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Da Voci e volti della nonviolenza - Supplemento settimanale del marted́ de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 21 del 9 maggio 2006 Gustavo Zagrebelsky: Un decalogo contro l'apatia politica Intervento tenuto al convegno nazionale del Cidi (Centro di iniziativa democratica degli insegnanti) il 4 marzo 2005 e pubblicato sul quotidiano "La Repubblica" sempre il 4 marzo 2005.

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Secondo un luogo comune, l'attaccamento alla democrazia si svilupperebbe da solo, causa ed effetto della democrazia stessa: tanta piu' democrazia, tanta piu' virtu' democratica. Un circolo meraviglioso! La democrazia sarebbe l'unica forma di governo perfettamente autosufficiente, rispetto a cio' che Montesquieu denominava il suo ressort, la molla spirituale. Basterebbe metterla in moto, all'inizio; poi, le cose andrebbero da se' per il meglio. Ebbene, a distanza di qualche decennio dalla Costituzione, uno scritto famoso di Norberto Bobbio (Il futuro della democrazia, 1984) tra le "promesse non mantenute" della democrazia indicava lo spirito democratico. Invece dell'attaccamento, cresce l'apatia politica. In Italia, e forse non solo, si e' democratici non per convinzione, ma per assuefazione e l'assuefazione puo' portare alla noia, perfino alla nausea e al rigetto. E' pur vero che la partecipazione puo' improvvisamente infiammarsi e l'indifferenza puo' essere spazzata via da ventate di mobilitazione, in situazioni eccezionali. Sono pero' reviviscenze che non promettono nulla di buono. Gli elettori, eccitati, si mobilitano su fronti opposti per sopraffarsi, al seguito di parole d'ordine elementari: bene-male, amore-odio, verita'-errore, vita-morte, patriottismo-disfattismo, ecc., cose che lestofanti della politica spacciano come rivincita dei valori sul relativismo democratico. Parole che potranno forse servire a vincere le elezioni ma intanto spargono veleni, senza che un'opinione pubblica consapevole sappia difendersi, dopo che la routine l'ha resa ottusa. Un difetto e un eccesso: l'uno indebolisce, l'altro scuote alle radici
Apatia e sovreccitazione sono qui a dimostrare che l'ethos della democrazia non si produce da se'. Monarchie, dispotismi, aristocrazie e repubbliche hanno avuto i loro pedagoghi: Senofonte, Cicerone, Machiavelli, Bossuet, Montesquieu... Le rivoluzioni hanno avuto i loro catechismi. La democrazia invece ha politologi e costituzionalisti. Non bastano. Il loro compito e' studiare e spiegare regole esterne di funzionamento ma cio' che qui importa, il fattore spirituale, normalmente sfugge. Il loro pubblico, poi, non e' certo il cittadino comune, come dovrebbe essere, in quanto si sia in democrazia. Naturale dunque e' che si guardi alla scuola e al suo compito di formazione civile. Il decalogo che segue e' una semplice proposta

1. La fede in qualcosa che vale La democrazia e' relativistica, non assolutistica. Come istituzione d'insieme, non ha fedi o valori assoluti da difendere, a eccezione di quelli su cui si basa. Deve cioe' credere in se stessa e sapersi difendere, ma al di la' di cio' e' relativistica nel senso preciso della parola: fini e valori sono da considerare relativi a coloro che li propugnano e, nella loro varieta', ugualmente legittimi. Democrazia e verita' assoluta, democrazia e dogma, sono incompatibili. La verita' assoluta e il dogma valgono nelle societa' autocratiche, non in quelle democratiche. Dal punto di vista dei singoli, invece, relativismo significa che "tutto e' relativo", che una cosa vale l'altra, cioe' che nulla ha valore. In questo senso, cioe' dal punto di vista dei singoli, relativismo equivale a nichilismo o scetticismo. Ora, mentre il relativismo dell'insieme e' condizione della democrazia, nichilismo o scetticismo sociali sono una minaccia. Se non si ha fede in nulla, perche' difendere una forma di governo come la democrazia che vale in quanto le proprie convinzioni possono essere fatte valere? Per lo scettico, democrazia o autocrazia pari sono. Rallegriamoci dunque se la democrazia, come insieme, e' relativistica. Solo cosi' la societa' puo' essere libera; chi se ne duole, nasconde pensieri autocratici. Impegniamoci pero' in ogni luogo per scuotere l'apatia, promuovere ideali, programmi e, perche' no, utopie

