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Appunti n.121 (articoli principali)
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Risvegliare l'attenzione nei confronti dei più deboli
Carlo Maria Martini
Riportiamo il messaggio inviato al convegno “Handicappati intellettivi e soggetti con sindrome di Down nell’Europa del 2000", del Cardinale Carlo Maria Martini
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Desidero esprimere il mio cordiale interesse per i lavori del 2º Convegno Europeo "Handicappati intellettivi e soggetti con sin-drome di Down nell'Europa del 2000", insieme alla riconoscenza per i promotori e tutti i partecipanti.
La nostra società attraversa una stagione delicata e non certo facile. Questa situazione crea spinte individualistiche e sospin-ge molti, persone e gruppi, a chiudersi nella cura e nella salva-guardia del bene particolare.
E ciò mentre si acutizzano i problemi di sempre - penso ai temi della disoccupazione, della casa, della gravità della condizione degli anziani - e si aggiungono nuove povertà, come il fenomeno dell'immigrazione che bussa perentoriamente alla nostra porta e sollecita aiuto e solidarietà.
In questo quadro rischia forse di affievolirsi l'attenzione verso quelle forme di bisogno che silenziosamente convivono con noi nel tessuto normale della vita e dei rapporti quotidiani: penso ap-punto agli handicappati intellettivi.
E' perciò legittimo e doveroso risvegliare l'attenzione delle au-torità istituzionali affinché si facciano carico concretamente di tali "povertà" e la riforma in atto del Welfare non penalizzi quanti a causa delle proprie difficoltà non sono in grado di di-fendersi, ma venga assicurato a chi è più debole il massimo dell'integrazione e della valorizzazione. In particolare mi per-metto alcune sottolineature a titolo esemplicativo:
- il sostegno dell'integrazione scolastica dei disabili intellettivi;
- la valorizzazione delle capacità lavorative dei giovani disabi-li che hanno diritto di essere avviati al lavoro previo adeguato iter formativo;
- la promozione di forme di aiuto e di sostegno a famiglie con persone handicappate intellettive gravi. Infatti ancora oggi la famiglia non può contare su centri diurni aperti almeno 8 ore al giorno per 5-6 giorni alla settimana, soprattutto per quei disa-bili intellettivi, che, terminata la scuola dell'obbligo, non possono frequentare corsi di formazione professionale a causa della gravità delle loro condizioni;
- la creazione e il sostegno di iniziative volte alla promozione di forme tutelari più a misura d'uomo, come le case famiglia e le comunità alloggio; anche in questo campo mancano obblighi di leg-ge per cui possono intervenire forme di inerzia tendenti ad uti-lizzare strutture già pronte, anche se poco rispondenti al biso-gno delle persone e rispettose della loro dignità.

In questo la comunità cristiana deve collaborare perché cresca e si sviluppi la cultura della dignità della persona umana, so-prattutto nelle espressioni più forti del suo limite e del suo bisogno, e ho fiducia che le nostre comunità sapranno continuare nel loro lodevole impegno di accoglienza e di sostegno, impegno tanto più efficace quanto più fondato sul riconoscimento della dignità di questi nostri fratelli e dei valori di cui sono porta-tori per l'intera società.
Scrivo nella Lettura pastorale Ritorno al Padre di tutti: "Dio ci vuole tutti uguali in dignità davanti a Lui, fratelli nella va-rietà delle possibilità e delle risorse, ma anche nella parteci-pazione comune a ciò che viene destinato a tutti. Il Padre dei poveri ci fa guardare con larghezza di cuore ai bisogni altrui e identificare in essi - soprattutto nei bisogni dei più deboli - i diritti fondamentali della persona umana che a nessuno è lecito trascurare o calpestare" (p. 56).
Davvero la sfida che ci viene proposta in questo scorcio di fine millennio, è di avere larghezza di mente e di cuore, di programmi e di azione. Potremo così curvarci su ogni debolezza per assumer-la e soccorrerla, a imitazione di Colui che è Padre di ogni uomo e si piega con tenerezza su ciascuno dei suoi figli.
Auguro a tutti un buon lavoro, con la mia benedizione.

Allievi in situazione di handicap e innalzamento dell’obbligo scolastico
Mario Tortello - Esperto di pedagogia giuridica, Torino
Le recenti norme riguardanti l’innalzamento dell’obbligo scolastico riguardano tutti gli allievi compresi quelli in situazione di handicap .Di seguito si propongono alcune riflessioni che, in particolare , approfondiscono alcuni aspetti quali le conseguenze sulla frequenza degli allievi con handicap, il conseguimento di una qualifica professionale, le iniziative di orientamento
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Con legge n. 9/1999, il Parlamento ha innalzato l'obbligo di istruzione (gratuita) da otto a dieci anni, sia pure indicando alcune tappe per tale elevamento, in relazione al riordino complessivo dei cicli. E' ovvio che tali norme riguardano tutti gli allievi, compresi quelli in situazione di handicap. Anzi, va osservato che il legislatore - introducendo un provvedimento molto atteso e che interessa la generalità degli alunni - ha sancito in maniera inequivocabile quanto le disposizioni specifiche hanno anticipato proprio in relazione ai percorsi formativi di quelli con handicap (Pavone, Tortello, 1999). In particolare:
a) la Sentenza della Corte Costituzionale n. 215 del 3 giugno 1987, stabilisce che per tali allievi la frequenza alle scuole secondarie superiori deve essere "assicurata" e non solo "facilitata" e che l'integrazione scolastica rappresenta "il fattore decisivo e insostituibile per lo sviluppo della personalità dell'handicappato";
b) la legge 5 febbraio 1992, n. 104, art. 12, precisa che "l'esercizio del diritto all'educazione e all'istruzione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all'handicap".

Elevamento dell'istruzione obbligatoria e allievi in situazione di handicap
La Legge n. 9/1999 si riferisce indirettamente o direttamente agli allievi in situazione di handicap in molti dei commi dell'art. 1.

Conseguenze sulla frequenza di allievi con handicap
A decorrere dall'anno scolastico 1999-2000, l'obbligo di istruzione viene elevato da otto a dieci anni per tutti gli allievi (con una prima tappa da 8 a 9 anni). Ciò comporta, fra l'altro, per gli Enti locali il dovere di assicurare i servizi e gli interventi a sostegno della piena integrazione scolastica anche dopo la frequenza della scuola media, a partire dal trasporto gratuito da casa a scuola e viceversa e dall'assegnazione di personale per l'assistenza materiale durante l'orario scolastico almeno per gli allievi con handicap in situazione di gravità (comma 1).

Conseguimento di una qualifica professionale
Si ribadisce la necessità di sinergie interistituzionali per "garantire" il conseguimento di una qualifica professionale proprio a quanti non intendono proseguire gli studi nell'istruzione secondaria superiore (comma 2). Tali collegamenti vanno ricercati anche:
a) nell'ambito della programmazione dell 'offerta educativa, come previsto dagli artt. 135 e segg. del Decreto legislativo n. 112/1998, che conferisce funzioni e compiti amministrativi dello Stato a Regioni e Enti locali (si vedano, in particolare, i compiti e le funzioni trasferite a Province e Comuni di cui all'art. 139);
b) nell' ambito delle norme in materia di promozione dell'occupazione, di cui alla Legge n. 196/1997 (in particolare agli art. 15,16,17,18) e al Decreto del ministro del Lavoro 25 marzo 1998, n. 142, recante il regolamento di attuazione dei principi e dei criteri relativi ai tirocini formativi e di orientamento.

Iniziative di orientamento
La legge che innalza l'obbligo di istruzione richiama, fra l'altro, la necessità di prevedere, "nell'ultimo anno dell'obbligo di istruzione", iniziative formative e di orientamento "al fine di combattere la dispersione, di garantire il diritto all'istruzione e alla formazione, di consentire agli alunni le scelte più confacenti alla propria personalità e al proprio progetto di vita" (comma 3).
Va ricordato che, proprio per gli alunni in situazione di handicap, già la legge n. 104/1992, art. 14, comma 1, lettera a), sottolinea l'esigenza di "provvedere […] all'attivazione di forme sistematiche di orientamento, particolarmente qualificate per la persona handicappata, con inizio almeno dalla prima classe della scuola secondaria di primo grado". Ancora una volta, la normativa riferita a "bisogni educativi speciali" ha anticipato i tempi, definendo modalità di intervento estensibili a tutti gli allievi. Va annotato che, sinora, alla indicazione generale della legge quadro sull' handicap non ha fatto seguito l'esplicitazione di indirizzi concreti.
Le linee da percorrere restano affidate alla sensibilità e alla disponibilità delle singole realtà scolastiche e extrascolastiche locali (Pavone, 1997). Del resto, anche le circolari ministeriali relative alle iscrizioni degli alunni alle scuole di ogni ordine e grado (C.M. n. 787 dell'11 dicembre 1997; C.M. n. 426 del 20 ottobre 1998) sottolineano che esse "non rappresentano solo un adempimento di carattere burocratico, ma un momento di rilevante impegno per gli alunni e per le famiglie, soprattutto sotto il profilo umano e psicologico, coincidendo con fasi e passaggi importanti della crescita e formazione degli allievi stessi e con le scelte che possono rivelarsi fondamentali per la vita".
Tali considerazioni sono valide per tutti gli alunni e tanto più vere nel caso di allievi in situazione di handicap; anzi, proprio in tali casi gli esiti di un mancato e puntuale orientamento possono avere anche effetti traumatici nel lungo periodo. A sua volta, la Direttiva ministeriale n. 487 del 6 agosto 1997 ricorda "la necessità di una collaborazione costruttiva e efficace tra tutte le componenti scolastiche interessate, ai fini della massima integrazione fra insegnanti curricolari e attività di orientamento". Nel caso di allievi in situazione di handicap, tale integrazione esige un carattere di collaborazione interistituzionale tra scuola, servizi degli enti locali per la formazione professionale e servizi socioassistenziali, sia per gli evidenti complessi problemi personali, familiari e sociali, sia per la varietà delle tipologie di handicap.
La sede naturale per una elaborazione progettuale di iniziative di orientamento e per dare impulso alla loro attuazione può essere rappresentata dal Gruppo di lavoro interistituzionale provinciale (Glip). E' necessario che, in sede di definizione o verifica di eventuali accordi di programma per l'integrazione scolastica degli alunni in situazione di handicap vengano affrontati concretamente anche tali aspetti, prestando specifica attenzione a tre momenti fondamentali:
- la fase (fondamentale) di formazione nella scuola dell'istruzione obbligatoria, con iniziative anche "precoce", che prevedano sia una stretta collaborazione tra insegnanti di classe e di sostegno, sia le sinergie con eventuale personale per l'assistenza materiale fornito dagli enti locali;
- la fase di orientamento "mirato", ovvero di iniziative più specifiche destinate agli allievi interessati alla successiva frequenza di corsi prelavorativi e/o di formazione professionale (legge n. 104/1992, art. 17);
- la fase che corrisponde comunque alla frequenza del primo biennio della scuola secondaria superiore, scelta dall'allievo e dalla sua famiglia, per eventuali aggiustamenti richiesti da un orientamento che sia veramente "mirato". Va ricordato che la Sentenza n. 215/1987 della Corte Costituzionale "assicura" l'iscrizione e la frequenza delle scuole superiori a tutte le persone in situazione di handicap, senza alcuna discriminazione. Inoltre, non esistono disposizioni normative che impediscano ai cittadini anche ultradiciottenni (siano o meno essi in situazione di handicap) di iscriversi per la prima volta a un corso di studi secondario.

Crediti formativi
Sono previste disposizioni specifiche per il rilascio di una certificazione a coloro che, concludendo il periodo di istruzione obbligatoria, non conseguono il diploma o la qualifica. Tale attestato ha valore di credito formativo e indica il percorso didattico e educativo svolto e le competenze acquisite (comma 4).

Provvedimenti attuativi e allievi in situazione di handicap
I regolamenti che il ministero della Pubblica Istruzione è autorizzato a emanare al fine di integrare le norme riguardanti la vigilanza sull' adempimento dell'obbligo di istruzione e il previsto Decreto interministeriale che disciplina l'attuazione della legge (commi 6 e 7) debbono puntualizzare anche gli aspetti legati alla frequenza delle strutture educative e di istruzione dopo la terza media da parte degli allievi in situazione di handicap.
Non sono accettabili, infatti, percorsi formativi ridotti rivolti genericamente agli allievi in situazione di handicap, con la previsione di rilasciare un semplice attestato avente valore di credito formativo. Se l'obiettivo centrale di ogni intervento destinato a tali alunni è quello di assicurare la piena integrazione scolastica, lavorativa e sociale, è necessario che - proprio nel rispetto della legislazione e della normativa vigente - ogni percorso formativo sia veramente "individualizzato" e aperto a tutte le conclusioni, compresa quella del raggiungimento del diploma o della qualifica finale: ciò sarà possibile per alcuni allievi, mentre per altri condurrà a un attestato utilizzabile come credito formativo, spendibile anche in altri ambiti.

Sperimentazione dell'autonomia didattica e formativa
In attesa dell'emanazione dei regolamenti previsti dalla Legge n. 59/1997, art. 21, viene autorizzata la sperimentazione dell'autonomia didattica e organizzativa, anche ai fini del potenziamento delle azioni di orientamento, sia in vista del proseguimento degli studi, sia dell'inserimento nel mondo del lavoro (comma 8), con le modalità previste dal Decreto n. 251/1998. All' uopo, vengono stanziate nuove risorse, incrementando la dotazione di cui all 'art. 4 della legge n. 440/1997. E' ovvio che tali sperimentazioni riguardano anche gli allievi in situazione di handicap, sia nel quadro delle iniziative riferite a tutti gli alunni, sia in riferimento a eventuali progetti ad hoc.

Ulteriori risorse per assicurare la frequenza di allievi con handicap
La norma precisa che "agli alunni portatori di handicap [riaffiora, purtroppo, il ricorso del legislatore a espressioni improprie per definire i soggetti destinatari degli interventi; ndr] si applicano le disposizioni in materia di integrazione scolastica nella scuola dell'obbligo vigenti alla data di entrata in vigore della legge" (comma 9).
A tal fine, vengono stanziate ulteriori risorse sia per l'anno 1999, che per il 2000, riconoscendo uno dei principi fondamentali sanciti dalla Corte Costituzionale nel 1987: l'inserimento e l'integrazione nella scuola, anche dopo la terza media, "hanno fondamentale importanza al fine di favorire il recupero […]. La frequenza scolastica è un essenziale fattore di recupero e di superamento dell'emarginazione, […] onde evitare possibili effetti di segregazione e di isolamento e i connessi rischi di regressione".
Va sottolineato che il comma 9 riconosce che, in materia di integrazione scolastica degli alunni in situazione di handicap, si applicano le norme più favorevoli in base alla normativa vigente. La Legge n. 104/1992, art. 14, comma 1, lettera c), consente, infatti, "il completamento della scuola dell'obbligo sino al compimento del diciottesimo anno di età" e, entro alcuni limiti, permette "una terza ripetenza in singole classi". In ogni caso, per assicurare una efficace integrazione scolastica nelle classi comuni della secondaria superiore, vengono stanziati ulteriori fondi.
Tutte queste considerazioni permettono di concludere che, anche per gli allievi in situazione di handicap, l'obbligo di istruzione deve essere conseguito attraverso la frequenza della scuola secondaria superiore e non in altre strutture formative, il cui intervento può essere solo successivo.

