Ospedali psichiatrici: il documento della Commissione Affari Sociali della Camera dei deputati
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Proponiamo di seguito parte del documento conclusivo (luglio 1997) dell'indagine conoscitiva sulla chiusura degli Ospedali psichiatrici redatto dalla Commissione Affari Sociali della Camera dei deputati, relatore Giuseppe Lumia.
I dati relativi agli istituti
Il processo di chiusura degli ospedali psichiatrici riguarda, se-condo i dati forniti dal Ministero della Sanità, 62 istituti pub-blici e 14 istituti privati, per un totale di 20.291 posti letto, di cui 12.951 pubblici e 7.340 privati. Risulterebbero, secondo i dati forniti dal Ministero, già chiusi gli o. p. di Reggio Calabria (1992), Arezzo, collegno-Grugliasco, S. Ambrogio di Valpolicella (VR), Rovigo (1994), Sacile (PN), No-venta Vicentina, Monselice (PD), Oderzo (TV) (1995), Feltre (BL), Treviso, Valdobbiadene, Perugia, Gorizia, Udine, Roncati (BO), Lolli (Imola) (1996). Tali dati risultano, tuttavia, contraddetti dai piani trasmessi dalle regioni o dalle dichiarazioni rese dai loro rappresentanti nelle audizioni che fanno riferimento a isti-tuti considerati chiusi. In non pochi casi è stata, difatti, de-liberata una chiusura formale, di tipo burocratico-amministrativo, con la conseguente trasformazione dei "degenti" in "ospiti". Si tratta, evidentemente, di una modalità che la Commissione non può accettare o condividere. Gli istituti ancora aperti sono diventati strutture fatiscenti, spesso collocati in parchi stupendi. Internamente è stata mante-nuta la classica suddivisione ospedaliero-manicomiale per padi-glioni, al cui interno mancano spazi personalizzati e servizi i-gienici adeguati. GLi istituti, inoltre, hanno vissuto in una situazione di forte isolamento rispetto ai Centri di salute mentale, ai servizi so-ciali dei comuni, alla vita culturale, sociale e produttiva del territorio. Non sono mancate, certamente, alcune positive inizia-tive in questo senso, che, tuttavia, hanno mantenuto carattere episodico e di improvvisazione.
I dati relativi ai degenti
Un primo dato che è emerso con drammatica evidenza è la mancanza di dati certi, dettagliati e uniformi su ciò che è realmente avvenu-to negli ospedali psichiatrici a decorrere dalla riforma del 1980 e sul destino che hanno avuto in sorte i degenti che hanno la-sciato i manicomi a partire da quell'anno. Il Parlamento dovrebbe chiedersi e chiedere alla società che tipo di vita hanno condotto le migliaia di pesone vissute dentro le strutture manicomiali, dove sono andati a finire i degenti che sono stati dimessi, quale assistenza hanno ricevuto, in che modo sono stati aiutati ad inserirsi nella società, quanti sono morti e per quali cause, quanti ancora sopravvivono. Allo scopo di rispondere a qualcuno di questi quesiti, la Commissione ha richiesto alle regioni l'analisi storica dei dati relativi ai degenti a decorrere dal 1980, specificando il numero dei degenti dimessi, le cause di dimissione e quelle di morte: le regioni, tuttavia, hanno in larga parte eluso tali quesiti e anche quando hanno risposto non hanno saputo fornire indicazioni certe. Mai, infatti, sono state fatte serie verifiche sulla sorte dei pazienti dimessi dagli ospedali psichiatrici. Appare comunque fuori dubbio che solo in pochi casi si è saputo assicurare un adeguato e personalizzato percorso di reinserimento e che la maggior parte delle persone hanno vissuto la propria di-missione in situazioni di classica improvvisazione e di tragico abbandono. La storia della chiusura degli ospedali psichiatrici ha bisogno ancora di essere scritta, pienamente