Equità e diseguaglianze nella salute
Riprendiamo dal capitolo 2 “Le nuove frontiere della promozione
della salute”, il paragrafo (p. 115-123) dedicato al tema dell’uguaglianza nella
salute; in “Relazione sullo stato sanitario del Paese 1999”, a cura del Ministero
della sanità, Roma 2000.
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I poveri, le persone meno istruite, quelle di bassa classe sociale, si ammalano
di più e muoiono prima. Si tratta di una constatazione comune in tutti i paesi
sviluppati che continua ad essere tollerata dai più e che scandalizza pochi.
Eppure essa dovrebbe interpellare seriamente le politiche di un paese. Infatti
una parte di queste diseguaglianze dovrebbe essere considerata evitabile e quindi
ingiusta e non accettabile. Inoltre, le diseguaglianze nella salute sono una
testimonianza concreta che un consistente miglioramento della salute di tutta
la società potrebbe essere raggiunto riducendo il carico di malattie dei gruppi
più svantaggiati, con un possibile beneficio anche nei carichi assistenziali
richiesti al sistema delle cure. Il Piano sanitario nazionale 1998-2000 ha raccolto
questi argomenti e li ha tradotti in una autorevole proposizione di principio
che sovrintende a tutti gli obiettivi di salute e di assistenza che esso propone
(Ministero Sanità, 1998). Tutta l'equità che è possibile raggiungere nella salute
e che è doveroso garantire nell'assistenza debbono essere perseguite esplicitamente
da ogni programma del sistema sanitario e sociale nel suo complesso, a tutti
i livelli di responsabilità, nazionale, regionale e locale, professionali e
delle forze sociali. Ma quale è lo stato delle diseguaglianze in Italia con
cui dovranno misurarsi le politiche che nasceranno dal Piano?
La mortalità: diseguaglianze regolari, intense e crescenti
I dati di mortalità dimostrano diseguaglianze intense e regolari sia negli
studi su base individuale e longitudinale (Cardano et al. 1999; Merler et al.
1999; Faggiano et al. 1999), sia in quelli su base geografica aggregata (Michelozzi
et al. 1999; Cadum et al. 1999). L'eccesso totale delle morti che avvengono
in una città come Torino e che sono attribuibili alle differenze sociali negli
anni Novanta, corrisponde all'incirca all'effetto cumulativo di un incidente
aereo grave che si ripetesse ogni tre settimane.
Queste diseguaglianze si osservano su tutte le dimensioni della struttura demografica
e sociale: a parità di età, il rischio di morire è più alto tra i meno istruiti,
nelle classi sociali più svantaggiate, tra i disoccupati, tra chi abita in case
meno agiate e in quartieri più degradati, tra chi vive solo o in situazioni
familiari meno protette. Ma tale fenomeno non interessa solo le fasce estreme
più svantaggiate delle popolazione: su ogni dimensione che sia misurabile su
di una scala ordinale, si osservano vantaggi nel rischio di morte tra le posizioni
superiori rispetto a quelle immediatamente inferiori.
L'andamento nel tempo delle diseguaglianze è piuttosto sconfortante: solo tra
i bambini e tra i ragazzi esse tendono a ridursi, mentre nei neonati, tra gli
adulti e tra gli anziani tendono a conservarsi se non ad allargarsi, su tutte
le dimensioni considerate. Questa tendenza è il risultato di un rischi di morte
che si riduce nel tempo più rapidamente tra le persone in posizioni più avvantaggiate
di quanto non accada tra le persone più svantaggiate, che talora vedono addirittura
peggiorare il loro profilo di salute. In termini di tassi di mortalità standardizzati
per età, a Roma nel 1990-92 la differenza di mortalità tra le classe sociale
più alta e quella più bassa era di circa 106 morti per 100.000 abitanti per
anno tra gli uomini, e di 18 tra le donne; nel 1993-95 la differenza era di
circa 178 per gli uomini e di 46 per le donne, tra le quali la diseguaglianza
era dovuta sia ad un decremento di mortalità della classe sociale più alta (-3,1%),
che ad un aumento di quella più bassa (+2,6% (Michelozzi, 1999). In media tuttavia,
il reddito, l'istruzione, la posizione sociale delle persone sono migliorate
in questi anni e le persone confinate negli strati sociali più svantaggiati
sono sempre di meno. Questo fa si che diseguaglianze relative nella salute che
crescono non si riflettono sulla speranza di vita media che continua ad aumentare
(ISTT, 1999).
