un'altra volta e rimettono tutti a sedere sotto il sole. Si resta cosi'
ore perche' c'e' un'altra chiamata. Fanno partire tutti gli eritrei e
gli etiopi sbarcati lunedi' 19. Tra loro, un'intera famiglia di fratelli
e cugini, gli Abraham
Sono scappati dall'Eritrea per non essere mandati al fronte, vogliono
continuare a studiare in Europa. Uno di loro, Youssef, e' una promessa
dell'atletica: ha continuato ad allenarsi anche nel centro, ogni mattina
alle sei. Ci sono molti minorenni, rinchiusi da una settimana insieme
agli adulti. Un carabiniere la' davanti mostra loro un grosso telefonino
e qualcuno si copre gli occhi con le mani. Ma non si capisce perche'.
Ahmed Ibrahim ha da giorni un'infezione intestinale. Chiede di andare
alla toilette e dopo qualche minuto i carabinieri gli danno il permesso
di alzarsi. Al gabinetto ci resta un bel po'. "Ma e' tornato quello che
e' andato in bagno?", domanda uno dei militari. "E no che non e' tornato,
adesso vado a fare un giro". Altri chiedono di andare in bagno, ma i carabinieri
non danno piu' il permesso. Dopo quasi mezz'ora Ahmed Ibrahim riappare,
sudato e sfinito. "Tu", gli urla il carabiniere che mostrava il telefonino,
"tu sei un cornuto". Ahmed lo guarda spaventato. "Sei un cornuto. Vai
a sederti e non ti alzare piu'". I colleghi ridono. Alla fine partono
in 150, forse per il centro di Caltanissetta. Ci si rialza e ci si risiede
subito dopo per l'ashara-ashara del pranzo. Bilal ora e' in terza fila.
Un'altra lunga attesa, seduti e rannicchiati. Si avvicina il carabiniere
con il grosso telefonino. E' il meno robusto tra i suoi colleghi. Ha capelli
neri curati, un neo ben visibile sulla guancia destra, un bracciale argentato
e uno di cuoio con medagliette dorate al polso destro, e un orologio con
cinturino in pelle al polso sinistro. Dopo aver fatto sentire un po' di
musica tecno, schiaccia un altro tasto e il telefonino comincia ad ansimare.
Lui si china, mostra lo schermo ai minorenni seduti accanto a Bilal. Sono
immagini di un film porno scaricate forse da Internet. Il carabiniere
si rialza e sorride: "E dopo, shampoo", annuncia ai minorenni mimando
il gesto della masturbazione. I ragazzini ridono. Poi si china di nuovo
sulla prima fila, la percorre e pretende che tutti guardino. Un trentenne
si copre gli occhi con le mani. E' uno dei ragazzi che ieri sera ha guidato
la preghiera sul marciapiede-moschea. E' un musulmano praticante e non
vuole guardare. Il carabiniere con il neo gli strappa le mani dagli occhi:
"E guarda che cosi' impari", dice piazzandogli lo schermo davanti al naso.
Il trentenne si volta, guarda Bilal con gli occhi lucidi. Un carabiniere
alle loro spalle scherza con il collega: "Ma lascia perdere che quello
e' frocio".
Arriva il comandante, un appuntato che nel tempo libero gira con bandana,
camicione e pantaloni fino al polpaccio. E il tormento non e' finito.
L'appuntato vuole farsi fare una foto davanti ai reclusi. Lui grida "Italia"
e tutti devono alzare il pollice destro e rispondere "Uno". "Forza", dice
un altro carabiniere, "chi non risponde 'uno' non mangia". Bilal non risponde
e non alza nemmeno il braccio. Il carabiniere lo vede. Bilal lo fissa
negli occhi e quello lascia perdere
Poco dopo la polizia rivuole Bilal in ufficio. Ma non e' per un interrogatorio.
