Appunti n.122 (articoli principali) (indice Appunti)
Una nuova legge sul diritto al lavoro dei disabili: fra solidarietà e economia di mercato Gianni Selleri - Presidente ANIEP, Bologna Dopo trenta anni è arrivata la nuova legge sul collocamento dei disabili. Di seguito i principali contenuti della nuova normativa. (indice) I primi tentativi di riforma del collocamento obbligatorio risalgono al 1972: in venticinque anni sono state presentate decine di proposte di legge e sono stati formulati cinque testi unificati che sono sempre decaduti con le varie legislature. La nuova normativa sostituirà la ormai inadeguata e inapplicata 482 del 1968. Ricordiamo alcuni dati: gli invalidi disoccupati iscritti nelle liste sono 270 mila (ma quanti saranno "falsi"?) dal 1982 ad oggi gli handicappati hanno perso 100 mila posti di lavoro, le aziende private respingono l'80 per cento degli avviati dagli uffici di collocamento. Ecco perchè l'approvazione del nuovo testo, che non è il migliore possibile, costituisce comunque un progresso. In sintesi la nuova legge stabilisce: - Sono soggetti ad obbligo le aziende con almeno 15 dipendenti (attualmente si parte da 35) nelle seguenti percentuali: * da 15 a 35 1 disabile (solo in caso di nuove assunzioni) * da 36 a 50 2 disabili * oltre 50 7 per cento - Il collocamento è mirato. Un apposito Comitato tecnico, in accordo con i servizi del territorio, valuta le reali capacità del lavoratore disabile e le caratteristiche dei posti disponibili, individuando percorsi personalizzati di inserimento, con agevolazioni per i datori di lavoro. - Le assunzioni si effettuano nelle aziende private per chiamata nominativa nel 60 per cento dei casi. Per il restante 40 per cento la chiamata è numerica o, in alternativa, i datori di lavoro possono stipulare convenzioni per il collocamento mirato dei soggetti che presentino difficoltà di inserimento. - Per i datori di lavoro che stipulano convenzioni per l'integrazione sono previste le seguenti agevolazioni: * esonero dal pagamento degli oneri sociali per otto anni per i disabili con riduzione della capacità lavorativa superiore al 79 per cento; * rimborso della spesa nella misura del 50 per cento per l'adattamento del posto di lavoro. - La fiscalizzazione totale degli oneri sociali per otto anni si applica sempre nei confronti di chi assume lavoratori con handicap intellettivo e psichico indipendentemente dal grado di invalidità. - Per le agevolazioni sono stabiliti i seguenti finanziamenti: 40 miliardi per l'anno 1999 e 60 miliardi a decorrere dall'anno 2000. Le Regioni inoltre istituiscono il Fondo Regionale per l'occupazione dei disabili (che viene alimentato dalle sanzioni) con lo scopo di potenziare l'inserimento lavorativo e i servizi relativi. - La legge chiede meno ai datori di lavoro (l'aliquota passa infatti dal 15 al 7 per cento), ma è più rigorosa, per chi non la rispetta è prevista una sanzione di lire 100.000 al giorno per ogni posto non coperto e l'esclusione da gare di appalto o da convenzioni con le pubbliche amministrazioni. - Sanzioni sono previste anche per i responsabili delle pubbliche amministrazioni. - Nel pubblico impiego i disabili sono assunti sempre per chiamata numerica o per concorso o attraverso le convenzioni per il collocamento mirato. - Tra i percorsi per il collocamento mirato è stato previsto il coinvolgimento delle cooperative sociali. Non è ammesso lo scambio: assunzione in cooperativa sociale in cambio di appalti; i datori di lavoro si impegnano comunque ad affidare commesse di lavoro. La procedura prevede l'assunzione del disabile da parte del datore di lavoro con comando a termine (due anni massimo) a fini formativi presso la cooperativa sociale, fino al definitivo inserimento nell'azienda stessa. Prevede altresì la facoltà per le Regioni di attuare specificare iniziative per promuovere l'inserimento anche nelle cooperative sociali. - Il collocamento dei disabili (che verrà effettuato, in base al D.Lgs. 469/97, non più dagli uffici periferici del Ministero del Lavoro ma dalle Province) deve avvenire in raccordo con i servizi sociali, sanitari, educativi e formativi del territorio per favorire l'incontro fra la domanda e l'offerta di lavoro. Si stima che con questa legge si renderanno disponibili nel giro di due anni almeno 70 mila nuovi posti di lavoro (soprattutto per l'estensione alle piccole e medie imprese). Occorre però ricordare che il testo prevede l'entrata in vigore delle norme dopo dieci mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Accanto alle valutazioni positive vi è la persistenza