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Politiche socio sanitarie: scadenze e richieste per la nuova amministrazione regionale*
Fabio Ragaini, Gruppo Solidarietà
(indice Voce sul sociale)

La nuova amministrazione regionale si trova con un'agenda fitta di scadenze e di impegni; i punti di seguito indicati hanno come riferimento soprattutto gli assessorati alla sanità e ai servizi sociali, ma è opportuno ricordare che spesso, in particolare l'assistenza sociale deve intervenire per supplire alle mancanze e carenze di altri settori (politiche riguardanti la casa, i trasporti, il lavoro, ecc,) che non tengono in sufficiente conto delle esigenze delle persone in situazione di svantaggio e difficoltà.
Le righe che seguono nascono da una prospettiva e da una parte: quella di un volontariato che cerca di essere attento alle esigenze, ai bisogni ma anche ai diritti delle persone in difficoltà con le quali si trova ad operare. Affrontiamo, quindi, alcuni aspetti che riguardano persone in particolare situazione di debolezza e fragilità.


In ambito sanitario
Nella nostra regione come nell'intero territorio nazionale il problema della risposta a situazioni di malattie croniche che determinano non autosufficienza ha necessità di essere affrontato con estrema urgenza, anche per evitare che da un lato indicazioni ministeriali (ad esempio, Piano sanitario nazionale 1998-2000, o anche il documento del Consiglio superiore di sanità "Questioni etiche nell'assistenza alle persone affette da patologie croniche") spingano verso un sempre maggiore impegno verso questi problemi e dall'altro nel quotidiano si sperimenti un sostanziale razionamento occulto delle prestazioni.
Come giustamente afferma il citato documento del Consiglio superiore di sanità "deve modificarsi il privilegio dell'acuto che ancora caratterizza largamente sia la mentalità medica che la mentalità della popolazione"; ciò significa che è necessario investire sempre più volontà e risorse nella prospettiva di quella continuità assistenziale tra ospedale e territorio molto declamata ma, forse, poco praticata. Troppo spesso assistiamo a situazioni di soggetti con gravi malattie non curabili a domicilio (soggetti inguaribili ma non per questo non curabili) "scaricati" (vedi ad esempio la situazione dei malati di Alzheimer) dal settore sanitario a quello dell'assistenza sociale; non si è più in presenza di malati da curare ma di cittadini da assistere. Recentemente il Cardinale di Milano Carlo Maria Martini intervenendo su questi temi così si esprimeva "Spero e mi auguro che nel dibattito in corso sul tema dell'eutanasia (attiva e passiva) si faccia il possibile affinché nel frattempo le persone non più in grado di esprimere la loro voce non subiscano nei fatti un'eutanasia da abbandono da parte di chi, in nome della razionalità delle risorse, vorrebbe negare le prestazioni sanitarie cui hanno diritto come tutti i malati , secondo quanto è previsto dalle leggi sanitarie del nostro paese".

Due sono gli aspetti che si vogliono sottolineare e riguardano: il sistema delle cure domiciliari e quello della residenzialità extraospedaliera. Nel primo caso occorre riflettere su due aspetti:
- sulle effettive prestazioni erogate in regime ADI (il dato di oltre 13.000 (4,5%) cittadini ultrasessantacinquenni assistiti in ADI nel 1998 suscita qualche perplessità). Ad es. in quante AUSL è attivo un servizio di cure domiciliari che somma interventi di assistenza infermieristica, riabilitativa, specialistica?
- sull'utilizzo del pur cospicuo fondo regionale a disposizione delle AUSL; in particolare su quella parte del fondo che le Aziende sanitarie utilizzano per il pagamento di alcune figure sanitarie all'interno di strutture assistenziali. Si crea infatti una situazione almeno paradossale da un lato ci si pone l'obiettivo di ridurre l'ospedalizzazione ed il ricorso alle strutture residenziali, dall'altro, parte di questi stessi fondi (quanti complessivamente?) vengono utilizzati per assistere persone all'interno delle strutture. In realtà tutto questo ha evidenti ripercussioni positive dal punto di vista del contenimento della spesa da parte delle Aziende sanitarie (ma non certo della qualità della vita delle persone); infatti la stragrande maggioranza dei ricoverati nelle Case di riposo sono soggetti adulti e anziani non autosufficienti che in maniera impropria vengono ricoverati presso strutture assistenziali deputate ad accogliere anziani autosufficienti e parzialmente non autosufficienti (l. 43/88, art. 41, comma 1, let. e); soggetti che dovrebbero afferire o presso le Residenza sanitarie assistenziale (RSA), o (con qualche ambiguità) presso i cosiddetti nuclei di assistenza residenziale (NAR) - o residenze protette all'interno delle case di riposo.
L'altro aspetto è quello della residenzialità extraospedaliera (strettamente connesso con la realizzazione dei posti letto per riabilitazione e lungodegenza previsto in 1 per mille abitanti, fortemente carenti nella nostra regione) in particolare la rete delle Residenze sanitarie assistenziali (RSA) che sconta un gravissimo ritardo e una scarsissima attenzione da parte della precedente giunta regionale e soprattutto dell'ex assessore Mascioni. Tali strutture sono nate per rispondere alle esigenze di cura di malati non autosufficienti stabilizzati e non curabili a domicilio; cioè per quelle persone che oggi impropriamente vengono ricoverate presso strutture assistenziali. Invece quelle poche RSA presenti, nonostante la normativa vigenti lo vieti, vengono utilizzate soprattutto per la gestione di pazienti in post acuzie che dovrebbero (avrebbero diritto) invece accedere presso altri tipi di strutture (vedi ad es. posti letto di riabilitazione e lungodegenza).
Il quadro normativo regionale, è sostanzialmente fermo al 1992; le indicazioni del Piano sanitario regionale, che individua altre tipologie di residenze necessita di ulteriori atti, in assenza dei quali perdura una situazione di ambiguità a tutto danno dei soggetti che hanno meno capacità di far sentire la loro voce. In particolare è necessario che venga chiarita per ogni tipo di struttura: localizzazione, posti letto, standard assistenziali; ma soprattutto deve essere vietato alle AUSL subdoli cambi di destinazioni d'uso delle stesse strutture - finalizzati a contenimento dei costi - come sta avvenendo per la gran parte delle strutture ospedaliere disattivate e riconvertite in RSA nel 1992.


