In Prospettive assistenziali (via
Artisti 36 10124 Torino,
info@fondazionepromozionesociale.it) n. 140/2002, p. 13
Come le associazioni di volontariato possono tutelare gli utenti dei servizi
assistenziali
Maria Grazia Breda
(torna all'indice informazioni)
La maggior parte delle persone, utenti di servizi assistenziali, non è neppure
in grado di esprimere i propri bisogni elementari. Pensiamo, ad esempio, ai
bambini, agli handicappati intellettivi in situazione di gravita ricoverati
negli istituti assistenziali e nelle comunità alloggio, agli anziani malati non
autosufficienti delle case di riposo. Si tratta di individui che, spesso,
proprio a causa della gravita delle loro condizioni personali, non possono
nemmeno protestare in caso di mancanza o carenza delle prestazioni a cui
avrebbero diritto. Le associazioni di tutela possono fare molto poco, se si
limitano ad assumere informazioni dagli assessori o dai responsabili dei
servizi. A questo proposito, F. Santanera e A. M Gallo osservano che, per la
verifica dell'efficacia e dell'efficienza dei servizi, "numerose istituzioni
pubbliche e private incaricano il proprio personale di compiere gli
accertamenti. È una procedura inaccettabile in quanto è ovvio che coloro che
sono coinvolti direttamente nella gestione di attività non possono che esprimere
giudizi positivi sul loro operato» (1).
Ma quali possibilità concrete hanno le associazioni dell'utenza per verificare
se quanto riferito corrisponde al vero? Certamente l'autocontrollo, la verifica
diretta, è la sola strada perseguibile, ma a condizione che sia praticata
secondo i principi del volontariato dei diritti. Infatti, a nulla servirebbe
assumere informazioni, se non si avesse poi la determinazione di impegnarsi per
rimuovere le cause che determinano il bisogno o la carenza di servizi, ben
sapendo che questo comporta - praticamente sempre - mettersi contro le
istituzioni.
Tuttavia, il primo passo da fare resta l'acquisizione in proprio delle notizie.
Una delibera autorizza le associazioni a osservare e verificare le strutture
assistenziali
È per tali ragioni che il Csa, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti
di base, si è posto, come uno dei primi obiettivi da raggiungere, l'assunzione
diretta delle informazioni relative allo stato dei servizi erogati dalle
Amministrazioni locali.
Il primo risultato lo si ottiene con l'approvazione da parte della Giunta
provinciale di Torino della delibera del 5 ottobre 1979 (2), che regolamenta il
controllo sui propri servizi assistenziali da parte delle associazioni
dell'utenza.
Nella premessa si rileva che "si tratta di una delibera importante poiché la
partecipazione non è imbrigliata in schemi prefissati, ma ne è riconosciuta la
piena autonomia». Inoltre, si precisa che "sulla base di una nuova concezione
dell'intervento pubblico nel settore socio-sanitario (...) si ritiene opportuno
aprire alla partecipazione dei cittadini, in quanto utenti reali o potenziali
dei pubblici servizi e nelle varie fasi di attuazione dei medesimi, il complesso
degli interventi che la Provincia attua nel settore socio-sanitario». Ovviamente
l'accesso dei volontari è stato previsto nel rispetto delle esigenze degli
utenti e del servizio. A tal fine è stato predisposto un apposito regolamento,
in base al quale gli incaricati accedono ai servizi e alle strutture rispettando
alcune modalità di cui le principali sono le seguenti:
"le visite sono consentite esclusivamente alle persone munite del tesserino
rilasciato dall'Amministrazione provinciale;
"l'accesso è consentito solo a gruppi costituiti da un minimo di due persone ad
un massimo di quattro;
"gli incaricati dei movimenti di base non possono, pena il ritiro immediato del
tesserino, interferire sul lavoro svolto dai servizi, ne manifestare
apprezzamenti di alcun genere;
«eventuali osservazioni, critiche e proposte, sono presentate
all'Amministrazione provinciale dai movimenti di base».
In seguito, il Csa ha chiesto e ottenuto anche dall'Amministrazione comunale di
Torino l'approvazione di una delibera, avvenuta il 28 febbraio 1983 in cui viene
autorizzato «l'accesso a strutture residenziali socio-assistenziali da parte
delle associazioni dell'utenza e dei movimenti di base con facoltà di
osservazione e verifica della gestione".
Si prevede, tra l'altro, «un flusso di informazioni sui servizi, che
l'Amministrazione si impegna a fornire» e la "possibilità per i movimenti di
base di prendere conoscenza diretta e verifìcare il funzionamento dei servizi».
Viene altresì specificato che "tali modalità devono essere finalizzate
fondamentalmente a consentire alle associazioni e ai movimenti di base di
conoscere meglio e più direttamente l'effettivo stato e andamento dei servizi,
allo scopo di formulare le osservazioni critiche e le proposte sui servizi
stessi all'Amministrazione comunale cui spetta il potere- dovere sia politico
che amministrativo di controllo e vigilanza sulle strutture socio-assistenziali
sia pubbliche che private».
