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Residenze Sanitarie Assistenziali nelle Marche: di che cosa parliamo?
Gruppo Solidarietà
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(comunicato stampa)

Lo scorso 25 giugno il Gruppo Solidarietà ha promosso a Jesi un incontro di approfondimento riguardante la situazione delle RSA nella Regione Marche. Hanno partecipato all’iniziativa Giuseppe Mascioni, Assessore regionale alla sanità, Franco Pesaresi capo dello staff dell’assessorato alla sanità della Regione, Enrico Brizioli, direttore sanitario della AUSL di Jesi. Di seguito la relazione introduttiva a cura del Gruppo Solidarietà.
L'attenzione che in questi anni abbiamo posto sulle RSA ha una motivazione ben precisa: occuparsi di RSA - della loro organizzazione e del loro funzionamento - significa occuparsi di servizi rivolti ad una fascia di popolazione molto debole (occuparsi dei deboli dovrebbe essere lo specifico del volontariato), i cosiddetti anziani cronici non autosufficienti non curabili a domicilio; una fascia di popolazione che nell'intero territorio nazionale e anche nella nostra regione soffre oltre che per gli effetti di gravi malattie anche per la scarsa adeguatezza dei servizi che dovrebbero rispondere alle loro esigenze.

E' evidente che ogni scelta regionale (le non scelte sono spesso scelte ben più pesanti) ha le sue ricadute in termini di maggiore o minore tutela degli utenti; ogni scelta avrà davanti minori o maggiori costi economici, maggiore o minore attenzione ai "bisogni" delle strutture, maggiore o minore attenzione alle esigenze delle persone. E' naturale, non potrebbe essere diversamente, che il nostro punto di vista assume e mette al centro quest'ultimo ambito.

Vorremmo, pertanto, uscire da questo incontro con la speranza di ricevere da parte della Regione Marche la risposta ad alcune domande ed una chiara indicazione del futuro che si vorrà percorrere.

Affrontare il presente non può prescindere da una duplice analisi:
a) Le norme regionali fin qui emanate,
b) Quello che è poi successo nei territori della Regione Marche.

La normativa regionale
Il quadro normativo fa riferimento fondamentalmente a 3 Atti;
- la D.R. 3240/92, successiva all'Atto di disattivazione (n. 99/92) della funzione ospedaliera di alcuni presidi, che detta le Linee guida per le funzioni di RSA di queste strutture.
- La legge n. 36/95, che istituisce due RSA per soggetti con sclerosi multipla e distrofia muscolare le cui norme valgono anche per le RSA "istituite, da istituire o da ristrutturare".
- Il PSR (L.R. 34/98) recentemente approvato, che introduce all'interno del sistema residenziale extraospedaliero oltre le RSA altre due strutture (RST e RSR) e riconosce dei nuclei (NAR) di assistenza residenziale all'interno delle residenze assistenziali.
A completamento di questo quadro normativo, crediamo, vada inserito il programma di intervento regionale relativo alla 2ª fase del programma di investimento ai sensi della l. 67/88 al fine di verificare numero, p.l. complessivi e localizzazione delle RSA.

Non dobbiamo, in questa sede, analizzare in dettaglio la normativa e la coerenza degli atti riguardanti le RSA nelle Marche; il quadro si presenta fortemente lacunoso, con un sostanziale slegamento degli Atti sopracitati. Segnaliamo soltanto alcuni aspetti che ci paiono maggiormente significativi.

Partiamo dal PSR. All'interno del complessivo sistema residenziale extraospedaliero esso indica la tipologia di utenza di queste strutture (condizione stabilizzata con richiesta di intensità assistenziale alta a causa della presenza di patologie croniche multiproblematiche), stabilisce inoltre i p.l. (1331) che nel quinquiennio dovranno essere realizzati (325 nella prov. di Pesaro, 420 in quella di Ancona, 242 e 344 ripettivamente nelle prov. di Macerata ed Ascoli Piceno).
Nessuna indicazione precisa viene data per gli standard assistenziali; si fissa, invece, un rapporto personale/posti letto minimo di 0,7/1. Non deve essere però dimenticato che la proposta arrivata in Consiglio indicava degli standard, a nostro parere, totalmente inadeguati riguardo ad alcune figure sanitarie; infatti con un modulo di 20 p.l. si prevedeva: 10 h. settimanali di MMG e di fisioterapista, 8 h. giornaliere di infermiere.

