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Sulla Proposta di Piano socio assistenziale della Regione Marche
Gruppo Solidarietà
(indice Voce sul sociale)
(comunicato stampa)

Dopo una lunga attesa, lo scorso ottobre, la Regione Marche ha presentato la proposta di PSA; di seguito ne proponiamo i principali contenuti e un breve commento
A pochi mesi dalla scadenza della legislatura, la regione Marche ha presentato una Proposta di Piano Socio Assistenziale (PSA) che dovrà essere vagliata e definitivamente approvata dal Consiglio regionale. Il Piano (il primo della regione Marche) ha avuto un iter travagliatissimo; dopo un primo incarico affidato (più di cinque anni fa), dalla precedente amministrazione regionale alla Fondazione Labos, con la produzione di almeno tre elaborati, nel 1998 è stato azzerato tutto e riaffidato un nuovo incarico agli attuali estensori del Piano (Ugo Ascoli, coordinatore, Patrizia David, Cristiano di Francia, Pietro Santacroce).
Di seguito si riprendono, schematicamente, alcuni aspetti che paiono maggiormente significativi: a) gli assi portanti del Piano (cap. 8); b) gli ambiti territoriali (cap. 3); c) i Piani territoriali (cap. 5); d) la rete dei servizi essenziali (cap. 4).

La filosofia del Piano
Più volte viene rivendicata la novità del PSA (pp. 96-98, le sottolineature sono nel testo) caratterizzata dalla scelta universalistica "ben lontana da ogni approccio di tipo residuale-minimalista o peggio assistenzialistico. La rete dei servizi essenziali, a partire dall'Ufficio di promozione sociale fino ai servizi dell'emergenza, dovrà essere realizzata negli Ambiti territoriali per contrastare ogni possibile forma di 'disagio' e di 'bisogno'". L'obiettivo è il "miglioramento della 'qualità di vita' per tutte le persone che operano e vivono nei territori di riferimento (..) Gli assi portanti del Piano sono dunque da identificarsi nell'approccio universalistico, nell'enfasi promozionale (più che riparativa), nella scelta della sussidiarietà e nell'ottica del riequilibrio (..) Porsi in un ottica promozionale significa orientare tutti i servizi verso uno stesso obiettivo: rafforzare la sfera dell'autonomia della persona". Il PSA "nasce all'insegna della sussidiarietà verticale e delinea uno scenario in cui i Comuni occupano il centro della scena, come responsabili della rete e della programmazione dal basso tramite i Piani Territoriali (..) La Regione è chiamata a fissare i principali obiettivi da raggiungere e le regole comuni del gioco; programmazione, indirizzo e coordinamento sono i suoi compiti; rimane totalmente estranea alla costruzione della rete dei servizi su scala locale, salvo stimolare l'associazionismo tra i Comuni e l'innovazione progettuale".

Gli ambiti territoriali
"Obiettivo del Piano è la costruzione di un sistema integrato di interventi e servizi sociali. Tale obiettivo trova realizzazione in ambiti territoriali di dimensioni comprese tra 15.000 e 100.000 abitanti coincidenti in via preferenziale con le sedi di attuazione delle politiche sanitarie (..) Il modello di gestione che meglio appare funzionale alla attuale fase organizzativa (..) consiste nella predisposizione del bilancio sociale di area (BSA): da quelli più leggeri (convenzioni, accordi di programma), a quelli più strutturati (consorzi tra Comuni)" (pp. 58-59).
Ogni ambito deve essere dotato di una "rete di servizi essenziali"(cap. 4); l'ambito deve coincidere con i distretti sanitari o loro multipli; per ogni ambito territoriale verrà nominato un Coordinatore della rete dei servizi dell'Ambito Territoriale. La individuazione degli ambiti territoriali verrà predisposta mediante un atto della giunta regionale entro tre mesi dall'approvazione del Piano.
Agli Ambiti Territoriali sono assegnate le seguenti funzioni:
- raccordo tra Regione e Comuni (costituzione del Comitato dei Sindaci) ai fini della programmazione degli interventi;
- luogo di Coordinamento tra i Comuni e tra questi e altri soggetti pubblici;
- attuazione e verifica della programmazione regionale. I Comuni dell'A.T. "adottano il Piano Territoriale" degli interventi, nel quale prevedere la realizzazione della rete dei servizi essenziali;
- il livello sul quale ripartire il FSR (ripartito tra i singoli Comuni sulla base del pro-capite). Viene inoltre previsto un Fondo annuo incentivante pari al 10% del FSR per premiare i Comuni che presentano il P.T. e attraverso questi servizi innovativi. Tra i progetti innovativi viene annoverato l'istituzione di un Coordinatore della rete dei servizi;
- il livello dell'integrazione tra i servizi socio-assistenziali con quelli sanitari

Nota: Se la predisposizione del Piano Territoriale è obbligatoria così come l'istituzione del Coordinatore della rete dei servizi non si capisce perché la loro realizzazione viene incentivata. O sono facoltativi (e allora va cambiata la prima parte del testo) o sono obbligatori (e allora deve essere cambiato questo aspetto).