Aspetti operativi: come si svolge l'attività della commissione di vigilanza
delle associazioni
Le associazioni aderenti al Csa hanno segnalato all'Amministrazione provinciale
e comunale i nominativi delle persone che, volontariamente, accettavano di
svolgere, a titolo completamente gratuito, l'attività di vigilanza nelle
strutture diurne e residenziali provinciali che ospitano minori, handicappati,
anziani. Contestualmente ci si è attivati per ottenere
dall'amministrazione l'elenco aggiornato delle strutture assistenziali gestite
direttamente o in convenzione. Infine si è provveduto a dotarsi, come Csa, della
necessaria organizzazione e di un adeguato metodo di lavoro. Attualmente è
prevista una riunione mensile con tutti gli incaricati, durante la quale
ciascuno relaziona in merito alle strutture visitate; si discutono gli eventuali
problemi riscontrati, quelli da segnalare immediatamente all'Amministrazione e
si decidono le visite successive. In genere, si sceglie di osservare per un
certo periodo l'andamento di un particolare servizio: ad esempio le comunità
alloggio gestite in convenzione oppure i centri diurni per gli handicappati
intellettivi, e così via.
Alcuni esempi pratici dell'attività svolta
1. La convivenza guidata per giovani adulti con handicap intellettivo è situata
in un bell'alloggio di una zona centrale della città di Torino e la sua gestione
è affidata nell'ottobre del 1998 dal Comune ad una cooperativa. Vi abitano tre
giovani con handicap intellettivo in grado di svolgere attività lavorative e,
quindi, con una discreta autonomia. Due di loro lavorano già a tempo pieno; uno
sta terminando il periodo di tirocinio e si spera che si trasformi in
un'assunzione definitiva. Al momento percepisce una borsa lavoro. Il 10 maggio
1999 due nostri volontari incaricati si recano nella convivenza guidata per una
prima visita. L'impatto non è positivo. L'ambiente è trascurato e non assomiglia
minimamente a quello che dovrebbe essere un ambiente familiare. Chi vive qui
dovrebbe sentirsi "a casa propria".
In data 31 maggio i due volontari inviano una relazione dettagliata
all'Assessore ai servizi sociali del Comune di Torino, al Presidente e al
Responsabile dei servizi assistenziali della Circoscrizione in cui è situata la
comunità alloggio, per segnalare che, ad eccezione delle tende appese alle
finestre, nulla era stato modificato rispetto alla segnalazione precedente. La
situazione si presenta come segue: «I lavabi del bagno arrivano sempre alle
ginocchia degli ospiti (in precedenza nell'alloggio erano ospitati minori);
fantina del pensile della cucina è sempre in bilico, il boiler a gas è sempre
presente all'interno della cucina, una porta è senza vetri e una coperta ne fa
le veci, vi sono spine elettriche di elettrodomestici a vista sul pavimento e
mattonelle sconnesse".
Si chiede di conoscere chi è il responsabile che deve provvedere alla
manutenzione per sapere quali sono i tempi previsti per la messa a norma
dell'appartamento; si chiede altresì di essere contattati dal referente
dell'Assessorato ai servizi sociali per le convivenze, per un sopralluogo
congiunto al fine di porre rimedio ad una situazione indecorosa. Successivamente
alla lettera si è provveduto con regolarità a telefonate di sollecito ai
responsabili dei servizi, che continuavano a rinviarsi l'un l'altro la
responsabilità ad intervenire.
Il 13 settembre 1999 non avendo alcun riscontro concreto alle segnalazioni, il
Csa decide di sollecitare un incontro con la dirigente e i funzionari
responsabili dei servizi per l'handicap del Comune di Torino, per affrontare a
livello centrale, tra gli altri, anche il problema della conduzione delle
convivenze guidate, in considerazione della predisposizione da parte del Comune
di un nuovo capitolato d'appalti. Nell'incontro, che si riesce ad ottenere alla
fine del mese di ottobre 1999, i funzionari ammettono i gravi ritardi e
assicurano il loro impegno per cercare di superare i problemi che oramai si sono
aggravati.
Il 19 giugno 2000 (oltre sei mesi dopo) decidiamo per una nuova verifica,
considerando congrue il tempo trascorso per permettere ai servizi di realizzare
gli interventi necessari a rendere vivibile l'alloggio. E intanto cambiata la
cooperativa, che ha però assunto l'educatrice che già vi operava, salvaguardando
in tal modo la continuità educativa. È il solo aspetto positivo, perché quasi
niente è stato fatto dall'ultima visita di controllo che ormai risale a più di
un anno prima. Nella relazione inviata il 27 giugno 2000 all'Assessore ai
servizi sociali e ai dirigenti responsabili del patrimonio e manutenzione e
delle comunità residenziali si segnala che:
- i lavandini dei due bagni non sono ancora stati sostituiti e l'unica vasca da
bagno presenta anche macchie di ruggine;
- è sempre a vista il tubo del boiler a gas che va in cucina. Per "rendere a
norma" l'impianto a gas è stata fatta una feritoia sulla porta finestra per far
passare l'aria;
- la cucina è sempre nella stessa situazione pietosa: i tubi sotto il lavandino
hanno delle perdite d'acqua ed escono dal muro lasciando dei buchi vuoti da cui
fuoriescono sovente insetti indesiderati; il mobiletto del lavandino è ormai
marcio, non c'è un solo mobile intero, mancano le ante ai pensili e non ci sono
più cassetti;
- molte tapparelle sono rotte;
- alle finestre di tutte le stanze e sul balcone sono ancora installate le grate
che risalgono a quando la struttura era abitata da minori;
- una stanza è adibita a magazzino perché troppo malridotta per essere
utilizzata come camera.
Alcuni miglioramenti sono stati apportati, ma grazie all'intervento diretto
degli stessi ospiti che hanno acquistato gli elettrodomestici presenti
(lavatrice e lavastoviglie), incollato alcune delle mattonelle sconnesse (ma nel
corridoio altre risultano mobili), ridipinto le loro stanze e acquistato gli
armadi nuovi. Anche gli operatori della cooperativa hanno contribuito con alcuni
interventi sull'impianto elettrico, ma restano ancora a vista prese volanti e,
dunque, pericolose. Anche il vetro della porta interna che era rotto è stato
sostituito, ma le porte dovrebbero comunque essere ridipinte. Ai volontari,
fatta la segnalazione scritta, che in base alla delibera deve essere presentata
all'Amministrazione, non resta che insistere con telefonate di sollecito ai vari
servizi nella speranza di un riscontro da parte dell'Assessorato, che, però, non
arriva.