Un "nodo" che riguarda tutti gli allievi
Tali considerazioni valgono per tutti gli allievi, non solo per quelli in situazione di handicap. Giustamente è stato osservato che non è facile sfuggire alla tentazione di suggerire percorsi formativi fuori della scuola: ad esempio, pensando alla formazione professionale come rifugio per "chi non ha voglia o capacità di studiare".
Come sostiene Alba Sasso, presidente nazionale del Cidi (Centro d'iniziativa democratica degli insegnanti), "l' obbligo d'istruzione deve contribuire a elevare la formazione culturale delle nuove generazioni: non può ridursi a un precoce addestramento al lavoro. Non si può pensare che un obiettivo di rafforzamento e consolidamento culturale possa realizzarsi fuori della scuola. Che senso avrebbe allora, elevare l'obbligo?" (A. Sasso, 1999). E, ancora: "Si tratterebbe, oltretutto, di un paradossale ritorno al passato: la scuola da un lato, l'avviamento professionale dall'altro.
E questo mentre in altri Paesi - la Germania, ad esempio - ci si sta rendendo conto che il canale della formazione professionale, precocemente imboccato, rischia di essere un binario morto dal punto di vista dell'accesso a opportunità di studio e di lavoro di livello più elevato. La formazione professionale non può avere le competenze per occuparsi della formazione di base e per intervenire, come qualcuno auspica, nel cosiddetto disagio scolastico. Sarebbe solo un' attività di supplenza" (ibidem).


Riferimenti bibliografici

o Pavone M. (1997), Valutare gli alunni in situazione di handicap, Erickson,Trento.
o Pavone M., Tortello M. (1999), Le leggi dell'integrazione scolastica, Erickson, Trento.
o Sasso A. (1999), Obbligo: è urgente la riforma, in "Il Sole-24 ore", 20 febbraio 1999, p. 18.

Finalmente un vero lavoro
Giovanni Lodico - Responsabile inserimento lavorativo, McDonald’s Food Italia, Roma
L’esperienza presentata oltre a sfatare numerosi luoghi comuni sull’inserimento lavorativo dimostra la necessità di realizzare condizioni e strumenti adeguati per realizzare un percorso che porti realmente alla piena integrazione lavorativa
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Mi occupo della formazione e dell'inserimento, delle persone con handicap. Lavoro presso una azienda privata di Roma che si occupa di ristorazione veloce. Nell'azienda per cui lavoro nel passato ci trovavamo ad affrontare delle serie difficoltà con i lavoratori inviatici dall'ufficio di collocamento obbligatorio, cioè con i lavoratori handicappati.
I lavoratori che ci venivano inviati, anche se motivati, non riu-scivano ad inserirsi in un contesto produttivo e sociale soddi-sfacente, e noi non riuscivamo ad aiutarli. Forse anche a causa di un tipo di inserimento non mirato che effettuava, e che effet-tua, l'ufficio di collocamento obbligatorio. Sulla scorta di que-ste difficoltà, dopo una lunga selezione interna all'azienda, è stata creata la figura del JOB COACH: l'allenatore di lavoro o tutor. I requisiti richiesti per svolgere questa nuova mansione erano: conoscenza del lavoro, delle dinamiche addestrative, della psicologia generale, unite ad un particolare tipo di sensibilità e capacità di ascolto. Era circa l'ottobre del '94 quando l'asso-ciazione persone Down di Roma ci proponeva l'assunzione di un la-voratore Down. Dal '94 ad oggi il nostro sistema di inserimento si è perfezionato e personalizzato al punto che all'interno delle nostre strutture oggi lavorano, e sottolineo lavorano, 6 ragazzi Down e 6 ragazzi con ritardo mentale medio. Mi sembra più giusto chiamare i lavoratori con handicap, lavoratori con difficoltà: ditemi voi quanti lavoratori "normali" conoscete che non hanno, o non hanno avuto, delle difficoltà di varia natura.
I ragazzi Down e quelli con ritardo mentale medio, sono solo meno bravi a mascherare, o forse non sono mai stati educati a superare, delle difficoltà. Sono impiegati presso di noi, lavorano con contratto di formazione lavoro part-time, come tutto il personale da noi impiegato, percepiscono uno stipendio mensile come tutti gli altri lavoratori, e a loro è richiesto uguale rispetto delle regole e delle procedure di svolgimento del lavoro, come l'impegno alla massima accuratezza, igiene e puntualità.
Per quanto riguarda l'assunzione di lavoratori Down abbiamo un rapporto privilegiato con l'Associazione Persone Down di Roma, che ci invia personale già selezionato, e ci fornisce supporto in alcune nostre difficoltà. Gli altri lavoratori con ritardo mentale ci sono stati inviati dall'ufficio collocamento obbligatorio. Mi occupo direttamente dell'inserimento dei nuovi lavoratori dal primo giorno, cerco di instaurare un rapporto di amicizia professionale, e, da subito, avvio i ragazzi alla conoscenza del luogo di lavoro, sia in senso spaziale, sia relazionale, sia gerarchico-funzionale con i colleghi e con i superiori. Subito rendo il lavoratore protagonista di questa avventura, perciò sarà sempre lui, nei limiti del possibile, a parlare e a relazionarsi con i suoi futuri colleghi e superiori. La mia è una figura di sostegno che diventa sempre più sfumata nel quotidiano, ma presente in caso di reale bisogno, e non invadente e oppressiva con la sua presenza. Il lavoratore con handicap diventa l'attore protagonista sulla scena del lavoro ed io cerco il più possibile, di essere la "comparsa" che gli ha dato tutti gli strumenti per potersi, da solo, districarsi nelle questioni relazionali, sociali e lavorative. La nostra formazione avviene sempre nel luogo e da subito il ragazzo o la ragazza svolge parte dell'attività lavorativa. Questa è la fase più deli-cata, in cui la mia attenzione è molto alta, sono molto attento a tutti i segnali verbali e non, che il lavoratore mi invia, mentre gli spiego il lavoro, gli dimostro le cose che dovrà fare da solo e lo incoraggio a svolgere quella stessa mansione che pochi i-stanti prima svolgevo io. E' in questo momento che inizia la vera e propria "simpatia-empatia" quella "comunione-comprensione" che mi permette di sentire l'altro e, se ce ne fosse il reale biso-gno, di intervenire e aiutarlo.
Le mansioni
Credo di poter affermare che non esiste mansione che sia i Down che gli altri lavoratori handicappati, impiegati presso di noi non possano svolgere, bisogna solo pensare che si può giungere al traguardo per strade diverse. Ricordo quando consideravo pronto Marco (ragazzo down) per il training alla cassa. Parlandone con la madre lei mi dissuadeva a non provare neanche, perché sarebbe stato un fallimento, visto che lui aveva un difetto di vista e non avrebbe mai letto quei tasti così piccoli, e allo stesso modo considerava molto difficile che il suo "piccolo bambino" Marco di 27 anni, potesse imparare a dare correttamente i soldi di resto. La mamma di Marco sottovalutava lo sviluppo della memoria visiva del figlio, che ricordava, dopo poche volte, tutte le posizioni dei tasti della cassa e il relativo prodotto che il cliente gli aveva ordinato. Quanti fallimenti ci siamo preclusi o abbiamo risparmiato ai nostri ragazzi, impoverendo la nostra e la loro vita?... Vi pregherei di riflettere su questo punto...
Molto spesso noi compiamo l'errore di non permettere la sperimentazione delle più svariate mansioni ai ragazzi e ragazze handicappati, come se volessimo sempre evitare delle difficoltà, e dei fallimenti. So che per un genitore, per una mamma, è molto difficile, anzi direi difficilissimo, mandare il proprio figlio con delle difficoltà in giro per il mondo senza la sua protezione, ma senza quei batticuori e quelle ansie, lui non si libererà mai di quelle limitazioni, che può sicuramente superare e vincere, rendendolo sempre di più, un uomo libero che gestisce e determina sempre di più la propria vita. Nel training che svolgo la parte più importante all'inizio, è questo "raffor-zamento dell'io", è questo far provare ai ragazzi che loro ci possono riuscire e che devono solo provare. Ovviamente, inizial-mente, faccio eseguire delle operazioni che sicuramente porteran-no al termine, e questo aumenta l'autostima e la voglia, o il co-raggio, a sperimentare mansioni nuove e più difficili.
Faccio notare al lavoratore come lui esegua nello stesso modo, le mansioni di un altro collega, come il suo lavoro sia ben eseguito come quello dei suoi colleghi, estendo i miei riconoscimenti in modo palese di fronte a tutti i colleghi e faccio fare dei complimenti da altri lavoratori, rafforzando sempre più la sua immagine di lavoratore di fronte agli altri. Questo mi permette poi, di farlo sempre più impegnare per un miglioramento nello svolgimento del lavoro. Con il tempo, diminuiscono i miei riconoscimenti e la mia presenza, cerco sempre più di far sviluppare l'autostima di confronto. Definisco con questo termine il processo mediante il quale, il lavoratore arriva a prendere consapevolezza delle sue capacità e della sua bravura, non perché glielo dico io, ma perché si rende conto da solo di eseguire lo stesso lavoro del suo collega, a volte molto meglio e in modo più accurato.
Sin dal primo giorno lui sa, che quello è un lavoro serio e che gli sono richieste puntualità, rispetto delle regole e dei colleghi, subordinazione ai coordinatori, gentilezza con tutti i clienti, anche quelli maleducati e particolarmente esigenti: è per questo lavoro che riceve uno stipendio. Sarebbe bene che questo denaro sia lui stesso a spenderlo e gestirlo, da solo. Ciò gli permetterà sempre più di poter capire perché deve eseguire delle mansioni che possono non essere sempre piacevoli, a fronte della gratifica di avere uno stipendio da gestire. Questo lo renderà sempre più vicino ai suoi colleghi con i quali potrà parlare di vestiti acquistati o di regali scelti da solo.

Il rendimento
Passando al rendimento lavorativo del lavoratore con handicap, tema ben presente in azienda, premettendo che il calcolo di questo dato richiede la valutazione di molte variabili, possiamo dire semplicemente tanto per dare un'idea, che un lavoratore handicappato da noi impiegato, ha una produttività media dell'80%, rispetto ad un lavoratore "normale". I rapporti con i colleghi di lavoro sono stati sempre buoni, anzi in alcuni casi ottimi, ho avuto la percezione di come l'arrivo di questi nuovi ragazzi abbia, possiamo dire, allargato le "coscienze", permettendo di far emergere in ognuno una comprensione, una sintonia e una valorizzazione dell'altro, che prima difficilmente si avvertiva, e ci tengo a precisare che non sto parlando di pietismo, ma di comprensione dell'altro. Molti colleghi conoscevano la Sindrome di Down e il ritardo mentale, visto che essendo giovani, si sono trovati nella scuola dei compagni con vari handicap (grazie alla legge sull'inserimento degli studenti handicappati in tutte le scuole). Molti dei colleghi di lavoro sono diventati amici, spesso escono insieme a mangiare la pizza o si vedono per festeggiare i loro compleanni o semplicemente per chiacchierare dei loro fidanzati, o dei vestiti o delle squadre di calcio. Certo ci sono stati anche degli insuccessi nell'inserimento lavorativo, e credo siano da ascriversi a 2 ordini di fattori:
- il caso in cui la famiglia non sia particolarmente presente;
- l'associazione tra handicap e problemi psichiatrici, con la frequente necessità di assunzione di alti dosaggi di psicofarma-ci, che debilitano molto la persona e creano numerose complicanze a vari livelli, in genere un ottundimento delle prestazioni psi-cofisiche.

La famiglia è molto importante al fine di una buona maturazione nella vita di qualsiasi ragazzo, in particolar modo se ha delle difficoltà. Non dico che le mamme debbano pensare ai loro figli come dei piccoli superman, ma devono in continuazione spronarli a sperimentare, debbono fornire ai loro figli tutti gli strumenti a loro disposizione, affinché il loro "bambino" cresca e si distac-chi da loro, rendendosi il più autonomo possibile. Quindi qui vo-glio lanciare una provocazione, anche la mamma si deve interroga-re circa il suo rapporto con l'autonomia, sua e del figlio...

Il caso di Gloria
Vi parlerò di un lavoratore anzi di una lavoratrice: Gloria. Ha 23 anni, ha frequentato le scuole medie e svolto vari tirocini senza riuscire poi a giungere ad una assunzione, ci viene presen-tata nel dicembre '97, durante il colloquio di conoscenza, ri-scontriamo una simpatia e una socialità spiccate. Il suo aspetto è molto curato, ed è molto curiosa circa il lavoro che, forse, dovrà svolgere, parla con me tranquillamente, mi parla del suo tirocinio dove non le davano lo stipendio, e che non ha portato ad una assunzione. Osserva attentamente e compila, da sola, la domanda di assunzione. E' venuta all'appuntamento con un anticipo di 10 minuti, è accompagnata da entrambi i genitori. Di solito si muove per la città abbastanza autonomamente e abita a 20 minuti di metropolitana dal lavoro. La mattina si alza tardi e svolge varie attività: va in piscina e frequenta attivamente l'associa-zione Down. Viene assunta il 17/02/97, il suo turno di lavoro sarà il pomeriggio dalle 15 alle 19 per poterle permettere di continuare a svolgere quelle attività che praticava prima. Avrà il riposo di martedì per poter andare all'associazione e il saba-to per potersi allenare in piscina. Naturalmente, come in ogni inserimento anche in questo caso ci sono state delle difficoltà. Nella formazione di Gloria, la difficoltà maggiore è stato il rapporto quasi transferale, tipo innamoramento, nei miei confron-ti, da parte sua. Ho dovuto affrontare la situazione, come se si trattasse appunto, di un vero e proprio fenomeno di traslazione, infatti Gloria trasferiva su di me un'affettività molto forte, che probabilmente, in quel momento aveva una difficile espressio-ne all'esterno. Quindi aveva nei miei confronti, quelle aspetta-tive che si hanno verso un partner affettivo.
Questo è assolutamente normale! Anche quando lavoro con lavora-trici "normali" a volte avviene la stessa cosa. Quindi avendo ben chiara la natura del rapporto che si può creare, basta mettere dei confini fermi e precisi, ma delicati e gentili nello stesso tempo. Infatti, in questo come in altri casi analoghi, ho risolto la questione parlandole di mia moglie, presentandogliela e par-lando spesso del nostro rapporto. Ho chiarito più volte che era solo un rapporto di lavoro e che noi eravamo colleghi o amici. Con il tempo, questo forte investimento affettivo si è trasforma-to in stima e amicizia, e, da poco, anche lei ha iniziato a par-larmi del suo fidanzato che tra l'altro è un suo collega di lavo-ro. Attualmente Gloria sa svolgere il 70% delle mansioni, con particolare preferenza e, di conseguenza, miglior rendimento, per quelle che richiedono un rapporto di colaborazione con i suoi colleghi (vista la sua alta socialità). Si muove disinvoltamente all'interno di tutto il locale di lavoro, riconosce l'autorità e si subordina senza problemi, sa utilizzare gran parte delle at-trezzature, riconosce tutti i prodotti e li sa utilizzare corret-tamente, è molto gentile con colleghi e clienti e no si è mai as-sentata dal lavoro per malattia o infortunio dimostrando inoltre grande puntualità. E' anche l'organizzatrice di attività ricrea-tive, organizza da sola delle uscite con i colleghi e amici, per cene, pizze o altre attività.