Le indicazioni riguardanti le RSA contenute nel PSR si pongono accanto agli altri 2 Atti precedentemente citati.

- Il primo Atto (D.R. 3240, dell'ottobre 1992) nasce all'indomani della disattivazione ospedaliera di 15 presidi e detta alcune prime indicazioni (non abrogate) per la fase di riconversione (funzione e tipologia di utenza, organizzazione, dimensionamento, procedure di ammissione). Indicazioni talmente provvisorie che lo stesso Atto prevedeva entro sei mesi un aggiornamento dello stesso. Aggiornamento ancora, dopo 7 anni, atteso.

- Il secondo (la L.R. 36/95), riguarda la realizzazione di 2 RSA, definite Case Alloggio per persone affette da Distrofia muscolare o Sclerosi Multipla; una legge che meriterebbe una analisi dettagliata; va però ricordato che la norma transitoria (art. 11), stabilisce che i contenuti della legge si applicano anche per le RSA "degli anziani di età superiore ai 65 anni non autosufficienti e disabili, istituite, da istituire o da ristrutturare".

Alcune indicazioni possono comunque essere ricavate dalle norme sopra citate.

*1) la definizione della tipologia di utenza delle RSA (anziano non autosufficiente stabilizzato non assistibile a domicilio, ecc....) Del. 3240 e PSR;

*2) il pagamento della quota alberghiera (40.000 L., secondo la D.R. 3240; con costi da calcolare secondo la L.R. 36/95) dopo il 90º giorno di degenza se proveniente dall'ospedale, dal primo giorno se proveniente dal domicilio;

*3) riguardo gli standard strutturali ed organizzativi, ferme restando le indicazioni nazionali, la l.r. 36 pur occupandosi di due strutture rivolte ad una tipologia particolare di utenza, stabilisce che le norme in essa contenute valgono anche per tutte le RSA istituite, da istituire o da ristrutturare. Tutte le RSA dovrebbero pertanto adeguarsi alle indicazioni contenute all'art. 3 di questa legge (Aspetti strutturali ed organizzativi).

*4) L'indefinizione degli standard di personale. Come si è visto essi non sono stati indicati nel PSR; quelli indicati dalla l.r. 36 fanno riferimento esclusivamente ai destinatari di quella legge, soltanto nella D.R. 3240 si fa riferimento agli standard di personale che dovranno essere rispettati terminata la fase transitoria. Indicazioni che rimangono non vincolanti. Basti pensare alla situazione riguardante la presenza del medico che varia sia per numero di ore settimanali che per tipologia (medico dipendente della USL con specialità non definita, Medici di medicina generale, medici di guardia).

Sui p.l. regionali che in questo momento sono riconosciuti come RSA ed effettivamente funzionanti il dato dovrebbe essere fornito dall'assessorato. In particolare andrebbe conosciuto:
- quanti sono per effetto della disattivazione ospedaliera del 1992 (15 strutture e 280 p.l.?) e quanti con il finanziamento della prima fase del programma relativo all'art. 20 della legge 67/88 (13 strutture per 429 p.l.?).
Altra cosa è se poi queste strutture funzionano rispettando il mandato delle RSA, ma questo è un altro aspetto, importantissimo per le molte implicazioni conseguenti, che approfondiremo meglio in seguito.

Se tutto quanto sopra indicato può essere ritenuto corretto e se dunque siamo di fronte ad un quadro normativo incompleto; una volta identificati quanti sono i p.l. di RSA devono essere poste alcune domande alla Regione Marche:

- Come hanno funzionato e come stanno funzionando tutte quelle strutture che nelle Marche si chiamano RSA?

- Si stà rispettando la tipologia di utenza come indicato dal PSR e più in generale come stabilito dal DPR 14.1.97?

