Rigore e limitazioni per i disabili,
condoni per tutti gli altri. Un bilancio di metà legislatura.
Gianni Selleri, Presidente ANIEP
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E' stata approvata la manovra economica 2004 (legge Finanziaria e Maxi-decreto),
si è concluso l'Anno europeo delle persone con disabilità e si deve constatare
la mancanza di attenzioni per i problemi degli handicappati.
Vi è stato invece un ritorno della caccia ai falsi invalidi, mediante
una limitazione delle garanzie dei diritti, e una inquietante iniziativa di
esclusione dei disabili dal lavoro ordinario.
Con l'art. 42 del Decreto Legge 30 settembre 2003 n. 269 "Disposizioni
antielusive e di controllo in materia assistenziale e previdenziale",
sono state previsti nuovi controlli e restrizioni nei confronti dei disabili
che richiedono o percepiscono pensioni, assegni e indennità.
In sintesi si è stabilito che:
il Ministero dell'Economia assume il controllo di tutti i ricorsi giurisdizionali
relativi al riconoscimento dell'invalidità;
a partire dal 31 dicembre 2004 non sarà più possibile il ricorso amministrativo
contro il mancato riconoscimento del grado di invalidità che dà diritto all'assistenza
economica. L'unica possibilità sarà il ricorso al giudice ordinario, ciò che
richiede l'assistenza di un avvocato, una perizia medico-legale e un'attesa
di due o tre anni;
verrà attuata una campagna di verifiche e di controlli straordinari sulla sussistenza
dei requisiti medico-legali nei confronti dei titolari di provvidenze economiche
e, nel caso che venga accertata la mancanza del grado di invalidità, è disposta
la revoca dei benefici. Per questo scopo si stanziano due milioni di euro per
il 2003 e 10 milioni di euro a partire dal 2004;
anche l'INPS effettuerà verifiche sui requisiti reddituali di chi percepisce
pensioni e assegni (che sono concesse entro determinati limiti di reddito) in
questo caso si provvede oltre alla sospensione dei pagamenti, anche al recupero
delle somme indebitamente percepite.
viene introdotta una norma di "responsabilità aggravata" nei confronti di chi
ricorra o resista giudizio "con mala fede o colpa grave"; in questo caso il
soccombente è condannato alle spese e al risarcimento dei danni: questa disposizione
generale viene estesa per la prima volta ai "destinatari di assistenza pubblica"
(si vogliono scoraggiare i numerosi ricorsi di persone anziane con riferimento
all'indennità di accompagnamento).
Come si concilia tanto rigore nei confronti degli invalidi con la pioggia dei
condoni fiscali, edilizi e concordati preventivi.
Con l'art. 14 del D.lgs 10 settembre 2003 n. 276 (Cooperative sociali
e inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati), si
è stabilito che i disabili con difficoltà (ma in definitiva tutti) potranno
essere collocati nelle cooperative sociali, (assieme ai tossicodipendenti, ai
malati psichiatrici, agli ex carcerati e altri "lavoratori svantaggiati") in
cambio di commesse di lavoro da parte delle aziende, che vengono così esentate
dalla "copertura della quota di riserva".
Il collocamento dei disabili nelle cooperative sociali è già consentito dalla
legge 68/99, art. 12, come "inserimento temporaneo con scopi formativi personalizzati"
per la durata massima di due anni; le aziende devono comunque assumere direttamente
la persona inserita in cooperativa. In questo caso l'azienda è tenuta ad assicurare
alla cooperativa convenzionata commesse di lavoro corrispondenti al costo del
disabile inserito.
Le principali modifiche introdotte sono:
che l'azienda non assume più il disabile direttamente;
che per le aziende da 15 a 35 dipendenti c'è l'esenzione totale (in cambio delle
commesse di lavoro);
che si escludono di fatto dal mercato del lavoro ordinario tutti gli handicappati
medio-gravi;
che si costituisce un sistema di lavoro protetto permanente.
Sembra che sia stata rinnegata la funzione di autonomia, di dignità e di identità
sociale che deriva dall'attività lavorativa in contesti ordinari.
Si possono a fatica evitare le valutazioni politiche, ma non ci si può più sottrarre
all'esigenza di fare un bilancio sulla prima metà di questa legislatura.
Sono stati a stento mantenuti i diritti acquisiti di carattere fondamentale,
(ma non tutti), si è invece approfondita la discontinuità culturale con le politiche
dell'integrazione sociale degli handicappati a vantaggio di politiche e atteggiamenti
di carattere assistenziale.
L'esempio più grave è costituito dalla mancata attuazione della legge 382/2000
con riferimento all'integrazione delle prestazioni socio sanitarie, ai nuovi
criteri di definizione della invalidità e al riordino degli assegni e indennità
per i disabili.
Recentemente anche le ACLI hanno denunciato i ritardi del Governo nell'applicazione
della legge sul riordino dell'assistenza sociale. "A tre anni dal varo della
328 possiamo solo fare il conto della sua sostanziale disapplicazione da parte
dello Stato".