2. La cura delle individualita' personali La democrazia e' fondata sugli individui, non sulla massa. Come Tocqueville ha antiveduto, la massificazione e' un pericolo mortale. Proprio la democrazia, proclamando un'uguaglianza media, puo' minacciare i valori personali annullando individui e liberta' nella massa informe. E la massa informe puo' accontentarsi di un demagogo in cui identificarsi istintivamente. I regimi totalitari del secolo scorso sono la riprova: una democrazia senza qualita' individuali si affida ai capipopolo e questi, a loro volta, hanno bisogno di uomini-massa, non di uomini-individui. Per questo, la democrazia deve curare l'originalita' di ciascuno dei suoi membri e combattere la passiva adesione alle mode. Dobbiamo vedere con preoccupazione l'appiattimento di molti livelli dell'esistenza, consumi e cultura, divertimenti e comunicazione: tutti "di massa". Chi non si adegua, nel migliore dei casi e' un "originale", nel peggiore uno "spostato". Non e' questa certo la prima volta che ci si rivolge proprio alla scuola perche' alimenti, e non reprima, caratteri e vocazioni personali delle giovani vite con cui ha a che fare

3. Lo spirito del dialogo La democrazia e' discussione, ragionare insieme; e', socraticamente, filologia. Chi odia discutere, il misologo, odia la democrazia, forma di governo discutidora. Alla persuasione preferisce l'imposizione. Maestro insuperabile dell'arte del dialogo, cioe' della filologia, e' certo Socrate, cui si deve la denuncia di due opposti pericoli. Vi sono - dice - "persone affatto incolte", che "amano spuntarla a ogni costo" e, insistendo, trascinano altri nell'errore. Vi sono poi pero' anche coloro che "passano il tempo nel disputare il pro e il contro, e finiscono per credersi i piu' sapienti per aver compreso, essi soli, che, sia nelle cose sia nei ragionamenti, non c'e' nulla di sano o di saldo, ma tutto va continuamente su e giu'". Dobbiamo guardarci da entrambi i pericoli, l'arroganza del partito preso e il tarlo che nel ragionare non vi sia nulla di integro. Per preservare l'onesta' del ragionare, deve essere prima di tutto rispettata la verita' dei fatti. Sono dittature ideologiche, quelle che li manipolano, travisano o addirittura creano o ricreano ad hoc. Sono regimi corruttori delle coscienze "fino al midollo", quelli che trattano i fatti come opinioni e instaurano un "nichilismo della realta'", mettendo sullo stesso piano verita' e menzogna. Gli eventi della vita non sono piu' "fatti duri e inevitabili", bensi' un "agglomerato di eventi e parole in costante mutamento (su e giu', per l'appunto), nel quale oggi puo' essere vero cio' che domani e' gia' falso", secondo l'interesse del momento (Hannah Arendt)
Percio', la menzogna intenzionale - strumento ordinario della vita pubblica - dovrebbe trattarsi come crimine contro la democrazia. Ne' intestardirsi, dunque, ne' lasciar correre, secondo l'insegnamento socratico. Il quale ci indica anche la virtu' massima di chi ama il dialogo: sapersi rallegrare di scoprirsi in errore. Chi, alla fine, e' sulle posizioni iniziali, infatti, ne esce com'era prima; ma chi si corregge ne esce migliorato, alleggerito dell'errore. Se, invece, si considera una sconfitta, addirittura un'umiliazione, l'essere colti in errore, lo spirito del dialogo e' remoto e dominano orgoglio e vanita', sentimenti ostili alla democrazia