con pacatezza ed al di fuori delle pur straordinarie passioni che hanno animato la stagione della legge 180. La Commissione avverte la necessità che il Parlamento sia messo nelle condizioni di poter valutare il percorso compiuto e da com-piere partendo da una ferma consapevolezza: era ed è necessario chiudere, ma con maggiore progettualità e attenzione alle strut-ture alternative ed al sostegno da fornire alle persone coinvolte e alle loro famiglie. I soli dati complessivi, quelli forniti dal Ministero della Sa-nità, indicano in 80mila il numero dei pazienti che hanno la-sciato gli ospedali psichiatrici dopo il 1980: un terzo di questi sono deceduti, gli altri sono stati inseriti in comunità terapeu-tiche o riabilitative, in RSA, in istituzioni geriatriche o, an-cora, in strutture private. Secondo i dati forniti dal Ministero della Sanità i pazienti attualmente ricoverati negli istituti so-no 17.078, di cui 11.892 presso le strutture pubbliche e 5.186 presso strutture private. Si tratta di dati ritenuti attendibili dai componenti dell'osservatorio per la tutela della salute men-tale istituito presso il Ministero, mentre alcuni interventi nel corso delle audizioni hanno sostenuto che il processo di chiusura riguarda circa 22mila persone. Vi è quindi un problema urgente nel censimento stesso del numero dei degenti aggravato dal fatto che la trasformazione dei "pazienti" in "ospiti" incide sulla de-terminazione del numero dei degenti effettivi: allo scopo di evi-tare distorsioni eccessive dei dati si potrebbe procedere alla rilevazione dei dati su base decentrata.
Alcune considerazioni di sintesi sulle missioni
Molte persone hanno vissuto fino a pochi giorni fa dentro gli o-spedali psichiatrici, in condizioni per lo più spaventose, con un'organizzazione sanitaria quasi sempre orientata alla semplice custodia e quasi mai alla riabilitazione ed al reinserimento. Dalle stesse visite effettuate negli ex o.p., dislocati nel no-stro Paese, si è potuto constatare la drammatica condizione dei malati ancora ricoverati. Le persone non ricevono cure adeguate: si fa solo un uso ripetuto (ed in molti casi smodato) di psicofarmaci. Non c'è un'assistenza personalizzata: i degenti si alzano la mattina presto, spesso non hanno indumenti propri, ma indossano casacche anonime e scarpe di misura diversa dalla propria. La giornata scorre senza attività organizzate, senza alcuna iniziativa alla socializzazione e scor-re via in ambienti del tutto privi di qualsiasi stimolo, visivo, uditivo, tattile, eccetera. Quando è stata trovata una struttura più pulita, o almeno meno fatiscente, si è potuta comunque ri-scontrare una logica, un'impostazione, sempre molto "istituziona-lizzante", tutta tesa a separare i degenti dalla "normalità" e a farli vivere una giornata vuota, senza senso, che scorre nell'in-curia più totale e di frequente nella sporcizia. Le persone ricoverate sono spesso lasciate in una totale promi-scuità. Convivono insieme persone con età diversa, ma soprattutto in condizioni diverse: anziani, portatori di handicap, disagiati psichici gravissimi, gravi e persone leggermente disturbate. Il personale infermieristico è stato per lo più selezionato e re-clutato senza alcuna formazione professionale specifica e - al di là di casi eccezionali ha subito anch'esso un lento percorso di istituzionalizzazione e di totale demotivazione al lavoro. Il personale medico ha subito via via lo stesso percorso adeguandosi al degrado di una struttura sanitaria non programmata per curare nè per riabilitare, ma per "mantenere in vita" e custodire. Le aziende sanitarie e le Regioni si sono