Il 23 ottobre 2000 (quattro mesi dopo) si decide di andare a verificare ancora
di persona, se le rassicurazioni ricevute infine dalla coordinatrice dei servizi
assistenziali di zona (più volte cercata telefonicamente) corrispondono al vero.
Durante la visita si accerta che sono stati realizzati i seguenti lavori; messa
a norma dell'impianto elettrico con luci di emergenza in ogni stanza nel caso di
mancanza di corrente elettrica; stuccatura di un pezzo di muro del corridoio in
corrispondenza di una porta; elevamento dei lavandini di due bagni che però non
funzionano in quanto perdono acqua; tinteggiatura delle pareti e delle porte.
Nonostante le nostre segnalazioni (alle quali si è aggiunto anche quelle della
stessa cooperativa in data 6 luglio 2000) non sono ancora stati effettuati i
seguenti lavori: sostituzione del blocco lavello della cucina che perde acqua
dal rubinetto; la sostituzione degli allacciamenti della lavatrice della
lavastoviglie; il sottolavello che, a causa di fori nel muro, permette
l'ingresso a sgradevoli insetti; sostituzione d ell'armadietto della cucina
rotto e privo di ante che riparino dalla polvere le stoviglie; eliminazione
della vasca situata in uno dei bagni in quanto arrugginita da sostituire con una
doccia; sostituzione della caldaia dell'acqua calda, secondo le indicazioni del
tecnico della ditta Termocontrol addetta alla manutenzione; eliminazione delle
inferriate dal balcone; sostituzione delle serrande difettose; sostituzione
delle piastrelle del pavimento del corridoio che muovono in più punti; sgombero
della cantina che è piena di mobili risalenti alla precedente comunità per
minori; acquisto di mobili per arredare una camera da letto attualmente
inutilizzata. L'8 novembre 2000 si scrive per l'ennesima volta all'Assessore ai
servizi sociali del Comune di Torino segnalando l'urgenza di lavori ormai non
più rinviabili, pena la sicurezza di chi vi abita. Non succede nulla.
Esasperati, ci rivolgiamo al Vice-presidente del Consiglio comunale e Capo
gruppo del principale partito dell'opposizione che, verificate le informazioni
fornite dal Csa, presenta in data 7 dicembre 2000 una interpellanza al Sindaco e
all'Assessore ai servizi sociali. Inoltre, denuncia la situazione attraverso i
quotidiani e costringe l'Assessore ad ammettere i gravi ritardi
dell'Amministrazione.
Finalmente qualcosa si muove e, con una telefonata alla cooperativa, due mesi
dopo, veniamo a sapere che è stato fatto praticamente tutto.
2. La comunità alloggio per minori è un luogo in cui la permanenza di un bambino
piccolo deve essere ridotta al minimo indispensabile: è necessario trovare
presto una famiglia che risponda al meglio ai suoi bisogni. Nonostante siano
risaputi gli effetti devastanti che può causare la lunga permanenza in comunità,
succede che molti minori vi restino anche per anni. Si tratta soprattutto di
bambini che arrivano in comunità a seguito di un provvedimento del Tribunale per
i minorenni; bambini che hanno spesso genitori con gravi disturbi mentali o con
seri problemi di tossicodipendenza; recentemente sono anche molti i bambini
figli di genitori extracomunitari, che vengono inseriti sovente per problemi
sociali (mancanza di casa e/o di lavoro dei genitori).
Uno degli obiettivi principali che ci siamo posti, come commissione di
controllo, è quello di fare tutto il possibile perché non venga meno
l'attenzione dell'assistente sociale che segue il minore ricoverato in comunità
alloggio. Fatti i conti con i limiti imposti dal numero esiguo di volontari a
disposizione per effettuare le visite (quattro persone), abbiamo deciso di dare
priorità assoluta ai minori compresi nella fascia 0-10 anni, per garantire loro
l'ingresso in una famiglia il più in fretta possibile (la propria quando si può,
negli altri casi una famiglia affidataria o adottiva, a seconda della
.situazione).
Individuate le comunità alloggio gestite direttamente dal Comune di Torino,
quelle convenzionate e gli istituti (purtroppo ci sono ancora) che ricoverano
minori di età inferiore ai dieci anni, abbiamo iniziato le visite. Con metodica
precisione abbiamo segnalato ogni volta, in un'apposita tabella, il nome di
battesimo del minore, la data di ingresso in comunità, i tempi previsti per la
sua uscita, il servizio sociale di riferimento. Puntualmente siamo ritornati
nella stessa comunità ogni tre mesi, per controllare se i progetti erano stati
rispettati.
Molte volte è successo di incontrare quel bambino che, in base alle informazioni
precedenti, non doveva esserci e che, invece, si trovava ancora in comunità
perché il Tribunale per i minorenni aveva rinviato la decisione sul suo conto.
Oppure l'assistente sociale non aveva trovato il tempo per cercare una famiglia
affidataria, o vi erano decisioni contraddittorie tra i servizi che avevano in
carico il minore e quelli che seguivano i suoi genitori (servizi psichiatrici,
servizi per tossicodipendenti).