4. Lo spirito dell'uguaglianza La democrazia e' basata sull'uguaglianza; e' insidiata dal privilegio. L'uguaglianza e' isonomia - "la piu' dolce delle parole" -, l'uguaglianza delle leggi, che, in Grecia, precedette il secolo glorioso della democrazia ateniese. Senza leggi uguali per tutti - pensiamo ai privilegi, alle leggi ad personas - la societa' si divide in caste e la vita collettiva diventa dominio di oligarchie. Il privilegio crea arrivismo e rincorse perverse. Se la mobilita' e gli accessi in alto esistono, la societa' e' sottoposta a stress dal carrierismo diffuso, con disagio, frustrazioni, perfino suicidi; se si chiudono, per insufficiente mobilita', si ingenera un terribile male distruttivo, l'invidia sociale. Tanto sono evidenti, non occorrono esempi della caduta attuale dello spirito di uguaglianza. Si tratta anzi di un rovesciamento: l'ammirazione sta al posto del disprezzo verso i privilegiati, esempi da imitare nel modo di pensare e nello stile di vita. C'e' un luogo di culto sociale che esprime lo spirito autentico del nostro tempo: lo stadio. Si faccia attenzione alle stratificazioni del pubblico
Alla tribuna volgarmente denominata dei vip, dove siedono i prominenti di politica, finanza, mondanita', si volgono gli occhi di decine di migliaia di potenziali clientes che, invece di avvertire l'indecenza della situazione, farebbero di tutto per esservi ammessi

5. Il rispetto delle identita' diverse In democrazia le identita' particolari sono ininfluenti sul diritto di stare in societa'. Non e' stato cosi' in passato; non e' pienamente cosi' neppure ora. Oggi, il problema della coesistenza di identita' plurime e' di natura etnico-culturale e religiosa; storicamente, e' stato religioso, derivando dal distacco della Riforma dalla Chiesa di Roma. In nome dell'ordine interno, col principio cuius regio, eius et religio, a meta' del '500 si impose in Europa l'identita' di religione agli abitanti le medesime terre, rendendo si' possibili le migrazioni da uno stato all'altro per difendere, insieme alla vita, la fede, ma permettendo la persecuzione religiosa entro ciascuno Stato. L'idea della tolleranza nacque per consentire di tenere insieme terra e fede, per non dover perdere l'una volendo conservare l'altra. Ma non alla tolleranza si rivolge la democrazia. Il contesto e' diverso. L'assolutismo, quando si ammorbidisce, puo' parlare di tolleranza; non la democrazia, cui si addice invece il linguaggio della cittadinanza, uguale per tutti. Onde il concetto di identita', se deve valere per riconoscere e proteggere le culture diverse, e' irrilevante per la partecipazione alla vita pubblica. Il rischio viene ora da un nuovo richiamo all'unione tra potere civile e religione. Storicamente, essa ha posto la vita religiosa sotto la potenza degli Stati. Oggi, "atei-clericali", o come li si possa chiamare, mirano al rovescio: cuius religio, eius et regio, in un ambiguo intreccio di potere civile e religioso in cui l'uno si appoggia sull'altro (Stefano Levi della Torre). Una nuova alleanza tra trono e altare, una minaccia di rinnovate intolleranze su ampia scala. Questi problemi sono particolarmente vivi nel riflesso che hanno con riguardo ai simboli, velo islamico o crocifisso cristiano. La democrazia non ne puo' impedire l'esposizione a nessuno in particolare, ma nessuno, a sua volta, puo' farne uso aggressivo. Se e quando prevarra' il reciproco rispetto, un problema che oggi appare tanto acuto, all'identita' associandosi l'esclusione, si superera' da se', senza bisogno di soluzioni giuridiche. Molto puo' la scuola nel promuovere la reciproca accettazione e con cio' abbassare l'insolenza dei segni distintivi

6. La diffidenza verso le decisioni irrimediabili La democrazia implica la rivedibilita' di ogni decisione (sempre esclusa quella sulla democrazia stessa). Le soluzioni definitive ai problemi, senza possibili ripensamenti e correzioni, sono dei regimi della giustizia e verita' assolute. In quanto perennemente dialogica, la democrazia non ha e non puo' volere verita' ne' a priori, come frutto per esempio di mandati divini, ne' a posteriori, come conseguenza di decisioni popolari, anche se unanimi. La strada per dire: "ci siamo sbagliati" deve restare sempre aperta. Non e' privo di significato che le democrazie siano prevalentemente orientate contro la pena di morte e contro la guerra, due decisioni dagli effetti irreversibili. Le autocrazie, invece, non hanno scrupoli. Possono fondarsi, come in de Maistre, sull'elogio congiunto della forza armata e del boia, naturali prosecuzioni della verita' assoluta. Tutti comprendiamo quanto le decisioni irreversibili possano pregiudicare la discussione in materie oggi divenute cruciali, come la bioetica, la tecnologia applicata ai temi della vita, della morte e della salute o il rapporto tra l'essere umano e la natura - tutte esposte al rischio di scelte senza ritorno