Due ispettori, sempre gentili e rispettosi, gli fanno indossare il giubbotto
di salvataggio che hanno sequestrato la notte dello sbarco. Vogliono semplicemente
fare una foto ricordo con lui. Uno si mette a destra, l'altro a sinistra:
"Bilal smile, sorridi". Da quello scatto nessuno si occupera' piu' dell'identita'
dello strano immigrato curdo. Passa un'altra giornata. Su uno spiazzo
di sassi appuntiti si gioca a calcio. Non ci sono scarpe per tutti. Cosi'
meta' giocatori calza la destra, l'altra meta' la sinistra e i due portieri
restano a piedi nudi. Poco prima di cena cala il silenzio, all'improvviso.
Un pullmino e un'ambulanza scaricano 21 immigrati neri. Sono sfiniti,
affamati, seccati dal sale e bruciati dal sole. Passano davanti al cancello
e agli sguardi fissi sulla loro sofferenza. Vengono fotografati, registrati,
spogliati e perquisiti
Ricevono un te' caldo, un cornetto, un asciugamano e chi ha i vestiti
logori, anche una tuta. Non si reggono in piedi. Ma dopo mezz'ora il cancello
si apre e a gruppi di sei vengono spinti nella gabbia. Non sanno dove
andare, barcollano. Due sono senza scarpe e quando vedono le condizioni
del gabinetto tornano indietro a chiederne un paio. Cherriere, un arabo-francese
sospettato di essere uno dei piu' famosi scafisti del Mediterraneo, impone
ai carabinieri che gli ultimi arrivati siano serviti prima di tutti. Cherriere
e' il vero mediatore culturale: carabinieri e polizia lo chiamano spesso
per farsi aiutare con l'arabo o per smussare le tensioni. Il medico ha
mandato nella gabbia anche un uomo malato di scabbia.
Non riesce nemmeno a sedersi per le piaghe, ma i militari insistono perche'
si metta come gli altri. L'ultimo entrato deve avere un colpo di sole
perche' continua a ciondolare. I carabinieri lo fanno andare avanti e
indietro tre volte. "Quanto ha bevuto questo?", ride un militare. Bilal
e Cherriere ottengono che anche lui sia messo in prima fila con i compagni
di viaggio. Poi un carabiniere parla di Bilal convinto di non essere capito:
"A questo qua dobbiamo insegnargli a farsi i cazzi suoi". Ma per le scarpe
non c'e' niente da fare. "Le scarpe le abbiamo date a tutti, dite a quei
due che non scassino la minchia", gracchia il caposervizio della Misericordia,
un uomo con i capelli bianchi, molto diverso da Angelo, Andrea o il cuoco,
i ragazzi sempre disponibili anche se lavorano sodo tutto il giorno. E
i due restano a piedi nudi. Dopo cena gli ultimi arrivati guardano la
rotta tra la Libia e Lampedusa dipinta sul prefabbricato all'ingresso:
"Abbiamo perso l'orientamento e siamo rimasti in mare sette giorni. Mia
moglie diceva: we gonna die, moriremo. Ma io le dicevo: no, Dio ci portera'
in Europa". Sono quasi tutti cristiani. Prima di andare a dormire intonano
un gospel di ringraziamento al buio di una camerata. Impossibile trattenere
le lacrime
Lunedi' 26 settembre Bilal finalmente ha trovato una branda su cui dormire. Stesso materasso
di gommapiuma e stessa coperta usata da chissa' quante persone, in una
stanza con gli scafisti egiziani e alcuni loro passeggeri. Ma la notte
finisce presto. La sveglia e' un lamento. Si alzano in molti e vanno a
cercare chi sta male. Forse viene dalla prima camerata. Ma avvicinandosi
il lamento prende la forma di una canzone stonata: "Ma quanto tempo e
ancora, ti fai sentire dentro, quanto tempo e ancora...". Viene da oltre
il cancello: i carabinieri giocano al karaoke con il computer portatile
della polizia. Sono le quattro e mezzo del mattino, e' lo stesso turno
che ieri mattina ha mostrato le scene porno sul telefonino. C'e' anche
il loro appuntato. Sono di spalle e non si accorgono. Si torna a letto.
Ma non si riesce piu' a dormire perche' un Airbus della Windjet continua
a girare a bassa quota sopra Lampedusa. La torre di controllo ha le luci
spente e i piloti aspettano che qualcuno si svegli per farli atterrare.
