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Alfredo Carlo Moro, In Studi Zancan, n. 6/2005

Di fronte alla legge tutti i cittadini sono uguali ma non tutti sono cittadini

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Dobbiamo purtroppo constatare come l'impegno per le politiche sociali vada attenuandosi, e non solo per mancanza di adeguate risorse, ma principalmente perché va diffondendosi l'idea che bisogna dire “basta” allo Stato protettivo dei più deboli, perché non solo esso non ha senso in una società adulta in cui tutti devono essere pienamente responsabili, e quindi autonomi, ma anche perché finisce con il ratificare una situazione di sostanziale sudditanza. Si disconosce però così che in una società fortemente competitiva e conflittuale, come la moderna, si moltiplicano, non si rarefanno, le condizioni di fallimento e di conseguente emarginazione, e che è indispensabile assicurare ai “nuovi poveri” adeguate reti protettive. A meno che non si voglia accettare un sostanziale darwinismo nella vita della società per cui è bene che il debole scompaia in quanto non utile all'organismo sociale. Se però distoglieremo lo sguardo da quelli che non riescono a farcela, dovremo necessariamente pagare un prezzo elevato non solo in termini di sicurezza e in termini economici, ma principalmente in termini morali. Inoltre, la cittadinanza oggi appare più declamata che realmente attribuita e vissuta. Non mi sembra che si possa onestamente dire che il cittadino conti oggi veramente nelle scelte e negli indirizzi della vita sociale; che la sua partecipazione sia effettiva e non puramente formale; che le possibilità di controllo del potere, e del suo modo di gestirlo, siano reali; che l'acquisizione delle notizie sia sempre genuina e completa, e non sapientemente dosata e manipolata; che l'individuazione e la determinazione delle strutture della vita comunitaria sia basata su un'attenzione alle esigenze di vita dei singoli e non legata invece a logiche economicistiche e mercantili, che privilegiano alcuni gruppi a scapito di altri; che l'appartenenza all'intera comunità non sia proposta all'appartenenza a gruppi o clientele a cui solo vengono assicurati privilegi; che sia veramente data a tutti l'eguale possibilità di esprimere e far conoscere il proprio pensiero. Infine, non si realizza una reale cittadinanza di tutti se viene teorizzata una doppia morale nella vita sociale: una, rigorosa, che deve valere per gli “uomini qualunque”, che vanno severamente puniti se entrano clandestinamente per fame nel nostro Paese o se commettono i vituperati “reati di strada”; una, del tutto diversa, per i potenti, che devono essere esenti da responsabilità per gli atti, eventualmente anche delittuosi, commessi, in virtù della “purificazione” derivante dall'investitura popolare. Una morale per tutte le attività e una, contratta e sfumata, per i politici, che - si dice- non possono essere giudicati sulla base di canoni moralistici. Se però si supera il principio di eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, non solo sarà sconfitta la giustizia, e si costruiranno legalità diverse e alternative, ma sarà anche minata alla base la coesione del corpo sociale, che non può consentire che alcuni uomini siano cittadini pleno jure e altri sudditi; che esistono nicchie sociali di impunità; che le esigenze più forti, non quelle più giuste, abbiano a prevalere; che il fine da perseguire legittimi qualunque mezzo. Va anche dilagando nel nostro Paese una filosofia politica - per la verità più pratica che teorica - che icasticamente qualcuno ha definito del “libertinismo illiberale”, secondo cui deve essere tutelato e sviluppato l'illimitato diritto di ogni uomo a scegliere liberamente ciò che può essere per lui, anche illusoriamente, più utile, e deve essere superata la cultura del limite perché castrante. Poco importa se una simile filosofia politica finisca da una parte con l'atomizzare la società e dall'altra con il deresponsabilizzare il cittadino, travolto dal proprio delirio di onnipotenza. L'unico criterio possibile di giudizio sulla valenza del proprio comportamento è l'utilità che se ne può ricavare o il successo personale che si può raggiungere: non vi è più spazio né per un principio di moralità nell'azione umana, essendoci solo un'enfatizzazione alluvionale dei diritti dei singoli, né per il tema dei doveri, essenziale nella vita comunitaria per assicurare anche i diritti degli altri. Questo delirio di onnipotenza per cui tutto è lecito a chi osa è inoltre sicuramente incrementato dalla diffusa sicurezza dell'impunità per chi viola le regole comuni a cui abbiamo già accennato.