Gruppo Solidarietà |
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Gruppo Solidarietà (a cura di), Quelli che non contano. Soggetti deboli e politiche sociali nelle Marche Castelplanio 2007, p. 112, euro 10.00. Prefazione di Roberto Mancini La scrittura nelle sue varie forme - dal diario personale al romanzo, dal saggio alla sceneggiatura, dagli aforismi al manuale - è spesso una presentazione trasfigurata della soggettività di chi scrive, il suo specchio, le sue idee, il suo messaggio agli altri. Ciò che colpisce anzitutto in questo libro, invece, è che non si tratta tanto di un’espressione di sé da parte dell’autore, quanto di una scrittura scavata dall’interno dell’agire, radicata in relazioni reali, emergente dall’impegno civile e diretto nella cura verso quanti portano il peso della marginalità, della disabilità, della malattia mentale, della vecchiaia senza protezione. C’è un autore prevalente, e anche dei coautori, ma si tratta di persone che hanno imparato a decentrarsi, a non fare del proprio io il centro del mondo. E’ eloquente, da questo punto di vista, il fatto che non ci sia un sigillo di esclusività nella paternità del libro. Infatti gli autori, come accennavo, sono molti: Fabio Ragaini anzitutto, ma, con lui, l’intero Gruppo Solidarietà, che da quasi trent’anni opera nella provincia di Ancona nello spirito della realizzazione dei diritti umani, dell’accoglienza quotidiana, della pace attraverso la nonviolenza. Ciò a riprova di come un cammino di condivisione, anche se ha animatori senza i quali non potrebbe vivere, rimanga una realtà comunitaria aperta che non può riassumersi in un solo individuo. Quella di questo libro è una scrittura che, nella veste tecnica dei riferimenti a leggi, norme e strategie di politiche sociali, esprime la passione per la convivenza buona ed equa, quella nella quale ciascuno è tenuto in onore per la sua dignità di infinito valore vivente. Una scrittura che non evoca il bene o la giustizia dei diritti umani, perché piuttosto li fa parlare dall’interno di un esistere in cui il sentire il valore delle persone, il vedere la realtà delle cose, l’agire nel volontariato, ma anche professionalmente e politicamente, nonché il modo d’essere personale confluiscono in una semplicità che sorprende. Il libro analizza le pieghe e le contraddizioni del sistema delle politiche sociali, sanitarie e assistenziali della Regione Marche, mostrando in modo tanto documentato quanto appassionato come la cultura delle politiche sociali sia incerta e involuta anche nella nostra regione, che pure vanta di solito l’immagine di una zona d’Italia dove si vive bene. Fabio Ragaini e i suoi collaboratori sanno entrare nelle contraddizioni di queste “politiche”, dove questo plurale risulta in effetti più come l’espressione della mancanza di una politica integrata e di un orizzonte complessivo di valore, che non come il segno di una ricchezza di progetti e di opere. Gli amministratori, i partiti, i sindacati, i semplici cittadini potrebbero apprendere molto dalla sintesi offerta in questo libro e gli amministratori in particolare dovrebbero specchiarvisi per giungere a una svolta profonda nel modo di percepire le priorità di governo per la regione Marche e quindi nel modo di agire. Perché si agisce a seconda di come e di quello che si vede. Con la ragione, con il cuore, con l’anima. E si vede ascoltando e partecipando alla vita di un territorio. Si deve essere grati a Fabio e al Gruppo Solidarietà perché la ricostruzione che si delinea in queste pagine permette davvero di cominciare a vedere per agire, per cambiare, per allestire le condizioni di una socialità in cui non si viene elusi, abbandonati, emarginati, respinti. Tuttavia il testo non è solo un atto di accusa e una diagnosi disincantata della realtà regionale, ma anche un utile strumento di cambiamento. In particolare le ragioni che rendono prezioso il contributo di questo libro non solo per gli amministratori e per gli operatori sociali e sanitari, ma anche per i cittadini in genere, le forze politiche, i sindacati, le associazioni e i gruppi del volontariato sono almeno tre. La prima ragione è di tipo insieme cognitivo ed etico. Infatti
il testo permette a chi legge di entrare nello sguardo tipico di quell’etica
della restituzione che è l’orientamento essenziale di una
vera democrazia e di una società solidale. “Restituzione”
è la dinamica di attribuzione o di riattribuzione dei fattori del
godimento effettivo dei loro diritti fondamentali a coloro che ne sono
impediti non solo per cause fisiche o derivanti da fatti naturali, ma
