Piergiogio Welby ci ha lasciato
….. e con tanti interrogativi
Salvatore Nocera
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La drammatica vicenda umana di Piergiorgio Welby ha molto
scosso tanta gente sensibile, lasciando nel loro isolamento di mancanza
di humanitas i “soloni dei codici civili e canonici”.
Io mi sento fortemente interpellato dalla sua vita di sofferenza e dal
desiderio, finalmente esaudito, di porvi fine, per tre motivi: sono una
persona con disabilità, anche se di gran lunga meno grave, sono
un credente cattolico, sono uno che studia e pratica il diritto.
Di fronte agli illustri teologi e giuristi che si sono confrontati a favore
o contro le posizioni di Welby, io umilmente confesso tutti gli interrogativi
che si agitano in me, impedendomi di dare un giudizio chiaro e sicuro
sui problemi sollevati dalla sua vicenda umana, che invece mi sono sforzato
di aver compreso e condiviso.
1- Gli interrogativi giuridici sono, per me, i meno complessi. Infatti
l’art 32 della Costituzione è chiarissimo
nell’enunciare il principio che nessuno può essere sottoposto
a trattamenti sanitari contro la sua volontà. Se Welby, fosse stato
in grado fisicamente di staccare la spina, lo avrebbe fatto da solo, al
pari di quanti liberamente decidono di abbandonare la vita divenuta per
loro un peso insopportabile. Però egli fisicamente non poteva.
E qui, giuridicamente i problemi si pongono per il medico che ha reso
possibile l’attuarsi della sua volontà. I Giuristi si scontreranno,
come già sta avvenendo, sui principi di bioetica e sulle norme
penali
da applicargli, se le norme sull’omicidio del consenziente, neppure
con le attenuanti, se i principi sulla sospensione dell’accanimento
terapeutico, o se gli orientamenti in materia di eutanasia “ attiva”(cioè
morte provocata dal medico) o “passiva”(cioè morte
naturale non impedita dal medico col ricorso a farmaci o a mezzi tecnologici).
Comunque mancando in Italia una norma espressa sull’eutanasia, la
discussione sempre più si restringerà sulle altre due ipotesi
e soprattutto sull’applicazione o meno della norma dell’art
579 del Codice penale relativo all’omicidio del consenziente. Sul
diritto al rifiuto dell’accanimento terapeutico sono fortunatamente
tutti d’accordo. Il problema dibattuto è circa il concetto
giuridico di accanimento terapeutico, specie in presenza delle nuove terapie
e tecnologie mediche.
Personalmente sono contrario ad una norma penale che autorizzi un soggetto
terzo a decidere a quali condizioni una persona non in grado di esprimere
più una volontà libera e certa, possa essere condotta
dolcemente a morire. Se però la persona è in grado di intendere
e volere, come è stato Welby, ritengo che un ordinamento giuridico
debba consentirle di raggiungere la morte che, a suo avviso, lo libera
da un’insopportabile sofferenza, senza nuocere ad alcuno; a meno
che non si abbia della vita umana la visione sovietica secondo la quale,
essendo ogni cittadino un bene dello stato, il suo suicidio danneggia
quest’ultimo.
Anche il cosiddetto “testamento biologico”, cioè la
volontà espressa liberamente di voler morire qualora si dovesse
verificare uno stato di salute che non consenta di manifestare una libera
volontà al momento di
una grave malattia, già ipotizzata nelle “ultime volontà”
espresse dall’interessato, mi sembra debba essere riconosciuto dal
legislatore, per il rispetto dovuto alla libertà di ogni uomo,
a meno che non si voglia pensare , come fa il nostro Codice penale che
una persona non possa liberamente disporre della propria vita. E però
come mai la coscienza sociale non considera tentativo di suicidio il partire
come volontario per una guerra, né suicidio il darsi come volontario
in un’azione militare che comporta la sicura morte? Qui però
gioca il valore di solidarietà per la patria attuato dall’eroe
militare. Ma gli ordinamenti giuridici liberali odierni non sono ancora
in grado di recepire come bene giuridico il rispetto della libera volontà
di un
essere umano, anche con riguardo al solo valore del rispetto della sua
volontà che non nuoce ad alcuno?
2- Più difficili divengono gli interrogativi per me, disabile.
Infatti tutto il movimento della disabilità , a livello mondiale,
si batte per il superamento dell’emarginazione dei disabili e per
la loro integrazione scolastica, lavorativa e sociale, anche nei casi
di persone in situazione di “particolare gravità (quelle
cioè che come dissero alla mamma di Claudio Imprudente, sono dei
“vegetali” (vedi la sua autobiografia “Una vita imprudente”.
E Claudio ed altri come lui , malgrado la totale dipendenza da altri per
tutti gli atti della vita
quotidiana e di relazione, continuano a vivere, malgrado tutto; anzi ci
danno lezioni di impegno culturale sociale e politico. E chi non ricorda
Rosanna Benzi, costretta a vivere in un polmone d’acciaio, la cui
voglia di vivere ha documentato nella sua autobiografia “ Il vizio
di vivere”, nel quale ha narrato con delicatezza inconsueta una
sua voluta esperienza sessuale?