Che cosa fare? In primo luogo si è provveduto a segnalare all'Assessore
all'assistenza le situazioni più gravi e con maggior permanenza in comunità
alloggio. Successivamente si sono interessati i dirigenti di settore. Infine, il
27 gennaio 2000 è partita una iniziativa su più fronti per richiamare
l'attenzione dei servizi sociali sull'inaccettabile permanenza in comunità di
quattro minori: J. da quattro anni, G. da due anni e mezzo, A. e M. da due anni.
Per ottenere l'intervento dei servizi sociali abbiamo usato ogni forma di
pressione nei confronti dell'Assessore all'assistenza. Ci sono state lettere
aperte e volantinaggi davanti al Consiglio comunale; incontri con i Consiglieri;
audizioni in Consiglio comunale. Abbiamo tempestato di lettere e telefonate i
dirigenti del settore, promosso articoli sui quotidiani e denunciato il problema
in ogni occasione e incontro pubblico. Da aprile fino a dicembre 2000 siamo
tornati con regolarità nelle comunità alloggio fino a quando tutti i minori che
erano stati segnalati hanno trovato (nell'arco di un anno) una sistemazione
definitiva in famiglia.
3. La casa di riposo per anziani "Casa Serena", nel 2000 ricovera persone malate
e non più autosufficienti. Pochi sono gli anziani autonomi per i quali questa
struttura era stata prevista in origine dal Comune di Torino, che continua a
gestirla come se gli anziani fossero ospiti di un "albergo": autonomi, in grado
di muovesi, mangiare, vestirsi, senza bisogno di aiuto alcuno e, soprattutto,
senza problemi sanitari "pesanti". Il Csa decide un'azione precisa di
"vigilanza" di Casa Serena perché più di altre strutture di ricovero, nei locali
ancora occupati (il 50% degli spazi è inutilizzato da oltre 25 anni) ricovera
persone anziane con gravi problemi di cronicità e non autosufficienza.
L'obiettivo è quello di ottenere il riconoscimento dello status di malattia
degli anziani presenti, perché siano assicurate loro, oltre alle maggiori
necessità di assistenza personale, anche le indispensabili prestazioni mediche e
infermieristiche. Ci limitiamo a riportare l'attività svolta dai nostri
volontari della commissione di controllo negli ultimi tre anni (2000, 2001,
primo semestre 2002), attività che è tuttora in corso.
Nella visita effettuata a febbraio 2000 a Casa Serena, gli anziani ricoverati
risultano essere 85, di questi solo 10 presentano una discreta autonomia, mentre
i restanti sono tutti non autosufficienti a causa di diverse malattie croniche.
Gli operatori addetti all'assistenza nelle ore comprese tra le 8,30 e le 16,30
sono 10; di notte vi sono due operatori per tutti i piani: ma, all'occorrenza,
ci dicono, viene assicurato anche l'intervento del portinaio.
Nei giorni di sabato e domenica il numero degli operatori scende da 10 a 5.
Inoltre, nonostante 75 anziani siano affetti da malattie croniche e,
conseguentemente, non autosufficienti, nella casa di riposo è presente un solo
infermiere, in servizio esclusivamente al mattino. Il medico, esterno, viene una
volta alla settimana. Per le emergenze si chiama la guardia medica. In media 7-8
volte in un mese. I rapporti con l'ospedale di riferimento sono pessimi. Gli
anziani vengono dimessi anche quando avrebbero bisogno di cure: un ospite
affetto da tumore con metastasi diffuse è stato dimesso alle 18 di sera con la
flebo e riportato nella struttura priva di infermieri, come si è detto, durante
la notte. Vista la gravita delle condizioni, si è chiesto il trasferimento in
una residenza sanitaria assistenziale, ma l'anziano è deceduto il giorno dopo.
Da parte del Comune di Torino, viene detto che è programmata la ristrutturazione
di una parte dell'istituto (quella inutilizzata da oltre 25 anni). L'inizio dei
lavori sarebbe previsto per l'autunno 2000.
Il resoconto della visita viene immediatamente segnalato all'Assessore ai
servizi sociali, con la richiesta di incaricare una commissione medica per
valutare gli anziani ricoverati nella casa di riposo al fine di conoscere le
loro esigenze sanitarie, sollecitare l'intervento dell'Asl di competenza e
richiedere, se necessario, il loro trasferimento in altra struttura idonea.
Vengono coinvolti altresì il Sindaco e il Presidente della Commissione
assistenza del Consiglio comunale, in quanto si ritiene che il problema non
competa soltanto all'Assessore ai servizi sociali, ma richieda l'impegno della
Giunta e del Consiglio anche per l'assunzione di decisioni chiaramente
politiche, quali ad esempio la richiesta al Servizio sanitario di provvedere
alla gestione della struttura ed alla conseguente cura dei malati che vi sono
ricoverati.
Visto il silenzio dell'Amministrazione, si invia un esposto anche alla Procura
della Repubblica.
Finalmente, la Commissione consiliare in data 1° marzo 2000 convoca un'audizione
del Csa alla presenza dell'Assessore. Viene decisa una visita della struttura da
parte dei Consiglieri della Commissione comunale, ma i risultati non sono quelli
sperati dal Csa. Infatti, secondo l'articolo firmato da Luisella Re apparso su
La Stampa il 7 giugno 2000, con il titolo "Un orto per vivere ancora:
l'esperimento a Casa Serena. Nell'originale terapia gli anziani si dedicano a
fiori e primizie", sembra che nella casa di riposo vi siano anziani "sani", che
hanno solo il problema di come impiegare il tempo. Nessun accenno al fatto che
su 85 persone ricoverate, di quell’orto saranno in tre, forse quattro, a trame
eventuali benefici.