sostanzialmente disin-teressate degli ex o.p.: non si sono preoccupati dei costi-benefici, di preparare seri programmi di chiusura. Naturalmente bisogna differenziare molto l'analisi per ciò che riguarda il passato e riconoscere che diverse Regioni ed USL hanno fatto re-sponsabilmente la propria parte in termini di innovazione e di reale cambiamento. Comunque, nelle regioni in cui esistono gli ex o.p., analizzate dalla Commissione, è possibile riscontrare quasi ovunque responsabilità gravissime e ritardi ingiustificabili. Storicamente, il Ministero della Sanità da sempre non si è con-traddistinto con un ruolo positivo, anzi: ha riprodotto tutti i vizi riscontrati nelle Regioni e nelle aziende sanitarie. Non ha svolto azioni di indirizzo, di controllo, di monitoraggio nè di tutoraggio in favore di una reale chiusura dei manicomi. Il progetto obiettivo 1994-1996 è stato quasi completamente di-satteso. L'Osservatorio per la salute mentale non è stato messo nelle condizioni di fare bene la propria parte e comunque è arri-vato in ritardo rispetto all'attuazione della positiva legisla-zione disposta dalla finanziaria del 1994 e del 1997. In conclusione il giudizio è evidentemente negativo. Gli O.P. ancora aperti non possono essere assolti e chi li ha tenuti in vita con le descritte modalità ha delle gravissime responsabilità di cui farsi carico. Probabilmente non poteva andare diversamente poiché il manicomio, proprio per come è stato strutturato, produce inevitabilmente de-grado in quanto non è adatto a svolgere quelle funzioni di cura, riabilitazione e reinserimento sociale. Certamente lo sguardo do-vrebbe essere anche allargato per cogliere i limiti di una so-cietà che ha rimosso il problema dei malati di mente o ha addi-rittura ostacolato gli straordinari percorsi, che pure a volte ci sono stati, di tipo terapeutico e sociale. Bisogna chiedersi quanti magistrati hanno fatto il proprio dovere per smascherare la violazione dei diritti umani oltre ai più elementari diritti di cittadinanza; quante imprese si sono arric-chite per fornire beni e servizi del tutto privi dei necessari requisiti di qualità; quante speculazioni si sono celate dietro le diagnosi fatte a persone prive di qualsiasi malattia mentale, ricoverate per decenni in manicomio; quanti pregiudizi hanno im-pedito agli stessi cittadini di svolgere una funzione critica o di impegno attivo nel settore. La stessa politica quanto ha sfruttato, in termini clientelari e affaristici, i manicomi? Eppure esperienze positive ci sono state, e sono tante, e tanti sono gli operatori, i cittadini e le famiglie che hanno creduto ed operato nella chiusura dei manicomi e nella realizzazione del-le strutture alternative. Vorremmo a tale proposito segnalare che: - esiste un patrimonio straordinario di medici, infermieri, ope-ratori, che hanno creduto nella chiusura dei manicomi, che si so-no adoperati per essa e si sono impegnati fino in fondo in questa positiva sfida lanciata dal Parlamento già alla fine del 1994; - in alcune realtà si è diffusa una capillare rete di servizi territoriali che hanno sperimentato percorsi fruttuosi di preven-zione, di cura, di riabilitazione e che hanno saputo interagire - con i tempi e le modalità di chiusura previsti dalla legge - per preparare e assistere in strutture alternative i degenti; - ha preso corpo una rete di associazioni, gruppi di volontariato e cooperative sociali che, in collaborazione con le strutture pubbliche, hanno saputo realizzare case-famiglia, comunità-alloggio, centri di accoglienza in grado di garantire il successo di quei pochi positivi interventi di chiusura degli ex o.p.