Concluderei questo intervento, dicendo che, molto possiamo fare in questo campo. Certo devo riconoscere e sottolineare, che in questo tipo di lavoro, il coinvolgimento personale a tutti i li-velli, fisico, emotivo, mentale, ecc., è molto forte. Quindi una certa conoscenza di se stessi sarebbe auspicabile. Questo permet-terebbe di gestire al meglio, la formazione vera e propria, da un punto di vista tecnico, ma anche le dinamiche psicologiche, sia inter che intra individuali, che, inevitabilmente si scatenano. Se no, non saremmo esseri umani. Tutto ciò nell'interesse sia del lavoratore, sia del formatore o JOB COACH se vogliamo, sia nell'azienda stessa.

L’educatore professionale e la qualità dei servizi socio-educativi e sanitari
Andrea Canevaro - Ordinario di pedagogia, Università di Bologna
L’autore propone una riflessione sul ruolo di una figura professionale come quella dell’educatore approfondendo alcuni aspetti come quelli legati alla professionalità, ai “committenti”, al rapporto con altre professioni di aiuto.
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Partire da una storia

Per ragionare su una figura professionale può essere anche utile partire da una storia, e questa da cui partiamo è una storia come tante. Riguarda un uomo con Trisomia 21 ovvero Sindrome di Down. La sua età è di 40 anni, ha vissuto la Sindrome di Down come un elemento che non lo ha mai emarginato: ha vissuto il processo di integrazione a scuola, a partire dalla prima scuola, la scuola dell'infanzia, ha avuto una scuola dell'obbligo che si è fatta bene parte attiva per la sua educazione e il suo sviluppo, in particolare la sua esperienza nella scuola media è stata molto qualificante e bella; poi ha fatto una scuola professionale e si è avviato al lavoro.
Nel suo percorso di vita ha avuto qualche momento di rischio più duro, se si vuole, ma qui è interessante prendere in considerazione gli elementi di un rischio particolare: quello di confondere e nascondere nella Sindrome di Down le sue altre possibili difficoltà transitorie. Ad esempio, vi è stato un momento in cui il luogo di lavoro - questa persona lavora come impiegato in una ditta che ha magazzini di utensili - ha cambiato sede; le abitudini che questo uomo aveva sono state scombinate. Il luogo di lavoro in cui si è trasferita l'azienda era totalmente privo di quegli elementi urbani che caratterizzano lo scambio sociale; nel luogo di lavoro precedente vi erano dei caffè dove poteva andare, intrattenersi, scambiare e fare amici-zie, vi era l'ufficio postale, dove andava anche per ragioni di lavoro, ma che poteva avere una continuità di frequentazione ri-spetto al bar e poteva incontrare le stesse persone che incontra-va al bar, dal tabaccaio, ecc.
La possibilità di incontro sociale era per lui molto importante: Il nuovo luogo di lavoro si trovava in una zona industriale in cui le presenze di punti di incontro sono rare se non nulle. E questo ha creato in lui una difficoltà molto grande che lo ha portato a chiudersi e ad avere una crisi depressiva. Non era più capace di alzarsi la mattina per andare a lavorare. Che cosa è stato utile in quel momento? Molto sinteticamente si potrebbe dire: conoscerlo, cioè sapere che non poteva esservi in lui una saldatura della crisi depressiva con la Sindrome di Down. Chi avesse conosciuto quell'individuo in quel momento, avrebbe potuto considerare che la sua depressione faceva parte della Sindrome di Down: col suo rifiuto di andare a lavorare, con la sua pigrizia, giacchè lo stereotipo trasmesso, e non ancora e non del tutto cancellato della Sindrome di Down, dice che si tratta di individui con una congenita pigrizia. Chi avesse conosciuto quest'individuo in quel momento avrebbe potuto saldare alla Sindrome di Down questo suo stato, che invece chi conosceva lo stesso individuo da tempo, sapeva essere uno stato nuovo e quindi forse di transizione, che non faceva parte di una sua caratteri-stica specifica di trisomico: arrivava in un certo momento ed era leggibile in collegamento con quel cambiamento di organizza-zione della sua vita. Il momento di crisi poi fu superato grazie ad alcune strategie di intervento operate da un gruppo di educa-tori.
Il Centro che ha fatto questo intervento è parte di una struttura pubblica socio-sanitaria, ed ha come caratteristica quella di se-guire con distanze variabili - vicino/lontano - tutte le persone che hanno dei bisogni particolari di un territorio, per l'arco di vita. Questa possibilità di essere conosciuto da educatori, si accompagna alla possibilità che degli educatori siano figure di riferimento permanenti. Nella conoscenza che un educatore profes-sionale ha dell'altro, in questo caso di questo individuo con Sindrome di Down, vi sono anche le considerazioni positive, ed uno degli elementi forti delle prospettive dell'integrazione è rendere possibili le conoscenze di elementi positivi individuali, non della categoria. Non si tratta quindi di avere raggiunto una conoscenza della Sindrome di Down che corregga certi presupposti negativi, ma si tratta di riconoscere gli elementi positivi di quell'individuo. Non quindi di mettere in moto quei meccanismi complicati e il più delle volte distruttivi che fanno dire: "Se la Sindrome di Down permette di raggiungere certi livelli, anche il singolo deve raggiungere certi livelli". Questo meccanismo ca-tegoriale, ancora, non ha una valenza positiva, nel suo comples-so, perchè ancora una volta stereotipa. La conoscenza di catego-ria ha questo limite, mentre la conoscenza individualizzata che è tipica di chi è educatore professionale permette un diverso modo di affrontare le difficoltà e di indicare degli elementi positi-vi. Lo sguardo positivo non è sulla categoria ma sull'individuo. E' anche utile avere uno sguardo positivo sulla categoria. Ma la nostra attenzione è più portata a valorizzare lo sguardo positivo sull'individuo che esige una conoscenza nel tempo.
Una persona con dei bisogni particolari riesce ad essere puntuale al lavoro, ad avere una buona prestazione professionale e ha ad esempio, una caratteristica che è quella di richiedere spesso delle attenzioni: richiede che si conversi un poco con lei. Una banalizzazione degli aspetti positivi potrebbe far risultare solo questo come caratteristica di una persona handicappata, non con-siderando che è presente e in altre persone che handicappate non sono. Torniamo alla nostra storia. Lo sguardo positivo ha permesso il superamento di una crisi.
Ve ne è stata un'altra, anni dopo, leggermente più complicata, per certi versi. L'educatrice professionale che, come si dice in gergo, "seguiva il caso" non ha potuto mantenere il lavoro, per una serie di ragioni di carattere esclusivamente amministrativo e che non riguardavano la validità della sua professionalità. Questo fatto ha avuto delle ricadute negative sul contesto familiare della persona di cui parliamo: è stato vissuto come un elemento di inquietudine che permette di trarre delle conclusioni negative sulla sicurezza, sulla certezza dei servizi. E' stato visto come convalida di certi sospetti: che le promesse di tranquillità nell'accompagnamento nell'arco di vita di un soggetto con bisogni particolari non erano mantenute o mantenibili.
Nel contesto familiare vi è, inevitabile, il problema dell'invecchiamento delle figure parentali. Questo non era un problema fintanto e nella misura in cui il nucleo familiare riteneva di aver un contenitore più ampio e una capacità di essere seguito a seconda delle necessità e i bisogni da parte della struttura socio-sanitaria ed anche educativa. Il venir meno bruscamente della figura di riferimento, con un addio che non era gioioso dall'educatrice professionale, ma con molto rimpianto e amarezza, era la dimostrazione che quel dubbio aveva un fondamento: "Dubitiamo che siate quello che ci dite di essere e adesso abbiamo la prova che non vero, che i servizi sono sempre provvisori, sono dominati da una grande provvisorietà. Siamo sicuri di esserci noi, ma siamo anche sicuri che la nostra presenza è sottoposta alla inevitabile legge dell'invecchiamento. Non abbiamo nessuna certezza che vi sia qualcuno che permette a nostro figlio, oramai uomo, di avere i punti di riferimento necessari per mantenere la sua vita a un livello di dignità e di autonomia come noi vorremmo e come è giusto che sia".
Questo nelle figure parentali; ma nello stesso protagonista di questa storia vi è stato un momento contraddittorio, sentendo il venir meno della fiducia nell'Istituzione. Nello stesso tempo ha gradito che ci fosse la possibilità di continuare a frequentare alcune attività organizzate dallo stesso centro in cui operava l'educatrice professionale. E' lui che ha mantenuto dei contatti, minimizzati e ironizzati dalle figure parentali.
Cos'è accaduto? La lettura istituzionale non ha avuto capacità di mantenere il riferimento per alcuni componenti del nucleo fami-liare, perchè hanno visto unicamente l'educatrice professionale, e non hanno visto l'elemento istituzionale in cui quella profes-sionale era operante, hanno colto la prestazione individuale sen-za ampliare in termine "professionale" alla struttura organizza-tiva. E' probabile che vi sia stata una abitudine a incontrare figure di aiuto al proprio figlio a prescindere dall loro collo-cazione professionale e quindi assimilandole a un'operazione di volontariato; però è altrettanto probabile che la stessa struttu-ra istituzionale non abbia fatto gli sforzi utili per far capire il valore simbolico della struttura, e quindi la permanenza della struttura al di là delle singole figure professionali. E' inte-ressante però anche notare come sia stato l'individuo con Sindro-me di Down, in questo caso, a tenere attive delle relazioni con una struttura, rivelando la sua capacità di accogliere gli ele-menti positivi che ne derivano. E non sentendo quindi la sconfit-ta totale ma sicuramente la nostalgia di una persona che non po-teva essere più disponibile come prima nei suoi confronti.
Vi è da fare una considerazione che intreccia i due momenti di crisi della vita di quest'uomo trisomico. Nella prima crisi, la conoscenza e lo sguardo positivo da parte degli educatori profes-sionali ha permesso di non leggere la depressione come un elemen-to della Trisomia. Nella seconda crisi, da parte della persona Down vi è stata capacità di avere uno sguardo positivo e di non annullare nel negativo anche il positivo. Vi è quindi una reci-procità di sguardo positivo, capace di analizzare. Analizzare vuol dire separare gli elementi che costituiscono un tutto e di-scernere quel che è in un segno da quello che è in un altro segno. Questa breve storia può farci capire l'importanza dello sguardo positivo, ma può anche farci capire come questo sguardo positivo sia un elemento di professionalità. E a partire da questa storia può essere fatta una riflessione che incide proprio sulla professionalità degli educatori.

La professionalità
Che cosa possiamo intendere per professionalità, in particolare degli educatori? Potremmo indicare alcune componenti della pro-fessionalità nel riconoscimento di uno statuto e quindi di un ruolo professionale. Il riconoscimento non ha unicamente una di-mensione giuridica ma anche una dimensione sociale e culturale. Il riconoscimento deve essere dato dalle Istituzioni, da un at-teggiamennto che valuti ad esempio la possibilità di fare concor-si con l'indicazione del ruolo, di avere avanzamenti nella pro-spettiva di carriera, e di avere delle considerazioni da parte di altre professioni per lo specifico compito che ha un educatore, e non di far dipendere il compito di un educatore o di una educa-trice dai voleri delle altre professioni.
Il riconoscimento è importante. Nello stesso tempo il riconosci-mento è tale se vi è una competenza, e la competenza è messa in un profilo professionale. Quindi non è solo un riconoscimento giuridico ma anche una capacità di realizzare. Un profilo profes-sionale permette di capire come si formano quelle competenze, perché non siano legate a carismi o a tratti di personalità. Un buon educatore, una buona educatrice, nasce da un percorso forma-tivo, a cui danno un contributo non irrilevante gli elementi di personalità; ma il percorso formativo deve essere chiaro, indivi-duabile, trasmissibile, e deve essere corredato da strumenti, da tecniche. Il profilo professionale è un elemento costitutivo. Vi è poi, nella professionalità, una assunzione di responsabilità costante. Quello che può distinguere, soprattutto in certi compi-ti, la professionalità dal volontariato è la costanza. Senza far riferimento alle accezioni di un volontariato che si esprime per tutta la vita, il volontariato può essere, senza colpa, una fase anche breve della vita. La professionalità è una decisione assun-ta e tale da esplicarsi per tutta la vita, anche in modi diversi. C'è, nella professionalità, un dovere di far capire anche a colo-ro che si avvalgono della stessa professionalità, le multiformi possibilità di vivere questo lavoro. Nella storia da cui siamo partiti abbiamo trovato un punto debole nella scarsa attenzione mostrata dal quadro istituzionale per far leggere la dimensione educativa non solo come una valenza personalizzata ma anche come dimensione organizzata, e quindi istituzionale. Se un figura di educatore o di educatrice professionale è leggibile unicamente nel coinvolgimento di quotidianità prossimale, vicina all'indivi-duo e non anche nella possibilità di organizzare dei servizi, o-gni progresso di carriera, ogni avanzamento nell'assunzione di responsabilità più complesse viene visto, come abbiamo letto nel-la storia da cui siamo partiti, come una caduta, come una frattu-ra, oppure come tradimento. E' quindi necessaria, nella profes-sionalità, la dimensione che supera il singolo. Le competenze so-no dell'individuo, e anche della struttura. Il singolo è impor-tante e in particolare per la professionalità dell'educatrice, in cui l'implicazione nella relazione è elemento costitutivo. Un buon educatore, una buona educatrice, deve avere un ventaglio di competenze che va dalla cura dell'igiene intima all'organizzazio-ne di una strategia sociale con aziende, con sedi ricreative, centri di vacanze, ecc. La sola dimensione organizzativa sociale non è garanzia di leggibilità della propria professionalità. Un educatore o una educatrice potrebbe essere scambiato per un agen-te turistico, e per certi versi qualche volta lo è, o per un sin-dacalista, e per certi versi qualche volta lo è, ma l'elemento che costituisce la sua professionalità è la possibilità di assu-mere professionalmente un compito che riguarda, ad esempio, l'i-giene intima. Questa possibilità è data dal profilo professionale specifico di un educatore professionale.
Nella professionalità in questi anni viviamo una stagione di con-fusione. A noi sta il compito di rendere questa confusione fecon-da e non distruttiva.