Altre domande si impongono e riguardano un duplice aspetto:
se le RSA attivate hanno rispettato il loro mandato e soprattutto (ed anche conseguentemente) sulla destinazione di tutti quegli utenti che dovrebbero essere destinati alle RSA. Dove finiscono, in quali condizioni, tutti quegli utenti che dovrebbero essere destinati ad essere accolti nelle RSA; cioè quale continua ad essere la risposta per i cronici non autosufficienti non curabili a domicilio?

Come hanno funzionato in questi anni le RSA?
A questo punto è fondamentale capire come hanno funzionato le RSA delle Marche, verificando se le stesse hanno rispettato il mandato loro assegnato. E' importante anche avere chiarezza, più in generale, sulla situazione della residenzialità extraospedaliera disegnata dal PSR che introduce nuove tipologie di strutture (RST e RSR int-est). Ci sono infatti alcune domande alle quali con chiarezza la Regione Marche deve dare risposta.

- Gran parte delle RSA (almeno di quelle, se non sono le uniche, derivanti dalla disattivazione della funzione ospedaliera del 1992); in realtà funzionano come strutture che gestiscono la fase post-acuta di pazienti in dimissione dall'ospedale; non si sa bene se continuano ad essere un reparto ospedaliero di medicina, una struttura di riabilitazione intensiva o altro. Tutto questo succede da 7 anni, tutti lo sanno ma nessuno interviene. Ciò è grave per un duplice motivo:

a) perchè malati in fase post-acuta vengono gestiti da strutture che non hanno alcun titolo per farlo (pensiamo solo agli esiti di patologie vascolari che necessiterebbero di riabilitazione all'interno dei p.l. ospedalieri);

b) perchè occupando i p.l. con pazienti in fase post-acuta queste strutture non rispondono alla funzione loro assegnata di risposta residenziale a soggetti malati non autosufficienti in "condizione stabilizzata" non curabili a domicilio.

Si è così in presenza di una doppia grave iniquità da un lato strutture con altro mandato gestiscono pazienti che avrebbero bisogno di essere trattati presso altri servizi; dall'altro l'utenza che dovrebbe afferire alle RSA viene inviata nelle strutture assistenziali che (a parte l'ambiguità normativa riguardante le Case protette - cui peraltro le normative nazionali non fanno mai cenno - delle quali, credo, nessuno sappia con precisione quanti siano i p.l. complessivi nelle Marche, ne come funzionano in termini di personale) non hanno alcuna legittimità ad accogliere persone malate e non autosufficienti.

Ci si trova così che strutture che si chiamano RSA vengono meno al loro mandato e cosa molto grave, ad esempio, dimettono - anzi, scaricano - malati cosiddetti "stabilizzati" (chiaramente non autosufficienti), anche quando essi non siano curabili a domicilio. Quei pazienti cioè per i quali le RSA sono state pensate, nate ed anche finanziate.

Per questo è importante capire quante siano effettivamente le RSA nella nostra regione perchè il rischio evidente è che esse funzionino (nonostante standard spesso insufficienti anche per una RSA) da strutture di passaggio per la gestione della fase post-acuta (come ad es. le RSM del PSR). E dunque che, al di la del nome, quelle pochissime strutture che da qualche anno vengono chiamate con il nome di RSA di fatto non funzionino come tali; vanificando così quelli che erano gli obiettivi del P.O.A. (che tutti continuiamo a citare per la qualità dei contenuti, del quale contemporaneamente ogni anno che passa verifichiamo il sostanziale fallimento dal punto di vista delle realizzazioni) che indicava la RSA, quale risposta adeguata ai bisogni degli anziani malati non autosufficienti non curabili a domicilio.