di alcuni dati negativi: la conservazione delle categorie giuridiche (con l'aggiunta tradizionale di orfani, vedove, profughi rimpatriati), la presenza e i privilegi delle Associazioni storiche, pesantezze burocratiche applicative e normative, il rischio dell'istituzione di un mercato del lavoro protetto parallelo e sostitutivo di quello normale, alcuni ritardi culturali nella valutazione delle possibilità di inserimento dei disabili psichici e soprattutto il fatto che i disabili vengono ancora individuati "sulla base della riduzione della capacità lavorativa". Il testo rappresenta una soluzione di progresso e di compromesso, non facilmente gestibile. La qualità nei servizi per l’handicap Giancarlo Sanavio - Cooperativa sociale L’Iride di Selvazzano, Padova Qualità della vita ed integrazione, qualità totale, domiciliarità, modello organizzativo basato sulle relazioni tra persone e gruppi, coperazione sociale sono i capisaldi del modello di riferimento dell’esperienza presentata (indice) Dall'analisi di diverse esperienze di centri diurni e comunità residenziali per disabili, quasi tutti sorti agli inizi degli anni '80, nelle realtà delle Regioni del Nord Italia, emergono alcune considerazioni conseguenti alla gestione e ghettizzazione sia dei centri semiresidenziali, che delle comunità ed alle difficoltà vissute dagli operatori che spesso manifestano sindromi di burn-out. Il primo aspetto riguarda lo spostamento degli obiettivi da quelli relativi alla deistituzionalizzazione conseguenti alla riorganizzazione degli Istituti tradizionali (fase non ancora conclusa e spesso ostacolata da interessi particolari ed economici) all'individuazione di nuovi obiettivi che garantiscano la domiciliarità, cioè la permanenza nel proprio contesto di vita di quelle persone disabili che hanno sempre vissuto in famiglia e che la stessa desidera che permangano nell'ambiente familiare o almeno comunitario. Tali elementi ci hanno indotto a ripensare all'esperienza fino ad oggi maturata ed all'organizzazione dei servizi, non più considerati solo in maniera assistenziale, ma inseriti in una rete di servizi, non rivolti solo all'handicap. La normativa sia regionale che nazionale sull'handicap emanata prima della Legge 104/92 è indubbiamente il risultato delle prime esperienze risalenti agli inizi degli anni ottanta, alcune delle quali ora sclerotizzate, altre invece evolute, che mettono in evidenza i limiti espressi dalla legislazione che si pone obiettivi ambiziosi, quali l'integrazione sociale e lavorativa, non sempre tenendo presente le diverse caratteristiche delle persone ed in assenza ancora di una concezione concreta di programmazione individuale. Da queste considerazioni emerge l'esigenza di approntare un nuovo modello di sviluppo dei servizi che si basi sul lavoro di rete e che quindi si collochi nel giusto posto, attivando tutte le sinergie e collaborazioni varie, che consideri e attivi la rilevante risorsa della Comunità Locale onde superare la ghettizzazione che la gestione di una delega senza verifiche ha evidenziato con tutti i suoi limiti. Noi riteniamo d'aver superato molte di queste difficoltà sviluppando una nuova filosofia basata su alcuni importanti aspetti culturali: - Qualità della vita ed integrazione, - Qualità Totale, - Domiciliarità, - Modello organizzativo basato sulle relazioni tra persone e gruppi, - Cooperazione Sociale. La centralità della persona Ciò ha significato operare una serie di riconversioni concettuali: - la prima, consiste nel considerare il potenziale assistito non più come utente, fruitore passivo di prestazioni standard, bensì come cliente chiamato ad essere attore all'interno di un universo di opportunità tra le quali può scegliere le risorse che ritiene più idonee a soddisfare le proprie necessità. Concetto ribadito nell'articolo 5 della legge n 104/92; - la seconda riconversione concettuale rovescia la tradizionale logica del rapporto assistenziale/terapeutico; il cliente non è più soltanto il destinatario di una serie di interventi scelti e proposti dai vari operatori del sistema, ma PERSONA cui la rete dei servizi fornisce informazioni e garantisce opportunità che gli consentono soluzioni conformi al suo progetto dì vita. La qualità della vita per il soggetto disabile è il nostro obiettivo principale; la ricerca del massimo sviluppo possibile delle potenzialità sia in termini di acquisizione di nuove abilità che di capacità affettivo-relazionali e alla promozione di tali possibilità. Tutto questo per ottenere un elevato livello d'integrazione e di realizzazione personale