7. L'atteggiamento sperimentale La democrazia e' orientata da principi ma deve imparare quotidianamente dalle conseguenze dei propri atti. E' scontata la citazione della weberiana etica della responsabilita', accanto all'etica della convinzione. Non e' cosi' per i regimi della verita' assoluta. Essi non temono le conseguenze. Fiat veritas, fiat iustitia, pereat mundus. Lo spirito democratico e' invece quello in cui convinzioni e conseguenze formano il campo di tensione che determina le norme dell'agire responsabile. Ogni progetto realizzato apre problemi che rimettono in discussione il progetto. L'esperienza e' il banco di prova della teoria. Immergersi in questa tensione forma il carattere, rende accettabili le sconfitte e promuove nuove energie. Sotto questo aspetto, l'istituzione scolastica da noi e' particolarmente carente, orientata com'e' all'astrattezza che genera distacco dal mondo, induce alla rinuncia e invita all'individualismo chiuso in se stesso

8. Coscienza di maggioranza e coscienza di minoranza In democrazia, nessuna deliberazione si interpreta nel segno della ragione e del torto. Non vale la massima terroristica: vox populi, vox dei. Essa solo apparentemente e' democratica poiche' nega il diritto della minoranza, la cui opinione, per opposizione, si direbbe vox diaboli. Vox populi, vox hominum, invece; voce di esseri fallibili ma disposti a riconoscere i propri errori. Il motore di questo movimento sta non nella maggioranza, ma nelle minoranze che fanno loro il motto "distinguiti dalla maggioranza nel compiere cio' che ritieni giusto". La loro ragione d'essere e' la sfida alla deliberazione presa, in previsione di un'altra migliore. Per questo, la prevalenza di una maggioranza su una minoranza non e' la vittoria della prima e la sconfitta della seconda ma l'assegnazione di un duplice onere: alla maggioranza, dimostrare nel tempo a venire la validita' della decisione presa; alla minoranza, insistere su ragioni migliori. Ond'e' che nessuna votazione, in democrazia (salvo quelle che instaurano la democrazia stessa) chiude definitivamente la partita, perche' il terreno per la sfida di ritorno e' sempre aperto

9. L'atteggiamento altruistico La democrazia e' forma di vita di esseri umani solidali. La virtu' repubblicana di Montesquieu e' questo: amore per la cosa pubblica e disponibilita' a mettere in comune qualcosa, anzi il meglio di se': tempo, capacita', risorse materiali. Cio' costituisce la res publica come risorsa comune cui tutti possono attingere. L'emarginazione sociale e' dunque contro la democrazia e l'idea che nessuno possa essere lasciato a se stesso non e' elemento accidentale della democrazia. L'alternativa e' il darwinismo sociale, l'ideologia crudele che legittima la fortuna dei forti e abbandona i deboli alla loro sorte. Dire queste cose a un pubblico di insegnanti che quotidianamente hanno a che fare con studenti che eccellono e con altri che faticano a tenere il passo significa evocare problemi che essi conoscono bene e solidarizzare con la loro fatica