Queste sono le indicazioni del POA riferite alle RSA: "Costituiscono una forma di risposta alle situazioni di bisogno sanitario di persone ultrasessantacinquenni non autosufficienti o a grave rischio di non autosufficienza, che per ragioni molteplici non possono essere assistite in ADI o OD"; il POA stima poi il fabbisogno residenziale in (280-350.000 p.l.), contro i 140.000 previsti dalla finanziaria 1988. Chiarisce poi il significato di RSA: "La denominazione Residenza Sanitaria Assistenziale è stata preferita rispetto ad altre dizioni perchè l'aggettivo "sanitaria" sottolinea che si tratta di una struttura propria del SSN, a valenza sanitaria, di tipo extraospedaliero (residenza), la cui gestione è finanziabile con il FSN e di cui le USL possono garantire direttamente la gestione; l'aggettivo "assistenziale", rimarca che la residenza ha anche una valenza socio-assistenziale indiscibilmente connessa alla valenza sanitaria, il che legittima l'impiego da parte del SSN di figure professionali di tipo sociale (..) Le RSA devono essere realizzate tipologicamente secondo quanto descritto dal DPCM 22-12-89".

E' allora opportuno l'aggancio con il PSR; infatti riteniamo che se non si riesce a fare chiarezza (se non la fa la regione) le indicazioni del Piano riferite alla residenzialità extraospedaliera (ovvero la previsione di più tipi di residenze) possano essere usate dalle Aziende sanitarie esclusivamente per utilizzare le strutture presenti nel proprio territorio (generalmente date dalla riconversione ospedaliera) come "polmone" per l'ospedale così da ridurre il più possibile le degenze, indipendentemente dalla tipologia di struttura. Nei fatti questo significa che nessuna RSA funzionerà come tale.

Gia da prima, almeno un anno, dall'approvazione del PSR, le sigle RST, RSM, RSR venivano cospicuamente utilizzate (basti pensare che nella penultima bozza di statuto - 1997 - dell'Istituzione creata dal comune di Jesi per i servizi rivolti agli anziani si parlava della gestione di un reparto RSM). A PSR approvato è una realtà sotto gli occhi di tutti; si veda ad es. "L'ospedale di comunità" di Arcevia (così come presentato nell'inserto n. 16 di "Panorama della sanità"), recentemente inaugurato, che nella stessa struttura di 20 p.l. ne destina 12 a RSA, gli altri sono equamente divisi in 4 RSR e altri 4 RST) la volontà di avallare formalmente la funzione che, a nostro avviso illegittimamente, è sempre stata svolta; si inserisce una nuova sigla e così si sgombra definitivamente il campo circa il mandato della struttura. Per alcuni aspetti si mantengono le regole più "favorevoli" delle RSA come ad esempio il pagamento della quota alberghiera dopo il 90º giorno o dal primo se provenienti dal domicilio. Perchè chiamarsi RSA e dimettere pazienti da RSA qualche problema poteva anche crearlo; ma quando le strutture le ritrasformiamo chiamandole con un nuovo nome (RST o RSR) a quel punto problemi non possono più insorgere.

Allora deve essere chiara la responsabilità della Regione Marche che con il massimo della chiarezza deve dire:
- per ogni tipo di struttura (RSA, RSR int-est, RST): dove sono localizzate, quante sono, e con quanti p.l.;
- con quali standard minimi di personale (medici, infermieri, fisioterapisti, OTA) le strutture devono funzionare.

Chiediamo anche con chiarezza che si dica alle Aziende Sanitarie che non possono cambiare la destinazione d'uso delle strutture del loro territorio, solo perchè hanno bisogno di decongestionare l'ospedale, inviando così, da un lato, malati con problemi complessi presso strutture che non sono attrezzate per farlo; dall'altro espellendo da quelle poche RSA presenti, malati che avrebbero diritto di starci.
Questo chiediamo con forza alla Regione Marche.

Se questo non viene fatto, continueremo tutti (Regione, AUSL, Comuni, associazioni) ad essere omissivi, fingendo di non sapere che ci sono strutture che si chiamano con un nome (con preciso mandato) che svolgono funzioni del tutto diverse da quelle assegnate (nonostante che non siano in grado di farlo).

Mi pare opportuno, a questo punto, soffermarci su un altro aspetto: quello relativo alla cosiddetta quota alberghiera.