Il finanziamento del progetto obiettivo
La mancanza di finanziamenti finalizzati alla realizzazione delle strutture alternative, presupposto per l'attuazione del processo di chiusura, è stata indicata come una delle principali cause del ritardo: in questa prospettiva sono state ritenute inadeguate le disposizioni della legge n. 724 del 1994, nella parte in cui pre-vedono che i proventi derivanti dalla cessione degli immobili se-de degli ex o.p. devono essere destinati al finanziamento del progetto obiettivo nazionale, ancorché modificate dalla legge n. 662 del 1996, in quanto le aree in oggetto sarebbero di difficile collocazione sul mercato. E' tuttavia opportuno ricordare che la legge n. 662 non si è limitata ad ampliare le fattispecie cui ri-correre per messa a reddito delle aree ex o.p., ma ha anche e-splicitamente consentito di attingere ai fondi previsti dall'ar-ticolo 20 della legge finanziaria per il 1988, la legge n. 67 del 1988, riconoscendo prioritari i progetti per la realizzazione dei centri diurni e delle strutture alternative. Dall'esame dei progetti di chiusura dei singoli o.p. risulta pe-raltro che in pochissimi casi, come quello di Colorno (Parma), sia stata attivata la citata disposizione della legge n. 724. In aggiunta alle difficoltà connesse alla mancanza di finanzia-menti specifici, è emerso che il sistema attualmente vigente per il finanziamento degli o.p. costituisce esso stesso un elemento di freno al processo di chiusura. Alla Commissione è stato per-tanto suggerito di prevedere la creazione di una sorta di budget personale dei pazienti dimessi dagli istituti, una specie di quo-ta capitaria individuale, da attribuire alla azienda sanitaria che ne assume, per competenza, il carico ovvero di individuare una soluzione che consenta contestualmente la riconversione delle strutture e della spesa, con particolare riferimento alle rette di degenza destinate agli ex o.p. privati. Un ulteriore elemento di ambiguità da sciogliere riguarda la partecipazione alla spesa da parte dei degenti, attesi, in particolare, gli atteggiamenti, di dubbia legittimità, assunti da alcuni istituti, come l'ospeda-le S. Martino di Como che procede ad introitare le pensioni dei degenti, trattenendone una quota, a titolo di retta, il cui uti-lizzo è stato bloccato dalla competente azienda USL, circostanza per la quale sono stati presentati ricorsi al TAR. L'associazione dei familiari dei degenti dell'istituto in questione ha proposto la creazione di una fondazione per la realizzazione del progetto-obiettivo. La proposta di regolamentare l'utilizzo delle risorse proprie dei degenti per migliorare la qualità dell'assistenza o, ad esempio, per consentire l'acquisto di suppellettili che per-mettano la personalizzazione degli ambienti è stata sollecitata da più parti.
Le strutture alternative
Le linee guida per la chiusura degli o.p. stabiliscono che i pa-zienti dimessi dagli stessi, distinti in tre diverse categorie individuate in relazione alla patologia prevalente - psichiatri-ca, disabilità, geriatrica, - devono essere indirizzati verso le seguenti strutture di accoglienza: a) strutture con tipologie di tipo familiare, cioè i gruppi ap-partamento o le comunità alloggio, da destinare a soggetti con patologia e disabilità che non richiedono assistenza sanitaria e riabilitativa di lungo periodo (pari al 20% ca. dell'attuale po-polazione degli o.p.). La gestione delle comunità alloggio, per la quale si ammette il concorso degli assistiti alla partecipa-zione alla spesa da parte dei degenti, dovrebbe essere, secondo una tesi, affidata ad una pluralità di soggetti, nell'ottica di una piena integrazione tra sociale e sanitario; mentre, secondo un'altra tesi, da non condividere, dovrebbero essere considerate strutture di carattere sanitario, da inserire nell'ambito del DSM e non affidate agli enti locali; b) comunità terapeutiche riabilitative, da destinare a soggetti che necessitano di interventi mirati alla riabilitazione psichiatrica e di reinserimento sociale (pari al 40-50% ca. dell'attuale popolazione degli o. p.). Si tratta di