all'interno della società nella quale la persona disabile si trova a vivere. Idea d'integrazione che si discosta dal concetto di normalizzazione per due motivi: - il maggiore risalto dato al grado di soddisfazione personale e di autorealizzazione della persona disabile; - il richiamo ad una visione educativa che non consideri solo le caratteristiche della persona disabile ma anche dell'ambiente nella quale vive, con particolare attenzione alla famiglia ed al contesto della Comunità Locale che va adeguatamente preparato e supportato. In termini molto schematici potremmo affermare che: a) L'attenzione è rivolta alle situazioni di "handicap sociale", dovute a minorazioni psichiche e/o fisiche, alle loro conseguenze individuali, familiari e sociali causate dalle stesse menomazioni. b) Le funzioni preminenti svolte dai Servizi proposti dal servizio sono: - educative, - di sviluppo dell'autonomia relativa alla cura della propria persona, - di socializzazione nella relazione con gli altri, - di riabilitazione e abilitazione per mezzo di attività occupazionali e/o lavorative. c) Gli operatori con funzioni relazionali/pedagogiche: - elaborano collegialmente i dati raccolti, frutto dell'impegno di osservazione, che abbraccia i vari aspetti della persona, nel progetto educativo individualizzato. - lavorano sulle potenzialità, impostando l'attività in termini di ricerca, nel proporre attività e nel descrivere le esperienze, usano un linguaggio che cerca di fornire certezze, ma non nasconde i dubbi e le alternative possibili ai percorsi scelti; con verifiche e valutazioni frequenti di gruppo, dando particolare rilevanza al coinvolgimento delle famiglie: per evitare il pericolo della delega, smantellare per quanto possibile la rassegnazione o l'abitudine al "figlio-problema", l'elaborazione delle ansie che ne derivano e promuovere una collaborazione che, considerando in termini positivi il giovane disabile, prevenga discrepanza tra il comportamento in famiglia e quello nel servizio. Domiciliarità La domiciliarità è intesa come la dimensione di vita della persona, articolata negli spazi della casa e delle relazioni interpersonali. E' un concetto che va oltre la casa; comprende, ad esempio, le piccole ritualità della persona, le sue quotidiana abitudini. Il "domicilio" è inteso, non come contenitore e limite, ma nei termini più ampi: casa aperta, casa delle relazioni sociali e delle esperienze. Domiciliarità quindi come casa-ambiente-contesto dotato di un senso per la persona, perché rappresenta la sua storia, gli affetti, le abitudini, l'esperienza vissuta, la sua domiciliarità. Domiciliarità anche come concetto che recupera la condizione complessiva della salute, in quanto rappresenta il senso d'appartenenza della persona a tante cose. In questi ultimi anni nel pensiero dell'uomo c'è stata una grande trasformazione riguardo a se stesso e alla sua famiglia e nei confronti di ciò che lo circonda, cioè dell'ambiente, sia naturale che come insieme delle relazioni sociali. Privilegiare la domiciliarità è quindi un problema culturale, in quanto non è ancora generalizzata la cultura della salute "fatta di tante cose" e del senso del "territorio-laboratorio". Modello Rogersiano Le intenzioni iniziali di Carl R. Rogers non erano quelle di "inaugurare" una nuova scuola di psicoterapia ma, dal momento che le idee che ne risultarono hanno deviato in modo alquanto radicale dai metodi comunemente usati in psicoterapia, la terapia centrata sul cliente venne a essere considerata dal profano come una scuola terapeutica distinta dalle altre staccandosi dal suo ruolo iniziale di aspetto prettamente educativo. La pedagogia centrata sul cliente ha le seguenti caratteristiche: 1) l'ipotesi che certi atteggiamenti dell'educatore costituiscano le condizioni necessarie e sufficienti per la riuscita dell'intervento educativo; 2) il concetto che la funzione dell'educatore deve essere continuamente presente al suo cliente, facendo affidamento sulle esperienze provate momento per momento nel corso del rapporto; 3) l'accento continuamente posto sul mondo fenomenico del cliente; 4) la teoria secondo cui il processo educativo è caratterizzato dall'acquisizione da parte del cliente di un nuovo modo di sperimentare e dalla capacità di vivere più intensamente nel presente; 5) la continua insistenza nell'autorealizzazione, quale forza motivante del processo educativo; 6) l'interesse per il processo dinamico della personalità, piuttosto che per la sua struttura; 7) l'insistenza sulla necessità di una ricerca per scoprire le verità essenziali nel