In questo quadro bisogna considerate che sono assenti dalle statistiche ufficiali
delle popolazioni italiane quei gruppi di popolazione immigrata, soprattutto
illegali, che vivono privi di diritti di cittadinanza, in condizioni di estremo
disagio sociale, con conseguenze sfavorevoli sulla salute che non possono ancora
essere registrate dalle fonti informative e statistiche correnti.
Praticamente quasi tutte le cause di morte sono interessate da queste diseguaglianze,
con particolare evidenza per quelle correlate a stili di vita insalubri (tumore
del polmone e fumo; cirrosi ed alcool), a lunghe carriere di povertà e svantaggio
(malattie respiratorie o tumori dello stomaco), a problemi di sicurezza (infortuni
sul lavoro tra gli adulti e incidenti stradali tra i giovani e infortuni domestici
tra gli anziani), a problemi di disagio sociale (dipendenza da droghe tra i
giovani, suicidio tra gli anziani), a problemi psicosociali di stress (malattie
ischemiche del cuore), a problemi di emarginazione dei malati (malattie psiconervose),
e, infine, a problemi di accesso all'assistenza sanitaria (morti evitabili).
Le età critiche sono quelle dei giovani: fino a poco tempo fa essi erano poco
interessati dalle diseguaglianze nella salute, mentre oggi l'epidemia delle
morti correlate alla droga colpisce soprattutto i giovani socialmente svantaggiati.
L'età mostra le diseguaglianze più intense soprattutto tra gli uomini; mentre
tra gli anziani sono le donne a presentare le diseguaglianze più intense. Svantaggi
estremi nel rischio di morte si osservano tra i gruppi più deprivati i disoccupati
di lungo corso, quelli senza morse e credenziali educative da spendere, quelli
che vivono in abitazioni, ambienti, quartieri particolarmente disagiati, quelli
soli o in situazioni familiari insostenibili, soprattutto se provenienti dal
Sud, con più di una difficoltà, economica o di cura di un familiare con problemi.
Fenomeni di marginalizzazione sociale delle persone più malate sono misurabili,
ma non sono di intensità e frequenza tale da influenzare il quadro delle diseguaglianze
nella mortalità. In conclusione, nel rapporto tra mortalità e disuguaglianze
sociali, sembrano convivere e compenetrarsi due meccanismi, uno di intensità
moderata, che genera differenze nella salute lineari e regolari che si manifestano
ad ogni livello della scala sociale, ed uno più intenso che si manifesta nelle
fasce più deprivate e coincide con i processi e con le traiettorie di vita caratterizzate
da insicurezza e che portano all'emarginazione sociale ed economica.
Stato di salute e stili di vita: diseguaglianze coerenti e relazioni plausibili
L'indagine ISTAT sulla salute del 1994 documentata, estesamente, come le differenze
sociali nella mortalità prematura non siano altro che l'ultima manifestazione
di diseguaglianze che interessano in profondità sia gli stili di vita pericolosi
per la salute, sia le manifestazioni morbose croniche e la disabilità che ne
consegue, sia la percezione soggettiva del proprio stato di salute (Vannoni
et al., 1999).
Il quadro delle diseguaglianze che emerge è sostanzialmente sovrapponibile per
direzione e ordine di grandezza a quello misurato con gli stessi indicatori
negli anni ottanta (Faggiano et al., 1999), anche se una vera analisi dell'andamento
temporale delle diseguaglianze sociali in questi indicatori non è ancora stata
eseguita.
Le differenze sociali nella mortalità e nella disabilità riferita, stanno a
documentare che gli svantaggi nella salute cominciano ben prima della morte
e che i due-tre anni di speranza di vita che separano gli estremi della scala
sociale nel nostro paese, potrebbero diventare molti di più se si dovesse misurare
la speranza di vita indenne da malattie croniche o da disabilità (Volkonen,
1997).