strutture a carattere sanitario gestite direttamente dal DSM, allocate preferibilmente al di fuori delle aree o.p.. In questo caso si deve stabilire, in coerenza con le ultime norme, di non utilizzare le aree ex o.p.; c) RSA geriatriche e per disabili, strutture a carattere sanita-rio, da destinare a soggetti anziani e disabili che hanno bisogno di interventi assistenziali e riabilitativi, da gestire in stret-to collegamento con il DSM (pari ad un terzo della popolazione attuale degli o.p., corrispondente alla fascia più giovane). Sono queste strutture particolarmente a rischio poiché la mancanza di esperienze pubbliche potrebbe determinare l'attivazione di strut-ture private, nelle quali in teoria sono possibili livelli di as-sistenza anche superiori a quelli delle strutture pubbliche, ma dove i controlli non possono che essere inferiori. Si pone pertanto la necessità di verificare la concreta e corretta realizzazione delle strutture alternative, promuovendo in particolare la realtà del privato-sociale in integrazione con le strutture pubbliche. Inoltre, la realizzazione delle strutture di accoglienza pone al-cune questioni relative ai tempi e ai finanziamenti nonché ai luoghi, cioè alla possibilità di utilizzare le aree o.p. per la loro realizzazione, alla definizione dei requisiti minimi di na-tura non solo strutturale e tecnologica, ma anche di carattere organizzativo ed assistenziale, accompagnata dalla individuazione di indicatori di qualità. Il pericolo più grave relativo alle strutture di accoglienza è quello della riproduzione all'interno degli immobili sede di o.p. di piccoli manicomi. Nonostante l'in-dirizzo legislativo teso ad evitare il riutilizzo delle strutture per i servizi di assistenza al disagio mentale, i piani regionali dimostrano come questa soluzione sia frequentemente adottata e la norma legislativa sostanzialmente elusa. Il problema di fondo è, perciò, quello di rafforzare le disposizioni normative esistenti per escludere del tutto che le strutture di accoglienza riprodu-cano la logica manicomiale. A tal fine sembra opportuno richiamare lo scandaloso caso dell'ex o.p. di Agrigento dove una fantomatica ristrutturazione delle a-ree interne ha consentito e consente tuttora non solo la conti-nuazione degli interventi di assistenza psichiatrica residenziale a favore dei vecchi degenti, ma addirittura l'ammissione di nuovi pazienti. E' stata inoltre sottolineata la necessità di considerare tutte le strutture di accoglienza ad esaurimento, di prevedere strumen-ti di verifica, da utilizzare nelle ispezioni, di aprire i luo-ghi, estendendo a questa realtà i poteri ispettivi dei parlamen-tari attualmente previsti per le carceri. La realizzazione delle strutture alternative si collega stretta-mente al tema dell'organizzazione dei servizi psichiatrici sul territorio che, in base al progetto - obiettivo nazionale, fanno perno sul DSM - Dipartimento di salute mentale - e si articolano nei CIM - Centri di igiene mentale - per l'assistenza ambulato-riale, mentre gli interventi di tipo ospedaliero sono rimessi a-gli SPDC - Sevizi psichiatrici di diagnosi e cura - istituiti presso gli ospedali generali. L'adeguamento delle strutture territoriali ai parametri stabiliti dal progetto-obiettivo nazionale, secondo il Ministero della Sa-nità, è stato quasi raggiunto, con la sola eccezzione degli SPDC. Dal complesso delle audizioni emerge, tuttavia, la necessità di assicurare al DSM una regolamentazione uniforme sul territorio nazionale, riconoscendo al dipartimento un autonomo budget. Molto forti le critiche espresse dalle associazioni delle fami-glie che hanno segnalato l'assenza di strutture per la nuova cro-nicità, denunciando l'assoluta carenza dei servizi, che dovrebbe-ro essere, invece, chiamati ad operare 24 ore su 24. Una risposta in questa prospettiva dovrebbe essere data dal nuovo progetto-obiettivo nazionale, da elaborare come atto unico di riorganizza-zione della psichiatria, senza fratture tra il processo di supe-ramento del residuo manicomiale e la ristrutturazione dell'assi-stenza psichiatrica sul territorio.
