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Augusto Cavadi (torna all'indice informazioni) Il mio Natale, come quello di numerosi cittadini non solo
‘laici’ (com’è prevedibile) ma anche credenti,
è stato turbato dalla notizia che il Vicariato di Roma avesse deciso
di negare a Piergiorgio Welby i funerali religiosi. Sapere che questa
amarezza fosse espressa un po’ in tutta Italia da giornalisti cattolici
come Ettore Masina (che, in una lettera-circolare pervenuta anche nella
mia casella, si chiedeva: “I commi dei giuristi prevalgono sull’insegnamento
del Cristo? Dice la Lettera di San Giacomo nel Nuovo Testamento: ‘religione
pura e senza macchia davanti a Dio nostro padre è soccorrere gli
orfani e le vedove nel momento delle loro afflizioni...’. Parola
di Dio, ma non a Roma”), anzi persino da un vescovo non proprio
progressista come Sandro Maggiolini (“Ho letto che negli ultimi
20 minuti Giorgio, che era cattolico e tale si professava, ha chiesto
perdono a Dio. Anche soltanto il dubbio di questo dovrebbe indurre a dare
esequie cattoliche”), mi era di qualche conforto. Ma Masina scriveva
da Roma, Maggiolini da Como: e dalle nostre parti? Da quel momento confesso di non aver seguito attentamente il resto della
messa perché la mente ha iniziato, un po’ capricciosamente,
a girovagare. E’ andata indietro agli “Atti degli apostoli”
(quel libro della Bibbia dove si dice che “bisogna obbedire prima
a Dio, poi agli uomini”); è passata per il medioevo (quando
un grande santo come Tommaso d’Aquino, nonostante il divieto ecclesiastico,
persevera nel farsi tradurre e nel leggere Aristotele producendo capolavori
teologici memorabili) sino ad arrivare a don Lorenzo Milani (e al suo
slogan a favore dell’obiezione di coscienza militare: “L’obbedienza
non è più una virtù”). Ha rivisto le tragedie
provocate durante il nazismo da una mentalità acriticamente legalistica
che porta a farsi complici dei più efferati delitti di Stato sino
a tanti episodi quotidiani in cui, nelle strutture civili come in quelle
ecclesiastiche, debolezza di carattere e voglia di carriera inducono a
subire umiliazioni, ingiustizie, molestie. E’ difficile che qualcuno
denunzi casi di vero e proprio mobbing in ufficio, in banca, all’università,
in ospedale: quando poi non si tratta neppure di danni subiti personalmente,
ma perpetrati sulla pelle degli altri, scatta una ferrea cortina di omertà.
Non è un caso che, a proposito proprio di questo episodio di interruzione
della spina, l’opinione prevalente fosse che su certe questioni
bisogna arrangiarsi da sé senza fare troppa pubblicità.
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