I Piani territoriali
Ogni A.T. dovrebbe essere dotato dei Servizi essenziali (previsti al capitolo 4). Il Piano territoriale sarà lo strumento che i Comuni utilizzeranno per la progettazione e realizzazione della rete essenziale dei servizi. Il "Piano è adottato mediante un accordo tra i comuni associati nelle forme previste dalla legge" (quale?) ed è "trasmesso alla giunta entro sei mesi dalla approvazione del Piano. Il "P.T. ha validità triennale. Gli A.T. che non hanno predisposto il Piano nel 2000 possono presentarlo l'anno successivo".

Nota: Gli A.T. verranno istituiti solo dopo un Atto della giunta regionale previsto entro tre mesi dalla approvazione del Piano; risulta pertanto impensabile che a sei mesi dall'approvazione del PSA sia possibile, da parte dei comuni degli ambiti, presentare il P.T. (forse per questo si specifica che chi non ha predisposto il P.T. può presentarlo l'anno successivo).

La rete dei servizi essenziali
"L'assolvimento delle funzioni e l'erogazione delle prestazioni avviene in regimi ed ambiti diversi: I regimi devono intendersi come luoghi di erogazione delle prestazioni (..). si identificano cinque aree organizzative delle prestazioni" (pag. 73):
Organizzazione delle prestazioni: a) Ufficio di promozione sociale (per bacini di popolazione di 10.000-15.000 abitanti; b) Servizi a domicilio, c) Servizi semi-residenziali, d) Servizi residenziali (residenze alberghiere, case famiglia, gruppi appartamento, residenze protette); e) Interventi per l'emergenza.
a) Ufficio di promozione sociale. Per 10-15.000 abitanti con 1 assistente sociale ed un operatore di supporto. Il personale viene reperito sulla base di intese ed accordi intercomunali.
b) I servizi a domicilio. Elencazione di possibili prestazioni (di carattere sociale, psicologico, di cura, ecc..) . Si accede alle prestazioni tramite l'ufficio di promozione sociale.
c) Servizi semi-residenziali. "Una serie di prestazioni possono essere convenientemente organizzate avvalendosi di strutture di ospitalità diurna"; questa definizione semplifica i contenuti di questo paragrafo che indica poi per ogni A.T. la presenza "di almeno una sede per attività diurne" (vedi nota).
d) Servizi residenziali. Si parla di: a) alloggi temporanei (per accoglienza di non autosufficienti totali o parziali per periodi di tempo limitati; il dimensionamento deve esser valutato sulla base di caratteristiche demografiche, gegrafiche, ecc..); le residenze protette (per non autosufficienti totali o parziali); le case famiglia, gli alloggi autogestiti (per queste due strutture nulla viene specificato). Si indicano poi i compiti di queste strutture (sorveglianza, tutela, riabilitazione, cura, animazione socializzazione). Si propone inoltre per ogni struttura residenziale anche l'attivazione di servizi diurni.
e) Interventi per l'emergenza. Per necessità economiche straordinarie, tutela ed assistenza a minori o non autosufficienti sprovvisti di assistenza familiare, per persone improvvisamente prive del loro alloggio.

Nota. In particolare su questa specifica parte si veda la nota del Coordinamento Volontariato Vallesina. Per quanto riguarda i servizi semi-residenziali, quando si passa dalla genericità ad indicazioni che vogliono sembrare più "vincolanti", si rischia di offrire contenuti alquanto preoccupanti. Quando si afferma che "ogni ambito deve disporre almeno di una sede per attività diurne (..) dove sia possibile organizzare attività programmando, nel caso di servizi polifunzionali, gli accessi in relazione ad esigenze di interventi specifici", forse non si valuta a sufficienza il rischio di proporre in questo modo dei veri e propri contenitori per situazioni molto differenziate. Così in una stessa struttura, naturalmente di ampie dimensioni, potrebbero essere "relegate" tutte le forme di disagio e di difficoltà di un territorio. Questo si che appare un approccio residuale, assistenziale e minimalistico. Anche riguardo i servizi residenziali nessuna specificazione viene fornita sul significato degli interventi previsti; solo vaghi riferimenti al concetto di "non autosufficienza". E' residuale specificare ad esempio cosa si intende per comunità alloggio indicando quale tipologia di utenti dovrebbe accogliere, il numero massimo degli stessi, il dimensionamento (sia in termini di struttura che di standard assistenziali)?; è minimalistico offrire specificazioni in merito ai servizi (specifici) ad esempio per persone handicappate, o per minori privi temporaneamente o permanentemente di sostegno familiare o per anziani autosufficienti o parzialmente non autosufficienti che ricorrono ai servizi residenziali.
Se il Piano, come afferma, intende promuovere una "progettazione dal basso", non si vede di quale ostacolo possa risultare la definizione di alcuni standard di funzionamento dei servizi. La continua ripetizione del modello ispiratore del Piano in contrasto con altri modelli ritenuti obsoleti sembra voler ricordare al lettore la grande novità di questo PSA. Ma non è detto che i contenuti siano all'altezza delle premesse.