Il personale
Non esistono dati precisi relativi al numero delle persone at-tualmente occupate presso gli ospedali psichiatrici: secondo al-cune stime i dipendenti degli istituti variano tra i 3mila ed i 5mila: per questi, in larga parte istituzionalizzati loro stessi, si pone indubbiamente un problema di riconversione e di riquali-ficazione professionale per evitare che la difesa del posto di lavoro rappresenti un oggettivo freno all'attuazione del processo di chiusura. Sia per il personale pubblico sia per quello privato, per il qua-le la questione si pone in termini di maggiore difficoltà, da parte dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali sono sta-ti suggeriti percorsi di riqualificazione professionale per la mobilità in grado di promuovere, per l'area del privato, anche una riconversione delle strutture, escludendosi la possibilità di risolvere il problema del personale attraverso il ricorso agli ammortizzatori sociali, quantomeno a quelli di tipo tradizionale. Non sussisterebbero, invece, problemi di natura contrattuale re-lativi agli inquadramenti, sebbene sovente nel privato persone con requisiti inferiori sono adibiti a mansioni di tipo superio-re. A fronte di tale esigenza di riqualificazione e di riconversione del personale attualmente dipendente dagli o.p., si registra una grave carenza di organico nei servizi psichiatrici territoriali, stimata in circa 4mila unità.
Conclusioni
La Commissione ha dovuto prendere atto che il processo di chiusu-ra è stato appena avviato e presenta numerose ambiguità e ha ma-turato il convincimento che esistono alcuni pericoli da evitare assolutamente. In particolare è necessario evitare di: - "scaricare" le persone che vivono ancora dentro gli ex o.p. al loro destino (o scaricarli alle famiglie, quando ci sono), per dimostrare formalmente la chiusura dei manicomi prescindendo da percorsi personalizzati e reali di cura, riabilitazione e reinse-rimento; - adeguarsi alle "false chiusure". In molti ex o.p. è in atto un processo di ristrutturazione che vuole semplicemente rimodernare i vecchi padiglioni e mantenere in questi contesti i vecchi de-genti. In qualche caso si vuole addirittura paradossalmente apri-re ai nuovi ricoveri attraverso le cosiddette comunità riabilita-tive; - utilizzare sempre le stesse strutture e le aree manicomiali per fare RSA per i degenti anziani e per i portatori di handicap de-gli ex o.p., anche al di là della regolamentazione prevista dalle linee guida del Ministero della Sanità. Anche in questo caso si commetterebbe un tragico errore che non modificherebbe sostan-zialmente la condizione di vita di queste persone; - avviare percorsi di chiusura senza preparare adeguatamente il trasferimento in strutture alternative. E' necessario prestare molta attenzione a non ricreare dei "piccoli manicomi" in luoghi diversi dagli ex o.p., altrettanto istituzionalizzati; - scaricare i degenti degli ex o.p. in strutture private che non hanno alcun requisito alternativo agli ospedali psichiatrici. Questa scorciatoia viene spesso utilizzata pur di chiudere formalmente gli ex o.p. oppure, cosa ancor più grave, per garantire interessi locali che mirano a trasformare l'evento chiusura in un giro di affari; - utilizzare a fini speculativi il patrimonio degli ex o.p. oppu-re abbandonarli a se stessi senza trarne quel reddito che è ne-cessario per essere reinvestito nel settore della salute mentale; - favorire la tragica contrapposizione fra gli interessi degli attuali ricoverati negli ex o.p., che si riverseranno nelle scarse e deboli strutture territoriali alternative, e la nuova utenza, og-gi molto vasta e con poche opportunità di cura e di riabilitazio-ne. La Commissione ritiene di poter individuare nei seguenti punti gli elementi costitutivi di un percorso di sostegno al processo di chiusura degli ospedali psichiatrici: -monitoraggio dei pazienti, ovunque domiciliati, provenienti da-gli ex ospedali psichiatrici a decorrere dal 1994; - personalizzazione dei percorsi di dimissione, degli inserimenti nelle strutture alternative, provvedendo adeguatamente al reinse-rimento sociale e