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LETTERA APERTA DI SERGIO CUSANI E SERGIO SEGIO

Il piccolo Tommaso e la politica

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La vicenda del piccolo Tommaso è così terribile da lasciare sgomenti. Il dolore dei genitori e dei parenti vede l’abbraccio di tutto il Paese, rimasto senza parole. Davanti a fatti di tanta gravità, comprensibilmente tra la gente si alzano voci che chiedono il taglione, il rigore senza appello. È una reazione naturale, uno sfogo per allontanare da sé un male così orrendo e feroce.
Ma le leggi e la politica giudiziaria, per fortuna, non si fanno (non si dovrebbero fare) sull’onda delle emozioni e delle indignazioni, per quanto fondate e da tutti condivisibili siano.
Dunque, meno comprensibili sono le invocazioni di taglioni e rigori da parte della politica, cui spetta la responsabilità, anche, di aiutare i cittadini a incanalare indignazione e rabbia in modo razionale.
Ancora meno comprensibili sono certe voci che si sono levate da autorevoli esponenti delle forze politiche della sinistra, in particolare dei Comunisti italiani, nonché dal segretario dei Verdi, che hanno invocato una pena dell’ergastolo, senza possibilità di sconti.
E chissà cosa ne pensa il segretario dei Comunisti italiani, Oliviero Diliberto, che inaugurò la legislatura che lo vide ministro della Giustizia con solenni e ripetute dichiarazioni e promesse di abolizione della pena dell’ergastolo; abolizione considerata addirittura come una priorità. Ma chissà anche cosa ne pensano i 107 senatori (a fronte dei 51 contrari e 8 astenuti) che il 30 aprile 1998 votarono a favore dell’abolizione di questa pena, che la Corte costituzionale ha dichiarato ammissibile solo perché, in effetti e in concreto, non sarebbe una pena perpetua (ovvero, nella misura in cui siano applicabili, sia pure discrezionalmente, quelle riduzioni per buona condotta previste dalla legge per tutti i detenuti).
Dopo il voto positivo al Senato, la legge si arenò alla Camera. Ciò non toglie che molti di quei 107 senatori siano ancora in Parlamento. Sanno e vogliono dirci come la pensano e cosa eventualmente sia cambiato? L’onorevole Rutelli sa spiegare meglio perché vorrebbe pene ancor più rigide di quelle attuali? Cosa c’è dopo l’ergastolo, se non la pena di morte?
Naturalmente, non abbiamo certo la pretesa che queste spiegazioni siano dovute a noi, che, se pure da tempo impegnati nel volontariato e sulle questioni carcerarie, in passato abbiamo avuto responsabilità gravi, seppure diverse, nella lesione delle regole e delle leggi. Se prendiamo parola è solo perché ci è parso che vi sia un preoccupante e generalizzato silenzio sugli aspetti che qui rimarchiamo.
Pure, per la propria natura pubblica, la politica deve essere chiamata a motivare pubblicamente posizioni e proposte, non potendosi limitare a lanciare dei sassi, a fingere di nulla e a cavalcare l’emotività del momento per raccogliere, forse, qualche consenso.
Si assiste in questi anni al fatto che, prescindendo evidentemente dalle posizioni di alcuni, cambiata, di sicuro e in generale, è la politica: sempre più indirizzata a promuovere e assecondare paure e insicurezze nei cittadini, anziché adoperarsi per il loro governo e per la rasserenazione sociale.
Una politica che si contenta dell’“effetto annuncio” e della navigazione a vista, senza più sapere proporre una visione del mondo, una coerenza tra valori dichiarati e programmi perseguiti.
Una politica che dovrebbe, in alcune occasioni, sapere anche tacere. La morte del piccolo Tommaso probabilmente è una di queste.
Mentre la cronaca ci consegna altri episodi, che invece richiederebbero interventi decisi e precisi.
Quale quello che ha visto un ragazzo di 19 anni colpito a Como alla testa da un proiettile esploso da un vigile di una delle pattuglie “speciali” istituite dal sindaco e dall’amministrazione cittadina per contrastare i giovani writers.
Rumesh, il giovane cingalese ferito, ora è in coma e lotta contro la morte, mentre in città diverse manifestazioni gli testimoniano solidarietà, ma anche chiedono che i responsabili politici che hanno voluto quel contestato nucleo speciale ne rispondano con le dimissioni.
Qui invece la politica tace. E di nuovo abdica al suo ruolo e alla sua funzione alta. Una funzione di cui si sente sempre di più la mancanza. Specie adesso, sotto elezioni, quando bisognerebbe poter capire per sapere scegliere.
Quando cesseranno le grida e sarà passato il momento del voto, forse verrà il tempo per riflessioni serie (e politiche) all’altezza su questi delicati problemi.
Ma, intanto, altre tossine e culture negative saranno state irrimediabilmente introdotte nel corpo sociale, dove sedimentano producendo danni che poi diventano quasi irreversibili.

Milano, 3 aprile 2006

Sergio Cusani e Sergio Segio