Comunicato stampa
Dire troppo, dire poco, dire nulla. A proposito del Piano socio assistenziale della regione Marche (RSA)
(inizio pagina)
Il Coordinamento Volontariato della Vallesina, esprime profonda delusione nei confronti dei contenuti della proposta di Piano socio assistenziale (P.S.A) della regione Marche.
Il Piano (il primo della regione Marche), lungamente atteso, a giudizio del Coordinamento, si caratterizza per una genericità dei contenuti (a partire da punto 1.2 sulla "diffusione dei servizi socio-assistenziali e socio sanitari") che non offre alcuna "garanzia" di effettiva realizzazione di alcuni servizi essenziali per cittadini in particolare situazione di bisogno (gli utenti dei servizio socio assistenziali).
In particolare nel capitolo riguardante i servizi essenziali (cap. 4, "La rete dei servizi essenziali") ad esclusione degli "Uffici di promozione sociale", particolarmente deludente è la parte relativa ai servizi semi-residenziali e residenziali nella quale:
non viene data alcuna indicazione circa tipologie, standard di personale, dotazioni minime degli stessi;
non viene espressa una chiara scelta a favore di servizi che permettano il mantenimento nel proprio domicilio o quando essa non fosse possibile la scelta di realizzare piccole strutture residenziali con dimensioni che richiamino il modello familiare.

A parere di questo Coordinamento (attivo da oltre dieci anni) , il richiamo costante nel testo alla sussidiarietà e alla universalità delle prestazioni finisce per offrire indicazioni di alcun rilievo in merito agli effettivi servizi dei quali i soggetti più svantaggiati e deboli hanno bisogno. Così per evitare ogni approccio "minimalistico" o "residuale", nulla si dice su alcuni servizi fondamentali per alcune categorie di soggetti particolarmente svantaggiati (soggetti con gravi handicap intellettivi non avviabili al lavoro, minori privi di sostegno familiare, ecc..).

E' grave, ad esempio, che all'interno dei servizi semi-residenziali e residenziali da realizzare negli Ambiti territoriali (per la cui individuazione si rimanda, peraltro, ad un successivo Atto della giunta regionale da effettuarsi entro tre mesi;) non si ritenga necessario ed opportuno andare oltre la generica citazione del nome della struttura (ad es. case famiglia, alloggi autogestiti) o peggio, ad esempio, nei servizi rivolti a persone handicappate con gravi handicap intellettivi che non consentano idonee forme di inserimento lavorativo, non venga neanche nominato un servizio fondamentale sia per mantenere i livelli di autonomia acquisiti sia per evitare o ritardare l'istituzionalizzazione, quali i Centri socio educativi.
Se rilevazione dei servizi attualmente erogati è stata fatta si sarà notato come ad esempio riguardo ai Centri diurni per persone handicappate si è in presenza in ogni territorio di un sostanziale "fai da te" (vedi ad esempio il rapporto operatori/utenti). Fissare in un Piano socio assistenziale, senza rimandare ad ulteriori Atti, standard minimi di funzionamento (che sono a tutela degli utenti, notoriamente deboli, di questi servizi) significa chiedere troppo?
E' troppo pretendere da un Piano socio assistenziale (ma forse sarebbe opportuno a questo punto chiamarlo con altro nome), indicazioni circa gli standard di funzionamento o il dimensionamento, ad esempio, di una comunità alloggio per minori, o per persone handicappate?

Il Coordinamento Volontariato Vallesina nel ribadire un giudizio fortemente negativo sulla proposta di Piano auspica che sostanziali modifiche vengano apportate a questo Atto (per il quale il primo incarico è stato dato oltre cinque ani fa) se si vuole veramente che un provvedimento così importante risulti utile per le persone in maggior difficoltà.

Coordinamento Volontariato Vallesina

Jesi 28.10.1999