da www.tutori.it
- ripreso dalla rivista Prospettive assistenziali n.
144-2003
Alcune riflessioni sul volontariato dei diritti
Francesco Santanera
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Ad un amico che mi ha scritto: "Io che sono mille volte più
moderato di te, prendo botte fortissime e incazzature terribili (anche se poi
gli altri sono convinti di riceverne). Tu mi dici come continui a resistere?".
Gli ho risposto come segue.
Dici di essere mille volte più moderato di me. Ma io non credo di essere mai
stato eccessivo. Semplicemente, i diritti ci sono e sono esigibili o no ci sono.
Non sono possibili mediazioni sui diritti. Mi riferisco ai diritti fondamentali,
indispensabili affinché i singoli individui ed i nuclei familiari possano condurre
una vita accettabile, compatibile cioè con le loro condizioni personali e con
le risorse sociali disponibili.
Orbene, credo di non sbagliarmi dicendo che le organizzazioni, con cui ho lavorato,
non hanno mai inoltrato richieste inconciliabili con i principi di cui sopra.
Vedi: aiuti psico-sociali ai nuclei in difficoltà, adozione dei minori privi
di sostegno familiare, affidamenti a scopo educativo, inserimenti prescolastici
e scolastici dei soggetti con handicap, corsi prelavorativi per insufficienti
mentali lievi e medi, cure sanitarie per gli anziani malati cronici non autosufficienti,
ecc.
Posso aggiungere che quasi sempre le richieste avanzate erano assolutamente
ovvie: diritto dei bambini a crescere in una famiglia (a seconda delle situazioni,
in quella di origine o presso una famiglia adottiva o affidataria); diritto
all'istruzione di base di tutti i fanciulli, compresi i soggetti con handicap;
diritto alla formazione professionale delle persone inseribili nel lavoro, inclusi
i soggetti con handicap intellettivo; diritto di tutti i malati alle cure medico-infermieristiche,
compresi quelli colpiti da patologie invalidanti e da non autosufficienza, ecc.
Da notare che le iniziative di sostegno ai nuclei familiari di origine, l'adozione
e l'affido, sono state una importante azione di prevenzione del disagio (il
ricovero in istituto danneggia sempre - più meno gravemente - la personalità
dei fanciulli) e nello stesso tempo hanno consentito allo Stato di risparmiare
milioni e milioni di euro (i minori istituzionalizzati erano oltre 300 mila
nel 1960, ora - in parte anche per il calo delle nascite - sono circa 20 mila).
Continuo a resistere (da 41 anni lavoro a tempo pieno come volontario non pagato)
perché credo fortemente che ogni persona valga uno (sempre e solo uno) per quanto
riguarda i diritti fondamentali (sanità, casa, istruzione, trasporti, ecc.).
Ritengo, inoltre, che detti diritti debbano essere riconosciuti in modo concreto
sia agli altri che a me stesso (e non solo predicati, come fanno moltissimi).
In sintesi, credo che ognuno di noi dovrebbe operare contemporaneamente per
il rispetto delle esigenze altrui e di quelle proprie, sia presenti che future
(noi tutti possiamo diventare totalmente incapaci e dipendenti dagli altri in
tutto e per tutto).
Resisto anche perché sono convinto di dover sempre operare come volontario in
condizioni di assoluta inferiorità nei confronti di coloro che detengono il
potere, che negano le esigenze (e quindi i diritti) dei soggetti deboli.
Sono anche persuaso che non vi sono altre strade per la conquista dei diritti
dei più deboli: non ho mai conosciuto una sola persona che, salvo brevi periodi
di tempo seguiti da allontanamento o da dimissioni, abbia potuto realizzare
quanto sopra come sindaco o assessore. Con questo, non voglio dire che tutti
i sindaci, gli assessori e le altre autorità siano contrari al riconoscimento
dei diritti fondamentali anche nei riguardi di coloro che sono incapaci di autodifendersi.
Tuttavia, è evidente che l'obiettivo prioritario dei politici è quello di essere
scelti, nominati e rieletti. In ogni caso essi devono rispondere ai gruppi di
cittadini che li hanno votati. Purtroppo, nessuna maggioranza politica ha approvato,
di propria iniziativa, a livello parlamentare, regionale o locale leggi o delibere
rivolte all'effettivo riconoscimento di diritti esigibili alle persone incapaci
di autodifendersi. Quando qualcosa è stato ottenuto, ciò è avvenuto sempre e
solo a seguito di richieste delle forze sociali di base.
