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Riforma legge volontariato. Il contributo della Caritas italiana
Volontariato: questioni e problemi da affrontare e risolvere
Sac. Vittorio Nozza, direttore Caritas Italiana

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L'andamento e l'esito della Conferenza di Arezzo hanno in gran parte lasciato le questioni principali relative al volontariato allo stadio di problemi da risolvere. Infatti:

Si è annunciata come necessaria una modifica legislativa avendo cura tuttavia di sottolineare che essa non tocca i punti vitali della disciplina vigente imperniata come è noto sul criterio/vincolo della gratuità come requisito fondante dell'esperienza volontaria e della qualificazione delle organizzazioni di volontariato. Sicché, delle due l'una:
le modifiche sono irrilevanti e dunque non valeva la pena di discuterne,
oppure hanno un rilievo non dichiarato e allora è indispensabile un chiarimento.

Una novità significativa sarebbe, al momento, la creazione di un nuovo registro nel quale entrerebbero le organizzazioni nazionali di volontariato. La figura nazionale delle organizzazioni di volontariato è inedita. Ci si immagina che sia stata costruita per rispondere ad una esigenza di certezza della rappresentanza e, come si è detto, per basare su dati sicuri il meccanismo delle erogazioni finanziarie. E' di sicuro anche un modo per dare dignità e sostegno al volontariato a livello nazionale, anche se è evidente che le associazioni nazionali non sono tutto il volontariato e molte realtà di volontariato non si sono neppure registrate ai livelli periferici fin qui previsti.

E' da chiarire inoltre - ed è il punto più delicato - da quali fonti sarebbero reperite le risorse da ripartire: grave sarebbe che esse fossero sottratte ai Centri di servizio, dei quali, pur senza ingiuste generalizzazioni, è giusto riconoscere il non ottimale funzionamento ma che dovrebbero essere, semmai, riorientati nella loro funzione di supporto formativo piuttosto che essere ridotti a centri di raccolta di fondi delle fondazioni bancarie da distribuire su progetti non sempre attendibili. La materia comunque resta aperta ed insoluta.

E' giusto inserire qui una riflessione sul problema della formazione, anch'esso trascurato ad Arezzo. Molte indagini e studi, tra i quali quello ultimamente prodotto dalla Fivol, stanno ad indicare una trasformazione profonda del fenomeno del volontariato. Tali indagini hanno il limite, che peraltro dichiarano, di considerare soltanto quella parte del volontariato che ha per così dire ufficializzato se stessa mediante la registrazione; e dunque di non considerare la parte spontanea e refrattaria alla istituzionalizzazione, che tuttavia si mantiene rilevante. Altre indagini viceversa tendono ad enfatizzare il fenomeno del volontariato classificando a fini statistici anche le singole buone azioni che ogni persona compie, con esiti di gonfiamento che disorientano e fuorviano. A tali strumenti di osservazione vanno aggiunti quelli empiricamente attivati da chi opera sul campo ed è in grado di riportare non solo cifre e diagrammi ma anche elementi sull'intensità dei flussi di energia solidale presenti o in calo alla base. Dall'insieme dei dati disponibili si può convenire su uno scenario di:
relativo invecchiamento degli impegnati nell'azione volontaria,
relativa specializzazione del volontariato anche in ragione dell'assunzione di compiti per conto di…,
relativa dipendenza dal pubblico per effetto del sistema delle convenzioni, con un saldo finale di perdita di autonomia e di spontaneità, quando non di scostamento dal canone fondamentale della gratuità.
Altrimenti credibili sono invece le rilevazioni empiriche di organismi particolarmente accreditati, come la Caritas, quando segnalano un certo invecchiamento degli impegnati, sintomo certo di carenza di ricambi.