L'educatore professionale nel quadro delle professioni di aiuto
La costruzione di una professionalità non può riguardare una sola figura ma deve mettersi in relazione con le altre figure pro-fessionali. Ritengo che in questo momento storico sia necessario ricostruire il quadro delle professioni di aiuto, intendendo quell'ampio ventaglio di professioni che entrano nella vita delle persone in funzione di prevenzione di possibili disagi, e in que-sto vedo le insegnanti delle scuole dell'infanzia, le educatrici degli asili nido, gli operatori dei centri-famiglia, gli operato-ri dei servizi socio-sanitari, preposti non tanto alla patologia quanto alla qualità della vita, individuale e collettiva. A mag-gior ragione nelle professioni di aiuto entrano coloro che sono richiamati quando vi siano delle necessità particolari. In una situazione chiara possono essere gli operatori di un pronto soc-corso pediatrico, a maggior ragione di un pronto soccorso genera-le, in una situazione che è chiara perché ha una dinamica già prevista: intervento per le prime cure e avvio a interventi più complessi e tali da aver bisogno di più tempo, oppure restituzio-ne al contesto che ha le normali competenze, con la possibilità di chiarire e portare a compimento immediatamente interventi sul disagio e sulla sofferenza, oppure di provvedere perche altri facciano un intervento più complesso e forse più mirato. Nella struttura di pronto soccorso questo è già chiaro e leggibile a chi vi accede o vi passa davanti.
Altre volte le strutture di aiuto non hanno questa stessa chia-rezza di lettura e di bisogno di una particolare attenzione che deve essere messa nella formazioni professionali. Nella situazio-ne urbana che caratterizza buona parte della nostra vita, i punti di snodo delle informazioni risultano fondamentali. Un buon medi-co che non abbia una possibilità di essere collegato a un buon centralinista o a una buona segreteria telefonica diventa un me-dico poco raggiungibile e il suo valore risulta essere molto minore di quanto non potrebbe essere se avesse un accesso ben organizzato. In questo esempio possiamo banalmente descrivere come un buon medico bombardato dalle richieste più strane possa legittimamente difendersi per rendersi meno reperibile, cambiare carattere, assumere toni che allontanano; se avesse un filtro, se avesse un centralino che permettesse di smistare ciò che non è di sua competenza avrebbe la possibilità di rimanere un buon medico con un buon carattere, e senza difese improprie, comprensibili ma non giustificabili. Questi elementi organizzativi fanno si che nelle professioni di aiuto il quadro sia quasi più importante del singolo e si debba ben registrare quali sono gli interventi e co-me gli interventi di aiuto abbiano la necessità di rapportarsi gli uni con gli altri, sapendo tutti qual'è la caratteristica professionale delle altre professioni. Per l'educatore professio-nale, essendo professione nuova, questo è quanto mai importante. E' molto importante che le persone attorno considerino l'aspetto istituzionale, non quindi partendo solo dal dato esperienziale di un singolo educatore, di una singola educatrice, ma da quelli che possono essere i contorni istituzionali di un ruolo come quello dell'educatore, di una educatrice professionale. E' bene che an-che le altre professioni ne siano a conoscenza, non per un ordine burocratico, per una circolare, ma per una vera e propria, come si dice abusando un po' di questo termine, una cultura professio-nale; siano a conoscenza di quelle che sono le caratteristiche e lo specifico di questa professione. A sua volta chi è educatore, educatrice professionale deve avere una conoscenza più specifica di quelle che sono le competenze di un'assistente sociale, di un neuro psichiatra ecc., e anche di quelle professioni che sembrano a prima vista non in stretto contatto, come può essere un commis-sariato di polizia, una caserma dei carabinieri, ha un posto di polizia. Tutto quello che costituisce uso improprio delle profes-sioni alimenta disagio. Tutto quello che costituisce incapacità di rapportarsi a una rete di figure professionali contribuisce al disagio.

I committenti dell'educatore o dell'educatrice professionale
Già in altre occasioni ho espresso la necessità che l'educatore, l'educatrice professionale tenga conto che ha diversi committen-ti. Ho usato il termine "committente" in un senso che non è com-prensibile per tutti, per cui l'ho fatto diventare "interlocuto-ri". Però torno al termine "committente" perché mi sembra più fo-rte: implica una richiesta: "ti chiedo un'opera". Questo vuole il committente. La parola "committente" vuol dire commissionare. L'operatore - educatore o educatrice professionale ha committenti espliciti, che hanno un ruolo amministrativo, o educativo, come i familiari di soggetti che hanno bisogni particolari; e ha commit-tenti impliciti di cui deve tenere ampio conto. Uno degli antena-ti degli educatori professionali odierni, Itard, nei primi anni dell'800, educando quel bambino così importante per la storia dell'educazione che fu il Sauvage dell'Aveyron, che poi fu chia-mato Victor, doveva tenere conto di diversi committenti. Doveva tenere conto del committente "Tribunale di Parigi", del commit-tente "Ministero degli Interni", e doveva tenere conto del com-mittente ancora esplicito costituito dalla comunità del "Philo-sophes" ovvero degli scienziati e in primo luogo degli psichiatri e in primo luogo di Pinel che era il grande patron della psichia-tria di quegli anni, doveva tenere conto della sua collaboratrice Madame Guerin, doveva tenere conto dei vicini di casa, dell'opi-nione pubblica costituita dai giornali che all'epoca avevano dato rilievo alle vicende di questo ragazzino. E doveva tenere conto delle proprie aspirazioni, del committente che era in lui educa-tore. Doveva infine tenere conto del ragazzino, committente anch'esso di un'opera importante come la sua educazione ma anche la costruzione del suo avvenire.
Di tutti committenti doveva tenere conto evitando il più possibi-le di metterli gli uni contro gli altri ma avendo cura di incu-riosire gli uni degli altri, e fornendo delle documentazioni che permettessero a ciascuno di capire al meglio ciò che stava acca-dendo. Le comunicazioni al Tribunale di Parigi e al Ministero de-gli Interni dovevano essere brevi e tali da permettere una lettu-ra d'ufficio. Altra cosa erano le comunicazioni alla comunità scientifica dei Philosophes: dovevano essere delle relazioni scientifiche collocabili nel genere letterario delle relazioni scientifiche. Altra cosa ancora era la committenza della collabo-ratrice governante, Madame Guèrin.
Ripercorrere una vicenda così lontana nel tempo può far capire quanta cura avesse un educatore di un caso per una situazione singola. Anni dopo un altro grande antenato dei nostri attuali educatori, e educatrici professionali, Eduard Sèguin, ebbe cura di illustrare una situazione: non un caso ma una situazione più ampia. Ma si potrebbe rileggere la vicenda di Sèguin e la sua difficoltà nei confronti dell'ambiente medico come la storia di un educatore che contrappose al proprio operato quello di altri professionisti. Non è il caso che io renda colpevole Sèguin di qualche cosa che è accaduto forse contro la sua stessa volontà. Di fatto non ha mantenuto dei buoni rapporti di documentazione con un committente così importante come poteva essere l'ordine dei medici e in particolare degli psichiatri. Le vicende di Eduard Sèguin sono note agli addetti ai lavori e non oltre per tante ragioni. Una, che ne ha costruito un personaggio un pò mi-tico, è quella di avere lasciato la Francia trasferendosi negli Stati Uniti, e qualcuno disse che fu per ragioni politiche per contrapporsi e per sfuggire alla tirannia di Napoleone III. Non è probabilmente esatto. Le ragioni, è probabile, sono state più interne alla propria professione e alla difficoltà a svolgerla in rapporto a un potente organismo come quello dell'ordine dei medici e agli psichiatri. Questo ci fa capire che uno sviluppo professionale può anche incontrare degli ostacoli, dei conflitti, e che la richiesta di tenere conto di tutti i committenti non può tradursi in un impegno eccessivo di carattere, chiamiamolo così, diplomatico.
E' interessante vedere come un buon educatore, e Sèguin certamen-te lo era, nonostante questo che gli capitò, - sappia costruire delle relazioni operando come educatore o come educatrice che non costruendo una divaricazione tra attività diplomatica, attività di pubbliche relazioni e il suo impegno sul terreno. L'intreccio dovrebbe essere molto forte. L'implicazione nella quotidianità e la capacità di tradurre questo in una ambientazione più ampia, e l'interesse delle persone di cui l'educatore si prende cura, co-stituiscono la prospettiva dell'integrazione. Il salto, la diva-ricazione, la rottura tra l'impegno educativo e l'impegno che ho chiamato diplomatico, significa anche un indebolimento della pro-spettiva dell'integrazione. Ancora una volta integrazione signi-fica sia integrare la propria figura professionale a un contesto e a una dinamica, e quindi a uno sviluppo, sia integrare la per-sona di cui ha cura, in uno sviluppo.
La terza figura storica, più recente, che vorrei ricordare è Don Milani; ricordando fatti noti, ma utili per delineare una possi-bilità di sviluppo di questa interlocuzione. Uno degli interlocu-tori di Don Milani, inevitabilmente, era il cardinale di Firenze ed è noto l'atteggiamento che Don Milani tenne nei confronti del cardinal Florit, ritenendo di dover ricevere alti onori, al suo ingresso in Curia, e non di dover richiedere attestazioni di sti-ma. Doveva essere ricevuto con la sottolineatura dell'importanza del suo impegno. E questo, come spiegava bene il priore di Bar-biana, non era tanto dovuto alla sua persona, quanto al suo ruo-lo, cioè al suo impegno educativo.
Un educatore deve avere alcune caratteristiche umili, nel senso etimologico del termine, capace di prendere dalla terra; e, nello stesso tempo, deve avere delle pretese alte. Queste due dimensio-ni, collegate, ricordano una quarta figura di educatore che è stato Paulo Freire. Freire e i suoi scritti. Ma ho un ricordo vivo del suo incontro in occasione della laurea ad honorem, nel soggiorno nella nostra Università a Bologna. Ebbe sempre sempre la straordinaria capacità di intrecciare elementi apparentemente antinomici. Ed è una delle caratteristiche professionali di un educatore, o di un'educatrice: la capacità di mettere insieme la tenerezza e la durezza, di non escludere una dimensione a favore dell'altra ma di saper avere molta durezza accompagnata da una grande tenerezza e dolcezza. Il rischio è quello di trasformare queste parole in virtù, e invece sono competenze professionali, e quindi la grande importanza è data ai mediatori.
Il lavoro dell'educatore o dell'educatrice professionale esige delle tecniche. Non esige una sola tecnica, che rischierebbe di trasformarsi in involontaria violenza, ma un ventaglio di tecni-che a cui attingere in relazione a quell'interlocutore così im-portante che è il soggetto in situazione di bisogno. L'interlocu-tore principale è quello; un educatore, un'educatrice professio-nale deve entrare in contatto non attraverso le proprie virtù ma attraverso le proprie competenze, e l'etica della competenza è forse l'etica più capace di evitare (ma scrivendo questo sono e-sitante) le cadute nel moralismo. Ma un altro rischio: quello di cadere nel tecnicismo. Un educatore, o un educatrice, non deve diventare un tecnocrate; ma se il contatto con la quotidianità serve a qualcosa dovrebbe anche servire a questo, a evitare le deformazioni tecnocratiche.

La situazione della salute mentale in Italia e il Progetto obiettivo “Tutela della salute mentale 1998-2000”

Riportiamo di seguito la mozione, che sottoscriviamo, presentata da Salvatore Nocera, vice presidente della FISH, al 2º Convegno europeo “Handicappati intellettivi e soggetti con sindrome di Down nell’Europa del 2000" sui temi dell’integrazione scolastica.
(indice)
Dopo aver ascoltato relazioni ed esperienze che hanno posto in luce l'efficacia del sistema italiano di integrazione scolastica degli alunni in situazione di handicap, oggetto di osservazione, di attenzione e di studio da parte dei Paesi partners europei;
Preso atto delle preoccupazioni dei genitori, degli operatori scolastici e socio-sanitari, circa i rischi di arretramento dei livelli di qualità raggiunti dalla integrazione scolastica, che ha già fornito importanti risultati a livello di integrazione so-ciale e lavorativa, post ed extrascolastica.

SI CHIEDE

Al Parlamento ed al governo
1) che venga emendato il disegno di legge sulla parità scolastica in discussione al Parlamento; esso infatti prevede che la scuola privata possa essere parificata a quella pubblica a condizione, tra l'altro, che "accolga alunni handicappati". Questa formula-zione è generica in quanto consentirebbe di finanziare anche le scuole speciali, incentivandone l'espansione, in contrasto con il principio dell'integrazione scolastica sancito dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 215/87 e dalla legge quadro n. 104/92; si propone la seguente formulazione: "accoglienza di a-lunni in situazione di handicap secondo le modalità della inte-grazione scolastica di cui alla Legge quadro 104/92";
2) che venga emendato l'art. 20 comma 8 del D.D.L. Collegato alla Finziaria per il '99 che abroga le norme sulle utilizzazioni di docenti presso l'ufficio studi del Ministero e i Provveditorati di studio, abolendo quindi uno strumento di lavoro dimostratosi necessario per un efficace coordinamento, programmazione e veri-fica della qualità della integrazione scolastica; si propone che venga comunque espressamente garantita su tutto il territorio na-zionale tale funzione, in questa fase di transizione verso la piena autonomia scolastica, attraverso la presenza di esperti nell'ambito dei GLIP, così come previsto dall'articolo 15 comma 1 Legge 104/92, siano essi docenti, funzionari o collaboratori e-sterni;
3) che venga rivisto l'ultimo articolo del testo unificato della riforma della assistenza sociale elaborato dalla Camera dei Depu-tati il 16/09/98 che abroga indistintamente tutti gli articoli della Legge 118/71 senza far salvo l'art. 28 comma 1 che garanti-sce il trasporto scolastico degli alunni con handicap.
4) che venga ebrogato il comma 75 dell'art. 1 della Legge finan-ziaria n. 662/96 cha ha introdotto, per soli motivi di risparmio rivelatisi inutili, i mini corsi intensivi per la specializzazione nel sostegno di insegnanti sovrannumerari.

Al Governo
1) che vengano modificati gli art. 9 e 10 del Regolamento Decreto Ministeriale 331/98, concementi il numero di alunni per classe e che siano ripristinate le norme relative alla riduzione degli a-lunni stessi nelle classi in presenza di un handicappato;
2) che nella formulazione definitiva degli organici di Circolo e di Istituto, comprendenti anche gli insegnanti per attività di sostegno, si tenga conto della circostanza che, mentre il numero degli alunni senza handicap tende a ridursi, il numero degli a-lunni in situazione di handicap, specie quelli frequentanti la scuola materne e superiori, tende a crescere. Ciò al fine di at-tuare una verifica che consente la revisione del parametro 1/138 fissato rigidamente dall'art. 1 della legge 449/97.

Al Ministero della Pubblica Istruzione
1) che predisponga congrui finanziamenti per:
- assicurare a tutti gli insegnanti curricolari adeguati percorsi di aggiornamento, sia durante l'anno di formazione che in servi-zio, concernenti le problematiche pedagogiche, metodologiche e didattiche della integrazione scolastica;
- assicurare agli insegnanti con specializzazione polivalente corsi di formazione di alta qualificazione, concernenti tecniche, strategie e ausili riguardanti le diverse tipologie di handicap;
- assicurare a tutti i Capi di istituto una congrua obbligatoria formazione sugli aspetti gestionali della programmazione della integrazione scolastica.
2) una modifica della normativa per assicurare precocità e conti-nuità nelle nomine degli insegnanti specializzati, al fine di ga-rantire una vera consulenza all'impostazione e verifica dei piani educativi personalizzati finalizzati anche al pieno coinvolgimen-to del gruppo docenti;
3) di favorire una rapida generalizzazione nelle scuole superiori di figure di tutor, mediatori che facilitano percorsi integrati di istruzione, formazione professionale, tirocini, stage lavora-tivi;
4) che venga assegnato ad uno dei cinque sottosegretari di recen-te nomina, la delega per l'integrazione scolastica, già positiva-mente svolta dal sottosegretario Albertina Soliani e che venga ripreso senza soluzione di continuità il lavoro dell'Osservatorio permanente sull'handicap, operante presso il Ministero della P.I:

Al Ministero dell'Università
- che venga rivisto il Decreto del 26 maggio 1998 sulla formazio-ne universitaria dei docenti affinchè preveda espressamente per tutti i futuri insegnanti un monte ore obbligatorio di formazione sui problemi pedagogici, metodologici e didattici della integra-zione scolastica.

Alla Conferenza permanente stato-città
- che fornisca linee guida a tutte le Regioni circa l'interpreta-zione univoca del "supporto organizzativo" all'integrazione sco-lastica al fine di evitare conflitti di competenza e vuoti nella fornitura di servizi, secondo quanto disposto dall'art. 139 comma 1, c del Decreto Legislativo 112/98.

Alle Regioni
- di facilitare la stipula degli accordi di programma, al fine di fornire e coordinare le risorse necessarie ad un'efficace inte-grazione scolastica ed extra scolastica.

Ai Comuni e alle Province
- la stipuala di efficaci ed efficienti accordi di programma e la verifica sulla loro attuazione nei prescritti collegi di vigilan-za.

