Famiglia: anche il lavoratore
libero professionista ha diritto all'indennità di maternità Sono incostituzionali
gli artt. 70 e 72 del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità
e della paternità, a norma dell'art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53),
nella parte in cui, per i liberi professionisti, non prevedono che al
padre spetti di percepire, in alternativa alla madre, l'indennità di maternità.
Corte costituzionale - Sentenza 14 ottobre 2005, n. 385
[...] nel giudizio di legittimità costituzionale degli
articoli 70 e 72 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo
unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo
2000, n. 53), promosso con ordinanza del 17 maggio 2004 dal Tribunale
di Sondrio nel procedimento civile vertente tra Giarba Cesare contro Ente
di previdenza dei Periti industriali e dei Periti industriali laureati,
iscritta al n. 890 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 2004.
Udito nella camera di consiglio del 22 giugno 2005 il Giudice relatore
Fernanda Contri.
RITENUTO IN FATTO
1. - Il Tribunale di Sondrio, in funzione di Giudice del lavoro, con ordinanza
emessa il 17 maggio 2004, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29,
secondo comma, 30, primo comma, e 31 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale degli artt. 70 e 72 del decreto legislativo
26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia
di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo
15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non consentono
al padre libero professionista, affidatario in preadozione di un minore,
di beneficiare - in alternativa alla madre - dell'indennità di maternità
durante i primi tre mesi successivi all'ingresso del bambino nella famiglia.
Il Tribunale premette in fatto di essere stato adîto da un libero professionista
il quale, essendo affidatario di un minore, unitamente alla moglie, in
forza di provvedimento di affidamento preadottivo emesso dal Tribunale
di Milano, aveva chiesto all'Ente di previdenza dei Periti industriali,
cui era iscritto, di beneficiare dell'indennità di maternità per i primi
tre mesi successivi all'ingresso del bambino in famiglia, in alternativa
alla madre, anch'ella libera professionista, vedendo respinta la propria
istanza sul rilievo che il diritto a detta indennità era previsto dall'art.
70 del d.lgs. n. 151 del 2001 a favore delle sole libere professioniste.
Il giudice a quo evidenzia preliminarmente le numerose pronunce con cui
questa Corte ha esteso al padre lavoratore l'applicabilità di norme a
protezione della maternità e del minore (in particolare, la sentenza n.
1 del 1987 che ha riconosciuto il diritto all'astensione obbligatoria
e ai riposi giornalieri, la n. 341 del 1991 relativa al diritto all'astensione
nei primi tre mesi dall'ingresso del bambino nella famiglia per il padre
lavoratore affidatario di un minore, la n. 179 del 1993 e la n. 104 del
2003, che hanno rispettivamente esteso in via generale al padre lavoratore,
in alternativa alla madre lavoratrice consenziente, il diritto ai riposi
giornalieri per l'assistenza al figlio nel primo anno di vita e, in caso
di adozione e affidamento, nel primo anno dall'ingresso del minore in
famiglia), sottolineando come l'evoluzione degli istituti sia stata recepita
dal legislatore con il d.lgs. n. 151 del 2001, che ha coordinato e razionalizzato
la disciplina della tutela della maternità e paternità dei figli naturali,
adottivi e in affidamento.
Il rimettente rileva, in particolare, che l'art. 31 del menzionato decreto
legislativo, che riconosce al padre lavoratore il diritto al congedo di
maternità ex artt. 26, primo comma, e 27 e il congedo di paternità ex
art. 28, è applicabile ai soli lavoratori dipendenti, mentre analogo diritto
non viene riconosciuto ai padri liberi professionisti: al riguardo, infatti,
il combinato disposto degli artt. 70 e 72 fa espresso riferimento alle
sole professioniste, non consentendo, così, un'interpretazione estensiva,
tale da ricomprendere anche i liberi professionisti di sesso maschile.