Se tale è il quadro, c'è da chiedersi se esso dipenda da una caduta di tensione solidale o da altri fattori che incidono sulla vita delle persone ed in specie dei giovani. Poiché la massima flessione dell'impegno volontario avviene nella classe di età tra i 25 e i 34 anni, può essere utile verificare se vi sia qualche connessione tra tale circostanza ed il fatto una quota notevole dei nuovi ingressi nel mercato del lavoro è costituita, in Italia, dai così detti atipici o flessibili. Senza stabilire un legame strutturale tra la propensione al volontariato e l'esistenza di un elevato e stabile livello di occupazione (vi sono molti disoccupati impegnati nell'azione volontaria vissuta non sempre e non necessariamente come ingresso di servizio nel mondo del lavoro) si deve tuttavia convenire sul fatto che una minore organizzabilità soggettiva dei tempi di lavoro e di vita incide anche sulla disponibilità a dare ore ed opera gratuiti per impegni di solidarietà. Per ridurre l'alea che circonda il proprio impiego necessita una concentrazione che oggettivamente sottrae tempo, volontà ed energie ad ogni altra dimensione della vita, famiglia compresa. Ne è riprova l'innalzarsi dell'età di chi presta lavoro di cura dentro e fuori dell'ambito familiare.

Va inoltre considerato che gli incentivi culturali del tempo presente sono in larga misura volti ad attivare le voglie di consumo, di tempo libero, di costruzione in proprio del proprio futuro che trovano poi il proprio focus d'impegno nel guadagno immediato, nel fare soldi a mezzo soldi. E' da cercarsi anche qui una delle spiegazioni dell'affievolirsi, in genere, della passione sociale, e in senso lato politica, di cui anche il volontariato è espressione conseguente. La stessa ricaduta culturale del sistema economico rende difficile vivere la solidarietà intesa come costruzione del bene comune, di rapporti equi sul piano socio-economico, di partecipazione civile e democratica. Trionfa la beneficenza a distanza dei Telethon e delle Missioni Arcobaleno, che muove soldi e buoni sentimenti, ma non cambia i comportamenti individuali e collettivi. E nel contempo, specie dopo l'11 settembre 2001, cresce sul piano delle ansie collettive il tema della sicurezza che rischia di divenire il killer delle politiche sociali perché una mobilitazione avviene non per … ma contro qualcuno o qualcosa.

E' rispetto a questi rilievi che va esplorato il campo della formazione all'azione volontaria e del ruolo svolto al riguardo dalle grandi centrali di educazione e di orientamento. E' fondata la sensazione che, venuti meno i temi delle storiche contrapposizioni di sistema, sia subentrato un atteggiamento o di indifferenza o di fatalismo o di impropria neutralità, comunque di inadeguatezza rispetto alle tendenze prevalenti circa i valori in gioco. Né pare desiderabile una ripresa di iniziativa se la motivazione sia solo quella di schierarsi in uno "scontro di civiltà" dato per ineluttabile, mentre si coltivano guerre e conflitti in ogni ambito. Nelle grandi aggregazioni laiche di ispirazione cristiana pare altresì indebolita l'attitudine a produrre analisi pertinenti per un discernimento orientato dai valori. Spesso ciò avviene in concomitanza con il coinvolgimento nelle dimensioni gestionali del terzo settore.

La provocazione della Parola, incessantemente riproposta dal magistero della Chiesa universale, troppo spesso risuona nell'aria rarefatta di una spiritualità distaccata dal mondo e dunque senza che ne seguano forti interpellanze operative. Diventa così meno pregnante la presenza nella comunità cristiana dei laici in quanto portatori di istanze e di esperienze nella costruzione della città dell'uomo: le risorse dell'inventiva, dell'autonomia nelle azioni temporali, del rischio sulle scelte opinabili, in una parola della testimonianza nella libertà dei figli di Dio, restano materia di ammirazione più nella recensione del passato che nelle testimonianze del presente. Un intero decennio pastorale dedicato al nesso tra evangelizzazione e testimonianza della carità non è bastato a uscire dalla contraddizione, né pare plausibile che a ciò conducano le elaborazioni del progetto culturale. Tutto comunque porta a concludere che la rimozione o l'attenuazione dei fattori frenanti del volontariato, in tutti gli ambiti in cui si manifestano, dalle strutture alle culture alle chiese al linguaggio, è decisiva per un rilancio di presenza e di identità dell'azione volontaria e, soprattutto, per la sua qualificazione autonoma dovunque essa si esplichi.