Al Ministero degli Affari Sociali
- di assicurare secondo quanto stabilito dall'art. 41 della legge 104/92, su tutto il territorio nazionale, politiche sociali ido-nee a garantire il progetto globale di vita delle persone con handicap, attraverso il coordinamento degli interventi di inte-grazione scolastica ed extra-scolastica.

Sul ruolo del volontariato

Dall’intervento di Mons. Giovanni Nervo alla terza Conferenza nazionale sul volontariato (Foligno 11-13 novembre 1998)
(indice)
1) La presenza contemporanea nella Conferenza delle varie forme di solidarietà sociale organizzata sviluppatesi nel nostro Paese in questi anni, particolarmente sotto l'impulso del volontariato, è importante perchè segno concreto della evoluzione sociale e campo di preziose sinergie; ma tutte collocate in modo indiffe-renziato sotto lo stesso ombrellone, il volontariato - questa è la Confeenza nazionale del Volontariato - possono creare confu-sioni dannose, perchè ciascuno ha prprie specificità di carattere giuridico, istituzionale, operativo, amministrativo e finanzia-rio.

2) Mi sembra di capire che questa Conferenza sia stata corretta-mente impostata sulla linea concettuale e politica della legge 266/91, che, per essere esatti, non è la legge quadro sul volon-tariato, ma sui rapporti delle associazioni di volontariato con le istituzioni.
La legge infatti "riconosce il valore sociale e la funzione dell'attività di volontariato .. e ne favorisce l'apporto origi-nale per il conseguimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale individuate dallo stato dalle Regioni e dagli Enti locali".
Il volontariato è considerato dunque come funzionale alle istitu-zioni: è riconosciuto cioè uno dei ruoli del volontariato, quello di integrazione delle istituzioni.
Ed è logico ed è corretto che la Conferenza, promossa dalle isti-tuzioni al più alto livello, si sia posta come obiettivo lo svi-luppo di questo ruolo.

E' sorprendente invece e un po' preoccupante che il volontariato cha ha collaborato con la istituzione nella preparazione e nella attuazione della Conferenza, non abbia messo in rilievo se non molto velatamente e timidamente, almeno da quanto si è sentito dalle ralazioni dei gruppi, altri tre ruoli che il volontariato ha acquistato soprattutto negli ultimi vent'anni: il ruolo più proprio e originale del volontariato, cioè l'anticipazione di ri-sposte a bisogni emergenti ancor prima che siano percepiti dalle istituzioni; il ruolo politico di stimolo e di controllo di base delle istituzioni, che, per poter essere esercitato con suffi-ciente libertà, richiede autonomia economica e politica e può es-sere meglio esercitato da chi non ha vincoli di convenzioni con le istituzioni; il ruolo di promozione di una diffusa solidarietà di base.

Ho sentito poi pochi accenni in questa Conferenza alla responsa-bilità irrinunciabile delle istituzione pubbliche, cioè della so-cietà organizzata nelle sue istituzioni, di garantire i diritti fondamentali di tutti i cittadini attraverso la programmazione, il reperimento, coordinamento, valorizzazione e finalizzazione di tutte le risorse della comunità, e attraverso la vigilanza e il controllo. E' un ruolo non delegabile che non può essere surroga-to nè dal volontariato, nè dal non profit, ne tanto meno dal mer-cato.
Con il vento che tira sarebbe stato auspicabile che in una Confe-renza come questa ci fosse stato da parte del volontariato un ri-chiamo forte su questo punto: è motivo di riflessione che non ci sia stato.

3) Il rapporto fra volontariato e imprese e il tema della gra-tuità hanno bisogno di maggiori approfondimenti: quanto riferito dai gruppi (della Conferenza n.d.r.) mi sembra ancora molto ap-prossimmativo e discutibile. Particolarmente su questo tema, come su altri, sarebbe necessario far scendere la ricerca dal livello degli studiosi accademici e degli esperti dei centri studi al li-vello dei volontari che lavorano in prima linea, per essere più sicuri di essere aderenti alla realtà.

4) Anche il fenomeno della trasformazione delle associazioni di volontariato verso la forma di impresa sociale, largamente pre-sente nel mondo del volontariato e delle cooperative di solida-rietà sociale, andrebbe approfondito con la ricerca e la speri-mentazione, per individuare le condizioni necessarie perchè que-sta trasformazione costituisca uno sviluppo positivo, non nascon-da forme deleterie di lavoro nero, garantisca un equo trattamento agli operatori ed eviti il deterioramento qualitativo dei servizi a danno degli utenti.

Sulla specificità del volontariato
Caritas Italiana
Riportiamo di seguito, il testo elaborato dalla Caritas italiana in occasione della 3ª Conferenza Nazionale del Volontariato svoltasi a Foligno dall’11 al 13 dicembre 1998. Il documento è da segnalare per la chiarezza con cui mette in guardia da facili scorciatoie e da rischi di snaturamento del volontariato che, non dovrebbe mai essere dimenticato, ha come caratterizzazione fondamentale quella dell’azione gratutita. Su questi stessi temi segnaliamo per un ulteriore approfondimento le riflessioni contenute nel numero monografico (4/5-97) di “Appunti” dal titolo: “Volontariato quale futuro”.
(indice)
1. Note sull'impianto della Conferenza
Il documento preparatorio della Conferenza, in tutte le sue stesure, rivela una netta intenzione "funzionale". Esso, infatti, prende in considerazione l'esperienza complessiva e molteplice del volontariato in Italia rapportandola soprattutto alle esigenze della riforma dello stato sociale. Suo fine dichiarato è quindi quello di "costruire una proposta politica che possa collocare i diversi soggetti del volontariato all'interno della rete dei servizi e del sistema di welfare". Il sottotitolo della conferenza specifica il riferimento finalistico abbinando al "nuovo welfare" anche la "coesione sociale", concetto "moderno" ma alquanto vago che può essere sinonimo di solidarietà ma può anche indicare un generico desiderio di stabilità, meglio se ottenuta con metodi di consensuali. In definitiva, sembra fondato ritenere che l'attenzione sia rivolta più che alla condizione di salute del volontariato alla condizione di salute dei processi del nuovo welfare, uno scenario in cui il soggetto è palesemente sopraffatto dall'oggetto.
In questa cornice il volontariato rischia di essere "legittimato" più in ragione delle posizioni che assume circa le scelte di politica sociale dei pubblici poteri che non in ragione dei valori e delle motivazioni che fondano la sua stessa esistenza. Poiché da tale premessa si fanno discendere molte conseguenze problematiche, sembra opportuno ricordare che l'unica legittimazione del volontariato è quella che l'art. 2 della Costituzione riconosce alle "formazioni sociali".
E' giusto aver presente che, oggettivamente, le attuali ipotesi di riforma dello stato sociale vanno, salvo verifica, nella direzione di un pluralismo di soggetti, configurando una "welfare society" piuttosto che un "welfare state". Sotto questo profilo, anzi, il testo preparatorio esprime un appezzamento per una tendenza verso il "privato" senza una discriminante esplicita tra attività lucrative e non lucrative. Ma va chiarito che il volontariato - non come formula organizzativa ma come spirito animatore - conserva una propria autonoma ragione di presenza e di azione anche se la linea di tendenza fosse quella del mantenimento di strutture accentrate o quella della totale destrutturazione privatistica della tutela sociale. Le considerazioni che precedeono non inficiano, naturalmente, l'utilità della riflessione sullo sviluppo dei rapporti tra volontariato e istituzioni pubbliche ai vari livelli - che costituisce del resto l'oggetto principale della legge 266/91 - ma mettono in evidenza che tale approccio rivela un limite e pone nuovi problemi.
Il mondo del volontariato è indotto in particolare a chiedersi: a) se accetta di esaudire nella dimensione istituzionale la propria vocazione profonda;
b) se si sente compiutamente rappresentato in una Conferenza dichiaratamente costruita per ottimizzare l'inclusione del volontariato nel novo welfare.
Ne consegue che il nodo della rappresentatività e della rappresentanza, che giustamente s'intende affrontare, riguarda la stessa Conferenza. Essa va vissuta dunque come un importante momento di riflessione e di confronto. Le sue conclusioni, tuttavia, rifletteranno soltanto le opinioni, per quanto autorevoli, di chi vi ha preso parte, senza pretese di valore erga omnes.


2. L'evoluzione sociale e politica nell'impatto col volontariato
Il documento preparatorio risolve il problema delle mutazioni che hanno interessato l'insieme delle presenze sociali riferibili ad un'ispirazione solidale con un passaggio dal singolare al plurale: non più "volontariato" ma "volontariati". L'operazione, già tentata in passato, non sembra apportare specifici elementi di chiarezza. Essa formula bensì una sorta di catalogo delle singole forme di volontariato (quello "parrocchiale", quello "associativo", quello di "erogazione" (di servizi pubblici) e quello accasato all'interno di strutture complesse di "terzo settore") ma non specifica le conseguenze connesse all'inclusione di parti del volontariato nell'una o nell'altra categoria.
Tuttavia il tentativo di "pluralizzare" il volontariato fa da riscontro ad un mutamento consistente intervenuto nella realtà sociale e nelle scelte politiche, al quale non sembrano più corrispondere idee e concetti reputati validi solo pochi anni or sono. Prima di passare alle definizioni occorre quindi riconsiderare il contesto.
Quando nel 1991 si varò la legge sul volontariato, fu generale il consenso sul concetto di "attività di volontariato" come quella "prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l'organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà". Si tratta di un abito stretto per le molteplici propensioni del volontariato-plurale evocato nel testo preparatorio della conferenza, che suggerisce, al limite, di "riscrivere" il valore della gratuità all'interno di una definizione "in senso più ampio". Di più: mentre il requisito della gratuità è annoverato tra quelli delle organizzazioni non iscritte, non se ne fa menzione per quelle iscritte.
Altri in sede di studio ipotizzano di sostituire "solidarietà" con "reciprocità", concetti per nulla coincidenti perché il secondo evoca uno scambio mentre il primo è sinonimo di dono. Altri propongono di istituire un "genere" più vasto - il "solidariato" - dentro il quale ricomprendere sia la specie dello "spontaneo e gratuito" sia la specie del "semigratuito" o del "retribuito", ferme rimanendo le motivazioni ideali e le finalità sociali. Dello stesso segno è una lettura del "terzo settore" che comprenda anche il volontariato-gratuito, purché questa sua caratteristica non sia stemperata nel complesso mondo della "impresa sociale", che resta "impresa" anche se non distribuisce profitti.
Ne deriva un'esigenza di distinzione del volontariato rispetto ad altri soggetti del Terzo settore, evitando per un verso che il mantello del volontariato copra entità altrettanto nobili e dignitose ma prive dell'impronta della gratuità e per un'altro che l'originalità del volontariato sia stemperata in un contesto che non la valorizza. Ciò non impedisce di riconoscere che spesso le formazioni di terzo settore derivano da nuclei originari di volontariato, ma consente di mantenere una demarcazione senza la quale non avrebbe più senso il riferimento al carattere personale e spontaneo della gratuità volontaria.
La ricerca della Conferenza può essere viceversa spinta, sul terreno suo proprio, a riconoscere che nel tempo il pubblico potere ha cambiato atteggiamento verso il volontariato. Un interesse pubblico generico per le opere compiute dall'azione volontaria, da riconoscere e integrare su domanda, si è trasformato in una spinta promozionale, con una sorta di "devoluzione" più o meno programmata di funzioni ed incarichi ad organismi del "privato sociale", preesistenti o da generare ad hoc, con i quali convenzionarsi. Gli sviluppi della riforma sanitaria e le linee di quella dei servizi sociali accentuano le tendenze identificando nei "piani di zona" i luoghi dell'integrazione funzionale.
Lo scenario della legge 266/91 ne è risultato sconvolto. Il presupposto dell'inclusione dell'azione volontaria nello stato sociale era, allora, quello della esistenza di un "compiuto sistema di sicurezza sociale", come delineato nel Piano quiquennale 1965/1970 e gradualmente, anche se non completamente, attuato nei decenni successivi.
Il volontariato cresciuto negli anni Settanta aveva rapportato se stesso a quel modello puntando su due obiettivi: concorrere ad umanizzare le prestazioni erogate dal "pubblico" (ad esempio: le volontarie in ospedale) o entrando in campi non ancora esplorati dal "pubblico" (ad esempio: servizi alle persone, comunità antidroga, lotta all'Aids). Negli anni seguenti, in connessione anche con la crisi fiscale dello Stato, le istituzioni ad ogni livello sono diventate committenti dell'azione volontaria, alla quale sono stati affidati compiti sostitutivi di un'azione pubblica che veniva a cessare o si andava gradualmente ritirando. In questo contesto dalla matrice del volontariato si sono originate molte formazioni di impresa sociale, mentre altre iniziative imprenditoriali si sono presentate come volontariato allo scopo di ottenere commesse; ed altre ancora sono state "promosse" dall'Ente pubblico, per garantirsi costi certi (e ridotti) nella erogazione di prestazioni sociali.
I ritardi legislativi in maniera di "Onlus" e di "associazionismo" hanno oggettivamente incanalato nell'alveo dell'unica legge esistente molte iniziative sorte con motivazioni diverse - non necessariamente meno nobili - da quelle del volontariato "storico". Prenderne atto è doveroso. Dopo l'approvazione della legge sulle "Onlus" e dell'auspicabile rapido varo di quella "sull'associazionismo di promozione sociale" si dovrebbe anzi sperare in una minor confusione dei confini. Ma anche per questo più che insistere sulla idea dei "volontariati" al plurale, che continuerebbe il procedimento estensivo fin qui descritto, sarebbe utile che la Conferenza rimettesse a fuoco il criterio di identificazione del volontariato come lavoro di servizio libero, spontaneo, non pagato, con una sua caratteristica "stabilità" nel senso che dura finché dura il bisogno.
Toccherà poi al volontariato così reidentificato valutare se e quanto restare separato, la dove "è meglio essere soli", oppure se e quanto accettare una collocazione nell'area del terzo settore, con una propria specificità, ed anche con la vocazione di trasfondere nelle nuove dimensioni il massimo dei valori che lo caratterizzano o se addirittura configurarsi come un "quarto settore". Il fatto che la ricerca resti aperta e che sia difficile un approdo univoco non toglie argomenti all'esigenza di evitare, per quanto possibile, sovrapposizioni e confusioni.


3. Prospettive e proposte
In queste condizioni sembra necessario suggerire alla Conferenza le seguenti esigenze:
a) giungere ad una chiara classificazione delle varie componenti del terzo settore, individuandone le diverse specificità giuridiche, organizzative, economiche in modo da riservare al volontariato - lavoro di servizio spontaneo non pagato - una collocazione distinta e visibile, si tratti di un "quarto settore" o di un'area comunque ben delimitata;
b) conferire pari dignità a tutto il volontariato nei vari ambiti (assistenza, sanità, educazione, protezione civile, tutela dell'ambiente, cooperazione internazionale);
c) includere a tale riguardo non solo il volontariato associato ma anche quello individuale e familiare, dimensioni che lo stesso documento preparatorio sembra orientato a considerare;
d) riconoscere che il passaggio da una associazione di volontariato ad una cooperativa di solidarietà sociale, ad una impresa sociale, ad una istituzione non profit per assicurare un servizio più costante e qualificato è una evoluzione positiva e; specie nel Meridione, può essere una via per creare posti di lavoro, sempre che sia netta la identità diversa del gruppo di volontariato e della impresa sociale, come accade quando l'associazione di volontariato funge da supporto e integrazione della impresa sociale. Ciò comporta che le due istituzioni - associazione di volontariato e impresa sociale - mantengano e presenti distinta e trasparente la loro identità sia nella forma istituzionale, sia nell'organizzazione sia nell'amministrazione;
e) ribadire il valore della gratuità condivisione come elemento specifico e qualificante del volontariato e come contributo culturale originale a confronto con la tesi che rifiuta la categoria della gratuità come una superata espressione di paternalismo, mirando ad assorbire tutto nell'ambito economico. Al contrario, la categoria della gratuità come si esprime nel moderno volontariato lungi dall'indurre passività in chi ha bisogno di aiuto, punta sulla promozione dei diritti dei soggetti deboli ed esclusi per una loro piena integrazione nel tessuto sociale;
f) conseguentemente valorizzare, nelle colloborazioni fra i servizi socio-sanitario-assistenziali pubblici e privati del territorio, il contributo che il volontariato può offrire per la costruzione e il consolidamento di autentiche relazioni umane e sociali con i destinatari dei servizi e tra gli stessi operatori, nel presupposto che lo sviluppo di relazioni d'aiuto promozionali e continuative è meglio assicurato da un approccio gratuito a chi è nel disagio;
g) considerare tra le possibili forme di espansione del volontariato quelle della cultura e delle professioni, come messa a disposizione della comunità di una parte del tempo per prestazioni gratuite di eguale livello di quelle pagate.