lavorativo; - costruzione di un sistema di rete dei servizi, a partire dal DSM; - promozione di una forte integrazione degli interventi nei set-tori sociali e sanitario, considerata l'impossibilità di separare nettamente i due ambiti di intervento in un campo come il disagio mentale, per ciascun momento di prevenzione, cura, riabilitazio-ne, reinserimento sociale e lavorativo. A tal fine appare fonda-mentale il rapporto con gli enti locali per definire strategie comuni in grado di valorizzare i rispettivi ruoli all'interno di una logica di lavoro integrato e a rete; - riconoscimento del ruolo strategico del rapporto con il privato sociale, da rendere compartecipe nei momenti della progettazione e della verifica dei risultati e da non considerare come "manova-lanza a basso costo". Le cooperative sociali possono essere la risposta più profonda e più seria sul territorio per l'offerta di una svariata gamma di servizi, in particolare per il reinserimen-to lavorativo; - avvio di un percorso di riqualificazione del personale prove-niente dagli ex ospedali psichiatrici, consentendo agli operato-ri, su richiesta, di transitare in altre strutture del servizio sanitario; rafforzamento dei profili professionali degli operato-ri sanitari e sociali dell'area del disagio mentale al fine di potenziare i servizi e migliorare la qualità degli interventi; - modificazione della disciplina dell'interdizione dei degenti degli ex ospedali psichiatrici, consentendo l'utilizzo dei loro redditi, spesso giacenti presso depositi bancari o postali, per la loro assistenza e per le loro esigenze personali; - adozione di un nuovo progetto-obiettivo che definisca metodi e tempi di intervento a supporto delle regioni, delle aziende sani-tarie locali, che indichi i livelli minimi uniformi di assistenza allo scopo di evitare intollerabili disparità sul territorio na-zionale e fornisca indicazioni certe per il potenziamento delle strutture alternative; - riqualificazione della spesa storica, adeguando i sistemi di finanziamento per le terapie del disagio mentale, liberando le risorse previste dalla legge n. 724 del 1994, come modificata dalla legge n. 662 del 1996, evitando l'utilizzo delle aree ex o.p. per strutture d'intervento sul disagio mentale; - previsione, nella finanziaria per il 1998, di disposizioni che da un lato penalizzino chi non si è ancora adeguato alla normati-va vigente e dall'altra premino chi ha realmente chiuso le strut-ture, fermi restando la vigilanza ed il controllo sulle "false chiusure"; - presentazione di relazioni semestrali da parte delle aziende sanitarie locali, delle regioni e del Ministero sullo stato di attuazione della chiusura e sugli interventi in atto; - revisione della organizzazione e del funzionamento dell'Osser-vatorio per la salute mentale, adeguandone la struttura operativa e di supporto alla possibilità di svolgere compiti di reale veri-fica e controllo; prevedendo, a sostegno dell'attività di monito-raggio, lo svolgimento di conferenze nazionali e regionali; - predisposizione di un nuovo progetto per gli ospedali psichia-trici giudiziari, per superare la logica manicomiale, mantenendo i dovuti livelli di sicurezza per i cittadini, e garantire il ca-rattere umanitario della pena ed il recupero sociale del detenu-to; - elaborazione delle linee guida sulle terapie in psichiatria, evitando il ricorso all'elettrochoc e all'abuso di farmaci, in particolare di quelli retard, soprattutto nelle strutture private dove i controlli sono più evanescenti; - sostegno alle famiglie che non devono essere lasciate sole nel-la presa in carico dei problemi del disagio mentale, attuando nel comtempo piani di dimissione che tengano conto della espressa vo-lontà del malato. Infine allo scopo di assicurare uno strumento agile di controllo politico e parlamentare sul processo di chiusura, la Commissione ritiene opportuno procedere alla istituzione di un Comitato per-manente che possa continuare l'azione iniziata con questa indagi-ne conoscitiva e mantenere costante l'attenzione sui problemi del disagio mentale.
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