Secondo il giudice a quo, l'inequivocabile lettera di tali norme pone,
pertanto, seri dubbi di legittimità costituzionale per contrasto con gli
artt. 3, 29, secondo comma, 30, primo comma, e 31 della Costituzione:
le disposizioni censurate, avendo riservato alla sola madre il diritto
all'indennità, si scontrano con il principio di uguaglianza morale e giuridica
dei coniugi, determinando una ingiustificata disparità di trattamento
tra gli stessi in relazione all'interesse del marito a partecipare alla
fase più delicata dell'inserimento del minore in famiglia.
Il rimettente richiama, a tal proposito, la sentenza n. 341 del 1991,
con cui la Corte ha evidenziato l'importanza del ruolo e della presenza
dell'affidatario che «potrebbe a volte essere in grado, in relazione alle
variabili peculiarità delle situazioni concrete, di meglio seguire e assistere
il minore in questa particolare fase del suo sviluppo» e conclude affermando
che il diritto della madre libera professionista a percepire l'indennità
per i primi tre mesi dall'ingresso del minore in famiglia non può che
essere riconosciuto anche al padre libero professionista: in caso contrario,
verrebbero violati i principî di cui agli artt. 29, secondo comma (uguaglianza
fra i coniugi anche in relazione ai compiti di cui all'art. 30, primo
comma), 31 (tutela della famiglia e del minore come compito fondamentale
dell'ordinamento) e 3 della Costituzione, anche per l'ingiustificata disparità
di trattamento tra liberi professionisti e lavoratori dipendenti che si
determinerebbe.
2. - Nel giudizio dinanzi a questa Corte non vi sono stati né costituzione
di parti private né intervento del Presidente del Consiglio del ministri.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. - Il Tribunale di Sondrio, in funzione di Giudice del lavoro, dubita,
in riferimento agli artt. 3, 29, secondo comma, 30, primo comma, e 31
della Costituzione, della legittimità costituzionale degli artt. 70 e
72 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni
legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità,
a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte
in cui non consentono al padre libero professionista, affidatario in preadozione
di un minore, di beneficiare - in alternativa alla madre - dell'indennità
di maternità durante i primi tre mesi successivi all'ingresso del bambino
nella famiglia.
Ad avviso del rimettente, le norme impugnate, riservando alla sola madre
il diritto a percepire l'indennità, determinano un'ingiustificata disparità
di trattamento fra i coniugi, in relazione all'interesse del marito a
partecipare in egual misura rispetto alla moglie alla prima e più delicata
fase dell'inserimento del minore in famiglia, nonché una disparità di
trattamento tra liberi professionisti e lavoratori dipendenti (per i quali
il diritto è, viceversa, contemplato), non giustificata dalle differenze
sussistenti fra le due categorie.
2. - La questione è fondata.
3. - Il d.lgs. n. 151 del 2001 rappresenta l'esito di un'evoluzione legislativa
che ha modificato profondamente la disciplina della tutela della maternità,
estendendo al padre lavoratore ed ai genitori adottivi i diritti in precedenza
spettanti alla sola madre, a protezione del preminente interesse della
prole.
In particolare, il riconoscimento in capo ai genitori adottivi o affidatari
dei medesimi diritti già attribuiti ai genitori biologici è passato attraverso
alcune tappe, riconducibili: alla legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità
di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro), i cui artt. 6
e 7 hanno rispettivamente esteso alla lavoratrice madre adottiva o affidataria
il diritto all'astensione obbligatoria post partum e all'astensione facoltativa
di cui agli artt. 4, lettera c), e 7 della legge 30 dicembre 1971, n.
1204 e al padre lavoratore, anche adottivo o affidatario, la possibilità
di usufruire dell'astensione facoltativa; alla legge 4 maggio 1983, n.
184 (Diritto del minore ad una famiglia), che all'art. 80 ha ammesso l'applicabilità
degli artt. 6 e 7 summenzionati alle ipotesi di affidamento provvisorio;
alla legge 31 dicembre 1998, n. 476 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione
per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale,
fatta a L'Aja il 29 maggio 1993. Modifiche alla legge 4 maggio 1983 n.