Subito dopo la colazione Bilal deve risolvere un problema serio: far sapere
ai familiari e alla redazione che e' rinchiuso nel centro. Al quarto giorno
di silenzio, qualcuno potrebbe preoccuparsi. La possibilita' di contattare
la famiglia e' al secondo posto tra i diritti degli immigrati secondo
l'avviso che la Prefettura di Agrigento ha fatto appendere nelle camerate
e nei bagni. Ma ogni volta che Bilal e gli altri hanno chiesto di ricevere
o di comprare una scheda telefonica, il caposervizio della Misericordia
ha risposto: "Non io, direttore". Oppure: "Bukara, domani". Oppure: "Non
scassare la minchia". Sara' per questo che alcuni scafisti, chiusi da
settimane nella gabbia, fanno affari d'oro vendendo a 20 euro schede da
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Ma visto che nessuno puo' uscire, chi le passa dentro il cancello? Bilal
deve assolutamente telefonare e ogni sistema di aprire la linea con un
fil di ferro non funziona. Idea: il 118 risponde gratis. "Ho bisogno di
aiuto, sono chiuso in un centro per immigrati e non ci fanno telefonare",
dice Bilal in francese, "Devo avvertire la famiglia, per favore, vi do
un numero di telefono italiano, chiamate e dite che Bilal e' vivo. Vi
costa meno di un euro". Non e' uno scherzo: centinaia di papa' e figli
qui dentro hanno la stessa grave necessita'. Ma nessuno e' disposto a
fare questo favore. Bilal riprova facendo a caso un po' di numeri verdi.
All'800-400-400 risponde lo sportello di Madre segreta della Provincia
di Milano. E' una giunta di centro-sinistra: magari sono piu' sensibili
ai diritti di un immigrato
Invece dopo mezz'ora di insistenze in inglese, la ragazza al telefono
si inventa perfino una legge: "Non posso, la legge sul terrorismo mi vieta
di fare questa telefonata". A nessuno interessano le angosce di questi
immigrati chiusi in gabbia
La sera, dopo cena, si prepara un'altra notte d'inferno. A Lampedusa sta
arrivando una barca alla deriva con quasi 350 stranieri. I poliziotti
dell'ufficio identificazione e i dipendenti della Misericordia tornano
al lavoro. Anche i carabinieri della Brigata Mobile sono pronti per le
perquisizioni. Ma stasera e' di turno una squadra di persone per bene.
La comanda un brigadiere che da' gli ordini con accento napoletano. E'
un uomo con i capelli grigi e un po' di calvizie. In tutta la settimana
nessuno dei suoi ragazzi e' mai stato sentito gridare o insultare un immigrato.
E quando arrivano stremati i primi passeggeri della barca, loro si fanno
capire a gesti, senza urlare
Martedi' 27 settembre E' una giornata umida. Molti hanno la pelle della fronte e delle mani
piena di punture. Le piu' grandi sono zanzare, le piu' piccole forse pulci.
Bilal ogni volta che cerca di attraversare indenne la toilette pensa alla
casa di Borghezio. E' una giornata di attesa. I trasferimenti annunciati
ieri sono rinviati perche' la polizia deve prima identificare gli ultimi
arrivati. E' l'unico giorno in cui vengono pulite le camere. Uno dei dipendenti
della Misericordia usa la stessa scopa con cui ha inutilmente rimosso
i liquami dai bagni. Hanno mandato anche un autospurghi. Ma le schifezze
invece di essere aspirate sono state sparate tutt'intorno alle turche.