Il profilo sociale delle differenze nei fattori di rischio o di protezione misurati
dall'indagine, consente di identificare alcuni dei meccanismi che mediano l'azione
delle diseguaglianze sulla salute. Il sovrappeso è un esempio di fattore di
rischio, condizionato sia biologicamente sia con l'alimentazione, che è distribuito
in modo molto diseguale, in particolare tra le donne, e che contribuisce a spiegare
le profonde diseguaglianze che si osservano nella morbosità e nella mortalità
femminile per malattia cardiovascolare e per diabete. Il fumo è un esempio di
fattore di rischio comportamentale, a libertà di scelta condizionata, la cui
distribuzione sociale è molto diseguale tra i maschi; i maschi meno istruiti
e di bassa classe sociale sono interessati da una epidemia di morti e malattie
correlate al fumo, che non accenna ad interrompersi; mentre i soggetti più istruiti
e di alta classe sociale cominciano ad uscirne perché più sensibili all'informazione
e agli interventi per smettere di fumare. Anche tra le donne meno istruite,
finora passate indenni attraverso l'epidemia da fumo maschile, che pur aveva
iniziato a contagiare le donne più emancipate e istruite, si cominciano ad osservare
allarmanti indici di inversione di tendenza. Infine si può considerare la propensione
a usare test di screening per i tumori femminili, un esempio di fattore protettivo
per la salute, un fattore che segue una distribuzione sociale molto diseguale,
a testimonianza di come le diseguaglianze nella mortalità possono essere correlate
agli ostacoli all'accesso o alle resistenze nell'adesione a programmi di screening.
L'accesso e l'uso delle cure: diseguaglianze plausibili ma inaccettabili
Ma quali effetti ha il sistema sanitario italiano sulle diseguaglianze delle
condizioni di salute? Un sistema sanitario nazionale equo dovrebbe garantire
interventi di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione inversamente promozionali
ai livelli di salute della popolazione e delle singole persone: peggiori sono
le condizioni di salute, maggiori dovrebbero essere le risorse per il sistema
sanitario e più alti i livelli quantitativi e qualitativi dell'intervento erogato.
Tre sono i punti critici dove si possono generare diseguaglianze determinate
o modificabili dal sistema sanitario:
· La percezione del bisogno e l'espressione della domanda, a parità di condizioni
reali di salute;
· L'offerta e l'accessibilità dei servizi, a parità di domanda espressa;
· La qualità e l'efficacia delle prestazioni, a parità di accesso.
Anche nel nostro paese emergono indizi preoccupanti di queste diseguaglianze
nella salute a diretto carico dell'assistenza sanitaria (Materia et al., 1999;
Rapati et al., 1999; Rosso et al., 1997).
Ammalarsi di tumore a prognosi non sfavorevole, a Torino alla fine degli anni
ottanta comportava una probabilità di sopravvivenza molto diversa a seconda
della posizione sociale (Rosso et al., 1997). Ad esempio, un caso di tumore
dell'intestino in una persona poco istruita aveva un 50% in più di probabilità
di non sopravvivere a cinque anni rispetto ad un caso analogo in persona più
istruita. Molte spiegazioni sono compatibili con questo riscontro: una diversa
precocità di presentazione del caso alla diagnosi, un ritardo di accompagnamento
alla cura, una differente appropiatezza della cura, una diversa propensione
a guarire anche per la presenza di malattie concomitanti. Molte di queste spiegazioni
interpellano la responsabilità del sistema sanitario.
Alcuni esempi più diretti di diseguaglianze nell'accesso ai servizi sanitari
sono documentati nel Lazio per gli anni novanta. La prevalenza di persone con
insufficienza renale grave è maggiore nelle classi sociali più basse, ma a Roma
la probabilità di ricevere un trapianto renale e più che doppia nelle persone
laureate rispetto a quelle con bassi livelli di istruzione (Rapiti et al., 1999).
L'incidenza di ricoveri per infarto miocardico tra gli uomini è, a Roma, nella
classe sociale inferiore più elevata del 57% rispetto alla classe sociale più
alta, ma l'incidenza di interventi di by-pass aorto-coronarico non è diversa
per classi sociale, con la conseguenza che si verificano più di 10 by-pass ogni
100 infarti nella classe sociale più alta e solo 7 in quella più bassa (Rapiti
et al., 1999).