campo della psicoterapia e del processo educativo; 8) l'ipotesi secondo la quale gli stessi principi della terapia centrata sul cliente sono applicabili a un dirigente d'affari in piena attività, alla persona disadattata e nevrotica che entra in clinica e allo psicotico grave ospedalizzato; 9) una concezione che fa della situazione educativa un esempio d'ogni relazione interpersonale costruttiva, a un livello specialistico, con la conseguente possibilità d'applicazione di tutte le nostre conoscenze provenienti dal campo della pedagogia; 10) l'interesse per le implicazioni filosofiche e morali che possono sorgere dalla pratica educativa e della terapia. Le considerazioni che seguiranno, non riguardano gli aspetti psicoterapeutici del metodo rogersiano, ma la loro trasferibilità in una rete di servizi educativi. L'utilizzo del termine CLIENTE al posto di quello di utente. Non è senza dubbio una scelta del traduttore, ma implica una diversità di considerazione della persona con la quale si entra in relazione d'aiuto che cambia notevolmente il rapporto. Nel dibattito attuale sui servizi sociali queste considerazioni stanno entrando in maniera preponderante. Con il ridimensionamento dello Stato Sociale, le teorie Nord americane della valutazione dei servizi, assai poco, fino ad ora, considerate in Italia, stanno acquisendo un notevole interesse e l'elemento innovatore è proprio lo spostamento di concetto da UTENTE, a cui tutto è dovuto e gratis e, pertanto, viene conseguentemente spersonalizzato tanto che questi non riesce a riconoscere il suo interlocutore, visto molto spesso come controparte, a quello di CLIENTE, cioè persona (non sola bisognosa o in perenne difficoltà) che si rivolge ad un servizio non per riceverne assistenza, ma per acquistare una prestazione. Nell'organizzazione dei servizi sociali pubblici italiani questo concetto fatica ad essere acquisito in quanto più che prevedere il cambiamento di concezione dell'utente prevede il cambiamento del ruolo e dell'atteggiamento dell'operatore che deve riconoscere dignità al suo interlocutore e pertanto mettersi in continua dinamica e in valutazione permanente il proprio operato che non è più solo quantitativo ma diviene esclusivamente qualitativo. Nei servizi sociali questo cambiamento sta portando interessanti innovazioni, ancora forse solo teoriche, rispetto all'organizzazione dei servizi stessi. Per valutare un servizio, specialmente educativo, bisogna prima di tutto definire gli obiettivi che si vogliono raggiungere, dichiarare la propria filosofia d'intervento, poter documentare l'attività svolta e conseguentemente predisporre gli indicatori di verifica della qualità dell'intervento stesso e comunicarli alla potenziale clientela. E' un'evoluzione della "qualità totale" già utilizzata dall'industria che parte dalla lettura dei possibili bisogni della potenziale clientela per individuare e aggiornare i propri prodotti e le modalità di presentazione e vendita. Tutto ciò, nei servizi sociali, è considerato da alcuni pura utopia, non in quanto impossibile da realizzarsi, ma considerando le resistenze poste dagli operatori stessi dei servizi e la loro mentalità predominante. Nella nostra esperienza questo concetto ha invece creato un primo forte interesse ponendo il problema di chi è il nostro cliente: l'ULSS che ha la funzione, ci delega nella gestione e ci paga il servizio o il giovane disabile che lo frequenta o ancora la sua famiglia? Di certo l'ULSS è il committente del servizio detenendone la Funzione quindi il vero cliente è la famiglia nella quale è inserita una persona disabile. Nella distinzione dei ruoli e tipologia della clientela si è voluto focalizzare l'interesse sulle persone disabili che abbiamo ritenuto essere i veri clienti del nostro servizio educativo. Il secondo punto che ci ha colpito dell'approccio di Rogers è quando afferma che " non sono l'abilità tecnica e l'esperienza del terapeuta a determinare il successo del trattamento (ma che) ... il successo finale di un'azione educativa sia dovuto alla presenza nell'educatore di certi atteggiamenti che vengono comunicati al cliente e che sono da lui percepiti ... come la fiducia dell'educatore nel valore e nella dignità dell'individuo e la capacità dell'educatore di instaurare una relazione di sicurezza e di libertà conformemente al fondamentale rispetto del cliente.