Anche nel mangiare c'e' qualcosa che non quadra. Sabato sera e poi ancora
altre volte la piccola cotoletta non era fatta di carne ma di pan grattato,
farina e forse uovo. Tanto che era possibile tagliarla con un cucchiaino
di plastica
Se e' cosi' vuol dire che a Lampedusa qualcuno spaccia pan grattato per
carne. Bilal e gli altri vengono privati non solo della liberta' ma anche
delle proteine
Mercoledi' 28 settembre L'ashara-ashara di mezzogiorno e' una parata fascista. Sono quelli
dello stesso turno che sabato ha fatto sedere Bilal nei liquami. Nella
gabbia ci sono ormai 600 immigrati. Sono tutti seduti ad aspettare il
pranzo. Un carabiniere si affaccia a una porta e imita il Duce. Un brigadiere,
che a Mussolini un po' ci assomiglia, mette le mani ai fianchi e molleggia
sulle ginocchia. Poi saluta i colleghi con il braccio destro teso. "No",
lo corregge un carabiniere, "quello e' il saluto nazista. Quello fascista
e' cosi'. Italiani!... La prossima volta a questi ci insegniamo Faccetta
nera?". Il brigadiere e' uno dei piu' rispettosi con gli immigrati della
gabbia. Ieri pomeriggio Bilal l'ha visto portare un malato in braccio,
dall'infermeria alla sua branda. Ma di notte questi ragazzi dimostrano
di che pasta sono fatti. I reclusi sono a dormire. Bilal e' nascosto dietro
una rete. Ascolta e osserva. Un'altra notte durissima. I poliziotti hanno
lavorato fino a tardi per gli ultimi interrogatori sullo sbarco di lunedi'
E adesso ci sono 180 nuovi arrivi da registrare, perquisire e sistemare
Seduti su un muretto, due gemelline di due anni, la mamma e il papa'.
I carabinieri con mascherina e guanti in lattice cominciano subito a controllare
tasche e borse. Li aiuta un collega in borghese, forse fuori servizio,
basette curate, capelli neri con il gel e una maglietta con alcune scritte
sul petto. "Spogliati nudo", dice a un ragazzo in canottiera che sta tremando
per il freddo e la paura. Lui non capisce. Resta immobile un minuto intero.
"What is the problem?", urla il carabiniere e gli tira uno schiaffo sulla
testa. L'immigrato, pallido e magro come uno scheletro, trema. Altro schiaffo.
Tutte le persone in quel momento nude davanti ai carabinieri vengono prese
a schiaffi. Da mezz'ora quei ragazzi parlavano di fare il corridoio e
nel gergo militare non e' un ambiente che unisce due locali.
Cosa sia lo dimostrano subito dopo: una fila di sei stranieri da portare
nella gabbia passa in mezzo a loro e ciascuno si prende la sua razione
di schiaffi. Quattro carabinieri fanno quattro schiaffi a testa. Appare
finalmente il brigadiere che a mezzogiorno imitava Mussolini. Ma non rimprovera
nessuno. "Questo ti da' problemi?", chiede al collega in borghese. E spara
un pugno sullo sterno all'immigrato magro, che non capisce proprio che
cosa ha sbagliato ed e' ancora in piedi immobile, in canottiera.
Passa un'altra fila di immigrati, altro corridoio. Questa volta li accompagna
un dipendente in divisa della Misericordia. Uno con il pizzetto e una
piccola cicatrice vicino al naso, che una sera quando un ragazzo ha chiamato
i musulmani alla preghiera, si e' messo ad abbaiare ogni volta che sentiva
dire Allahu akbar. Forse li fara' smettere. Invece no, guarda e ride.
Davanti alla fila si sistema il brigadiere. Fa il passo dell'oca e finge
di portare una lancia: "Avanti marsh". Soltanto un carabiniere napoletano
non partecipa al gioco. Gli schiaffi risuonano nell'aria per mezz'ora.
E finalmente una funzionaria di polizia se ne accorge. E' una ragazza
bionda, non tanto alta, che di giorno raccoglie i capelli dentro una bandana.
"Maresciallo", dice nervosa, "vada di la' a vedere cosa stanno facendo
i suoi ragazzi perche' sento troppe mani che si muovono". Il maresciallo
volta l'angolo e raggiunge gli altri carabinieri: "Uhe' ragazzi, mi raccomando",
dice loro e si mettono a ridere tutti insieme. Gli ultimi sei immigrati
vengono portati dentro la gabbia a notte fonda, vanno a dormire sull'asfalto
perche' non ci sono piu' brande. E i carabinieri festeggiano con una grigliata
nel cortile.
Giovedi' 29 settembre Bilal passa tutta la giornata a convincere un gruppo di ferventi musulmani
che non puo' assolutamente seguirli a pregare. Alle sei di sera, prima
dell'ashara-ashara della cena, una voce femminile gli cambia l'umore.