Sappiamo che, al momento (qualcosa cambierà con l'entrata in vigore il 1º gennaio 2.000 del sanitometro), la RSA è l'unica struttura sanitaria che prevede (tale indicazione è contenuta nelle Linee guida del Ministero della sanità n. 1/94) che i cosiddetti costi "alberghieri" siano a carico dell'utente (si afferma infatti: "l'indirizzo prevalente è quello di prevedere l'assunzione da parte dell'utente delle spese alberghiere o sociali .."). Non è qui la sede per una riflessione sul "fenomeno della quota alberghiera". Ci chiediamo però perchè, se finanziariamente il sistema non regge, questa quota (tassa) deve essere prevista solo per una categoria di malati (gli anziani cronici) e solo per un tipo di struttura del SSN (L'ospedale ad esempio è la struttura più utilizzata e più costosa).
Nella nostra regione, il pagamento della quota alberghiera scatta, dal 1º giorno indipendentemente dalle condizioni sanitarie dell'assistito, se lo stesso proviene dal domicilio; al 91º giorno se in dimissione ospedaliera.

Visto l'utilizzo fin qui fatto delle RSA è facile capire quali risultati si sono potuti produrre.
Pensiamo alla condizione di soggetti anziani con pluripatologie, colpiti da ictus che come già detto, impropriamente, vengono inviati in RSA in fase post-acuta per la riabilitazione; o di soggetti che inviati in RSA nel periodo di degenza vengono colpiti da malattie acute. Sono soggetti che al 91º giorno, sono spesso ancora gravemente malati, potremmo definirli ancora "acuti"; richiedono interventi sanitari rilevanti (soprattutto di natura medica) e avrebbero avuto, probabilmente, necessità di cure ospedaliere; soggetti che dopo non aver ricevuto le cure adeguate (vedi gli interventi di riabilitazione ospedaliera) si trovano anche a dover pagare la cosiddetta quota alberghiera. Ripetiamo, sono soggetti, che nulla hanno di stabilizzato.
Questo tema si aggancia con quanto avevamo sopra evidenziato producendo effetti fortemente negativi in termini di equità e di giustizia. Sono strutture che si chiamano RSA, assumono una funzione diversa gestendo pazienti che non dovrebbero afferirvi, ma mantengono le regole delle RSA.
Insomma, molti di questi soggetti avrebbero bisogno di livelli di prestazioni a livello ospedaliero o comunque ad alta "intensività"; oltre a non riceverlo devono pagare anche la "quota alberghiera".

Problemi di equità e giustizia vanno posti anche per gli accessi di malati provenienti dal domicilio (per i quali il pagamento della quota alberghiera scatta dal primo giorno di degenza).
Come più volte ripetuto riteniamo che non possa essere il luogo di provenienza a determinare i criteri, ma soltanto le condizioni sanitarie; non è per nulla detto che la provenienza dal reparto ospedaliero sia condizione di maggiore gravità.
Riteniamo che, a prescindere dalla provenienza, ci si debba accertare se le condizioni del richiedente abbiano i requisiti per l'accesso alla RSA.
Ma sulle questioni relative agli accessi e alle dimissioni la riflessione deve investire le modalità di funzionamento delle UVD. Quando e come intervengono? Perchè si dimettono dalle RSA persone ancora gravemente malate? Perchè le UVD permettono l'ammissione di soggetti in fase post-acuta che richiedono interventi che le RSA non possono e non devono offrire?

Un altro problema si pone e deve essere affrontato ed è quello relativo al modello organizzativo e agli standard assistenziali delle RSA. Perchè se questa è la struttura che deve/dovrà gestire il malato non autosufficiente "stabilizzato" non curabile a domicilio questa dovrà prevedere standard di personale adeguati per la funzione.
Su questo aspetto, riteniamo, occorra porre molta attenzione perchè se, alla fine, gli standard assistenziali saranno quelli che l'ultima proposta di PSR prefigurava riteniamo essere di fronte ad un quadro di incompatibilità tra obiettivi di struttura e condizioni per raggiungerli.