(1)" Spesso ci si sofferma a discutere sulla dignità della persona disabile o handicappata e sulle difficoltà incontrate dall'opinione pubblica di riconoscere ai disabili inseriti nei servizi quella dignità propria d'ogni persona umana; è una difficoltà reale ed importante ma si parla dell'handicap e delle persone disabili senza mai centrare il discorso sul ruolo e status dell'operatore, responsabile come dice Rogers della riuscita o meno della relazione d'aiuto. Il focus perciò deve essere nella relazione d'aiuto che impegna l'operatore, il suo essere e percepirsi e non solo e soltanto "l'utente" e le sue problematiche. La supervisione delle équipe territoriali riguardavano necessariamente la progettualità per le persone "in carico", le loro difficoltà, le loro crisi e quasi mai le loro relazioni con gli operatori, con gli altre persone disabili e non in contatto con il servizio, come se questi fossero esseri non comunicanti o non in grado di relazionarsi, di esprimere loro pareri o sentimenti. Rogers afferma che il setting terapeutico e, conseguentemente anche quello di relazione, assume invece un valore determinante, che l'operatore deve saper infondere fiducia, non modellare la persona che si trova tra le mani ma metterlo in condizione di crescere da solo, di auto determinarsi, di riconoscere la propria dignità, di rispettare la propria libertà, e per l'operatore di riconoscerlo e trattarlo come persona. Sono affermazioni dirompenti che stanno alla base dell'evoluzione della trasformazione dei servizi sociali da assistenziali ad educativi e del nostro credo e della nostra filosofia. "Vi sono tre condizioni che devono essere presenti affinché si stabilisca un clima che determini la crescita: le condizioni valgono sempre, sia che si parli della relazione tra educatore e cliente, tra genitore e figlio, tra leader e gruppo, insegnante e studente, o amministratore e staff. Le condizioni si applicano, di fatto, ad ogni situazione il cui obiettivo sia la crescita di una persona. (....) Il primo elemento potrebbe essere definito genuinità, autenticità o congruenza. Quanto più l'educatore è se stesso (o se stessa) nella relazione, non erigendo alcuna barriera professionale o facciata personale, tanto più grande è la probabilità che il cliente si trasformi e sviluppi in maniera costruttiva. Questo significa che l'educatore è costituito dai sentimenti e dagli atteggiamenti che fluiscono nell'istante dato. Il termine trasparente rende bene l'idea di questa condizione: l'educatore si rende trasparente al cliente; il cliente può vedere senza esitazioni ciò che l'educatore è nella relazione; il cliente non sperimenta alcuna reticenza da parte dell'educatore. Per quanto riguarda l'educatore, ciò che egli sta sperimentando è disponibile alla consapevolezza, può essere vissuto nella relazione, e quando sia appropriato può essere comunicato. Così, ha luogo uno stretto abbinamento, o congruenza, tra ciò che viene sperimentato a livello fisico, ciò che è presente alla coscienza e ciò che viene espresso al cliente. Il secondo fattore di rilievo nel creare un clima adatto al cambiamento è l'accettazione, o il preoccuparsi, il valorizzare - tutto ciò che è stato definito come incondizionata considerazione positiva. Quando l'educatore sperimenta un atteggiamento positivo, accettante verso qualunque cosa del cliente è in quel momento, che un movimento terapeutico, o cambiamento, ha maggiori probabilità di accadere. (...) Una simile attenzione da parte dell'educatore è di tipo non possessivo; l'educatore valorizza il cliente in modo totale anziché condizionale. Il terzo elemento facilitante di una relazione è la comprensione empatica. Questo significa che l'educatore percepisce accuratamente i sentimenti e i significati personali che il cliente sta sperimentando, e comunica questa comprensione al cliente. Quando opera al meglio, l'educatore è così calato all'interno del mondo privato dell'altro, che egli può mettere in luce non solo i significati di ciò di cui il cliente è consapevole, ma anche quelli che si trovano al di sotto della superficie cosciente. Questo genere di ascolto attivo, sensibile, è eccezionalmente raro nelle nostre esperienze. Pensiamo di ascoltare, ma solo raramente ascoltiamo con una reale comprensione, con un'empatia vera. Eppure l'ascolto, di questo tipo molto speciale, rappresenta una delle forze più potenti, ai fini del cambiamento, che io conosca.