Sul tema della gratuità non hanno trovato risonanza le preoccupazioni circa la "deriva economicistica" (Ardigò) intervenuta nella realtà italiana del volontariato sotto l'influsso di modelli culturali non vagliati criticamente ed anche per effetto dell'indebolirsi delle spinte motivazionali di natura sociale e religiosa. Né risultano messe a fuoco le conseguenze di un indirizzo legislativo, come quello che ha portato all'istituzione del servizio civile volontario, nel quale il termine volontario non è più sinonimo di gratuito ma indica la titolarità di una prestazione, pur rilevante sotto il profilo della scelta personale (e in questo senso volontaria), che dà diritto ad un corrispettivo economico. Il tema della gratuità del volontariato non è stato comunque affrontato con la decisione necessaria; e ciò anche per le ambiguità di alcune organizzazioni che praticano i rimborsi a forfait ed anche per una difficoltà soggettiva rappresentata dall'intreccio, anche questo irrisolto, tra volontariato e terzo settore.

L'equivoco costituito dalla sovrapposizione del terzo settore al volontariato, che viene abitualmente presentato come parte del terzo settore stesso, non è stato dissipato ad Arezzo e mantiene il suo peso nella situazione presente. Al chiarimento non sono servite le nuove leggi di valorizzazione dei soggetti sociali, come quella sull'associazionismo e quella (annunciata) sull'impresa sociale, che avrebbero potuto favorire la necessaria distinzione dei ruoli e della natura di tali espressioni rispetto al volontariato. Permane in sostanza il quadro che si è andato costruendo dopo la legge del 1991 sotto la quale si sono, per ragioni di convenienza ed in mancanza di altri ombrelli, riparate molte entità del pluralismo sociale, poi convenzionalmente raggruppate sotto la sigla Onlus.

L'esigenza delle distinzione non è astratta. Essa ha una precisa attinenza con la pratica della concertazione sociale, in atto nei diversi punti del sistema di welfare. Le leggi chiaramente stabiliscono che le organizzazioni di volontariato, come tali, abbiano, alla pari con altri soggetti, il diritto-dovere di partecipare ai tavoli di programmazione e di traduzione delle scelte. Di fatto però si conviene che la rappresentanza del volontariato sia, per così dire, ricapitolata all'interno di quelle entità di coordinamento che vanno sotto il nome di forum. Se da un lato è questo un modo per semplificare e conferire anche più autorevolezza alle realtà di volontariato, dall'altro la molteplicità di istanze e di valori che il volontariato esprime, rischia un'eccessiva compressione: questo credo che rappresenti un tema significativo da affrontare, senza esagerazioni ed ideologismi, proprio nella prospettiva di una ridefinizione delle specificità e di una nuova comune assunzione di responsabilità.

L'azione volontaria, quando è autentica, non ha bisogno, di per sé, di luoghi calibrati per esercitarsi. I volontari operano in quelle strutture statali per antonomasia che sono le carceri ma prestano pure servizio nelle cliniche private. Al contrario dell'economia sociale, il volontariato non esprime una differenza, ma una spinta originaria verso un fine di liberazione umana in nome della solidarietà. Il volontariato, se vuole e se si mette in condizione di farlo, è in grado di stabilire, in base a proprie valutazioni autonome, se quando e come condividere le finalità, gli strumenti, i metodi e il sistema dei rapporti di una data esperienza di economia sociale o di coinvolgimento nei sistemi pubblici. Ed ha pure l'obbligo, se non ravvisa in essa i requisiti di compatibilità, di non parteciparvi e/o di recederne.

Un cenno particolare va fatto sul così detto volontariato di advocacy, un termine che in italiano suona come patrocinio, tutela e sinonimi consimili. Non va dimenticato che figure e momenti di advocacy sono già largamente presenti nelle forme in cui la società civile si organizza. Si pensi ai patronati, agli stessi sindacati, i quali non operano soltanto con i funzionari stipendiati ma anche con soggetti volontari come i militanti e gli addetti sociali. Non dissimile è la presenza delle strutture di tutela dei consumatori. In genere una funzione di difensore civico informale pare essere ricompresa in un ambito di promozione sociale senza aver bisogno di ulteriori specificazioni. Insistendo sulle quali si corre il rischio di impartire nuovi … battesimi a creature già in vita, senza aggiungere gran che alla quantità ed alla qualità della partecipazione sociale.