"El Habib Ibrahim Bilal. Domani mattina alle otto presentati al cancello
perche' verrai trasferito", dice l'interprete marocchina in arabo. "Quale
destinazione?". "Agrigento". "Bilal va via", dice Cherriere. E davanti
a Bilal si forma una coda di prigionieri della gabbia che vogliono salutarlo.
Rachid, 31 anni, marocchino, sbarcato ieri sera, gli spiega come funziona:
"Ti danno un foglio di via. Tu per cinque giorni lo tieni e ti sposti
fin dove devi arrivare. Poi lo butti. Io faro' cosi', a Padova da mio
cugino ho gia' un lavoro che mi aspetta. Modi diversi di entrare in Italia
non ce ne sono". La sera sbarcano altri 350 immigrati. Ma e' il turno
del brigadiere per bene e nessuno viene picchiato. Appena entra nella
gabbia John, 27 anni, partito dal Togo e altri suoi compagni di viaggio
chiedono dove si puo' mangiare. Ma la Misericordia fa sapere che il primo
pasto sara' distribuito solo l'indomani mattina. "We are starving, non
mangiamo da sette giorni", trema John, "Quando siamo sbarcati ho visto
un negozio e volevo comprare qualcosa ma la polizia ci ha detto che non
potevamo e che qui dentro avremmo mangiato. Abbiamo i nostri soldi. Se
siamo liberi, perche' non possiamo comprare da mangiare?". Bilal vede
passare il medico, lo chiama e gli spiega la situazione. "Porto qualche
brioche", dice il medico. Invece va via e non porta nulla. John e gli
altri vanno a dormire su un marciapiede perche' sono finiti anche i materassini.
Un funzionario in borghese rovescia una lattina di Coca Cola addosso agli
immigrati attraverso le sbarre. "Perche' questo?", grida Teemer, 26 anni,
palestinese, "Siamo clandestini, ma non siamo animali". Il funzionario
si scusa. Le camerate sono strapiene di gente fin sotto i letti. La radio
a tutto volume in cucina canta cio' che centinaia di bimbi forse pensano
ogni giorno dei loro papa' rinchiusi qui dentro: 'How I wish, how I wish
you were here', come vorrei tu fossi qui. Si va a dormire in una scena
da fine del mondo.
Venerdi' 30 settembre Quando torna dalla sua doccia notturna, Bilal trova il letto occupato
da altre due persone. Sono le ultime ore nella gabbia, puo' anche rimanere
alzato. Il cielo e' illuminato da lampi e fulmini. Il temporale dura poco
ma gli scrosci d'acqua risvegliano le centinaia di persone che si erano
addormentate all'aperto. Davanti al cancello stanno registrando un nuovo
sbarco. E i carabinieri stanno di nuovo picchiando i ragazzi che perquisiscono.
I primi sono due uomini che non si erano seduti al loro ordine. Uno lo
chiamano Maradona. Volano sberle e per Maradona anche un calcio. Si fermano
solo quando passa il tenente in borghese, un ragazzo con il pizzetto.
Poi prendono a schiaffi un ventenne che non capisce che cosa deve fare.
E altri due ragazzi che al "sit-down" non si sono seduti perche' parlano
arabo e francese. Bisogna fermare questo schifo. Bilal grida in inglese:
"State picchiando la gente, perche'?". Un carabiniere tira un calcio alla
rete da dove sta osservando, cercando di colpirlo. Bilal viene chiamato
fuori dal cancello. E' un faccia a faccia tesissimo, gli occhi di Bilal
dentro gli occhi di un carabiniere con i capelli un po' brizzolati e la
mascherina per nascondersi. Ma almeno smettono di picchiare. Quando il
sole e' alto dentro la gabbia sono state ammassate 1250 persone. "Questo
e' 'o Professore", dice di Bilal un carabiniere a due colleghi, "Avete
visto cosa ha fatto prima? Questo qua un giorno lo chiamiamo fuori e gli
diamo una ripassata". Ma cinque minuti dopo e' la polizia a chiamarlo
fuori. Bilal viene portato vicino all'uscita, dove lo aspetta il gruppo
che sta per essere trasferito. Nove adulti e 35 minori. La Misericordia
distribuisce una maglietta bianca a tutti e le scarpe ai tre rimasti senza.