In quello socio assistenziale
Il Piano socio assistenziale, approvato nell'ultima riunione del precedente Consiglio regionale, deve passare ora alla fase più difficile: quella della costruzione - applicazione; in particolare entro la fine di settembre la Giunta e il Consiglio dovranno emanare due atti di particolare importanza:
- la definizione dei livelli minimi di servizi, prestazioni e attività per ogni ambito territoriale;
- linee guida nei diversi campi dell'integrazione socio sanitaria con l'individuazione dei livelli minimi da attuare in ogni ambito territoriale.
Il sistema dei servizi sociali, caratterizzato dalla massima discrezionalità nella erogazione dei servizi, ancora in assenza di una legge quadro nazionale, sconta nella nostra regione un grande ritardo, con situazioni diversissime tra i vari territori; la costituzione degli Ambiti territoriali pone le condizioni per la creazione di una rete di servizi capaci di rispondere alle esigenze dei soggetti in maggiore difficoltà in tutto il territorio regionale.
Ora è necessario individuare le risposte da realizzare in ogni ambito. Qui si gioca il Piano; e c'è da augurarsi che i tempi di approvazione degli atti sopra citati non abbiano a slittare (così come la costituzione degli ambiti territoriali); questi servizi sappiamo riguardare alcune particolari fasce di cittadini (minori privi in tutto o in parte di sostegno familiare, persone handicappate con gravi handicap fisici intellettivi e con conseguente riduzione dell'autonomia, persone con redditi insufficienti per vivere, anziani con limitazione dell'autonomia, soggetti senza fissa dimora, ecc..) che hanno necessità di veder garantiti alcuni servizi indipendentemente dal territorio regionale in cui vivono.

Una parola infine sul ruolo del volontariato. Un volontariato che deve essere stimolato a non chiedere per se ma per le persone che da sole non possono farlo; un volontariato che sappia leggere il territorio a partire dalle esigenze dei più deboli e più indifesi e sappia, così, autorevolmente rappresentarle. Dunque un volontariato, soprattutto quello che non si accontenta di essere un semplice erogatore di servizi, da coinvolgere sempre di più anche nella fase programmatoria; da non concepire con una funzione puramente ornamentale, o come utile strumento ai fini del contenimento dei costi dei servizi.

In "Volontariato marche", luglio 2000
(inizio pagina)

Percorsi di istituzionalizzazione mascherata: come riconoscerli ed evitarli*
Malosco, 3-7 settembre

Fabio Ragaini, Gruppo Solidarietà
Le domande poste sono molte ed impegnative. I punti sui quali impostare la riflessione riguardano:
- Come evitare il ricorso alla residenzialità,
- Come fare in modo che queste abbiamo come riferimento le esigenze degli utenti (modello familiare, apertura al territorio, ecc..) e non siano luoghi di emarginazione e segregazione.
Su entrambi gli aspetti molto si è scritto; sottolineo per il primo ambito la necessità oltre che di interventi domiciliari di assistenza sanitaria e sociale anche di attente politiche abitative e di interventi di sostegno economico.

Restringo questa nota ad alcuni aspetti che hanno come riferimento la situazione della regione Marche che credo possa aiutare nella riflessione secondo quanto indicato nella nota preliminare inviata.