Il Csa torna pertanto a sollecitare nuovamente la Commissione e l'Assessore,
affinché sia attivata una convenzione con l'Asl di riferimento per assicurare
almeno le minime prestazioni sanitarie.
Nell'audizione del 24 gennaio 2001, l'Assessore all'assistenza dichiara di avere
ottenuto una convenzione con l'Asl, ma non consegna copia della stessa, anche se
si impegna a trasmetterla al Csa.
Intanto siamo a ridosso delle elezioni amministrative (marzo 2001) e l'Assessore
all'assistenza diffonde a livello capillare un depliant dal quale risulta che i
lavori di ristrutturazione (gli stessi che erano in programma per il passato
autunno 2000), sarebbero partiti - guarda caso - nell'aprile 2001. Il Csa
insiste ancora presso l'Assessorato perché la convenzione promessa non è stata
ancora inviata.
Il 3 aprile 2001, via fax, otteniamo il prezioso documento che conferma
l'impegno dell'Asl ad assicurare le necessarie prestazioni agli anziani
ricoverati nella casa di riposo. Ne riportiamo gli aspetti più importanti:
«L'attuale organizzazione prevede un organico di n. 6 infermieri che
garantiscono una copertura oraria di 12 ore per 7 giorni su 7. Fino ad oggi sono
presenti in servizio solo 5 infermieri (4 infermieri professionali, 1 infermiere
generico) che comunque garantiscono la copertura oraria stabilita. In
particolare le attività svolte all'interno delle strutture sono le seguenti:
collaborazione con i medici di medicina generale degli ospiti al fine di
individuare un piano assistenziale e terapeutico individuale e personalizzato;
gestione e somministrazione di tutte le terapie prescritte dai medici (orale,
sottocutanea, intramuscolare, endovenosa); compilazione, tenuta ed aggiornamento
delle schede individuali della terapia; esecuzione dei prelievi e dei controlli
glicemici come da indicazione del medico curante; esecuzione delle mediazioni;
monitoraggio dei parametri vitali d'interesse (Paos, polso, ecc,); interventi in
caso d'urgenza nel rispetto delle proprie competenze; programma assistenziale
specifico dopo dimissione da eventuale ricovero ospedaliere; impostazioni di
opportuni programmi dietetici in base alle necessità del singolo ospite;
prenotazione di esami e/o consulenza specialistiche ed organizzazione del ritiro
referti; contatti con i medici curanti e parenti o persone di riferimento in
caso di necessità; approvvigionamento presidi sanitari e materiale di magazzino;
collaborazione con il personale comunale Adest (assistenti domiciliari e per i
servizi tutelari, ndr) al fine di individuare un programma assistenziale mirato
alle esigenze dei singoli ospiti in rapporto a particolari patologie;
prevenzione delle sindromi da allettamento prolungato; corretta tenuta,
compilazione, carico e scarico dei registri dei rifiuti speciali, su delega del
responsabile dell'Unità operativa anziani; rapporti di collaborazione ed
integrazione con i referenti del personale Adest individuati dal responsabile
delle Residenze assistenziali; corretta tenuta degli esami strumentali degli
ospiti ed eventualmente delle loro cartelle mediche; corretta tenuta degli
armadietti contenenti tarmaci; compilazione del registro delle consegne;
supervisione al tirocinio di studenti del corso di diploma universitario per
infermieri professionali; visite documentative agli allievi del corso operatori
tecnici assistenziali».
Il 25 ottobre 2001 siamo tornati nella casa di riposo allo scopo di verificare
se l'attività di servizio medico-infermieristico era svolta come precisato nella
convenzione con l'Asl. Al momento della visita, purtroppo, si è riscontrato che:
- l'organico di 6 infermieri non è mai stato realizzato; al momento sono
effettivamente attivi 4 infermieri; la necessità sarebbe di 7 infermieri per
poter assicurare i turni di riposo, la copertura delle ferie e delle assenze per
malattia;
- la copertura oraria non è di 12 ore, ma a causa della carenza di organico,
l'orario è spezzato e risulta scoperto il periodo pomeridiano;
- la prestazione del medico di base si limita (come per le persone che vivono a
casa) a intervenire su richiesta entro le ore 10, dal lunedì al venerdì. Negli
altri giorni subentra la guardia medica. Un giorno alla settimana i medici di
base dei pazienti (a turno) svolgono attività di ambulatorio presso Casa Serena;
- non sono disponibili le cartelle cliniche degli ospiti, archiviate presso
un'altra struttura. Inoltre risulterebbe che non siano aggiornate almeno per gli
ultimi quattro mesi, sempre a causa della carenza di personale; dunque, si
deduce che non è assicurata la «compilazione, tenuta ed aggiornamento
individuale della terapia» come previsto nella convenzione;
- i rapporti con il personale Adest sono impostati sulla collaborazione ma non
esiste un referente responsabile per cui lo stesso personale Adest (comunale)
può anche non sottostare alle indicazioni suggerite dal personale
infermieristico dell'Asl;
- si sono verificati altri casi di anziani ricoverati d'urgenza all'ospedale
Maria Vittoria, dimessi nonostante la gravità delle condizioni dell'ammalato e
l'assoluta inadeguatezza della struttura a rispondere alle esigenze sanitarie
del paziente. Si sottolinea che tale grave situazione è stata gestita
esclusivamente per la competenza professionale maturata dall'attuale personale
infermieristico in precedenti esperienze lavorative. Risulta, pertanto, che non
è affatto rispettato il «programma assistenziale specifico dopo dimissione da
eventuale ricovero»;
- il personale Adest viene sovente indirizzato al lavoro nei reparti, senza una
preventiva formazione di base e, soprattutto, anche con pesanti problemi
personali che si scaricano inevitabilmente a danno dei ricoverati.