(2)" Qualità totale Le trasformazioni profonde verificatesi nell'ultimo secolo hanno generato cambiamenti sostanziali nel nostro stile di vita oltreché nella struttura socio-economica. Alvin Toffler sintetizza in tre ondate quest'evoluzione, che riteniamo importante riportare: Prima ondata: Non esiste il produttore ed il consumatore, il contadino che è la figura predominante produce ciò che consuma. Seconda ondata (rivoluzione industriale): Il produttore diventa dominante rispetto all'operaio consumatore, esiste uno squilibrio tra domanda ed offerta poiché il mercato assorbe tutto ciò che viene prodotto. Terza ondata (post industriale): L'impiegato, figura dominante, soddisfatti i bisogni dell'avere legati al possesso dei prodotti, cerca di esprimere i bisogni dell'essere, più legati all'io, all'alienazione dalla fatica fisica, all'appartenenza, al ruolo sociale. Questo processo evolutivo risulta collegato ad un modo sempre più completo di considerare la qualità della vita, intesa oramai come l'opportunità offerta alle persone di soddisfare i loro bisogni e desideri in un contesto di garanzia e di sicurezza fisica, economica, ideologica e ambientale. Risulta, così, chiaro come in questo contesto assumono un ruolo strategico i servizi, destinati: - alle imprese: in quanto propulsori del processo di sviluppo di accumulo di ricchezza - alle persone: * nei servizi sociali rivolti a trasferire alle persone i benefici della ricchezza prodotta. * nei servizi pubblici quali devono preparare a monte i presupposti e le condizioni per lo sviluppo sociale ed economico e a valle assicurare condizioni di equità ridistributiva e di sicurezza sociale. In questo quadro noi riteniamo che l'evoluzione organizzativa-gestionale dei servizi sociali con particolare riferimento ai servizi alle persone evidenziata dalla filosofia rogersiana sia la Qualità Totale. La Qualità Totale è la strategia oggi adottata da tutte le aziende leader del mondo. Dopo una prima fase in cui è stata interpretata solamente come strumento di miglioramento continuo, la QT è oggi una filosofia vincente, e, ecco la novità, viene considerata indispensabile per la sopravvivenza di un'organizzazione. I vantaggi competitivi che essa genera derivano da un approccio globale e coerente che revisiona fortemente tutto il modo di operare dell'azienda. Abbiamo inteso la qualità come un parametro costituito da 4 politiche di base che riteniamo la diretta conseguenza organizzativa della filosofia rogersiana: Soddisfazione del cliente a) Il cliente la sue esistenza e la sua fedeltà all'azienda, sono considerati infatti la condizione di sopravvivenza e quindi sono l'elemento primario del sistema azienda. b) Soddisfare il cliente vuol dire produrre una risposta a una gamma di aspettative di contenuto e relazionali che si realizzano nello scambio tra organizzazione e mercato. c) Questo supporto è dinamico in quanto in continua evoluzione le aspettative a cui rispondere. La priorità della qualità a) La qualità dei servizi costituisce ovviamente l'obiettivo centrale dell'azione aziendale e quindi deve riguardare ogni fase che sta a monte dell'uscita del prodotto. b) La qualità, il fare le cose giuste e bene, è divenuta insomma un elemento centrale nella costituzione cioè nella definizione dei caratteri culturali e organizzativi, del nuovo tipo di azienda/organizzazione. Miglioramento continuo a) La prima valutazione è legata al principio dinamico della soddisfazione del cliente che è in continua evoluzione. Ciò che era nuovo ieri è scontato oggi, sarà insufficiente domani. b) La seconda è legata alla constatazione che migliorare continuamente l'organizzativo riduce i costi ed i sacrifici delle rivoluzioni tecnologiche. Coinvolgimento del personale al più ampio livello a) Occorre organizzare il coinvolgimento in modo preciso e ciò è avvenuto con i circoli della qualità e i gruppi di progetto, modalità operative già presenti nella prima fase del movimento della qualità totale. b) Ciò genera la costruzione di organizzazioni partecipate e piatte, dove la collaborazione è più importante della gerarchia e di organizzazioni di apprendimento in cui sono molto diffusi i processi di crescita della competenza, anche attraverso la formazione intensiva e la crescita personale/professionale dei singoli. c) E' la focalizzazione su queste politiche di base estremamente coerenti con gli assunti e i valori culturali espressi e con le necessità operative prioritarie a rendere vincenti il movimento della Qualità Totale nella ricerca della competitività e dello sviluppo aziendale. La conformità allo scopo dei servizi, dei processi e delle persone costituisce l'elemento vincente per la soddisfazione del cliente e quindi la sopravvivenza e lo sviluppo di ogni organizzazione. Questa conformità allo scopo è la nuova definizione di qualità su cui ruota tutto il sistema della Qualità Totale. Il nuovo concetto di qualità, tradotto come capacità di