La sopravvivenza delle persone con AIDS, a Roma, negli anni novanta, non mostra
differenze per livello socioeconomico fino al 1995. Con la disponibilità dal
1996 in poi di nuove terapie antiretrovirali, compare una forte gradiente a
favore delle persone di più alto livello socioeconomico. Questa diseguaglianza
si concentra in ospedali dove la reale copertura con le terapie efficaci potrebbe
essere differente a seconda della posizione sociale del malato (Rapiti et al.,
1999).
Ma anche tra coloro che riescono ad accedere a servizi efficaci ed appropriati,
emergono segnali di diseguaglianze nella qualità e nell'efficacia delle cure.
A parità di severità delle condizioni di salute, di caratteristiche cliniche
e chirurgiche ed indipendentemente dal luogo di cura, le persone di classe sociale
più bassa sottoposte a by-pass aorto-coronarico, a Roma, hanno una mortalità
a 30 giorni circa2,5 volte maggiore di quella delle persone della classe sociale
più alta (Rapiti et al., 1999).
Il rischio che un ammalato, utente del sistema ospedaliero, sia vittima di un
intervento inappropiato nel Lazio cresce con l'abbassarsi della posizione sociale
(Materia et al., 1999). Emergono segnali significativi di una marcata vulnerabilità
dei gruppi sociali più deboli all'offerta ed al consumo vulnerabilità dei gruppi
sociali più deboli all'offerta ed al consumo di prestazioni inefficaci ed inappropiate.
Tanti indizi di questa natura cominciano ad essere una prova; il sistema sanitario
partecipa del sistema sociale in cui è inserito; se la struttura sociale è fatta
in modo da generare diseguaglianze, non deve stupire che possa contribuirvi
anche il sistema sanitario, che ne fa parte integrante. Tuttavia al sistema
sanitario è richiesto anche di opporsi a questi meccanismi e alle loro conseguenze.
Diseguaglianze nella salute in Europa: un tema comune con alcune variazioni
Un recente studio di comparazione tra i paesi europei ha dimostrato che negli
anni ottanta le diseguaglianze sociali nella morbosità e nella mortalità erano
un tratto comune nei paesi dell'Unione Europea, ma con significative variazioni
di intensità. In un ordinamento dell'intensità delle diseguaglianze l'Italia
si collocava in un rango intermedio, per quanto riguarda la morbosità, e in
un rango basso per quanto riguarda la mortalità (Mackenbach et al, 1997). Le
principali variazioni riguardavano il peso delle malattie cardiovascolari: nei
paesi del nord E>uropa queste voci nosologiche spiegavano gran parte delle diseguaglianze,
mentre nei paesi del sud esse non presentavano differenze sociali significative.
Ad esempio tra gli uomini italiani i lavoratori manuali, confrontati con quelli
non manuali, presentavano eccessi modesti di mortalità per malattie ischemiche
del cuore (RR 1.35, IC 95% 0.97-1.88, tra i 30 e i 44 anni: RR 1.08, IC 085-1.22,
tra i 45 e i 59 anni) (Kunst et al, 1999). (Gli altri paesi europei dell'area
latina mostravano anch'essi diseguaglianze lievi o assenti, contrariamente ai
paesi del nord Europa nei quali i lavoratori manuali avevano una mortalità per
malattie ischemiche molto più alta dei lavoratori non manuali(RR da 1.42 in
Irlanda a1 1.91 in Finlandia sotto i 45 anni e tra 1.23 in Irlanda e 1.47 in
Finlandia oltre i 45 anni). Al contrario, le malattie cerebrovascolari tra gli
uomini 45- 59 anni presentavano diseguaglianze significative in tutti i paesi
europei, compresi quelli del area latina (Kunst et al, 1998).
Le diseguaglianze sociali nelle malattie cardiovascolari corrispondevano in
modo abbastanza fedele alle differenze nella distribuzione dei fattori di rischio
come il fumo, l'ipertensione, l'alimentazione misurati nello stesso studio europeo
comparativo (Mackenbach et al, 1997).