- Per quanto riguarda gli interventi domiciliari di tipo sociale (SAD), rivolti agli anziani, è da segnalare una situazione, legata alla esiguità dei fondi stanziati rispetto alle esigenze, nella quale anche con limiti di reddito molto bassi si hanno elevate compartecipazioni alle spese determinando una scarsa fruibilità degli interventi; in particolare per ciò che attiene all'importante servizio di "igiene alla persona" ricompreso tra gli interventi in ADI (di competenza sanitaria nel caso di stati patologici o prepatologici a rioschio; di competenza socio assistenziale quando non siano ricompresi negli ambiti sopra descritti - del. reg. 105/1996) si determina la seguente situazione: le ASL in generale tendono a non erogare tale tipo di intervento; gli enti locali lo erogano con carattere selettivo (vedi reddito) per cui moltissimi utenti non usufruiscono di tale intervento. Più in generale, sempre nella nostra regione, c'è da segnalare che gran parte del Fondo regionale (oltre 40 miliardi) destinato alle Aziende sanitarie per i servizi ADI viene utilizzato all'interno delle strutture assistenziali. Si crea infatti una situazione almeno paradossale da un lato ci si pone l'obiettivo di ridurre l'ospedalizzazione ed il ricorso alle strutture residenziali, dall'altro, parte di questi stessi fondi vengono utilizzati per assistere persone all'interno delle strutture nelle quali sono ricoverati. In realtà tutto questo ha evidenti ripercussioni positive dal punto di vista del contenimento della spesa da parte delle Aziende sanitarie (ma non certo della qualità della vita delle persone); infatti la stragrande maggioranza dei ricoverati nelle Case di riposo sono soggetti adulti e anziani non autosufficienti che in maniera impropria vengono ricoverati presso strutture assistenziali deputate ad accogliere anziani autosufficienti e parzialmente non autosufficienti (l.r. 43/88, art. 41, comma 1, let. e); soggetti che dovrebbero afferire o presso le Residenza sanitarie assistenziale (RSA), o (con qualche ambiguità) presso i cosiddetti Nuclei di assistenza residenziale (NAR) - o residenze protette all'interno delle case di riposo.

- La quasi totalità del sistema residenziale rivolto a persone handicappate è costituito dagli ex istituti articolo 26/833 (circa 650) con dimensionamenti e impostazioni molto diverse. Con il nuovo Piano sanitario regionale le strutture, con degenze prolungate o permanenti, sono state riclassificate in RSA disabili e in Residenze Sanitarie Riabilitative estensive (RSR est.). Tali strutture appartengono al settore sanitario ed anche per le RSA disabili (a differenza di quelle rivolte agli anziani) non è prevista la "quota alberghiera" con la partecipazione al costo a carico dell'utente. Il motivo è individuabile nel fatto che la stragrande maggioranza degli utenti sono ricoverati gratuitamente in queste strutture da molti anni.
Ma ciò che in particolare si intende evidenziare è la situazione che si viene a creare nel caso in cui la stessa persona sia a casa e quando richieda un'accoglienza presso una struttura residenziale.
Infatti sia gli interventi domiciliari (sia di tipo educativo che di supporto domestico) che quelli diurni come i Centri socio educativi (eccetto qualche eccezione a Pesaro ed Ancona) sono a completo carico dei Comuni in quanto rientranti tra gli interventi di natura assistenziale (finanziati da una legge regionale di settore).
Quindi la stessa persona a seconda del tipo di intervento (domiciliare o residenziale) cui fruisce si trova ad avere come riferimento enti diversi. Per quanto riguarda i Comuni questo sistema non li stimola certamente a potenziare i servizi alternativi al ricovero ed anzi quest'ultimo può essere vissuto come occasione di risparmio. Contemporaneamente, da sempre, la maggior parte delle AUSL ritiene di non avere alcuna competenza rispetto agli interventi in regime domiciliare e diurno (forse perché ritiene impropriamente di avere oneri in regime residenziale) sostenendo la totale titolarità socio assistenziale nell'intervento. Il Piano socio assistenziale recentemente approvato su questi aspetti non è intervenuto rimandando ad ulteriori successivi Atti (cap. sulla "Rete dei servizi essenziali" e sull'"integrazione socio sanitaria"). Una situazione che determina una situazione di permanente controversia.