L'assenza di diritti nella legge 328/2000 sull'assistenza è la conferma di quanto
sopra, anche se continuano ad esserci esperti che cercano di far credere che
nelle disposizioni della legge suddetta ci siano diritti, mentre c'era e c'è
soltanto il vuoto giuridico.
Dunque, non mi sono fatto illusioni né circa la benevolenza dei più forti, né
in merito alle loro asserite difficoltà derivanti dalla mancanza di informazioni
adeguate. Non ho mai creduto e non credo alla dichiarata ma non comprovata impossibilità
di reperire le necessarie risorse economiche. Da secoli viene detto che i soldi
per i più deboli non ci sono: poi, quando le pressioni dal basso sono consistenti,
saltano fuori.
Quando sento ripetere da tutti gli assessori e dai funzionari, nonché spesso
anche dagli operatori, le suddette "giustificazioni" del loro disinteresse,
non mi arrabbio quasi mai (mai se rifletto) in quanto trovo puntuale conferma
della mia (scelta) condizione di assoluta inferiorità rispetto alle istituzioni.
La scelta degli amministratori (e dei gruppi di potere che li sostengono) è
sempre quella di mangiare tutta la torta lasciando solo le briciole ai più deboli,
briciole che aumentano o calano in relazione alle spinte esercitate a favore
di questi ultimi.
Finora non ho mai pensato di smettere, anche perché continuo a ritenere di assoluta
importanza che ai più deboli vengano riconosciuti i diritti fondamentali (sanità,
casa, istruzione, ecc.) che godono i più forti.
Invece, sono continuamente indignato (e mi arrabbio moltissimo, in certi casi
anche più volte al giorno) a causa delle decisioni delle autorità che, quasi
mai in buona fede, provocano condizioni negative (a volte anche nefaste) per
i più deboli, senza che le autorità stesse ed i gruppi di potere che le sostengono
ne traggano alcun vantaggio sul piano economico e sociale. Mi riferisco, ad
esempio, al mancato riconoscimento da parte della legge 328/2000 delle esigenze
e quindi dei diritti dei bambini trovati nei cassonetti di essere immediatamente
assistiti, per cui attualmente, con una certa frequenza, restano in ospedale
per giorni e, a volte, anche per mesi. In questo caso, non contano né la sofferenza
dei neonati, né le maggiori spese sostenute dal settore pubblico: interessa
ai più forti l'inesistenza di diritti esigibili soprattutto per evitare precedenti
"pericolosi". Nella legge 238/2000 questo diritto non è riconosciuto a nessuna
persona, nemmeno a quelle che, se non vengono assistite, muoiono. È anche il
caso dei soggetti con handicap, orfani, privi di autonomia e dei mezzi necessari
per vivere.
Continuo, inoltre, ad essere profondamente deluso per le resistenze assurde
che si incontrano da parte di coloro che - ad esempio i sindacati dei pensionati
- rifiutando di riconoscere le esigenze sanitarie degli anziani malati cronici
non autosufficienti, mettono in atto interventi diretti non solo a daneggiare
gli altri, ma loro stessi ed i loro congiunti.
Se è difficile avere a che fare con persone insensibili alle esigenze dei più
deboli, ma dotate di capacità di discernimento, è estremamente più faticoso
avere rapporti con coloro che lavorano contro gli altri e contro loro stessi.
Purtroppo, ci sono moltissimi volontari e altri soggetti impegnati nel sociale
che sono così abituati a leccare i piedi dei sindaci, degli assessori e delle
altre autorità che non sanno nemmeno più a chi fanno i servi. Insistono fino
a quando non hanno più la voglia di continuare a genuflettersi inutilmente.
A questo punto, dopo aver trattato come imbecilli coloro che operano per i diritti
dei più deboli, spariscono dalla circolazione sostenendo di aver abbandonato
il campo, perché non c'era niente da fare. Prima maestri di tutto e di
tutti, poi codardi in fuga.
Inoltre, mi arrabbio sovente a causa degli increduli. Non si riesce quasi mai
a far loro capire che le leggi ci sono, ma bisogna che agiscano perché le istituzioni
le attuino.