A questa affermazione si è contrapposta il Sottosegretario al Welfare Grazia
Sestini con una stupefacente argomentazione: "La 328/2000, se pur giovane
di età, è una legge ampiamente superata, poiché è antecedente alla riforma costituzionale
che ha reso le politiche sociali di competenza esclusiva delle Regioni e degli
enti locali".
E' vero che l'assistenza sociale è stata trasferita alle Regioni, ma è anche
vero che il finanziamento del Fondo nazionale per le politiche sociali (che
viene talvolta manipolato, ridotto e distorto) dipende sostanzialmente, per
l'entità e l'adeguamento delle risorse, dal Governo, che lo Stato ha competenze
esclusive circa la definizione dei Livelli essenziali di assistenza (la cui
approvazione era già stata prevista dalla Finanziaria 2003) per la garanzia,
l'omogeneità e l'integrazione delle prestazioni socio-sanitarie in un quadro
di universalismo.
Competono tuttora allo Stato decreti attuativi della riforma dell'assistenza
che non sono affatto superati: ci riferiamo in particolare al riordino delle
prestazioni economiche per i disabili, alla definizione di nuovi criteri per
l'attribuzione dell'invalidità, alla formulazione della Carta dei servizi sociali
e ad altre funzioni di indirizzo e di coordinamento.
Senza questi atti dovuti le politiche sociali si svilupperanno in modo frammentario
e sfilacciato con gravi disuguaglianza quantitative e qualitative nelle varie
aree del paese.
La verità è che questo Governo non è ancora riuscito a definire un progetto
di sicurezza sociale che sia complementare o alternativo a quello precedente
e procede per successive e contingenti approssimazioni di carattere neoliberista.
In un contesto di cambiamenti economici, culturali e politici ancora in evoluzione,
l'unico atto programmatico che è stato prodotto è il "Libro bianco sul Welfare"
che, al di là delle valutazioni di strategia generale, afferma la centralità
della famiglia (in concorrenza o in alternativa ai servizi socio-assistenziali)
e in modo più chiaramente consapevole una progressiva privatizzazione
dei bisogni, soddisfatti da risarcimenti monetari.
Si afferma che inserire la famiglia al centro del sistema di protezione significa
superare il vecchio modello di sicurezza. Se si trasferiscono le risorse
alle famiglie si risparmia sui servizi.
In sostanza anche per il sistema assistenziale il "Libro bianco" propone la
scelta, che ormai riguarda tutte le politiche sociali, di ridurre la protezione
sociale liberando così risorse da destinare ai singoli.
Per questo obiettivo e per affidare definitivamente alle famiglie l'assistenza
ai bambini, ai disabili e agli anziani, non tenendo conto dei processi dell'integrazione
sociale, si proponeva una "Agenda sociale" che è stata tuttavia disattesa
e che si è risolta in poche iniziative: (assegno per il secondo figlio, incentivi
per gli asili privati).
Contestualmente e progressivamente le Associazioni e le Federazioni di rappresentanza
dei disabili sono state escluse dalla partecipazione istituzionale e dalla definizione
dei provvedimenti legislativi, (sembra definitiva la soppressione della Consulta
nazionale delle associazioni di disabili).
Ricordiamo le promesse e gli impegni non mantenuti:
totale indifferenza circa le conclusioni della Conferenza Nazionale sulle politiche
della disabilità di Bari (progetti di vita individualizzati, scuola, lavoro,
mobilità, prevenzione…);
mancata istituzione del Fondo per il sostegno delle persone non autosufficienti;
mancata predisposizione del Testo Unificato delle leggi sui disabili;
mancata definizione dei Livelli essenziali di assistenza;
esclusione delle associazioni dei disabili dai tavoli di concertazione;
diffusione e affermazione di una rappresentazione culturale e sociale dei disabili
come destinatari di benevolenza, di volontariato, di assistenzialismo, di raccolte
televisive;
mistificazione dell'Anno Europeo delle persone con disabilità e rimozione dell'impegno
di formulare una Direttiva europea sulla non discriminazione in coincidenza
col semestre di Presidenza italiano.
Si è verificato poi un progressivo accentramento delle competenze in materia
di disabilità e di assistenza nell'ambito del Ministero dell'Economia, ciò significa
che le politiche di welfare sono interpretate essenzialmente nella dimensione
finanziaria, anziché come diritto e come vincolo di solidarietà.
Cosa vuol dire questa analisi in termini concreti?
Vuol dire che le pensioni e l'indennità non sono aumentate, che un disabile
grave dovrebbe sopravvivere con 230 euro al mese, che le possibilità di vita
indipendente e di inserimento al lavoro sono diminuiti, che la realtà delle
persone viene appiattita sui loro bisogni e affidata sempre di più alle famiglie,
che gli handicappati, in quanto oggetto di benevolenza e di compassione, devono
essere buoni, pazienti e riconoscenti perché "richiedono l'aiuto di tutti e
perché non hanno apparenza ed efficienza".
Fra le molte crisi che attraversa il Paese vi è anche quella dei cittadini disabili
che sembrano avere smarrito la capacità di trasformare in conflitto e in rabbia
il disagio, personale e sociale, che deriva dal subire attribuzioni di inferiorità
e di esclusione.
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