La spiegazione più verosimile per questo divario nord sud Europa, potrebbe essere
il ritardo nel cross-over delle diseguaglianze sociali : all'inizio dell'epidemia
di malattie ischemiche del cuore, contemporanea allo sviluppo delle moderne
società occidentali, sono state le classi sociali avvantaggiate a presentare
il rischio più alto di questa malattia per via degli stili di vita tipici dello
sviluppo, mentre, più avanti nel tempo, l'epidemia si è estesa alle posizioni
sociali più svantaggiate; il rischio tra i più ricchi e ed istruiti è migliorato
per una maggiore attenzione agli stili di vita più sani. Questo fenomeno è stato
dimostrato negli anni '50 e '60, prima negli Stati Uniti e poi nel nord Europa;
è possibile che lo stesso fenomeno sia in ritardo nel sud Europa?
Non c'è ragione di pensare che in un paese come l'Italia, i poveri abbiamo dovuto
aspettare gli anni '80 per sapere e potere agire come nei paesi del nord: ad
esempio comprarsi più sigarette e cibi grassi; o nel caso dei ricchi, per conoscere
i rischi connessi a questi abitudini e modificarle. Può invece essere verosimile
che il valore culturale che si attribuisce a questi comportamenti, si sia trasformato
più rapidamente nei paesi del nord piuttosto che in quelli latini. Una spiegazione
alternativa potrebbe risiedere nel fatto che i paesi latini partirebbero da
un livello di base della mortalità cardiovascolare più basso che i paesi del
nord, per merito delle caratteristiche costitutive della loro alimentazione,
caratteristiche radicate piuttosto trasversalmente nella popolazione, e che,
quindi, offrirebbero una base molto più limitata per l'espressione delle differenze
sociali. Viceversa, le malattie cerebrovascolari, pur condividendo con le malattie
ischemiche del cuore molti dei fattori di rischio, mostrano diseguaglianze comparabili
a sud e a nord. Probabilmente in questo caso contano di più fattori di rischio
come il sovra-consumo di alcol e di sale e una minore capacità di controllo
dell'ipertensione, che sono più frequenti nei paesi del sud. Data l'importanza
di queste cause di malattia nella popolazione, una risposta a questi quesiti
è piuttosto importante per poter fare previsioni sull'andamento futuro delle
diseguaglianze nella salute e nella mortalità nel nostro paese.
Qualche spiegazione
Le cause delle diseguaglianze nella salute sembrano complesse da rappresentare.
In molti si sono esercitati a disegnare schemi concettuali capaci di riconoscere
tutte le possibili catene eziopatogenetiche che sono in grado di portare allo
svantaggio sociale nella salute in una società sviluppata, caratterizzata più
da meccanismi di deprivazione relativa che di deprivazione assoluta. Allo stato
attuale delle conoscenze, è più conveniente costatare questa complessità e confessare
che non si è in grado di dominarla con un unico modello di studio, che sia in
grado di catturare la responsabilità di singoli meccanismi causali e misurarne
l'intensità, per poter mettere alla prova misure atte a contrastarle. Infatti,
questa storia si gioca intorno a cinque elementi costitutivi strettamente intrecciati
tra di loro e che potrebbe anche essere letti in sequenza:
· La struttura sociale della società;
· Le biografie delle persone;
· La loro posizione sociale attuale;
· L'esposizione a fattori di rischio o di protezione;
· I risultati sulla salute di questo processo.
La struttura sociale è composta sia dal macrocontesto sia dal contributo più
locale in cui ogni persona spende le proprie opportunità per un progetto di
vita, che include anche la salute tra i suoi obiettivi e prerequisiti. Equità,
solidarietà e senso di sicurezza sono gli attributi di questo contesto che influiscono
sul progetto nel lungo e nel breve periodo. Nel lungo periodo, un macro contesto
favorevole o sfavorevole garantisce lo spazio vitale di sviluppo di una storia
di vita positiva o negativa di una persona. Nel breve periodo, i cambiamenti
di segno di questi attributi del macro contesto possono minacciare un ruolo
sociale acquisito con fatica e il suo capitale di salute: si pensi all'affetto
devastante e immediato che le trasformazioni della società dell'est hanno avuto
nel peggiorare la speranza di vita di tali popolazioni.