Si delineano così i tratti qualificanti di un nuovo movimento in grado di riproporre, nel contesto dei servizi "esternalizzati" e della mutazione istituzionale del volontariato tradizionale, una carica di umanizzazione dell'esistente e di esplorazione di nuovi territori analoga a quella manifestata nei confronti del welfare pubblico e delle strutture. Ma per vincere la sfida il volontariato dovrà contare soltanto sulle energie riproduttive della propria matrice originaria.


4. Alcuni aspetti specifici
Alcuni approfondimenti vanno compiuti a proposito delle indicazioni del documento preparatorio relative a:
- reti nazionali e rappresentanza: dal punto di vista del governo è comprensibile la tendenza a semplificare il rapporto con entità organizzative nazionali per evitare le dispersioni della frammentazione tra più interlocutori. Resta da vedere se identico sia l'interesse del volontariato, specialmente se e quando dovesse prevalere un centralismo organizzatorio che importerebbe dal vertice le opzioni operative e forse anche i modelli di convenzione, rovesciando di fatto la dinamica del volontariato che va dal basso verso l'alto secondo una vocazione esplicitamente federativa;
- centri di servizio per il volontariato: occorre verificare se e quanto i "centri" siano stati effettivamente a disposizione delle organizzazioni di volontariato e da queste gestiti; o se invece non si siano configurati come entità separate, più vicine alle logiche delle fondazioni che alla esperienza del volontariato stesso. E' da notare in ogni caso che la massima parte di ciò che si produce attorno al volontariato è frutto di una riflessione dall'esterno piuttosto che espressione delle sue istanze immediate. Solleva dubbi al riguardo il fatto che il documento preparatorio affermi che i centri di cui trattasi riguardano non solo il volontariato e il terzo settore, "ma anche la formazione e il sostegno della cittedinanza attiva", concetto quest'ultimo che meriterebbe un chiarimento, dato che la sua semplice enunciazione presuppone che esista o possa esistere una "cittadinanza passiva", rinviando di conseguenza alla ricerca di quale autorità sia abilitata a rilasciare i relativi attestati;
- registri delle organizzazioni di volontariato: occorre verificare i criteri ed i filtri - se ve ne sono - con cui le regioni e le province attuano la normativa delle iscrizioni ed in particolare se sia sempre ricercata l'esistenza dei requisiti previsti dalla legge.
- formazione: particolarmente significativa e meritevole di sottolineatura è la parte del documento preparatorio dedicata alla formazione, specialmente quando enuncia, tra i criteri da seguire, quello di uno "specifico formativo" volto allo scopo di alimentare uno "specifico del volontario". Poiché l'esigenza è pienamente condivisibile, il passo ulteriore dovrebbe essere volto a specificare quali siano in concreto le esigenze formative in grado di attuare - come si auspica - una "formazione di base, specifica e di settore, permanente, diffusa, di inserimento dei "nuovi" e dei "quadri" e responsabili, che deve essere sia formazione motivazionale... sia formazione alla cittadinanza attiva, sia formazione tecnica... sia formazione socio-culturale e politica". Ovviamente nel documento non si va oltre la prospettazione dell'esigenza, ma è già molto che il problema sia stato posto nell'indice;
- dimensione europea e internazionale: particolarmente saggio appare il consiglio, contenuto nel documento, di concentrare l'autopresentazione del volontariato a scala europea come finalizzato essenzialmente alla lotta all'esclusione sociale, evitando di metterlo in concorrenza con altre famiglie" meglio accreditate sul fronte della lotta alla disoccupazione, come le imprese sociali e le Onlus. Ma per far questo occorre che anche a scala nazionale i concetti siano chiariti; e ciò vale anche per quel che concerne l'impegno internazionale del volontariato.


5. Nuovi compiti dei soggetti animatori
Mentre il volontariato "costituito" compie le sue prove sia in forme autonome sia all'interno delle altre formazioni del "solidariato" in cui opera o si trasforma, la rivelazione delle questioni insorte (e solo in parte censite dalla Conferenza) rende indilazionabile una ricerca da parte di quei soggetti - tra cui le Comunità cristiane ed in esse la Caritas - che si propongono di coltivare le motivazioni profonde, spirituali ed etiche, che reggono l'impegno volontario in ogni sua manifestazione. Di questo c'è particolarmente bisogno nel momento in cui l'intreccio sempre più stretto con la dimensione istituzionale porta molti organismi di origine volontaria ad assumere essi stessi connotati istituzionali o istituzionalmente compatibili, che ne mutano necessariamente l'orientamento se non la natura.
Se il volontariato è un valore, si fanno evidenti segni di una crisi che tende a ridurlo ad una condizione residuale. Senza svolgere qui un'analisi dei fenomeni generali che determinano, nella società contemporanea, un minore apprezzamento di ciò che è gratuito rispetto ciò che riceve un compenso monetario, va registrato il sintomo di un minor dinamismo ed anche di una minore densità delle nuove leve del volontariato. Tra le possibili spiegazioni c'è il venire meno di condizioni familiari e sociali che consentivano di cumulare l'azione volontaria con il lavoro e/o lo studio. Per altri aspetti si fa sentire la pressione della disoccupazione che, soprattutto nel Mezzogiorno, costringe alla competizione per trovare un lavoro piuttosto che spingere alla prestazione gratuita.
Ma l'analisi sarebbe incompleta se non prendesse in esame anche gli aspetti soggettivi del fenomeno, ravvisabili in un indebolirsi della matrice solidale e delle motivazioni di carità che orientano al volontariato.
L'affievolirsi del ricambio generazionale desta preoccupazione in quanto rappresenta anche l'indebolimento di un tessuto civile fondato sull'esercizio dei doveri della solidarietà. Ne consegue che il massimo impegno deve dispiegarsi nell'organizzare una vera e propria "logistica del volontariato", come un nuovo impulso ad orientare le giovani generazioni a dare tempo ed energie al servizio disinteressato. In quest'impresa è inutile cercare riferimenti nei documenti governativi; occorre attingere le risorse necessarie là dove esse esistono e dove possono riprodursi secondo i bisogni.
Le Chiese sono i naturali luoghi di alimentazione della nuova leva del volontariato del terzo millennio. Senza pretese esclusive, esse danno impulso ad una testimonianza della carità che cerca, in primo luogo, i poveri e gli esclusi. I frutti non mancheranno se l'impegno sarà assiduo e se si tradurrà prima ancora che nella somministrazione dell'aiuto materiale, pur sempre necessario, nel recupero di un atteggiamento di condivisione, di assunzione in proprio di una parte del carico delle ingiustizie e dei dolori della terra. La Caritas italiana è certamente impegnata su questa direttrice, ma è consapevole che non basta quel che si è fatto finora. Occorre un forte impulso di innovazione e di sperimentazione, accompagnato da uno straordinario sforzo di educazione all'impegno volontario.
In questo senso la distinzione tra volontariato ed altre opere solidali - più volte marcata in questo testo - diventa essenziale per evitare che l'approvazione di un progetto o l'ottenimento di una convenzione siano considerati come il coronamento dell'istanza cristiana. Si può e si deve fare altro lungo la linea della gratuità, della spontaneità, della condivisione. Si può e si deve continuamente rigenerare il movimento mentre una parte di esso s'innesta nella dimensione istituzionale; e nel frattempo si può e si deve lavorare dentro le istituzioni della solidarietà, quelle prubbliche e quelle private, affinchè non faccia ulteriori vittime il germe del burocratismo e del distacco dalla condizione umana.
In questo modo non si ostacolano ma si promuovono i valori del "pubblico" mediante un'opera di umanizzazione; e nello stesso tempo si aprono nuove frontiere su versanti ancora chiusi della questione sociale. In una realtà che forse sta riducendo la povertà complessiva, in senso statistico, ma che certamente rende più poveri quelli che già lo sono o lo stanno diventando, la coscienza cristiana è chiamata ad integrare l'impegno civile con l'impegno volontariato. La Caritas italiana, mentre si appresta a dare il proprio contributo di critica e di proposta alla III° Conferenza nazionale del volontariato, ritiene di dovere assicurare che il suo impegno non verrà meno nè sul fronte della garanzia dei diritti dei poveri nè su quello dell'invenzione di nuove libere espressioni di solidarietà, per umanizzare le politiche sociali e per preparare persone in grado di rendere un servizio libero, spontaneo, gratuito.

Segnalazioni librarie
Recensioni di libri presenti al Centro Documentazione - a cura di: Samuele Animali, Sibilla Giaccaglia, Daniela Giaccaglia, Francesco Pieretti
(indice)

anziani


Tamanza Giancarlo, La malattia del riconoscimento, Unicopli, Milano 1998, pp. 266, L.30.000.

Una ricerca psicosociale sul tema della malattia di Alzheimer e sugli effetti che essa produce sul piano delle relazioni familiari, da cui emerge una visione della salute non come assenza di malattia ma come impresa familiare, capacità di far fronte a pericoli e gestire la cronicità, in una prospettiva che pone al centro dell'attenzione e dell'intervento non solo il malato ed i suoi bisogni inividuali, ma anche la rete delle relazioni in cui egli si trova inserito.

bioetica


Lamb David, L'etica alle frontiere della vita, Il Mulino, Bologna 1998, pp. 216, L.20.000.

Il dibattito odierno sull'eutanasia verte intorno al ruolo attivo o passivo del medico e al consenso o meno del paziente. David Lamb in questo libro gioca con gli aspetti nominalistici della questione, chiamando in causa tutti i problemi etici riguardanti il trattamento dei malati in situazioni critiche. Illustrando alcuni casi già affrontati in paesi più all'avanguardia del nostro, l'autore cerca di rispondere alle domande di carattere morale che pazienti, medici e familiari continuano a porsi.

Mazzoni Cosimo Marco (a cura di), Una norma giuridica per la bioetica, Il Mulino, Bologna 1998, pp. 283, L.42.000.

La regolamentazione giuridica dei campi di intervento della bioetica (aborto, eutanasia, nuove tecniche riproduttive, trapianti, informazioni genetiche) pone in evidenza una serie di problemi relativi, per esempio, all'opportunità di disciplinare situazioni incerte ovvero di definire delle norme prima che si sia formato un consenso sociale sui principi da seguire. Il volume si avvale del contributo di alcuni tra i più qualificati studiosi della materia, cercando di fornire indicazioni sugli aspetti di rilievo bioetico che ancora attendono un assetto legislativo a livello nazionale o europeo.

carcere


Caso Gianni, Uomini oltre le sbarre, Citta' Nuova, Roma 1998, pp. 95, L.8.000.

Rinchiudere quelli che hanno sbagliato dietro le sbarre è un modo per dimenticarsene, pensando quasi che la loro vita si interrompa per un periodo più o meno lungo. In realtà in carcere si intrecciano molte storie, talvolta difficili, di persone che hanno bisogno di amore e comprensione e scontano invece una generale indifferenza. Umanità Nuova ha raccolto le testimonianze di chi vive a contatto con la realtà carceraria:volontari, giudici, detenuti, raccontano quali sono i problemi e le esigenze, quali le prospettive per aiutare chi vive questa esperienza.

chiesa


AA.VV., Aperti all'inedito, Lavoro, Roma 1998, pp. 73, L.12.000.

Don Carlo Molari, noto teologo, parla della precarietà dell'uomo di fronte al futuro; disorientato dai grandi cambiamenti che stiamo vivendo, in particolare di ordine culturale, l'uomo ha sempre più bisogno di comprendere quale sia la sua condizione in un mondo in continua e inarrestabile evoluzione. Nella prospettiva di Molari, tuttavia, questa dinamicità della vita non rappresenta tanto un problema, quanto piuttosto una preziosa opportunità di crescita.

Buonomo Vincenzo, Papini Roberto (a cura di), Etica ed economia, Dehoniane, Bologna 1998, pp. 230, L.32.000.

I saggi contenuti nel volume si occupano del rapporto tra l'economia e le religioni tradizionali asiatiche (induismo, buddhismo, shintoismo, confucianesimo, islamismo), analizzando i pronunciamenti dei vescovi cattolici asiatici per ciò che riguarda le strade intraprese dallo sviluppo economico e sociale dei paesi di questa regione; offrono inoltre una valutazione complessiva dei documenti degli episcopati asiatici sotto il profilo teologico-dottrinale, teologico-politico ed economico (con particolare riguardo alla critica per quanto concerne i costi umani dei successi raggiunti in termini di crescita del PIL).

Ciotti Luigi, Terra e cielo, Mondadori, Segrate 1998, pp. 192, L.22.000.

Don Ciotti è sempre stato disposto ad aiutare chiunque avesse bisogno e negli occhi di chi soffre ha trovato l'amore di Dio, quell'amore che siamo abituati a ricercare nelle sacre scritture. Basandosi sulla sua esperienza, ha deciso di raccontare e spiegare il Vangelo attraverso le storie di coloro che ha incontrato per strada, per tentare di far capire che la serenità e l'amore non debbono essere attesi in cielo, ma ricercati nella vita di tutti i giorni, nel prossimo che ci insegna a non far mai affievolire la speranza.

Zanotelli Alessandro, Inno alla vita, Emi, Bologna 1998, pp. 127, L.10.000.

Alex è uno fra i migliaia di missionari che mettono la propria vita al servizio dei poveri dell'Africa, per fare in modo che il loro grido di disperazione si trasformi in un inno alla vita. Trascorrendo tanto tempo nelle baraccopoli, l'amore di Dio e per la vita non è diminuito; è diventato anzi voglia di rendere tutti partecipi della immensa felicità che si prova nel condurre uno stile di vita basato sulla condivisione totale con gli altri. E' necessario coordinare gli sforzi per superare la tendenza individualista che oggi si è diffusa anche tra le organizzazioni che si dedicano alla solidarietà; questo l'invito rivolto a chiunque decida di lottare per vivere seguendo l'insegnamento di Gesù.

economia


Krugman Paul, Un'ossesione pericolosa, Etas Libri, Milano 1997, pp. 161, L.25.700.

Andando controcorrente l'economista Paul Krugman mette in guardia sui rischi della Teoria della competitività internazionale, che la maggior parte dei paesi ha adottato con entusiasmo. L'analisi effettuata tende a dimostrare che questa dottrina non si basa su leggi economiche sicure, ma su abbaglianti illusioni che rischiano di mettere in crisi le grandi potenze della Terra.