- Riguardo invece la risposta residenziale rivolta a persone anziane, il quadro marchigiano così si presenta. La legge regionale di riordino degli interventi di assistenza sociale (43/88), prevede due tipi di strutture: Le case di riposo "destinate agli anziani ancora autosufficienti" e le case protette "destinate alle persone non ancora autosufficienti a causa di elevate limitazioni fisiche o psichiche"; nei fatti sono assenti le RSA in quanto le poche presenti, derivanti dalla disattivazione della funzione ospedaliera di alcuni presidi, nonostante la legge preveda che queste strutture siano destinate a soggetti "stabilizzati", continuano a funzionare nella gestione del paziente sub-acuto in dimissione dall'ospedale (per un maggior dettaglio sulla situazione delle RSA nelle Marche, vedi "Appunti" 4/99, p. 16).
Mengani (1998) stima che nelle 105 case di riposo presenti nel territorio regionale per oltre 4.500 posti sia presente all'interno delle strutture una percentuale di ospiti non autosufficienti (comprese persone con malattia mentale) stimabile intorno al 70%. Nate e sviluppate per accogliere persone autosufficienti (in queste strutture a differenza delle residenze protette non è prevista la cosiddetta quota sanitaria a carico della ASL e dunque il costo retta grava totalmente sugli utenti) il loro funzionamento a livello generale avviene in una situazione non legittimità (con l'accoglienza di un'utenza impropia) e totale e assoluta indefinizione (condizioni strutturali, tipo di personale, standard, ecc…).
A questo proposito è illuminante la premessa ad una delibera regionale (272/1995) riguardante i criteri per il rilascio dell'autorizzazione provvisoria all'apertura e al funzionamento di strutture residenziali e semiresidenziali. Si afferma: "Constatato che nel settore delle strutture destinate all'assistenza agli anziani (..) la legislazione nazionale e regionale in atto non permette una emanazione di norme che da un lato, garantiscano la legittimità delle stesse e, dall'altro, rispecchino la realtà marchigiana; che il contrasto è particolarmente evidente per le case di riposo che secondo l'art. 41, della l.r. 43/88 sono strutture destinate agli anziani autosufficienti, ma nelle quali, per la mggior parte, vengono ospitati anziani la cui autosufficienza è estremamente ridotta, quand'anche non sia del tutto mancante; che l'aver interconnesso il provvedimento di autorizzazione con l'emanazione degli indirizzi e d'altro canto l'essere costretti ad emanare indirizzi che, o sono illegittimi, o non rispondono alla realtà marchigiana, ha creato una situazione di stallo in cui alla regione pervengono richieste di autorizzazione all'apertura e al funzionamento (..) la regione non autorizza per mancanza di indirizzi, gli indirizzi non vengono emanati per non incorrere nella duplice alternativa o di essere illegittimi o di non rispondere alla realtà; che, come conseguenza inevitabile, è che gli enti sia essi pubblici o privati operano senza autorizzazione (..) gli organi di vigilanza e controllo non possono fare riferimento ad alcun atto amministrativo (..) gli operatori rimangono nell'incertezza se siano o non autorizzati (..)"
E' allora, nelle condizioni sopra descritte, facile capire quale tematizzazione possa trovare in queste strutture gli aspetti tratteggiati nella nota preliminare al seminario.

Mi pare, infine, importante evidenziare alcuni aspetti:
- ragioni economiche tendono a determinare una situazione di "conflittualità" tra esigenze degli utenti (piccolo dimensionamento, adeguati standard assistenziali) e contenimento dei costi (vedi la situazione riguardante nell'intero territorio nazionale le strutture riconducibili alle RSA per anziani e disabili);
- nonostante affermazioni di principio, che spesso servono soltanto a tacitarsi la coscienza, ieri come oggi risolve molti problemi il ricorso alla struttura residenziale (spesso il tema da parte delle istituzioni viene affrontato solo in sede di bilancio quando si "scopre" l'entità economica della spesa) di qualunque tipo (l'importante è "collocare"); contemporaneamente situazioni a rischio permanente di risposta residenziale (ad es. persone handicappate in situazione di gravità con nucleo familiare in forte "sofferenza") non ricevono la preventiva attenzione necessaria; con, a fatto accaduto, improvvise ed improvvisate ricerche di servizi residenziali;
- il mantenimento a domicilio di situazioni molto complesse, ma non solo, richiede coordinamento, integrazione, programmazione degli interventi che con estrema fatica riescono ad essere tematizzabili. Ciò richiama altri aspetti che qui si possono solo richiamare: cultura degli operatori e dei servizi, assetti istituzionali, coinvolgimento della comunità locale;
- la partecipazione degli utenti o dei loro familiari all'interno delle strutture se comincia a trovare spazio nei regolamenti interni (quando ci sono); trova scarsa pratica nel quotidiano. Molti regolamenti, in particolare della case di riposo, presentano un'elencazione dei doveri degli utenti. Per aspetti "controversi" si rimanda sempre alle esigenze della struttura (vedi ad es. il cambio di camera delle persone che non sono in difendersi); a fronte di un bisogno non comprimibile (necessità di accoglienza) permane un sentimento di paura e di difficoltà nell'esprimere le proprie esigenze che è strettamente connesso alla poca coscienza dei propri diritti.


* Documento predisposto per un seminario della "Fondazione Zancan".