Preso atto della situazione è immediatamente ripartita una segnalazione
all'Assessore all'assistenza con la richiesta di:
- promuovere un incontro con il responsabile dell'Asl, il dirigente
dell'Assessorato e i nostri rappresentanti per la verifica degli obiettivi
indicati nella convenzione;
- ottenere la preventiva visione della documentazione (cartelle infermieristiche
degli ospiti).
La lettera di ottobre non ha ricevuto nessuna risposta scritta. A seguito di
telefonate e solleciti all'Assessore e al dirigente del settore anziani del
Comune, finalmente abbiamo ottenuto - per ora - l'incontro con i responsabili
delle strutture per anziani del Comune e dell'Asl, incontro calendarizzato per
la fine del mese in corso (febbraio 2002).
Va segnalato che la ristrutturazione dei locali non è mai iniziata. L'ultima
data indicata è la fine del 2002. Intanto si cerca di sviare l'attenzione dei
cittadini con l'apertura della Casa di riposo ad attività musicali (vedasi
l'articolo "Pomeriggio musicale a Casa Serena", pubblicato sul giornalino di
quartiere, La Spina, ottobre 2001); oppure organizzando incontri con personaggi
famosi, come ad esempio la visita dell'attore comico Gambarotta, avvenuta il 23
gennaio 2001.
Per quanto riguarda il Csa, oltre che nei confronti dell'Amministrazione
comunale, siamo impegnati a sensibilizzare le realtà che operano nel quartiere
(Consiglieri di circoscrizione, circoli culturali, associazioni di volontariato,
gruppi parrocchiali), perché si prenda coscienza del fatto che nella casa di
riposo ci sono dei malati gravi, che hanno bisogno di cure e non solo di una
generica assistenza o, peggio, di un po' di animazione per non soffrire di
solitudine. L'obiettivo che ci proponiamo è quello di coinvolgere sempre di più
la cittadinanza, sperando in una maggior azione da parte di chi amministra,
sempre sensibile se i cittadini che votano si fanno sentire.
Merita sottolineare che lo stesso Assessore ha incaricato una cooperativa per
l'attuazione di un "Progetto di miglioramento della qualità nelle residenze per
anziani della Città".
Il 30 novembre 2001 viene organizzato un incontro proprio a Casa Serena per
avviare l'iniziativa. I volontari aderenti al Csa, che partecipano, scoprono che
la preoccupazione del Comune è quella di migliorare «la qualità dell'accoglienza
dell'ospite al momento del suo ingresso a Casa Serena».
Profondamente amareggiati per la evidente presa in giro dell'amministrazione, in
data 11 dicembre 2001 inviarne all'Assessore ai servizi sociali e alle
associazioni della zona, una nota nella quale denunciamo, tra l'altro, quanto
segue: «Vorremmo evidenziare che per quanto riguarda la struttura residenziale
Casa Serena, sono almeno due anni che l'Assessore Lepri è informato direttamente
dal Csa, oltre che a saperlo sicuramente tramite i propri uffici, sulle gravi
carenze delle prestazioni sanitarie e infermieristiche. Come è noto, la
struttura - nata per ospitare persone autosufficienti in grado di camminare
autonomamente, mangiare da sole, alzarsi, lavarsi in modo indipendente - oggi è
occupata prevalentemente da anziani gravemente non autosufficienti a causa di
diverse patologie di cui sono affetti (molti dei quali sono anche dementi o
malati di Alzheimer), ma il personale di assistenza e infermieristico è
calcolato come se fossero tutti sani.
«D'altra parte, nella pubblicità elettorale inviataci a casa dall'Assessore
Lepri si prevede per l'appunto la ristrutturazione di Casa Serena in Rsa, e ciò
dimostra che l'Amministrazione comunale è perfettamente al corrente del fatto
che è assolutamente inadeguata l'attuale organizzazione della struttura. Sempre
nella pubblicità elettorale è scritto che i lavori cominciano nella primavera
2001: al 25 ottobre 2001 non era ancora partito nulla.
"Ci sembra alquanto ipocrita pensare alla "qualità dell'accoglienza" facendo
finta che gli anziani siano "ospiti" di un albergo, invece di affrontare con
coraggio e competenza i problemi reali.
«Se l'amministrazione vuole lavorare davvero per la qualità della vita nelle
strutture che ricoverano anziani malati e non autosufficienti cominci con il
pretendere dall'Asl 3 almeno il rispetto della convenzione che ha siglato, che
pur essendo ancora insufficiente, apporterebbe alcuni miglioramenti per quanto
riguarda le prestazioni infermieristiche.
"Inoltre, sarebbe opportuno richiamare l'Asl 3 sulle sue responsabilità di cura
per quanto riguarda gli anziani ricoverati a Casa Serena che si aggravano e
vengono ricoverati all'ospedale Maria Vittoria: continuano ad essere dimessi e
ritrasferiti a Casa Serena anche in presenza di bisogni sanitari complessi,
nonostante l'Asl 3 sia perfettamente al corrente della impossibilità del
personale infermieristico di Casa Serena di potervi fare fronte vista l'assenza
di mezzi e persone. Sempre a proposito di qualità, ci è stato segnalato in più
occasioni che a Casa Serena opera personale comunale di assistenza (Adest) che
proviene da liste del collocamento, senza che siano stati previsti opportuni
corsi di formazione. Inoltre, e ciò è più grave, molti sono soggetti con
problemi personali seri, a loro volta seguiti da servizi pubblici quali i Sert
(Servizi per le tossicodipendenze) e servizi psichiatrici. Pur ritenendo
doveroso assicurare il diritto al lavoro a chi presenta disturbi della
personalità, non così gravi da compromettere la loro capacità lavorativa,
riteniamo inammissibile che siano collocate a diretto contatto con persone
anziane indifese e non in grado di difendersi.