Reina Andrea (a cura di), Un mercato diverso, Emi, Bologna 1998, pp. 95, L.8.000.

I paesi più deboli sono costretti ad accettare, a causa dei debiti che hanno accumulato nei confronti delle nazioni più ricche, condizioni di scambio di mercato sfavorevoli che finiscono per depauperare le loro risorse e per impedire il rilancio dell'economia. Proprio per opporsi alle strategie brutali del mercato globalizzante sono sorte alcune organizzazioni commerciali che propongono una distribuzione alternativa dei prodotti degli artigiani e dei contadini del Sud del mondo. Il libro è una guida per i consumatori che decidono di rivolgersi alle Botteghe del Mondo diffuse in tutta Italia.

educazione


Aceti Ezio, Fignelli Lino, Pronti? si parte!, Citta' Nuova, Roma 1998, pp. 149, L.16.000.

L'universo dei bambini è misterioso ed affascinante: dalla nascita all'adoloscenza la loro vita è in continuo cambiamento e spesso per gli adulti è difficile capire il loro modo di scoprire la realtà. Gli autori del testo prendono in esame le tappe fondamentali dello sviluppo affettivo, psicologico e sociale del bambin,o per aiutare i genitori e chiunque svolga un ruolo educativo a capire quali sono le potenzialità e le esigenze di ciascun individuo nel primo periodo della sua vita.

Cian Diega Orlando, Preadolescenze, Unicopli, Milano 1998, pp. 334, L.30.000.

I vari contributi che costituiscono il volume sviluppano un'indagine sul mondo personale, interpersonale e sociale dei preadolescenti e delle loro famiglie, in una riflessione su quali siano le vie educative più valide per aiutare i pre-adolescenti a costruire la propria identità. Ci si sofferma in particolare sulla scuola e su proproste didattiche che riguardano l'insegnamento della matematica e della geografia e l'educazione sessuale, sulle caratteristiche dell'editoria specializzata e sulle difficoltà e i comportamenti inadeguati che caratterizzano questà età particoalrmente difficile.

De Bartolomeis Francesco, La scuola nel nuovo sistema formativo, Junior, Bergamo 1998, pp. 319, L.36.000.

Cambiando la società nella quale i bambini vivono si pone l'esigenza di apportare modifiche al sistema formativo. Prendendo in esame la situazione attuale della scuola si mette in evidenza quali siano i cambiamenti più necessari e quali le materie nuove da introdurre o da insegnare con metodi diversi, in vista di un più efficace inserimento nel sistema lavorativo. Nell'ultima parte del testo l'autore descrive un progetto di educazione alternativa attuato a Riccione, nel quale è direttamente coinvolto in qualità di coordinatore.

Lotti Flavio, Giandomenico Nicola, (a cura di), Insegnare i diritti umani, Gruppo Abele, Torino 1998, pp. 208, L.20.000.

Partendo dal presupposto che è necessario "imparare" anche i diritti umani, gli autori del volume propongono un modo originale di "insegnare i diritti umani". Non si tratta solo di enfatizzare dei valori o dei principi, ma di educare ad uno stile di vita. L'educazione ai diritti umani non deve essere un argomento da affrontare in modo marginale, ma una parte integrante dei programmi scolastici. Le attività pratiche proposte per la scuola elementare, media e superiore sono degli utili suggerimenti per chi si occupa di insegnare ad agire nel rispetto dei diritti umani.

Santelli Beccegato Luisa, Interpretazioni pedagogiche e scelte educative, La Scuola, Brescia 1998, pp. 191, L.28.000.

Una proposta pedagogica di ispirazione cristiana in una serie di saggi che appprofondiscono i significati del processo educativo, i contenuti del ruolo dell'educatore, il significato di cultura, delle tradizioni e dei valori, ed il ruolo delle istituzioni. Particolare attenzione viene dedicata alle dinamiche mass-mediatiche, alla questione dell'educazione femminile, alle problematiche dell'interculturalità. Nell'ottica dell'autrice la ricerca pedagogica personalistica costituisce una proprosta critica e progettuale capace di sostenere strategie educative valide, concrete ed efficaci.

Tosi Giorgio, Nonno, cosa c'è dopo il mondo?, Marsilio, Venezia 1998, pp. 289, L.30.000.

Nella società attuale, con i genitori spesso impegnati nel lavoro, i nonni svolgono una parte importante nell'educazione dei nipoti. L'autore ha raccolto nelle pagine di un diario le sensazioni che lo hanno accompagnato nella scoperta del mondo dei nipoti: seguendoli sin dai primi passi ha costruito insieme a loro un intenso rapporto affettivo, che lo ha arricchito e gli ha permesso di sfruttare al meglio la sua energia positiva.

famiglia


Asen Eia, Terapia di famiglia, Calderini, Bologna 1998, pp. 273, L.20.000.

Attraverso la descrizione di casi vissuti e l'illustrazione di esercizi di autoaiuto, il volume prende in esame le diverse fasi del ciclo vitale della famiglia (la formazione della coppia, l'educazione dei figli, le crisi matrimoniali, l'invecchiamento), cercando di mettere a fuoco i vari problemi connessi e offrendo suggerimenti per cominciare a risolverli, pur nella diversità delle culture, nella peculiarità delle esperienze e nella specificità degli ambienti familiari concreti. Nelle intenzioni dell'autrice il libro intende aiutare a "capire come funzionano le famiglie", a vedere le famiglie "da un nuovo punto di vista", ad "individuare ed affrontare i lati problematici della vita familiare", a "sciogliere eventuali nodi relazionali", a "costruire e coltivare rapporti migliori" dentro e fuori la famiglia.

Barbagli Marzio, Saraceno Chiara, Separarsi in Italia, Il Mulino, Bologna 1998, pp. 297, L.32.000.

La separazione legale, sempre esistita in Italia, nel 1970 è diventata l'anticamera del divorzio. Il volume illustra il fenomeno della separazione per mettere in luce le dinamiche della decisione, le conseguenze economiche e sociali, le ripercussioni sui figli. Diverso il destino economico dei coniugi, a fronte di costi psicologici rilevanti per entrambi: soprattutto le donne vedono peggiorare il loro tenor edi vita e, data la tendenza ad affidare i figli alla madre, il rischio di povertà è elevato; per contro, sul versante dei padri, si nota un indebolimento del legame tra genitori e figli che con il tempo tende ad accentuarsi ed a divenire irreversibile.

Bernardini Irene, Una famiglia come un'altra, Rizzoli, Milano 1997, pp. 227, L.25.000.

Irene Bernardini, psicologa da anni interessata ai problemi delle famiglie, si chiede quali equilibri si possano trovare all'interno delle famiglie formate da coniugi separati con figli, che decidono di formare una nuova famiglia con partner diversi. Alcune esperienze testimoniano come sia possibile creare nuove realtà familiari lontane dagli schemi usuali. Utilizzando particolari attenzioni educative e tenendo sempre in considerazione le esigenze e la sensibilità dei bambini, dopo il divorzio si possono arricchire i propri affetti con nuovi legami familiari.

Cigoli Vittorio, Psicologia della separazione e del divorzio, Il Mulino, Bologna 1998, pp. 263, L.30.000.

Seguendo un approccio transizionale-simbolico al problema, il volume inquadra il processo del divorzio come un luogo di passaggio, nel quale l'attenzione si sposta dalla coppia alla responsabilità dei coniugi per la crescita, in particolare mentale, dei figli. In particolare vengono presentate varie forme di sostegno rivolto alla famiglia e opzioni di difesa sociale rispetto ai possibili danni psichici che, a causa del divorzio, le generazioni successive possono subire.

handicap


AA.VV., Dalla qualità di cura alla qualità di vita, Del Cerro, Tirrenia 1998, pp. 101, L.28.000.

Gli autori del volume si interrogano su come le istituzioni possano contribuire al processo di deistituzionalizzazione delle persone con ritardo mentale. Quando si parla di inserimento in un'istituzione del disabile mentale inevitabilmente si presentano problemi di carattere tecnico, politico ed economico, anche nella misura in cui il momento istituzionale venga concretamente vissuto come un momento di confronto con la famiglia e il territorio. Il testo contiene riflessioni teoriche e suggerimenti pratici su come vivere costruttivamente l'istituzione.

Grossi Fabio, I disturbi neuromotori dell'età evolutiva, Unicopli, Milano 1998, pp. 68, L.10.000.

Un esame chiaro e conciso dei casi più gravi di disturbo cerebrale che sono causa di disturbi neuromotori, con o senza complicazioni psichiche. L'autore si sofferma in particolare su alcuni metodi di riabilitazione e sull'interferenza del ruolo della famiglia durante l'iter riabilitativo. Non solo la tempestività dell'intervento è decisiva per i risultati dello stesso e dipende dalla sensibilità di chi osserva più da vicino lo sviluppo dle bambino, ma solo un opera tenace di educazione dei movimenti, che vede i familiari protagonisti accanto all'equipe di riabilitazione, può consentire al bambino di raggiungere l'autosufficienza.

Mariani Vittore, Il piano educativo - riabilitativo individualizzato per il disabile mentale adulto, Del Cerro, Tirrenia 1998, pp. 111, L.28.000.

Il volume si occupa delle difficoltà delle persone handicappate adulte con deficit mentale, neuromotorio e sensoriale. L'autore sottolinea l'importanza e la necessità di piani educativi e riabilitativi mirati alla singola persona. Alla trattazione teorica del tema, seguono esempi concreti e schede operative di interventi individualizzati già sperimentati.

Piccione Vincenzo A.( a cura di), Difficoltà di apprendimento e analisi delle minorazioni, Armando, Roma 1997, pp. 348, L.40.000.

L'insegnate specializzato ha evidenti esigenze di formazione iniziale anche da un punto di vista medico-clinico; il volume raccoglie i contributi di un gruppo di ricercatori ed esperti di fama internazionale, proponendosi come un valido strumento di preparazione ed aggiornamento per l'insegnante specializzato ed offrendo utili informazioni di carattere medico-psico-pedagogico, con una particolare attenzione per il problema della pratica professionale e dell'identità professionale dell'insegnante specializzato.

Portolani Milena, Berlini Luigi Vittorio, È Francesc@ e basta, La Meridiana, Molfetta 1998, pp. 191, L.20.000.

La testimonianza di un'amicizia particolare, quella fra Milena Portolani e Luigi Vittorio Berliri, nata su Internet. Luigi legge su una campagna pubblicitaria dell'Anffas una definizione secondo lui sbagliata di persona handicappata: "una persona venuta male". Tramite un messaggio si inserisce un gruppo di discussione e così conosce Milena, la madre di una bambina con sindrome di Down che gli spiega il perchè di quella definizione. Messaggio dopo messaggio l'amicizia si approfondisce e diventa l'occasione per scambiarsi riflessioni sull'amore per la vita.

immigrazione


Colombo Asher, Etnografia di un'economia clandestina, Il Mulino, Bologna 1998, pp. 254, L.35.000.

Come è avvenuto il coinvolgimento degli immigrati nelle economie clandestine e qual'è il suo significato? Si tratta di una reazione a condizioni di marginalità e di esclusione o è una strategia per raggiungere più rapidamente gli obiettivi di un'immigrazione consumista? Attraverso una ricerca sul campo, il libro analizza l'organizzazione sociale ed il mondo simbolico di un gruppo di immigrati nordafricani, seguendo e descrivendo le tappe di un'escalation che vede paradossalmente l'illegalità come unico canale di inclusione.

internazionale


Archibugi Daniele, Beetham David, Diritti umani e democrazia cosmopolitica, Feltrinelli, Milano 1998, pp. 163, L.27.000.

Non si ha democrazia senza protezione dei diritti umani. L'evoluzione della normativa in difesa della dignità dell'individuo richiede che i diritti umani vengano intesi non solo come diritti civili e politici, ma anche come diritti economici, sociali e culturali; richiede inoltre che le relazioni internazionali vengano ripensate in maniera da sottrarle al dominio della ragion di stato e della forza. Di qui la proposta di un nuovo modello di organizzazione transnazionale, con particolare riferimento alla necessità di riforma di organizzazioni intergovernative quali le Nazioni Unite e l'Unione Europea.

Canevaro A., Berlini M.g., Camasta A.m. (a cura di), Pedagogia cooperativa in zone di guerra, Erickson, Trento 1998, pp. 239, L.34.000.

Un mosaico di scritti, interviste e racconti raccolto nel contesto delle zone di guerra in Bosnia. Vengono in evidenza metodologie di aiuto pedagogico e di cooperazione in zone di guerra, ma anche una riflessione sull'educazione alla pace ed all'interculturalità, resa più incisiva dalle testimonianze dirette di bambine e bambini impegnati a ricostruire un luogo in cui vivere e per cui sperare.

lavoro


Gallino Luciano, Se tre milioni vi sembran pochi, Einaudi, Torino 1998, pp. 257, L.26.000.

L'occupazione crescerà se ci sarà la ripresa, se i lavoratori accetteranno di venir licenziati più facilmente e di veder diminuire i loro salari reali, se i giovani si scorderanno del posto fisso? L'economia globalizzata prefigura per l'Italia rischi crescenti di disoccupazione e di degrado del lavoro e il problema principale sembra piuttosto quello di convertire, in un impegno di lungo periodo, l'enorme quantità di lavoro potenzialmente presente nella realtà italiana in nuove opportunità di occupazione, attraverso una formazione che migliori l'occupabilità, attraverso la riforma del mercato del lavoro, attraverso il cambiamento dei modelli in uso per governare l'economia....

minori


AA.VV., Lo zucchero amaro di Carlos José, Gruppo Abele, Torino 1998, pp. 72, L.8.000.

Carlos José, bracciante nei campi di canna da zucchero in Brasile, é il protagonista di una delle sei storie a fumetti raccontate in questo libro. I protagonisti delle storie sono tutti bambini dei paesi più poveri del mondo, costretti a lavorare fin dall'infanzia. In modo semplice e direttamente fruibile dai bambini stessi si affronta la questione del lavoro minorile, per riflettere sulle condizioni di schiavitù e sulla miseria che colpisce ancora troppi bambini.

Di Nuovo Santo, Grasso Giuseppe, Diritto e procedura penale minorile, Giuffre', Milano 1999, pp. 545, L.68.000.

Un volume nel quale si cerca di coniugare il sapere giuridico, psicosociale ed educativo in relazione al tema del processo penale minorile, in cui questi saperi debbono convivere e interagire per raggiungere gli obiettivi sanzionatori e rieducativi dell'applicazione della pena. L'integrazione delel diverse eperienze e competenze degli autori consente di affrontare il problema del trattamento penale del minore deviante nei suoi diversi aspetti giuridici (sostanziali e procedurali), antropologici, sociali.

politiche sociali


Forti O., Meloni F., Pittau F. (a cura di), Povertà a Roma, Anterem, Roma 1998, pp. 255, s.i.p.

Un resoconto patrocinato dal Comune di Roma - Assessorato alle Politiche sociali e realizzato dalla Caritas diocesana di Roma, che si propone di ampliare il circuito della sensibilizzazione sociale nel territorio attraverso la diffusione di dati compendiati e resi accessibili nella maniera più semplice. Il volume, dopo aver inquadrato la situazione nel contesto degli aspetti socio-demografici della realtà romana, si sofferma sui dati che riguardano le diverse forme di povertà che emergono sul territorio e prende in esame il sistema di risposte approntato dal c Comune e dalle associazioni di volontariato.

Olivetti Manoukian Franca, Produrre servizi, Il Mulino, Bologna 1998, pp. 163, L.28.000.