E chi non rimane sbalordito di fronte ai genitori di bambini con gravissime
minorazioni che, invece di depositarli in istituti speciali, li tengono
in famiglia e lottano per la realizzazione dei loro diritti
che sono riusciti a strappare al Parlamento ed ai Governi con tante lotte
,umiliazioni e fatiche?
Di fronte a queste testimonianze, talora eroiche, la richiesta di Welby
può sembrare rinunciataria. Ma chi , anche se disabile grave, può
ergersi a giudice delle sofferenze di un essere umano? Anche il Capo dello
Stato, Napolitano, ha recentemente graziato un genitore che, non potendo
più sopportare le sofferenze del figlio gravemente disabile, lo
ha ucciso. Diremmo allora che “ disabile è brutto?”
Ma si può dire al
contrario che “disabile è bello?”
Io sono fra quelli che si battono per la piena integrazione sociale delle
persone con disabilità; chi sono però io per condannare
chi tale integrazione non è riuscito a trovare per carenze dei
servizi e della società o per non sentirsi realizzato nelle condizioni
di vita che non si sente di accettare?
3- Molto più intriganti sono gli interrogativi che mi pongo come
cattolico non solo anagrafico. Certo, per noi credenti in Dio, la vita
, qualunque vita, è un Suo dono e quindi non possiamo disporne
liberamente. Mi ha colpito a tal proposito il pronunciamento del reverendo
anglicano Butler di Londra, secondo il quale l’eutanasia di un neonato
disabile grave non sarebbe moralmente illecita.
Però , per altro verso, secondo il Cristianesimo,la vita non và
idolatrata, come testimoniano tanti Martiri , che l’hanno immolata
per la fede. Ma per chi non crede in Dio? Posso pretendere che abbia la
stessa
visione della vita e del suo valore trascendente che ne abbiamo noi cristiani?
Posso condannare moralmente quanti non riescono a trovare nell’amore
di Dio un senso alla loro vita di sofferenze?
E’ questo mio modo di pensare espressione di relativismo morale?
Se lo fosse, sarebbe forse migliore, per il rispetto della dignità
della persona di Dio, suo creatore, l’intransigenza di chi condanna
senza neppure la remora di un piccolo dubbio? Oppure, per non condannare,
occorre pretendere un segno di “ravvedimento”?
Eppure Gesù, di fronte all’adultera, non le disse che non
la condannava, prima ancora di aver ricevuto un segnale di un suo cambiamento
di vita?
Welby ha ripetutamente scritto parole di denuncia a Dio per la sua malattia.
Chi di noi , persone con disabilità, specie se credenti, non ha
chiesto a Dio il perché della nostra “ diversità”?
Vorranno , allora,
gli arcigni soloni della legge comportarsi come i saccenti amici di Giobbe
che vogliono dare risposte e spiegazioni meschine e non degne di Dio,
alle domande più alte che sono state rivolte al mistero di Dio
e
della vita?
Certamente Welby era stato educato religiosamente, come me che ho quasi
dieci anni più di lui, in un periodo in cui la pastorale e la catechesi
cristiane rivolte alle persone con disabilità ed alle loro famiglie
erano esclusivamente incentrate sul “valore salvifico della sofferenza
e della Croce”.
Fortunatamente, dopo il Concilio ecumenico Vaticano II° ( 1962- 1965),
la riflessione teologica e quindi la pastorale e la catechesi verso di
noi sono cambiate, invitandoci a dare un senso alla Croce attraverso la
Resurrezione di Gesù, e della Sua testimonianza, che si concretizza
nella condivisione dei problemi di vita di noi disabili da parte di gruppi
sempre più attivi di volontariato e di comunità. La Comunità
di
Capodarco, il cui presidente, don Vinicio Albanesi ha inviato a Welby
una bellissima lettera aperta, richiamando il valore francescano di “nostra
sora morte corporale”, è intitolata a Gesù risorto.
Non per
nulla il recente convegno ecclesiale svoltosi a Verona è stato
intitolato “Testimoni di Gesù risorto” ed il senso
di questa testimonianza verso il mondo e le persone con fragilità
è stato chiaramente esposto nella relazione introduttiva del Vescovo
di Milano, Card. Tettamanzi; peccato che tale senso sia andato annacquandosi
durante i lavori verso una visione più legalistica e di presenzialismo
trionfalistico, come può rilevarsi dalla lettura degli atti, curata
dall’Avvenire in un bel volume dal titolo “ Una speranza
per l’Italia”.
Se Welby avesse avuto da noi credenti una maggiore testimonianza del
valore salvifico della Resurrezione di Gesù, avrebbe potuto forse
accettare responsabilmente la sua sofferenza sino alla fine?Egli comunque
ha fatto di tale sofferenza un’occasione di lotta civile, fortemente
sostenuto dai Radicali. Per questo il Vicariato di Roma gli ha rifiutato
i funerali religiosi. Ma non è questa una visione più legalistica
che orientata verso la misericordia divina? Però, a proposito della
salvezza annunciata e realizzata da Gesù, non è san Paolo,
il grande apostolo di Gesù risorto, che insiste nel dire che “la
legge uccide, mentre lo Spirito vivifica”?
Queste sono alcune delle domande più intriganti , cui non so dare
risposte sicure ed invito chi vuole a darne di più esaurienti.
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