«Da tempo abbiamo fatto presente che è indispensabile provvedere alla
certificazione di idoneità degli operatori. È noto che le persone non in grado
di difendersi e di far valere i propri diritti possono essere oggetto di abusi,
violenze e atti contro la loro persona operati anche dal personale che è assunto
per garantire, invece, la loro incolumità e benessere.
Non mancano gli esempi drammatici, finiti sui quotidiani, di violenze e vere e
proprie torture (Istituto Osmairm di Laterza, Tarante), abusi sessuali,
pedofilia, ecc.
«Per tutto il personale qualificato e non, operante nelle strutture
assistenziali pubbliche e/o convenzionate si chiede pertanto l'inserimento della
certificazione di idoneità a svolgere attività lavorative, che prevedono un
rapporto diretto con l'utenza.
Purtroppo la sola professionalità non è sufficiente a garantire l'utenza. La
nostra proposta è che l'amministrazione scelga un centro scientificamente
riconosciuto valido (d'intesa con le organizzazioni sindacali ed i
rappresentanti dell'utenza) incaricato di esaminare l'idoneità dell'operatore e
di rilasciare una dichiarazione attestante che l'operatore non presenta
controindicazioni per le caratteristiche della sua personalità a svolgere le
mansioni che prevedono assistenza alle persone non autonome. Se del caso questa
iniziativa potrebbe essere inizialmente rivolta al nuovo personale del Comune di
Torino e prevista nei nuovi appalti a terzi.
«Per quanto sopra chiediamo all'Assessore e alle associazioni di volontariato di
affrontare con serietà il problema della qualità delle strutture residenziali
che ospitano anziani malati cronici e non più autosufficienti, cominciando a
riconoscere in primo luogo che sono malati e, quindi, garantendo cure mediche,
infermieristiche e di assistenza di qualità».
Alla lettera fanno seguito numerose telefonate e solo il 21 febbraio 2001
riusciamo ad ottenere un incontro con il funzionario responsabile del settore
anziani del Comune di Torino, il responsabile del servizio infermieristico dell'Asl
3, la coordinatrice del personale assistenziale che opera a Casa Serena. In
questa sede si apprende che:
- la relazione inviata dall'Asl non è una convenzione con il Comune di Torino,
ma rientra nella prassi normalmente adottata nei confronti delle strutture
residenziali che ricoverano persone anziane;
- di conseguenza le prestazioni infermieristiche variano a seconda delle
esigenze degli anziani che vi sono ricoverati;
- in effetti ai tempi delle nostre precedenti visite si era riscontrata la
necessità di trasferire alcuni anziani e la visita dell'Unità valutativa
periodica aveva riconosciuto la necessità del ricovero in Rsa;
- secondo la coordinatrice del personale di assistenza del Comune di Torino al
momento attuale gli anziani ricoverati a Casa Serena non presentano necessità
mediche e infermieristiche tali da richiedere una maggiore presenza di personale
medico e infermieristico;
- si ammette che la mancata organizzazione dei medici di base, secondo le
modalità della medicina di gruppo, è un problema che va risolto nell'interesse
dei malati che sono ricoverati;
- anche il ricorso alla guardia medica (d'obbligo quando l'anziano manifesta
problemi fuori dall'orario previsto per i medici di base) ha creato più di un
problema per l'impossibilità di poter accedere alla cartella clinica dei
ricoverati. I malati sono in carico ai medici di base esterni alla struttura,
che conservano generalmente i documenti che li riguardano nei loro ambulatori;
ovviamente nei casi di emergenza è già stato riscontrato come tale prassi sia
contraria all'interesse della persona anziana;
- per quanto riguarda il rapporto con l'ospedale Maria Vittoria si conferma che
vi sono stati problemi per le dimissioni di anziani gravemente malati e non
autosufficienti, che non potevano ricevere cure adeguate a Casa Serena; non
risultano protocolli o accordi al riguardo, anche se la coordinatrice ha cercato
di stabilire dei contatti con chi - tra gli operatori - si è rivelato più
disponibile.
A conclusione dell'incontro il Csa, con lettera del 6 marzo 2002 inviata
all'Assessore al Comune di Torino e al Direttore generale dell'Asl 3, si chiede
di visionare le cartelle infermieristiche per una verifica delle condizioni
degli attuali ricoverati e delle esigenze specifiche in materia sanitaria.
Inoltre si sollecitano i due enti (Comune e Asl) perché sia superato il problema
della cartella clinica personale degli anziani malati ricoverati e perché si
trovi un accordo con l'ospedale di territorio e, in particolare con la Guardia
medica. Si suggerisce di adottare una modalità operativa scritta, la sola ad
avviso del Csa in grado di offrire garanzie di tutela dei malati in caso di
emergenza sanitaria.
In data 18 marzo 2002 riceviamo l'autorizzazione congiunta del Comune e dell'Asl
«a comunicare volumi e tipo delle prestazioni sanitarie effettuate presso (...)