Occorre insistere sul valore dell'autodeterminazione. Non è una pretesa di sindacato sulla legittimità o sulla qualità di iniziative che manterrebbero tuttavia un valore oggettivo ed un'utilità sociale anche senza la partecipazione del volontariato. Non dunque una delimitazione del campo altrui, ma un'autolimitazione del campo proprio in base a criteri che l'economia, anche quella sociale, non è tenuta ad osservare mentre sono obbliganti per il volontariato. Si tratta di un'assunzione di responsabilità soggettiva nel decidere se e come farsi coinvolgere nell'economico (quello dell'impresa non meno di quello delle convenzioni) nel presupposto che ciò eviterebbe i casi di strumentalizzazione o di copertura impropria, per cui accade che si parli di volontariato mentre si tratta di impresa sociale e viceversa. Si otterrebbe così, per via empirica ma in modo efficace, quella chiarificazione dei ruoli e dei compiti che da tempo si va cercando e che è difficile ottenere per via giuridica.

Il punto da mettere a fuoco è se il volontariato abbia la capacità e la volontà di esercitare una simile responsabilità di carattere strategico. In un quadro come quello delineato il volontariato assumerebbe infatti su di sé l'onere di fissare in modo unilaterale il rapporto con l'intera area economica, compresa quella che si fosse generata a seguito della trasformazione in imprese sociali di opere inizialmente frutto esclusivo dell'azione volontaria, come ad esempio le cooperative sociali o di servizi variamente integrate nel sistema di welfare. Ma fornirebbe anche all'opinione pubblica la certezza o l'altissima probabilità che determinate iniziative o strutture di servizio non sono esposte a rischi di deviazione speculativa, clientelare o peggio, se e quando in esse, dopo un vaglio accurato, sono presenti ed operano con i modi loro propri le espressioni autentiche dell'azione volontaria.

Di una simile attestazione si avvantaggerebbero, come è evidente, le stesse strutture dell'economia sociale. Le quali tuttavia non sarebbero dispensate dall'onere di definire - anche esse autonomamente ed unilateralmente - gli ambiti e i limiti etici della propria attività. Si delinea così un processo basato su distinte determinazioni unilaterali che tuttavia si influenzano reciprocamente.

Si tocca qui veramente un passaggio dirimente. L'ipotesi virtuosa su cui si fondano sia l'economia sociale che la sussidiarietà orizzontale nell'ambito del sistema dei servizi sociali, è che le iniziative dei vari soggetti preesistano, in termini di solidità operativa minima, alla fase del riconoscimento o autorizzazione o accreditamento, ossia dell'affidamento di una commessa di servizio compensata con denaro pubblico. L'ipotesi è rovesciata quando accade che un'iniziativa nasca allo scopo precipuo di conquistare un finanziamento, immaginando di impiegarlo come base di avviamento. La clausola dell'autonomia, che vale all'inizio del percorso e va mantenuta fino alla fine. Il riflusso verso un pubblico che non è meno insidioso di quello verso il privato profit è uno dei due rischi in campo: la capacità di evitarli è la condizione della sua ragion d'essere in chiave di bene comune.

In conclusione, le motivazioni radicali dell'azione volontaria, codificate nella legge del 1991, mantengono la loro validità pur in presenza di mutamenti strutturali e culturali e di modificazioni profonde nello stesso campo di pertinenza. Per quanto siano forti le sollecitazioni all'adeguamento, se non all'allineamento rispetto alle tendenze manifestatesi, ed anche rispetto alle prospettive di una globalizzazione che si vorrebbe diversamente animata e guidata non sembrano sussistere ragioni convincenti a sostegno di una dichiarazione di obsolescenza vuoi della legge-quadro vuoi del soggetto storico, il volontariato appunto, sul quale si esercitava. Che nel frattempo molta acqua sia passata sotto i ponti è innegabile. Ma la constatazione non basta a determinare né una condizione di morte presunta dell'impegno volontario né un sostanziale esaurimento della sua carica solidale. Pare dunque inutile esercitarsi nel rammarico e nel compianto. Semmai, si può ricordare, per quanto ovvio possa sembrare, che, dopotutto, il rilancio del volontariato non è e non può essere che un atto di volontà.