Ma non restituisce i soldi che i ragazzini avevano depositato in segreteria.
I carabinieri li hanno accompagnati all'uscita senza dire loro che sarebbero
stati trasferiti da Lampedusa. "Oggi non e' giornata, non c'e' nessuno
in ufficio che possa dare quei soldi", spiega un giovane della Misericordia
Bilal insiste in inglese: "Sono centinaia di euro, e' importante che partano
con i soldi". Un carabiniere dice di no con il dito e allarga le mani
Si parte senza soldi. All'imbarco del traghetto gli ultimi turisti della
stagione guardano la fila di immigrati sotto scorta dai carabinieri
Ciascuno ha un sacchetto con due panini e una bottiglia d'acqua. Si viaggia
fino a sera nella sala soggiorno della nave, piantonata da un brigadiere
e due carabinieri molto cortesi. Youssef, 16 anni, e' sicuro sia una deportazione
in Libia e si mette a pregare verso prua, convinto che la rotta sia verso
Sud-Est. Ma quando sull'orizzonte appaiono le montagne della Sicilia,
tutti gli altri si incollano al finestrino e ridono: "Jebel Scisciglia".
A Porto Empedocle i 45 sono caricati su un autobus della ditta Cuffaro
scortato dalla polizia. La carovana sale fino alla questura di Agrigento.
Bilal e gli altri 8 adulti vengono separati dai minorenni. I teenager
sono destinati a un istituto in attesa di essere affidati ai parenti gia'
in Italia. Gli altri ricevono tre fogli, un sacchetto con due panini e
una bottiglia d'acqua. Poi vengono caricati su un furgone che parte a
tutta velocita'. "Bilal, ho paura. Secondo me ci portano in Libia", dice
Abdrazak, 18 anni marocchino, che vuole raggiungere lo zio a Catania.
Invece si finisce alla stazione. Ma il treno per Palermo e' gia' partito:
"Minchia, non parte mai in orario", s'arrabbia un ispettore. Nuova corsa
in auto, furgone e sirena fino ad Aragona, la stazione successiva. E questa
volta il treno non e' ancora arrivato. "Ragazzi ascoltatemi", spiega un
funzionario in inglese, "Avete cinque giorni di tempo per lasciare l'Italia.
Siete liberi". Anche Bilal e' libero, nonostante il suo alter ego rumeno
e i precedenti penali. Gli altri quando capiscono, esultano. Uno si attacca
al collo dell'ispettore che sorride, ma preferisce non essere baciato.
Tutti, tranne uno, hanno un lavoro o un parente che li aspetta: a Milano,
a Torino, a Napoli e Catania. L'ultimo ostacolo e' un bigliettaio, la
mattina dopo alla stazione di Palermo. E' convinto che abbia davanti immigrati
che non parlano italiano e li insulta. Maltratta anche un pendolare che
si e' offerto di aiutarli: "Lei che c'entra, crede che non li capisca?".
Bilal esplode: "Ma se nun capisti mancu l'italiano, lo fate o no 'sta
minchia di biglietto?". Il bigliettaio sorpreso si mette subito al lavoro.
"Che lingua era Bilal?", chiede Abdrazak in francese, "era curdo?"
Scheda. Istruzioni per la fuga
"Se vai a Crotone te la puoi cavare con 150 euro. A Bari puoi scappare
dal centro di detenzione la notte, saltando la rete e seguendo i sentieri.
A Caltanissetta e Trapani no, se ti chiudono la' dentro esci solo quando
lo decide la polizia". Ahmed, cosi' dice di chiamarsi, 26 anni, egiziano
del delta del Nilo, e' chiuso da qualche settimana nel centro di Lampedusa
e di mestiere fa lo scafista. Il suo desiderio e' essere trasferito al
centro per immigrati di Crotone: "Perche' la' e' piu' facile uscire. E'
per questo che alcuni di noi viaggiano con il telefono satellitare: quando
sono vicini a Lampedusa, chiamano qualcuno a Crotone e rivelano quale
nome useranno quando si presenteranno alla polizia". Vuol dire che e'
possibile condizionare la propria destinazione? "No, se qui a Lampedusa
sanno che vuoi andare a Crotone, ti mandano da un'altra parte. Pero' succede
che alcuni di noi riescano piu' facilmente ad andare a Crotone di altri.