Le biografie delle persone registrano per primi i risultati della programmazione
biologica, quella per cui, a causa delle scadenti condizioni di vita e di nutrizione
in cui si cresce nel grembo materno e si nasce, si possono verificare ritardi
di maturazione dei tessuti che mostreranno i loro effetti lontano nel tempo,
in età adulta avanzata, con un aumento del rischio di malattie respiratorie,
cardiovascolari e metaboliche (Barker, 1994).
Alla programmazione biologica si associa la programmazione sociale, che si costruisce
nei primi anni di vita, là dove si struttura l'identità di una persona e si
sviluppa la capacità di gestire in sicurezza relazioni sociali e situazioni
di vita. Anche questa programmazione sociale manifesterà i suoi effetti a scoppio
ritardato lungo tutta la carriera della persona, nei vari ambienti sociali che
attraverserà, dandogli la possibilità di raccogliere e valorizzare le opportunità
e le risorse educative e di lavoro, e di reagire alle difficoltà della vita
senza conseguenze negative sulla salute e sui comportamenti. E' a questo livello
che possono nascere e strutturarsi comportamenti a rischio per la salute e per
la carriera sociale.
La posizione sociale di arrivo è già il risultato di questi processi, ma è anche
il punto di partenza che genera risorse ed opportunità per la persona e per
i suoi figli. E, a questo livello, si realizzano situazioni stressanti, capaci
di condizionare la salute di per sé o di rinforzare i comportamenti rischiosi
per la salute.
In questo modo si creano differenze nelle esposizioni a fattori di rischio fumo,
alcool, stress, alimentazione, dipendenze…) che costituiscono i mediatori eziopatogenetici
delle diseguaglianze nella salute; mediatori che possono instaurarsi nell'adolescenza
o svilupparsi in età adulta e agire su svantaggi biologici già strutturati nel
grembo della madre. L'asse temporale genere percorsi difficili da misurare,
percorsi che sono resi ancora più difficili dalla possibilità che uno stato
di salute alterato comprometta a sua volta le possibilità di carriera sociale
delle persone, agendo come fattore aggravante delle diseguaglianze nella salute.
Infine sui risultati di salute si esprimono le diseguaglianze nell'accesso a
cure efficaci e sicure che rappresentano un meccanismo causale tanto facile
da immaginare quanto difficile da riconoscere e perseguire.
E' in un quadro come questo che conviene riconoscere che non ci sono basi scientifiche
adeguate per lanciare soluzioni ottimali e univoche di contrasto delle diseguaglianze
nella salute: non c'è un trial d'intervento che sappia dimostrare l'efficacia
di una sola politica. Piuttosto, per giustificare le politiche, occorre valorizzare
le prove indirette di efficacia, cioè quegli studi che dimostrano relazioni
tra singoli elementi della complessa catena causale che porta alle diseguaglianze
sociali nella salute-
Quali politiche per contrastare le diseguaglianze nella salute?
Introducendo la lotta alle diseguaglianze nella salute tra i punti qualificanti
delle politiche sanitarie e sociali del patto per la salute, il Piano sanitario
nazionale 1998-2000 esige che ogni politica e non, che possa avere un riflesso
sulla salute si misuri con il problema delle diseguaglianze in modo esplicito.
Questo significa che ogni politica dovrà interrogarsi sull'esistenza di diseguaglianze
nel settore di sua competenza e dovrà pronunciarsi sul modo con cui intende
contrastarle, con il sistema sanitario in un ruolo di promozione e di monitoraggio.
Purtroppo non è affatto scontato che il sistema sanitario sappia svolgere questo
ruolo verso il quale non ha né consuetudine, né particolare propensione. E'
utile quindi aprire una riflessione su quali responsabilità e su quali azioni
spettino al sistema sanitario e su come questi abbiano dimostrato di funzionare
in altre esperienze. In generale si potrebbe dire che su questo tema, al sistema
sanitario competono:
· politiche di ricerca, informazione e patrocinio;
· politiche di correzione del sistema delle cure;
· concorso a politiche di promozione della salute;
· concorso a politiche di riduzione dei danni delle diseguaglianze sociali.
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