Nel ripercorrere ed analizzare la situazione delle RSA nelle Marche, ma anche guardando i percorsi di altre regioni ci troviamo di fronte a situazioni nelle quali si tende sempre più (in contrasto, a nostro parere, con le pur non sempre lineari normative nazionali sulle RSA) a concepire ed a realizzare RSA come struttura di passaggio in un percorso che parte dall'ospedale, passa per la RSA e si conclude quando il malato non sia curabile a domicilio presso una residenza assistenziale.
E' una tendenza talmente forte che, siamo al punto, sembra assumere una funzione impropria una RSA che non svolga questo ruolo.
Tale concezione, peraltro fortemente radicata in molti operatori sanitari, ritiene che la struttura che debba ospitare permanentemente qualunque non autosufficiente stabilizzato sia una residenza assistenziale con un variabile supporto di tipo sanitario.
La sanità, in questa visione, dovrebbe occuparsi (competenza e titolarità) solo dei malati in fase acuta; all'assistenza spetterebbe la "cura" dei cronici.

Oppure quando si conceda alle RSA, non in teoria, ma nei fatti di accogliere quell'utenza per cui è nata si è spesso in presenza di standard (vedi la proposta nello schema di PSR) assistenziali così bassi (a volte inferiori a quelli delle "Case protette" di alcune regioni italiane), da chiedersi se sia valsa la pena lottare per la realizzazione delle RSA.
Perchè, riteniamo, se la funzione di lungodegenza, deve essere delegata alla RSA questa deve essere in condizione (di personale e strutturale) di gestire questo tipo di malato. Deve essere cioè capace di gestire un malato cronico multiproblematico.

Occorre allora allargare la riflessione sul ruolo e la funzione dei p.l. ospedalieri di riabilitazione e in particolare di lungodegenza e all'altro estremo di quelli dei NAR (Nuclei di assistenza residenziale), all'interno delle Case di Riposo, così come previsti dal PSR.

Se la RSA rientra all'interno di un sistema di servizi a rete è di fondamentale importanza che il sistema ospedaliero di riabilitazione-lungodegenza, sia effettivo (quell'1 per mille abitanti diventi tale), così da avere all'interno delle AUSL le strutture deputate per la gestione del paziente nelle fasi di intensività riabilitativa e nella post-acuzie.
L'avviamento dei p.l. di lungodegenza, ad esempio, potrebbe portare, in tempi brevissimi, alla riconversione dei p.l. previsti di RST in p.l. RSA che sono assolutamente carenti.
Ma è essenziale, lo ripetiamo, che alla previsione dei p.l. si aggiunga anche quella delle strutture nelle quali questi stessi vengono realizzati. Brucia troppo la situazione che si è creata in questi anni. Situazione ampiamente descritta precedentemente. Per questo chiediamo un Atto regionale nel quale si identifichi tipo di struttura, funzione, standard assistenziali e localizzazione.

Diverso ed anche complesso è il discorso riguardante i cosiddetti NAR previsti dal PSR. Complesso perchè di fatto, a nostro avviso, diventa impossibile poter distinguere l'utenza del NAR da quella della RSA. O meglio, difficilmente, un utente non autosufficiente destinato ai NAR che oggi vive all'interno delle Case di Riposo non avrebbe i requisti per essere ospitato in una RSA. Un malato che avrebbe diritto di ricevere lo stesso trattamento (strutturale, di personale, di spesa alberghiera) di un ricoverato in RSA.
Per questo la differenziazione tra NAR (la Casa Protetta) e RSA rimane, dal nostro punto di vista, poco praticabile.
La rete di strutture che accoglie il "non autosufficiente" dovrebbe essere composta dalle RSA, chi vuole accoglierlo o continuare a farlo deve "convenzionarsi-accreditarsi" con il SSN.

Non dobbiamo però dimenticare la condizione di tutti quei malati non autosufficienti (e sono tanti) che non stanno né all'interno delle RSA né delle Case protette; sono ospiti di strutture assistenziali che non hanno alcun titolo per accoglierli; con standard di personale che nessuno conosce e con quota alberghiera che non ha bisogno di essere calcolata perchè è tutta a carico dell'utente.