Il punto di riferimento e' un gruppo di sudanesi. Una volta liberi, andiamo
a Roma, facciamo un duplicato del passaporto e rientriamo in Egitto. Dopo
un po' di riposo, torniamo in Libia legalmente e siamo pronti per un nuovo
incarico
Fanno cinquemila euro a viaggio o seimila dollari. Alcuni poliziotti libici
chiedono invece tra i cinquemila e i ventimila euro per lasciar partire
le navi. Dipende dal numero dei passeggeri". Gli arrivi in massa degli
ultimi giorni segnano la fine dell'accordo tra Silvio Berlusconi e il
colonnello Gheddafi. La barca approdata a Lampedusa con quasi 350 immigrati
il 26 settembre e' addirittura partita dalla Tunisia: "Ci hanno raccolti
in Libia e portati oltre il confine", raccontano i passeggeri
Scheda. I diritti umani secondo il Viminale
In sette giorni di reclusione nel centro per immigrati di Lampedusa, la
detenzione di Bilal Ibrahim el Habib non e' stata convalidata da nessun
giudice: nonostante nessun cittadino possa essere privato della liberta'
senza il giudizio di un magistrato entro un tempo massimo di 48 ore. Gli
immigrati rilasciati la sera di venerdi' 30 settembre hanno ricevuto l'ordine
di lasciare l'Italia entro cinque giorni firmato dal questore di Agrigento
e il decreto di respingimento con accompagnamento alla frontiera.
In realta' solo una formalita', perche' nessuno e' stato fisicamente accompagnato
al confine. Ma soprattutto in nessun documento consegnato dalla Questura
risulta la detenzione degli immigrati per una settimana o piu'. La Prefettura
ha invece pagato ai nove stranieri il biglietto ferroviario da Agrigento
a Palermo. Il ministero dell'Interno ha recentemente confermato alla Commissione
europea e alla Corte europea per i diritti umani il rispetto della dignita'
umana nelle procedure di identificazione degli stranieri: in particolare
grazie alla sostituzione dell'inchiostro per le impronte digitali con
i Visa Scanner che non sporcano le mani. Il Viminale ha anche assicurato
all'Unione Europea che per ogni straniero detenuto a Lampedusa avviene
un'udienza di convalida davanti a un giudice di pace. Nei casi di Bilal
Ibrahim el Habib e degli stranieri detenuti tra il 24 e il 30 settembre
nella gabbia del centro per immigrati sull'isola questa affermazione e'
falsa
Scheda. E' l'ora della mangeria
A Lampedusa si usa uno slang che fonde idiomi diversi
- Maifrend: dall'inglese my friend, mio amico. e' il modo con cui carabinieri,
poliziotti e assistenti si rivolgono agli immigrati rinchiusi nella gabbia
di Lampedusa quando si tratta di un singolo. Il plurale diventa cornuti
ed e' usato soltanto dai carabinieri
- Ashara-ashara: dall'arabo ashara, dieci. E' il richiamo per l'adunata
poiche' ci si siede sull'asfalto in file da dieci. E' anche l'indicazione
data la sera alla distribuzione delle sigarette: dieci a testa, un pacchetto
ogni due reclusi
- Fisa-fisa: dall'arabo, e' l'ordine dato quando gli immigrati devono
muoversi o fare qualcosa velocemente. Si usa anche visa-visa
- Mangeria: e' l'ora dei pasti (colazione, pranzo o cena). Gli egiziani
la chiamano anche mangheria o mangaria
- Asciugamano: nella gabbia di Lampedusa ha molti significati e funzioni
in piu' rispetto all'esterno. Sta al posto di coperta, cuscino, parasole,
pantaloni, separe' nel wc, turbante, fazzoletto, stuoia e serve a proteggersi
gli occhi dalla luce dei fari per dormire la notte
- Kulu kulu: derivato dall'arabo, e' tutto cio' che riguarda il mangiare.