Nelle organizzazioni dei servizi sanitari e sociali la questione della produzione di servizi a partire da prescrizioni imposte dall'alto si pone in modo particolarmente acuto; la ricerca di riprogettazioni organizzative e di modi di lavorare più efficaci costituisce una sfida su cui si giocano le maggiori possibilità evolutive e innovative dell'intero sistema sociale ed economico. I Servizi pubblici e privati sono probabilmente più di altri in grado di assumere la funzione di una palestra in cui ci si eserciti al dialogo e al ripensamento, riproponendo i problemi là dove si sono generati e chiamando in causa chi ha ruoli di governo.

prostituzione


Azara Liliosa, Lo stato lenone, Cens, Melzo 1997, pp. 188, L.28.000.

Considerata come sfogo alle pulsioni e ai desideri sessuali non soddisfatti nel matrimonio, ma pericolosa per la società, in quanto veicolo privilegiato di contagio e diffusione delle malattie veneree, fino alla prima metà del nostro secolo la prostituzione veniva tollerata dai governi e direttamente controllata dai poteri pubblici; il volume traccia l'ultimo secolo di storia delle case chiuse, seguendo in particolare le vicende del movimento abolizionista a livello italiano ed europeo fino alla definitiva approvazione, nel 1958, della Legge Merlin.

psichiatria


Minikowski Eugène, La schizofrenia, Einaudi, Torino 1998, pp. 224, L.38.000.

"La schizofrenia" è considerato il capolavoro di Minkowski, uno dei più grandi psichiatri e psicopatologi del secolo. Con un'ampia introduzione di Stefano Mistura, viene presentata una nuova edizione di un libro che in passato ha ottenuto grande fortuna. Minkowski si pone in modo innovativo di fronte alla psicopatologia degli schizoidi e degli schizofrenici, facendo convergere nella sua opera teorie psichiatriche, psicoanalitiche e filosofiche.

psicologia


Antonietti Alessandro, Psicologia dell'apprendimento, La Scuola, Brescia 1998, pp. 247, L.34.000.

Nuovi studi e nuove scoperte sono stati fatti dagli studiosi di psicologia sui processi cognitivi che caratterizzano la fase dell'apprendimento. Scopo del testo non è soltanto quello di illustrare i risultati ottenuti ma soprattutto quello di aiutare gli educatori a progettare itinerari didattici che sviluppino le competenze dei bambini tenendo conto delle loro strutture mentali.

Bucciarelli Elisabetta, Io sono quello che scrivo, Calderini, Bologna 1998, pp. 226, L.20.000.

Il fascino della bellezza dello scrivere e le sue potenzialità terapeutiche. Scrivere fa bene perchè costituisce uno sfogo per le nostre emozioni e perché aiuta a riordinare i nostri pensieri, a comunicare con gli altri, ma soprattutto ad ascoltare noi stessi. La scrittura viene presentata come un atto terapeutico, un patrimonio di tutti che può condurci a rivelare i nostri pensieri e le nostre pulsioni più nascoste e più vere.

Cionini Lorenzo (a cura di), Psicoterapie, Carocci, Roma 1998, pp. 331, L.42.000.

Negli ultimi anni le contrapposizioni tra i diversi orientamenti psicoterapeutici si sono stemperate fino a giungere ad una sostanziale legittimazione reciproca da parte delle varie "correnti", pur nella difesa delle rispettive identità. Il volume illustra i modelli clinici di otto fra gli indirizzi psicoterapeutici più importanti (psicoanalitico, cognitivo-comportamentale, cognitivo-costruttivista, sistemico-relazionale, anlitico transazionale, centrato sul cliente, gestaltico, corporeo-funzionale), presentati secondo una griglia comune. Il primo capitolo e l'ultimo si occupano invece della definizione di psicoterapia e della valutazione della sua efficacia, del problema dell'integrazione tra i diversi modelli, delle problematiche della formazione degli psicoterapeuti.

Corriere R., Mcgrady P.m., Sincronizzare la personalità, Erickson, Trento 1998, pp. 254, L.34.000.

Un manuale pratico in cui l'autore, uno psicoterapeuta, suggerendo idee e comportamenti e proponendo test ed esercizi, insegna ad analizzare le situazioni, a intraprendere azioni costruttive, a organizzarsi ed agire nel mondo, ad imparare ad ottenere il massimo dalla vita . Nei rapporti umani, nelle situazioni lavorative, negli affari, le persone tendono a ripetere gli stessi errori; capire la propria personalità può aiutare a leggere le situazioni e le regole che valgono nella vita psicologica pubblica, sociale, personale ed intima.

Giani Gallino Tilde, A come abuso anoressia attaccamento ..., Bollati Boringhieri, Torino 1998, pp. 233, L.40.000.

Il testo affronta alcuni fra i temi più attuali degli studi di psicologia, temi che vedono coinvolti bambini ed adolescenti. Tre sono gli argomenti principali del libro, illustrati in maniera particolarmente chiara dall'autrice e da due sue collaboratrici: l'abuso sessuale sui minori all'interno della famiglia e il modo in cui tale evento è rappresentato mentalmente dalle piccole vittime; l'anoressia e una nuova tecnica per trattare tale disturbo adolescenziale; il legame spesso morboso che si stabilisce tra figli ed uno od entrambi i genitori.

Greenberger Dennis, Padesky Christine A., Penso, dunque mi sento meglio, Erickson, Trento 1998, pp. 271, L.39.000.

Le emozioni troppo intense o durature in relazione alla situazione in cui ci troviamo sono sintomo di problemi cui può rispondere in modo efficace la psicoterapia cognitiva; la psicoterapia cognitiva identifica nel pensiero lo strumento per modificare lo stato d'animo causato dai problemi emotivi. Il testo, corredato da esercizi, questionari ed esempi, può esere utilizzato come sussisdio di auto-aiuto, ovvero come manuale di supporto o integrativo alla psicoterapia cognitiva.

Miceli Maria, L'autostima, Il Mulino, Bologna 1998, pp. 125, L.12.000.

Come una corretta e serena valutazione di sé può influenzare il nostro benessere psicologico ed orientarci nelle nostre azioni, influendo sul raggiungimento degli scopi che ci prefiggiamo. Il libro (che fa parte della collana "Farsi un'idea", volta a fornire informazioni scientificamente curate al lettore non specialistico), fa il punto sulle conoscenze sociopsicologiche sull'argomento, senza offrire consigli o ricette per vivere meglio, ma senz'altro rappresentando uno strumento per capirsi un po' meglio e capire meglio gli altri.

Rifelli Giorgio, Psicologia e psicopatologia della sessualità, Il Mulino, Bologna 1998, pp. 244, L.30.000.

Un approccio che tenti di inquadrare razionalmente il fenomeno della sessualità, individuandone le componenti biologiche, psichiche e sociali, per produrre classificazioni che distinguano ciò che è normale da ciò che non lo è, rischia di essere fuorviante per chi lo adotta e lesivo per chi lo subisce. Il libro tenta di illustrare i diversi significati che la sessualità assume nell'arco della vita, i dati statistici e di laboratorio, i problemi derivanti dalle compromissioni funzionali senza negare il valore delle emozioni e il mistero e il fascino di cui la sessualità è portatrice.

sanità


Bresciani Carlo (a cura di), Etica, risorse economiche e sanità, Giuffre', Milano 1998, pp. 325, L.30.000.

La crescita esponenziale della spesa sanitaria sottolinea l'urgenza di affrontare il problema del reperimento e della distribuzione delle limitate risorse disponibili in un ottica etica, oltre che economica, affinché criteri economici di efficenza, di risparmio e di guadagno non prevalgano sui valori della dignità della persona. Il problema della giustizia distributiva, in questo senso, non trova soluzioni al di fuori della considerazione della dimensione della solidarietà.

Cosmacini Giorgio, Ciarlataneria e medicina, Cortina, Milano 1998, pp. 254, L.35.000.

Il testo è un excursus storico sulla figura del "ciarlatano", dal Medioevo fino ai giorni nostri; dai primi cerretani umbri e falsi guaritori dell'età rinascimentale agli attuali medici dalle cure miracolose. Ora truffatori opportunisti, ora amici consolatori, i ciarlatani con la loro arte ai confini dell'etica hanno rappresentato una figura sempre presente, almeno negli ultimi secoli di storia.

Florenzano Francesco, Psicoterapia della demenza, Universita' Popolare, Roma 1997, pp. 167, L.20.000.

Parlare di cura per un malato di Alzheimer può sembrare impossibile; eppure, spiega Francesco Florenzano, vi sono ottimi motivi che spingono ad occuparsi concretamente del deterioramento intellettivo di un malato finora considerato irreversibile. L'autore presenta due sistemi di valutazione ancora poco conosciuti e dimostra come sia possibile parlare di cura e assistenza per un malato mentale che non guarirà, ma che può essere stimolato e incoraggiato con adeguati interventi riabilitativi.

Gallo Carlo Emanuele, Pezzini Barbara (a cura di), Profili attuali del diritto alla salute, Giuffre', Milano 1998, pp. 235, L.30.000.

Il contributo della giurisprudenza costituzionale alla definizione del diritto sociale alla salute, con riferimento ai principi costituzionali ed alla politica della sanità; le competenze istituzionali degli organismi europei ed i profili di tutela del diritto alla salute nell'ambito di tali competenze; l'evoluzione dei sistemi sanitari tra controllo di gestione e qualità delle cure; il rapporto tra organizzazione sanitaria e diritto alla salute; l'attività contrattuale delle amministrazioni sanitarie con particolare riferimento ai parametri di qualità; la tutela giurisdizionale del diritto alla salute.

Trabucchi Marco, Vanara Francesca (a cura di), Rapporto sanità '98, Il Mulino, Bologna 1998, pp. 485, L.75.000.

Un documento introduttivo sull'organizzazione di un moderno sistema sanitario che privilegi le fragilità viene discusso in una serie di saggi che trattano in maniera analitica gli aspetti clinici, assistenziali, economici e politici del modello tratteggiato. Un sistema sociale maturo non può trascurare il peso psicologico, organizzativo ed economico dato dal bisogno di protezione di ogni persona in particolari momenti; in una sitauazione di compressione delle risorse si impone un controllo della spesa per il Servizio sanitario nazionale attraverso precise e motivate scelte di priorità a favore della parte più debole della popolazione.

sessualità


Ainscough Carolyn , Toon Kay, Liberarsi, Calderini, Bologna 1997, pp. 365, L.18.000.

Gli effetti di un abuso sessuale subito nell'infanzia continuano a ripercuotersi sulle vittime anche a distanza di decenni, in termini di senso di colpa e di vergogna, di depressione e ansia, di disordini alimentari, di paura di stabilire relazioni sentimentali, di problemi sessuali. Il volume, dopo aver riportato diverse testimonianze, offre diversi suggerimenti, anche di ordine pratico, rivolti a coloro che hanno subito abusi, alle persone che stanno loro vicino, ma anche ai professionisti che si cimentano nel compito di aiutarli, come per esempio gli psicologi, gli assistenti sociali, i medici e gli infermieri, gli avvocati, le associazioni di volontariato...

società


Aavv, Compagni di strada. i giovani oggi, Sinnos, Roma 1998, pp. 190, L.25.000.

Si parla molto dei problemi e dei difetti dei giovani ma pochi adulti li conoscono realmente. Proprio per questo la Caritas diocesana di Roma ha deciso di coinvolgere i giovani in prima persona per capire quali sono i principali disagi che devono affrontare e in che misura le istituzioni forniscono un riferimento sicuro. L'analisi della realtà territoriale della capitale può servire come spunto di riflessione necessaria sulle problematiche giovanili dell'intero paese.

Butera Salvatore, Il mezzogiorno tra passato e futuro, Queriniana, Brescia 1998, pp. 172, L.20.000.

Si ritorna a parlare della questione del Mezzogiorno alla luce delle politiche internazionali di sviluppo approntate dalla comunità europea. Ma quali politiche hanno finora rallentato lo sviluppo del Mezzogiorno? L'autore si occupa dei problemi del Sud, prendendo in esame le politiche e gli interventi straordinari finora attuati, cercando di cogliere le possibili risorse per il futuro. Particolare interesse è rivolto alla situazione della Sicilia.

Crepet Paolo, De Cataldo Giancarlo, I giorni dell'ira, Feltrinelli, Milano 1998, pp. 134, L.20.000.

Paolo Crepet, psichiatra e sociologo, e Giancarlo De Cataldo, magistrato, si occupano in questo volume di un delitto particolare: il matricidio. Non scrivono un saggio né un manuale giuridico, ma raccontano quattro storie realmente accadute. E' forse questo il modo migliore per cogliere nel folle gesto dei ragazzi la solitudine, le paure, il rancore che spinge ad uccidere la propria madre, l'emblema delle nostre affettività.

Cross Gary, Tempo e denaro, Il Mulino, Bologna 1998, pp. 363, L.35.000.

Ripercorrendo le vicende storiche che hanno caratterizzato l'ultimo secolo Gary Cross cerca di capire come siamo arrivati a questa cultura del consumismo. Indagando sui tenori di vita familiari ci spiega perchè il tempo è oggi diventato denaro, perchè i progressi tecnologici e la produzione di massa non hanno fatto aumentare il tempo libero e gli interessi delle persone ma hanno spinto a lavorare di più per guadagnare sempre di più.

Filippa Marcella, Dis-crimini, Sei, Torino 1998, pp. 209, L.17.000.

Marcella Filippa indaga sulle origini degli atteggiamenti razzisti, dai primi miti della razza alle pratiche del razzismo più note e quelle trascurate dai libri di storia. Un testo per capire i conflitti etnici e le manifestazioni di xenofobia della nostra società. Di interesse particolare è l'ultimo capitolo del libro nel quale l'autrice dà dei consigli sul materiale di studio da consultare per affrontare tale questione: libri da leggere, film da vedere e associazioni alle quali rivolgersi.

Mukagasana Yolande, La morte non mi ha voluta, La Meridiana, Molfetta 1998, pp. 204, L.24.000.

L'auto-biografia di Yolande Mukagasana. Nata da una famiglia tutsi, è costretta a vivere in prima persona le tragedie del genocidio rwandese. La sua è una storia dura, una testimonianza, ma anche la denuncia di un massacro che ha tragicamente e definitivamente segnato la sua vita, privandola dell'affetto della famiglia e di tutti gli amici. In una realtà così cruda, l'amicizia di Yolande con l'infermiera hutu Jacqueline Mukansonera rappresenta una speranza, perché un genocidio di questo tipo non debba più ripetersi.

Said Edward W., Tra guerra e pace, Feltrinelli, Milano 1998, pp. 99, L.25.000.

Edward W. Said racconta il suo ritorno in Palestina, prima nel 1991 a Gerusalemme poi nel 1996 a Ramallah. Pagine in cui l'autore testimonia le sue emozioni nel ritornare nel paese natale e rivivere le tragedie dei popoli israeliano e palestinese. Storie personali si intrecciano con la realtà politica, costruendo un resoconto di quotidianamente la gente viva una guerra che da anni sta distruggendo la Palestina ed Israele.

volontariato


Comolli Gian Maria, Etica & terzo settore, Ancora, Milano 1998, pp. 139, L.19.000.
Nell'ottica dell'autore lo sviluppo del terzo settore rappresenta, anche nella sua dimensione etica, una delle chiavi di volta decisive per risolvere la crisi dello stato sociale; l'obiettivo del testo è di far conoscere ad un pubblico più vasto i temi del dibattito sul terzo settore, visto anche nei suoi risvolti etici e culturali, così da costituire anche un'ipotesi per un vero e proprio percorso formativo.