Avviandoci alla conclusione, prima di dedicare alcune riflessioni alle RSA disabili, vogliamo integrare le nostre precedenti domande e proposte, con queste ultime richieste:

1) la definizione della conduzione medica della struttura (dotazione oraria e "tipo" di medico), che secondo noi, dovrebbe essere affidata preferibilmente ad un geriatra.

2) definire un tetto alla quota alberghiera a carico dell'utente (così come hanno fatto Liguria e Lazio), che non va mai dimenticato rimane un malato, spesso molto grave; così da avere quote non superiori alle 50.000 al giorno. Quota alberghiera, accettabile però alla condizione, che gli assistiti non debbano ricorrere, come spessissimo accade, alla assistenza privata a causa della scarsità di personale delle strutture.

3) Abrogare la distinzione tra accesso dall'ospedale e dal domicilio; con lo scatto della quota alberghiera anche dal 61º giorno a patto che la RSA, chiaramente non gestisca la post-acuzie.


Le RSA disabili
Un discorso del tutto diverso per le problematiche che pone è quello relativo alle RSA disabili. Sappiamo che a livello nazionale il dibattito su queste strutture è molto acceso soprattutto per la concreta possibilità che sotto il nome di RSA si possano ricrearsi o mantenersi piccoli istituti.
La nostra proposta è che le RSA disabili siano concepite come Comunità alloggio permettendo la possibilità di prevedere RSA composte da un solo nucleo di 10 persone mantenendo così il carattere della dimensione familiare. Questo potrebbe aiutare a sostenere la creazione di una rete di piccole residenze la cui titolarità potrebbe rimanere del settore socio-assistenziale.



Comunicato stampa
L'immobilismo della Regione Marche sulle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA)
(inizio pagina)


Il Coordinamento Volontariato della Vallesina intende denunciare nuovamente il perdurante immobilismo della Regione Marche che continua a dimostrare il massimo disinteresse (condiviso dall'intero Consiglio regionale) riguardo la situazione delle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) con conseguenti gravi ripercussioni sugli utenti delle stesse (anziani ammalati non autosufficienti non curabili a domicilio).
Il quadro normativo è sostanzialmente fermo ad una delibera del 1992 (che doveva essere aggiornata entro 6 mesi), successiva alla disattivazione della funzione ospedaliera di 15 presidi; le indicazioni del recente Piano Regionale Sanitario, se possibile, hanno accresciuto ancor più la confusione con l'introduzione di nuove tipologie di residenze extraospedaliere (RST, RSR intensive e estensive) senza per ognuna definire: localizzazione, posti letto, standard assistenziali.
Si è così in presenza di un sostanziale "fai da te" da parte delle Aziende sanitarie della Regione Marche - avallato dal silenzio dell'assessorato regionale alla sanità - guidato esclusivamente da obiettivi di contenimento della spesa.
In particolare, le pochissime RSA esistenti (gravissimo è il ritardo nella loro realizzazione) nel territorio regionale continuano, pur non avendo alcun titolo, a gestire la post-acuzie (pur mantenendo le regole delle RSA, come ad esempio riguardo il pagamento della quota alberghiera) venendo meno alla loro funzione di risposta residenziale a soggetti non autosufficienti stabilizzati, non curabili a domicilio.
Più volte, senza alcun risultato, questo Coordinamento ha chiesto alla Regione di emanare un Atto sulle RSA nel quale:
venga definita tipologia dell'utenza, numero, localizzazione, posti letto, standard assistenziali, organizzazione dell'assistenza;
venga comunicata l'impossibilità che le AUSL autonomamente cambino la destinazione d'uso delle strutture (sia in modo formale che subdolo).
In questa situazione a patirne le più gravi conseguenze sono, come sempre, i soggetti più deboli: persone malate e non autosufficienti non assistibili a domicilio che nella totale assenza di strutture adeguate devono ricorrere al ricovero presso strutture assistenziali (case di riposo) nonostante che le stesse non abbiano alcuna legittimità per accoglierli.

Ancora pochi mesi rimangono a disposizione alla Regione marche per dimostrare che non di totale disinteresse si è trattato.

Coordinamento Volontariato Vallesina

Jesi 19.10.1999