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Da “La domenica della nonviolenza”, n. 10 del 27 febbraio 2005
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Luigi Cancrini ricorda Franca Ongaro Basaglia
Dal quotidiano "Il messaggero" del 15 gennaio 2005.

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Il rapporto che ha unito i destini di Franca Ongaro e di Franco Basaglia era un rapporto fondato su un grande amore e su una grande, reciproca ammirazione. La "pratica" antipsichiatrica di Franco e dei suoi allievi e
colleghi si basava sulla generosita' e sulla intuizione ma aveva dietro le spalle lo spessore e il rigore delle idee cui si dedicava soprattutto Franca. Scrittura dei testi e dei manifesti programmatici, ragionamenti
sulle cause sociali e politiche dell'esclusione, riflessioni sul significato culturale del cambiamento da mettere in atto venivano soprattutto da lei, all'interno di una collaborazione di cui tutti e due avvertivano nello
stesso modo, con la stessa forza, la necessita' e la ricchezza. Sicche' e' difficile per chi li ha conosciuti, per chi li ha visti lavorare insieme, per chi li ha sentiti discutere (l'ironia affettuosa e sempre un po' sfuggente dai contrasti di lui, la serieta' facilmente polemica ma coerente e sempre impegnata di lei), pensare alla riforma e al movimento di idee che l'ha preceduta, accompagnata e seguita come al prodotto dell'attivita' intellettuale di uno solo dei due. La legge Basaglia, per chi ha vissuto con loro quel tempo straordinario, e' una legge che riguarda tutti e due, Franco e sua moglie Franca.
Tutto era cominciato a Gorizia, all'inizio degli anni '60. Nominato direttore di un ospedale psichiatrico che sorgeva sul confine dell'allora Jugoslavia Franco Basaglia si era trasferito la' con sua moglie lasciando
l'universita' di Padova. L'incontro con i degenti dell'ospedale, un gruppo estremamente disomogeneo di persone con gravi problemi psichiatrici, di portatori di handicap e di emarginati di vario genere provenienti da una parte e dall'altra di una linea di frontiera recente e incerta dal punto di vista delle eredita' culturali, rese immediatamente evidente a tutti e due l'assurdita' di una situazione in cui a venir tutelati non erano i poveretti rinchiusi nell'ospedale ma quelli che ne erano fuori: l'assurdita' di una situazione, voglio dire, in cui nulla si faceva, all'interno di un ospedale psichiatrico, che fosse orientato su finalita' terapeutiche o riabilitative.
L'indignazione che scatto' nel giovane medico e nella sociologa che era la sua compagna di vita e di lavoro segna con molta forza i loro primi scritti, le loro prime scelte. Attorniati da un gruppo di colleghi appassionati ed entusiasti, Franco e Franca cominciarono a trasformare l'ospedale in una comunita' terapeutica alla Maxwell Jones. Proponendo, nella assemblea di reparto, la possibilita', data tendenzialmente ad ogni utente, di raccontare la sua storia. Di smettere l'abito del malato ripresentandosi come persona. Dando luogo allo sviluppo di una esperienza straordinaria di cui "L'istituzione negata", il libro manifesto del 1968, fornisce ancora oggi una testimonianza di straordinaria ricchezza umana e scientifica.
Il passaggio successivo, legato soprattutto alla spinta di Franca, fu la scelta del tipo di sbocco da dare alla esperienza sviluppata dentro l'ospedale. Uno sbocco che non riguardo' in prima battuta gli ambienti
scientifici piu' tradizionali ma la societa' civile nel suo complesso.
All'interno di un ragionamento che spiegava anche i danni psichiatrici piu' gravi come una conseguenza dell'internamento e dell'esclusione, la battaglia da portare avanti per rinnovare la psichiatria fu sentita e presentata all'esterno come una battaglia di significato immediatamente politico.
Centrata da subito sull'abbattimento fisico di un muro ma rappresentata, da subito, come una battaglia simbolica per il riconoscimento del diritto di tutti gli esclusi.
Il resto e' storia piu' difficile e piu' malinconica. La legge era appena entrata in vigore quando Franco mori'. Da allora quello che e' andato avanti e' lo smantellamento progressivo degli ospedali, lo spostamento degli
interventi psichiatrici sul territorio, il tentativo di offrire per la prima volta una tutela vera al malato e alla sua famiglia sostituendo il concetto di bisogno a quello di pericolosita'. Con una carenza grave di rispetto per
molti dei vecchi e dei nuovi utenti psichiatrici, pero', perche' quella che resto' debolissima fu la capacita' di governare la riforma: programmando in modo efficace su tutto il territorio nazionale la nascita di quelle
strutture intermedie che Franco e i suoi erano riusciti a mettere in piedi a Trieste.
I risultati di questa debolezza di governo della riforma sono diventati, successivamente, motivi di critica dei principi cui essa si era ispirata. Utilizzando la difficolta' di quelli che non erano stati assistiti in modo
sufficiente, i sostenitori della vecchia psichiatria hanno rapidamente dimenticato il valore delle conquiste che erano state fatte in termini di rispetto del diverso e delle sue esigenze. Il fatto che la rivoluzione
istituzionale non sia stata seguita in modo coerente e sistematico da quella rivoluzione della cultura dell'universita' e dei servizi che avrebbero potuto e dovuto assicurarne la realizzazione ha gravemente ostacolato, ancora, il cammino della riforma. Facilitando quel tipo di proposte sulla psichiatria sostanzialmente basate su un ritorno al passato che sono state il cruccio piu' pesante, il dolore piu' vivo negli ultimi anni della vita di Franca.
Partirei da qui, da questo ragionamento, per ricordarla nel giorno in cui ci ha lasciato.
Una persona come lei, una persona dotata del suo coraggio e della sua coerenza va ricordata, secondo me, soprattutto con l'impegno a portare avanti le idee in cui lei ha creduto, a cui ha dedicato la sua vita.
Portandoci nel cuore pero', quelli di noi che hanno avuto la fortuna di conoscerla, anche la dolcezza del sorriso malinconico che segnalava, ogni volta che parlava delle cose che si dovevano fare, la consapevolezza
profonda delle difficolta' che si sarebbero incontrate. La democrazia, una democrazia capace di riguardare davvero tutti, mi sembra di sentirla dire, si costruisce con un lavoro duro. Che puo' andare avanti per piu' di una generazione. Cui ognuno di noi puo' dare solo un piccolo contributo.