soddisfazione del cliente, introduce un approccio di miglioramento continuo, data l'evoluzione dei bisogni. Siamo di fronte quindi ad una concezione di qualità dinamica. La qualità dinamica riguarda tutti gli operatori essendo più orientata a come si realizzano i prodotti/servizi che a cosa decidere per corrispondere alle specifiche predeterminate. Quindi dinamicità e diffusione della pratica qualitativa in tutta l'organizzazione sono le nuove caratteristiche alla base del concetto di Qualità Totale. Nella Qualità Totale la ricerca della conformità allo scopo è presente in tutte le fasi del processo di produzione di un bene o di erogazione di un servizio e riguarda pertanto tutte le fasi e le sedi delle realtà aziendali. Logica conseguenza è che gli operatori vanno resi sempre più di qualità attraverso la motivazione e la formazione permanente perché così avranno prestazioni in grado di dare qualità ai processi a loro volta produttori di qualità attesa e aggiuntiva in grado di soddisfare i destinatari e di mantenere e accrescere la loro fidelizzazione verso l'impresa di qualità in questa concezione globale riguarderà anche l'ambiente socio-organizzativo in cui si realizza il lavoro con la creazione di climi e di strutture organizzative in grado di facilitare l'impegno dei collaboratori garantendo una risposta ai bisogni di sicurezza, socializzazione, stima e autorealizzazione. Va infatti tenuto presente che il sistema della Qualità Totale è un insieme integrato di culture sistemi manageriali e azioni operative, profondamente alternativo agli approcci tradizionali di direzione e organizzazione. Schematizzando potremmo così sintetizzare la nuova mentalità proposta dalla qualità totale e da noi adottata e applicata nella progettazione dei nostri servizi: Alta considerazione umana del personale - La modifica dei contenuti del processo produttivo e delle caratteristiche delle risorse umane ha portato alla considerazione della centralità della persona nei rapporti di produzione. Tale centralità deve quindi diventare un credo a cui seguono comportamenti concreti. Priorità data alla qualità - La Qualità è intesa come adeguatezza del servizio alla soddisfazione del cliente. Si tratta di una scelta aziendale prioritaria su cui orientare gli sforzi di tutto il personale impegnato a migliorare i processi che sono alla base dell'output aziendale. Volontà di aumentare il contatto centro-comunità locale - L'approccio della Qualità Totale si intende invece ad avere una rete di servizi aperti, dove un numero maggiore di persone hanno contatti con i clienti. - Questa tendenza viene incentivata negli approcci di Qualità Totale per creare tra il cliente e le sue esigenze da un lato e gli operatori dei servizi dall'altro, un rapporto il più stretto possibile. Scelta di lavorare con i dati - Si tratta d'una generale affermazione di privilegio del metodo scientifico e dell'attitudine a fare analisi e scelte con elementi concreti a tutti i livelli operativi. Capacità di individuare le priorità - Per meglio utilizzare le risorse di tempo, mezzi ed energie personali verso le attività veramente significative per l'azienda/organizzazione. Controllo dei processi - Lo spostamento dell'attenzione dai risultati ai processi è uno dei cardini della Qualità Totale. Lealtà organizzativa - Cultura positiva nei rapporti interpersonali fondata non tanto su atteggiamenti emotivi, quanto sulla convinzione che l'orientamento a un fine comune e la necessità di una mobilitazione generale verso la qualità aziendale sono fortemente aiutate più dalla presenza di elementi di collaborazione che non di competitività. La qualità nel sistema dei servizi socio-sanitari costituisce oggi uno del principali problemi della sanità pubblica, intesa come organizzazione delle risorse finalizzata ad elevare i livelli di salute (benessere) delle popolazioni. Cooperazione sociale La legge 381/91 riconosce una forma di cooperazione radicalmente diversa da quella tradizionale. Mentre infatti quest'ultima è finalizzata alla tutele degli interessi dei soci, la cooperazione sociale si caratterizza per "lo scopo di perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini". Con questa affermazione la legge disciplina una nuova forma di impresa, con esclusivi fini di interessi generali, gestita in forma cooperativa, riconoscendo l'esistenza di un soggetto privato che, in quanto imprenditore, è dedito alla produzione ed allo scambio di beni e servizi, non tanto per realizzare un proprio interesse quanto in funzione di uno scopo più generale rappresentato da un interesse