Sono talmente condizionati dalla cultura dominante (secondo cui non bisogna
mai inimicarsi le autorità perché non si sa mai quali possano essere le ritorsioni)
che continuano a svenarsi versando per l'assistenza dei loro congiunti contributi
economici non dovuti. Si agitano per il "Dopo di noi" quando i Comuni sono obbligati
dagli articoli. 154 e 155 del regio decreto 773/1931 (sono trascorsi più di
70 anni e non basta ancora!) ad assistere (purtroppo solo mediante ricovero
presso comunità alloggio o istituti tradizionali) le persone incapaci di provvedere
a loro stesse, ivi compresi - ovviamente - i soggetti con handicap con limitata
o nulla autonomia.
Certamente, per continuare a praticare il volontariato dei diritti, occorre
avere coscienza dei propri limiti e delle concrete possibilità di azione delle
organizzazioni di appartenenza e degli altri gruppi coinvolti.
Un aiuto non indifferente a continuare mi viene dai risultati degli interventi
fatti a difesa dei casi singoli come, ad esempio, l'opposizione alle dimissioni
da ospedali e da case di cura di anziani e adulti malati cronici non autosufficienti
nei casi in cui, come capita quasi sempre, non è assicurata la prosecuzione
delle indispensabili cure sanitarie; e il rispetto delle norme che non prevedono
il versamento di contributi economici da parte dei congiunti dei soggetti con
handicap grave e degli ultrasessantacinquenni non autosufficienti.
Il conseguimento di risultati positivi non solo ristabilisce un pezzo anche
se piccolissimo di giustizia, ma conferma anche la validità delle richieste
avanzate sul piano generale,
Le difficoltà che si riscontrano attualmente nella difesa delle esigenze e dei
diritti delle persone e dei nuclei familiari deboli derivano in gran parte anche
dal fatto che quasi tutte le organizzazioni di volontariato e dei centri di
ricerca operano in base alla cultura della beneficenza e del buon cuore.
Come ho segnalato nel libro "Volontariato - Trent'anni di esperienze" che ho
scritto con Anna Maria Gallo, molto sovente gli interventi del volontariato
consolatorio (che non infrequentemente agisce anche come leccapiedi delle autorità)
si oppongono di fatto al riconoscimento dei diritti.
Inoltre, il riferimento centrale della beneficenza è il benefattore e non la
persona debole. Viene sempre messo in rilievo ciò che fanno i filantropi e non
si parla mai, se non in termini generici, dei bisogni vitali insoddisfatti,
delle relative responsabilità delle autorità e della necessità di provvedimenti
che sanciscano diritti esigibili.
Ad esempio, nessun benefattore e nessun gruppo di volontariato consolatorio
ha mai segnalato all'opinione pubblica, tanto per fare un esempio, le violazioni
delle leggi vigenti da parte del Servizio sanitario nazionale nei confronti
degli anziani cronici non autosufficienti, dei malati di Alzheimer e dei soggetti
colpiti da altre forme di demenza senile. In questo modo, si sono resi e si
rendono complici, anche se non intenzionalmente, di coloro che violano i diritti
per quanto concerne sia la negazione delle cure dovute dal Servizio sanitario
nazionale sia in merito ai gravosi oneri anche economici sostenuti dalle famiglie
che li accolgono a casa loro, volutamente non informate dei diritti riconosciuti
dalla vigente normativa ai loro congiunti infermi.
A mio avviso, cambiamenti significativi si realizzeranno soltanto se una parte
consistente del volontariato passerà dall'attività consolatoria alla difesa
dei diritti.
Un altro elemento determinante potrebbe essere la presa di coscienza da parte
di gruppi dei forti della necessità di predisporre validi servizi per i soggetti
deboli, nella considerazione che potrebbero essi stessi averne bisogno.
È, però, alquanto improbabile in quanto, a mio avviso, è facile che i forti
si orientino verso soluzioni che riguardano esclusivamente il loro gruppo, così
come avvenne a Bologna qualche anno prima della scoperta dell'America, con la
creazione della ancora presente Ipab dei Poveri vergognosi.
I nobili ed i mercanti, preso atto che alcuni di loro per malattia o per rovesci
finanziari o per altri motivi non erano più in grado di provvedere a loro stessi
ed ai loro congiunti, avevano costituito il suddetto organismo, al fine di poterne
beneficiare in caso di necessità, anche perché - evidentemente - non volevano
aver nulla a che fare con le strutture in cui erano ricoverati i miserabili
di allora.
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