Casa Serena, nel rispetto dell'utente e delle normative vigenti (...) con la
presenza della responsabile infermieristica del servizio, fornendo copia delle
procedure attuate». Concordiamo una visita per il 3 aprile 2002, durante la
quale fatichiamo non poco ad ottenere concretamente la visione delle cartelle. A
fronte delle nostre insistenze, riusciamo a prendere visione di un terzo di
quelle disponibili ed emerge però che queste non sono affatto aggiornate. Molti
dati riportati risalgono anche a dieci anni addietro, al momento del ricovero e
senza che vi siano segni di aggiornamenti o verifiche. Addirittura alcune
persone - di cui ci viene consegnata la cartella - sono decedute. Molti, invece,
sono risultati non autosufficienti alla visita dell'Unità valutativa geriatrica
e sono stati trasferiti nelle strutture di ricovero per anziani cronici non
autosufficienti del Comune di Torino.
Un infermiere di turno si "lascia scappare" che neppure le tabelle dove vengono
registrate le prestazioni medico-sanitarie quotidiane sono aggiornate: troppo
lavoro, troppo pochi gli infermieri, che peraltro devono dividersi tra Casa
Serena e un'altra struttura di ricovero analoga, sita nella stessa zona.
Ne consegue che vi sono grossi problemi di comunicazione tra personale
infermieristico (che dipende dall'Asl) e personale di assistenza (assunto dal
Comune), per cui viene meno quanto previsto nel piano individualizzato di
intervento, che dovrebbe essere attuato da entrambi. Inoltre, molti sono i
disagi - se non i rischi - per alcuni pazienti, che devono organizzare la
terapia non secondo le esigenze di cura (ad esempio per chi assume l'insulina),
ma compatibilmente con la presenza del personale infermieristico. Permane
inoltre il problema dei medici di base in quanto non tutti collaborano o sono
disponibili ad adattare la loro prassi alle esigenze degli anziani malati
ricoverati nella struttura.
Si chiede con urgenza un incontro con i responsabili del Comune di Torino,
settore anziani, incontro che non avviene prima del 6 maggio 2002.
In questa occasione veniamo informati che, nel frattempo, gli anziani ricoverati
sono stati tutti visitati dall'Unità di valutazione geriatrica dell'Asl e, al
momento, dati ed elenco alla mano, solo per pochissimi si è chiesto il
trasferimento in residenze sanitarie assistenziali. Tuttavia, i responsabili
concordano sulle carenze medico/infermieristiche da noi segnalate e informano di
avere ottenuto da parte dell'Asl un nuovo responsabile infermieristico, con il
quale si sta mettendo a punto una procedura scritta di comunicazione tra il
personale infermieristico e quello assistenziale.
Inoltre sono in programma incontri con i medici per la messa a punto del piano
curativo individualizzato. Si concorda di rivedersi fra tre mesi per una
verifica. Nel contempo viene richiamata la nostra attenzione su un fatto
inaspettato.
Da una ricerca avviata dal Comune di Torino emerge che il problema abitativo sia
tornato ad essere una delle principali cause del ricovero degli anziani ancora
autosufficienti o con autonomie tali da poter continuare a vivere a domicilio.
Si tratta di persone con redditi molto bassi, prevalentemente vedove, con
alloggi inadeguati perché troppo grandi o con barriere architettoniche, o privi
di servizi igienici, o situati in zone scarsamente servite da servizi.
A detta anche dei responsabili dei servizi per gli anziani e delle residenze
assistenziali comunali del Comune di Torino, questi anziani sono impropriamente
ricoverati in istituto (e quindi anche a Casa Serena), mentre con adeguate
risposte assistenziali diversificate potrebbero continuare a vivere
autonomamente ancora in una normale abitazione, con oneri economici inferiori
per il Comune di Torino.
Inoltre, si evidenzia la necessità di una azione più mirata della politica per
la casa e l'edilizia residenziale pubblica, per essere in grado di rispondere in
modo più adeguato ai bisogni di cui sopra.
A questo punto il problema viene assunto dal Csa, mentre l'attività dei
volontari della commissione di vigilanza proseguirà con la verifica degli
impegni assunti dai responsabili del settore anziani per il superamento dei
problemi specifici di Casa Serena.
Conclusioni
L'attività della commissione di controllo del Csa è sicuramente uno strumento
importante, ma è bene aver presente che non è certamente in grado - da solo - di
portare a risoluzione tutti i problemi. Soprattutto, come si è cercato di
descrivere, non si può sperare di ottenere risultati concreti se non si ha la
costanza di continuare ad insistere e ad essere vigili fino a che non si ottiene
il cambiamento cercato e voluto. Allo scopo le attività della commissione sono
svolte insieme alle altre azioni di volontariato dei diritti promosse dal Csa:
articoli su Controcittà e altre pubblicazioni, interviste radio-televisive,
coinvolgimento delle maggioranze e delle minoranze del Comune e delle
Circoscrizioni interessate, volantinaggi, presidi, ecc.
Tuttavia la commissione di controllo è uno strumento senza il quale non avremmo
potuto acquisire quei dati e quelle informazioni indispensabili per chiedere
all'Amministrazione comunale gli interventi migliorativi dei servizi
assistenziali. Nel caso specifico degli anziani malati non autosufficienti,
ricoverati in strutture comunali inadeguate, il nostro sforzo è anche quello di
ottenere in primo luogo il riconoscimento della loro condizione di malati e,
dunque, del loro diritto ad essere curati dal Servizio sanitario (e non
dall'assistenza comunale) come ogni cittadino malato ha il diritto di ottenere.
(1) Francesco Santanera, Anna Maria Gallo, Volontariato: trent'anni di
esperienze. Dalla solidarietà ai diritti, Utet Libreria Torino, 1998.
(2) Cfr. Controllo di base sui servizi assistenziali della Provincia di Torino,
in Prospettive assistenziali, n. 50 aprile- giugno 1980.
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