184, in tema di adozione di minori stranieri), che all'art. 39-quater
ha esteso i diritti di cui ai citati artt. 6 e 7 ai genitori adottivi
e a quelli che hanno un minore in affidamento preadottivo; alle leggi
29 dicembre 1987, n. 546 (Indennità di maternità per le lavoratrici autonome)
e 11 dicembre 1990, n. 379 (Indennità di maternità per le libere professioniste),
che hanno riconosciuto alle lavoratrici autonome ed alle libere professioniste
l'indennità di maternità anche in caso di adozione o affidamento preadottivo.
4. - A tale evoluzione ha fornito un contributo sostanziale la giurisprudenza
di questa Corte, chiamata più volte a decidere in merito alla legittimità
costituzionale di norme a tutela della genitorialità. In particolare debbono
essere ricordate le seguenti pronunce di accoglimento: la sentenza n.
1 del 1987, che ha esteso al padre lavoratore il diritto all'astensione
obbligatoria ed ai riposi giornalieri, ove l'assistenza della madre sia
divenuta impossibile per decesso o grave infermità; la sentenza n. 332
del 1988, che ha riconosciuto alle lavoratrici il diritto all'astensione
facoltativa per il primo anno dall'ingresso del bambino in famiglia, nell'ipotesi
di affidamento provvisorio, e il diritto all'astensione obbligatoria nei
primi tre mesi successivi all'ingresso del bambino in famiglia, in caso
di affidamento preadottivo; la sentenza n. 341 del 1991, che ha riconosciuto
al padre lavoratore, in alternativa alla madre lavoratrice, il diritto
all'astensione obbligatoria in caso di affidamento provvisorio; la sentenza
n. 179 del 1993, che ha esteso, in via generale, al padre lavoratore,
in alternativa alla madre lavoratrice consenziente, il diritto ai riposi
giornalieri per l'assistenza al figlio nel primo anno di vita; infine,
la sentenza n. 104 del 2003, che ha riconosciuto il diritto ai riposi
giornalieri, in caso di adozione e affidamento, entro il primo anno dall'ingresso
del minore in famiglia anziché entro il primo anno di vita del bambino.
5. - Tale evoluzione è espressa dal d.lgs. n. 151 del 2001 che, nel provvedere
alla ricognizione organica della materia, pone su un piano di parità ed
uguaglianza i genitori che svolgono attività lavorativa e sancisce definitivamente
l'equiparazione dei genitori adottivi o affidatari a quelli biologici.
La tutela offerta dalla normativa in esame non è, peraltro, completa.
Per il caso di adozione o affidamento, l'art. 31 stabilisce che il congedo
di maternità di cui ai precedenti artt. 26, primo comma, e 27, primo comma,
nonché il congedo di paternità di cui all'art. 28 spettano, a determinate
condizioni, anche al padre lavoratore.
Le espressioni "lavoratore" e "lavoratrice" che compaiono in tale norma
devono essere interpretate alla luce del disposto dell'art. 2, comma 1,
lettera e), secondo cui «per "lavoratrice" o "lavoratore", salvo che non
sia altrimenti specificato, si intendono i dipendenti [...] di amministrazioni
pubbliche, di privati datori di lavoro nonché i soci lavoratori di cooperative»:
la lettera della legge è, pertanto, esplicita nell'escludere che in detta
nozione possano essere fatti rientrare coloro che esercitano una libera
professione, con la conseguenza che agli stessi l'art. 31 non può essere
applicato.
Alle madri libere professioniste è dedicato il Capo XII del d.lgs. n.
151 del 2001: in particolare, l'art. 70, primo comma, riconosce «alle
libere professioniste, iscritte ad un ente che gestisce forme obbligatorie
di previdenza [...] un'indennità di maternità [...]», che l'art. 72, primo
comma, estende, poi, all'ipotesi di adozione o affidamento. Anche in questo
caso, la lettera della legge è di chiara interpretazione e, nel fare esclusivo
riferimento alle libere professioniste, esclude in linea di principio
i padri liberi professionisti dal godimento del detto beneficio.
6. - Pertanto, il d.lgs. n. 151 del 2001 ha testualmente riconosciuto
il diritto all'indennità al padre adottivo o affidatario che sia lavoratore
dipendente, escludendo, viceversa, coloro che esercitino una libera professione,
i quali non hanno, perciò, la facoltà di avvalersi del congedo, e dell'indennità,
in alternativa alla madre.