anche per cause umane e in ogni caso per una mancata o inadeguata risposta
delle persone e delle istituzioni agli effetti di qualunque tipo di negazione
lesiva delle condizioni dell’esistenza. L’etica della restituzione
assume come vincolante e decisivo l’impegno verso ciò che
il diritto romano chiama restitutio in integrum: che un prigioniero sia
liberato, un calunniato sia riabilitato, un esiliato sia richiamato in
patria, un escluso sia riammesso nella comunità, uno che è
stato oppresso in qualunque modo sia sollevato e liberato. La seconda ragione che attesta la rilevanza di questo libro sta nel suo valore politico e giuridico. Esso riesce a dare prova di che cosa possa significare agire la democrazia come co-soggetti, non come clienti o sudditi, oppure come profittatori a tutela di interessi privati che vengono posti al di sopra del bene comune e della legalità. L’ingiustizia diseduca, forma nel tempo una mentalità per cui gli individui regrediscono al livello della lotta di tutti contro tutti. Nel nostro paese, assuefatto a una percezione insufficiente e comunque falsata del valore della democrazia, dello stato, dei diritti e dei doveri civili, non è difficile constatare come l’incuria verso la vita pubblica, il disprezzo della legge, l’uso delle istituzioni per fini privati siano un danno non solo nel presente e per i loro effetti diretti, ma anche rispetto alla deformazione della mentalità collettiva. Per contro, solo la prassi della giustizia restitutiva e della democrazia sociale, dialogica, partecipata può realmente educare generazioni di cittadini. Ora, la ricerca raccolta in questo testo dà conto di un impegno democratico che va coerentemente in tale direzione. Emerge, da questo versante, oltre alla critica per l’inadeguatezza o l’elusione delle normative relative alle politiche sociali e ai diritti fondamentali, la prefigurazione del valore del diritto come agente di cambiamento delle condizioni di vita e di umanizzazione della forma della società. Ed è una consapevolezza tutt’altro che frequente e consolidata in Italia e anche nelle Marche. La terza ragione del valore di questo lavoro di Fabio e del Gruppo Solidarietà può essere colta in una prospettiva antropologica. Con un’espressione del genere intendo evocare non già una disciplina scientifica come l’antropologia culturale, quanto quel processo complessivo di maturazione, scoperta e liberazione dell’identità umana nella storia di cui tutti siamo partecipi. L’essere umano non è un’entità nota e scontata, calcolabile e definibile, ma resta un mistero di libertà e di dignità. Un mistero che incarniamo noi stessi e che ci abita. E che può fiorire in termini di solidarietà, di riuscita umana, di felicità condivisa, di maturazione etica e civile quando, anziché sopravvivere seguendo l’ottica miope e triste dell’individualismo, ci rendiamo disponibili alle relazioni di dono, di libera e aperta reciprocità, di attenzione agli altri e di dialogo. Le persone possono diventare se stesse e godere della vita solo nell’orizzonte ampio dell’esistenza comunitaria. Non è detto che si tratti di vivere insieme in una comunità residenziale, stabile. Parlo, più che di una forma rigida di organizzazione della quotidianità, di uno stile e di un respiro. Chi è singolo o chi è in un monastero, chi vive la famiglia oppure un altro tipo di nucleo interpersonale quotidiano può comunque, nella piena libertà della sua preferenza per qualcuna di queste vie, adottare uno stile di vita che lo porta a coinvolgersi nella relazione con gli altri, a scegliere la relazione come valore di cui avere cura. E ciò vale dai rapporti interpersonali sino a quelli sociali e politici, dai rapporti economici sino a quelli con il mondo della natura. Ebbene, il cammino del Gruppo Solidarietà e di Fabio testimonia che inoltrarsi nell’avventura dell’esistenza comunitaria è una scelta che, certo non senza le fatiche, le frustrazioni e le tensioni che tutti noi dobbiamo affrontare, porta frutto per chi la vive e per molti altri, sino a divenire una fonte viva di buona socialità lì dove mette radici. Perciò tale testimonianza ha una portata antropologica rivelativa su cui riflettere. Ho detto che, in ogni caso, il libro è uno strumento di lavoro
sociale e politico, di coscientizzazione e di cambiamento nel senso dell’etica
e della prassi della restituzione. La speranza è che quanti sono
già impegnati in tal senso possano trovarvi un ulteriore motivo
per andare avanti e che altri ancora siano da esso sollecitati a considerare
l’opera di attuazione dei diritti umani come un dovere proprio.
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