10. La cura delle parole Essendo la democrazia dialogo, gli strumenti del dialogo, le parole, devono essere oggetto di cura particolare, come non e' in nessun'altra forma di governo. Cura duplice: quanto al numero e alla qualita'
a) Il numero di parole conosciute e usate e' proporzionale al grado di sviluppo della democrazia. Poche parole, poche idee, poche possibilita', poca democrazia. Quando il nostro linguaggio politico si fosse rattrappito al solo si' e no, saremo pronti per i plebisciti; e quando conoscessimo solo piu' i si', saremmo ridotti a gregge. Il numero delle parole conosciute, inoltre, assegna i posti nella scala sociale. Ricordiamo ancora la scuola di Barbiana? Comanda chi conosce piu' parole. Il dialogo, per essere tale, deve essere paritario. Se uno solo sa parlare, o conosce la parola meglio di altri, la vittoria non andra' al logos migliore, ma al piu' abile con le parole, come al tempo dei sofisti. Ecco perche' la democrazia esige una certa uguaglianza nella distribuzione delle parole. "E' solo la lingua che fa eguali. Eguale e' chi sa esprimersi e intende l'espressione altrui. Che sia ricco o povero importa di meno". Ed ecco perche' una scuola ugualitaria e' condizione di democrazia.
b) La qualita' delle parole. Per l'onesta' del dialogo, le parole non devono essere ingannatrici. Parole precise e dirette; basso tenore emotivo, poche metafore; lasciar parlar le cose attraverso le parole, non far crescere parole su parole. Le parole, poi, devono rispettare, non corrompere il concetto. Altrimenti, il dialogo diventa un modo di trascinare gli altri dalla tua parte con la frode. Ancora impariamo dal Socrate del Fedone: "il concetto vuole appropriarsi del suo nome per tutti i tempi". Il mondo della politica e' dove questo tradimento si consuma piu' che altrove, a incominciare per l'appunto dalla parola "politica". Politica viene da polis e politeia, due concetti che indicano arte, scienza e attivita' dedicate alla convivenza. Ma oggi si parla di politica di guerra, segregazionista, espansionista, coloniale, ecc. "Questa e' un'epoca politica - ha scritto Orwell. La guerra, il fascismo, i campi di concentramento, i manganelli, le bombe atomiche sono cio' a cui pensare". Altro inganno: la liberta', da protezione degli inermi contro gli abusi del potere e' diventata, nell'uso "politico", scudo dietro il quale i potenti nascondono la loro pre-potenza. Inganni, dunque. A chi pronuncia parole come queste siamo autorizzati a chiedere: da che parte stai? Degli inermi o dei potenti?

* Gustavo Zagrebelsky, nato nel 1943 a San Germano Chisone (To), illustre costituzionalista, docente universitario, giudice della Corte Costituzionale (e suo presidente, quindi presidente emerito); componente dei comitati scientifici delle riviste "Giurisprudenza costituzionale", "Quaderni costituzionali", "Il diritto dell'informazione", "L'Indice dei libri", e della Fondazione Roberto Ruffilli; socio corrispondente dell'Accademia delle Scienze di Torino, gia' collaboratore del quotidiano "La Stampa"; per la casa editrice Einaudi dirige la collana "Lessico civile"; autore di vari volumi e saggi, ha collaborato al commentario alla Costituzione italiana diretto da Giuseppe Branca. Tra i suoi numerosi lavori segnaliamo particolarmente Amnistia, indulto e grazia. Problemi costituzionali,1972; Manuale di diritto costituzionale. Il sistema costituzionale delle fonti del diritto, 1974, 1978; La giustizia costituzionale,1978, 1988; Societa', Stato, Costituzione. Lezioni di dottrina dello Stato, 1979; Le immunita' parlamentari, Einaudi, Torino 1979; Il diritto mite, Einaudi, Torino 1992; Questa Repubblica, Le Monnier, Firenze 1993; Il "crucifige" e la democrazia, Einaudi, Torino 1995; (con Pier Paolo Portinaro e Joerg Luther, a cura di), Il futuro della costituzione, Einaudi, Torino 1996; La giustizia costituzionale, Il Mulino, Bologna 1996; (con Carlo Maria Martini), La domanda di giustizia, Einaudi, Torino 2003; (a cura di), Diritti e Costituzione nell'Unione europea, Laterza, Roma-Bari 2003, 2005; (con M. L. Salvadori, R. Guastini, M. Bovero, P. P. Portinaro, L. Bonanate), Norberto Bobbio tra diritto e politica, Laterza, Roma-Bari 2005; Imparare la democrazia, Gruppo editoriale L'Espresso, Roma 2005; Principi e voti, Einaudi, Torino 2005