Tale discriminazione rappresenta un vulnus sia del principio di parità
di trattamento tra le figure genitoriali e fra lavoratori autonomi e dipendenti,
sia del valore della protezione della famiglia e della tutela del minore.
Come si evince dalla ratio sottesa agli interventi normativi sopra ricordati
nonché dalla lettura delle motivazioni dei precedenti di questa Corte,
gli istituti nati a salvaguardia della maternità, in particolare i congedi
ed i riposi giornalieri, non hanno più, come in passato, il fine precipuo
ed esclusivo di protezione della donna, ma sono destinati alla difesa
del preminente interesse del bambino «che va tutelato non solo per ciò
che attiene ai bisogni più propriamente fisiologici, ma anche in riferimento
alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate
allo sviluppo della sua personalità» (sentenza n. 179 del 1993).
Ciò è tanto più vero nell'ipotesi di affidamento e di adozione, ove l'astensione
dal lavoro non è finalizzata alla tutela della salute della madre ma mira
in via esclusiva ad agevolare il processo di formazione e crescita del
bambino, «creando le condizioni di una più intensa presenza della coppia,
i cui componenti sono entrambi affidatari, e come tali entrambi protagonisti,
nell'esercizio dei loro doveri e diritti, della buona riuscita del delicato
compito» loro attribuito (sentenza n. 341 del 1991).
Pertanto, se il fine precipuo dell'istituto, in caso di adozione e affidamento,
è rappresentato dalla garanzia di una completa assistenza al bambino nella
delicata fase del suo inserimento nella famiglia, il non riconoscere l'eventuale
diritto del padre all'indennità costituisce un ostacolo alla presenza
di entrambe le figure genitoriali. Occorre garantire un'effettiva parità
di trattamento fra i genitori - nel preminente interesse del minore -
che risulterebbe gravemente compromessa ed incompleta se essi non avessero
la possibilità di accordarsi per un'organizzazione familiare e lavorativa
meglio rispondente alle esigenze di tutela della prole, ammettendo anche
il padre ad usufruire dell'indennità di cui all'art. 70 del d.lgs. n.
151 del 2001 in alternativa alla madre. In caso contrario, nei nuclei
familiari in cui il padre esercita una libera professione verrebbe negata
ai coniugi «la delicata scelta di chi, assentandosi dal lavoro per assistere
il bambino, possa meglio provvedere» alle sue esigenze, scelta che, secondo
la giurisprudenza menzionata di questa Corte, non può che essere rimessa
in via esclusiva all'accordo dei genitori, «in spirito di leale collaborazione
e nell'esclusivo interesse del figlio» (sentenza n. 179 del 1993).
La violazione del principio di uguaglianza appare ancor più evidente se
si considera che il legislatore ha riconosciuto tale facoltà ai padri
che svolgano un'attività di lavoro dipendente: il non aver esteso analoga
facoltà ai liberi professionisti determina una disparità di trattamento
fra lavoratori che non appare giustificata dalle differenze, pur sussistenti,
fra le diverse figure (differenze che non riguardano, certo, il diritto
a partecipare alla vita familiare in egual misura rispetto alla madre),
e non consente a questa categoria di padri-lavoratori di godere, alla
pari delle altre, di quella protezione che l'ordinamento assicura in occasione
della genitorialità, anche adottiva.
Appare discriminatoria l'assenza di tutela che si realizza nel momento
in cui, in presenza di una identica situazione e di un medesimo evento,
alcuni soggetti si vedono privati di provvidenze riconosciute, invece,
in capo ad altri che si trovano nelle medesime condizioni.
Nel rispetto dei principî sanciti da questa Corte, rimane comunque riservato
al legislatore il compito di approntare un meccanismo attuativo che consenta
anche al lavoratore padre un'adeguata tutela.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 70 e 72 del decreto
legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative
in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma
dell'art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non
prevedono il principio che al padre spetti di percepire in alternativa
alla madre l'indennità di maternità, attribuita solo a quest'ultima.