diffuso nella comunità. Il perseguimento di tale interesse sancisce, quindi, il superamento del principio mutualistico, tipico della cooperazione ordinaria, che implica l'associazione di più persone per produrre, per tutti e per ciascuno dei soci, un vantaggio e dei benefici superiori a quanto riuscirebbero ad ottenere ciascuno per conto proprio. Viene introdotto, invece, il concetto di solidarietà, che diventa uno degli elementi caratteristici e distintivi della cooperazione sociale, in quanto lo scopo dell'attività non è più garantire benefici economici o occupazionali ai soci, ma perseguire l'interesse generale della comunità. Si tratta dunque di una finalità solidaristica, orientata all'esterno della compagine sociale. Oltre che definire un tipo generale di cooperazione, la legge 381/91 istituisce anche una specie particolare di cooperativa sociale, finalizzata all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate. Le cooperative di inserimento lavorativo rappresentano un importante strumento di politica del lavoro a esplicito favore delle persone che trovano maggiore difficoltà ad un proficuo inserimento nel lavoro (per cause di ordine sia permanente che temporaneo). Per la maggior parte di queste persone l'inserimento lavorativo nelle cooperative sociali rappresenta una delle poche alternative ad uno stato di disoccupazione permanente, soprattutto in considerazione delle crescenti difficoltà di applicazione della normativa sul collocamento obbligatorio. Rispetto alle politiche sociali la cooperazione sociale ha assunto un ruolo duplice: - impegnarsi a dar vita a servizi sociali o in ambiti dove i servizi pubblici erano inesistenti o carenti oppure adottando modalità organizzative e forme di intervento diverse da quelle dei servizi pubblici; - gestire su richiesta di enti pubblici servizi che questi ultimi avevano già attivato in proprio e preferivano delegare, legati alla cooperazione sociale soprattutto servizi che richiedono un'organizzazione molto flessibile o ad elevato contenuto relazionale. La cooperazione sociale ha sviluppato questi ruoli assai prima che si aprisse il dibattito sulla privatizzazione. La maggior consapevolezza che il recente dibattito ha determinato, mentre, da un lato, può dare un nuovo impulso alla cooperazione sociale, dall'altro, introduce il pericolo che ad essa si ricorra ai fini di una pura intermediazione di manodopera. Questa evenienza è molto pericolosa, perché elimina il carattere imprenditoriale ed innovativo tipico della cooperazione sociale. In generale, è lo stesso concetto di privatizzazione che va attentamente ripensato e definito allorché si tratta di servizi sociali. In questo caso infatti è più corretto parlare di socializzazione, specie se gli organismi interessati sono libere espressioni della comunità locale e mantengono autonomia e carica innovativa, non procedendo, attraverso l'intermediazione di manodopera a rapporti di tipo collusivo, ma orientandosi invece verso mature forme di partnership. La scelta della cooperativa sociale come struttura che ha messo in evidenza nella sua evoluzione storica degli ultimi quindici anni, alcune caratteristiche difficilmente ripetibili in altre organizzazioni quali: - la piccola dimensione che la caratterizza per la democrazia partecipativa interna; -il collegamento con il territorio in simbiosi con la comunità locale in cui opera e la sua stretta vicinanza al mondo del volontariato visto come elemento di unione tra la cooperativa e la stessa comunità evitando così il rischio della ghettizzazione; - il coinvolgimento diretto degli operatori non considerati dipendenti ma in qualità di soci, protagonisti della vita societaria e perciò motivati alla efficace realizzazione del servizio; - il coinvolgimento come risorsa dell'utenza stessa e delle famiglie in un progetto comune anche se con ruoli diversi che li considera in primo luogo clienti; - la non burocratizzazione dell'organizzazione che permette un'elasticità operativa indispensabile in un progetto dinamico; - l'utilizzo di risorse economiche provenienti dal mercato e destinate a fini sociali. 1) dal Manuale di psichiatria di Silvano Arieti, ed. Boringhieri: La psicoterapia centrata sul cliente di Carl Rogers 2) da "Un modo di essere" di Carl Rogers pp. 100 e seguenti Sulla chiusura degli ospedali psichiatrici Con questa scheda, attraverso dati e documenti ufficiali, offriamo un quadro della situazione riguardante gli ospedali psichiatrici. Ricordiamo che la loro chiusura già prevista dalla legge 180/78 e mai attuata è stata “risancita” dalle leggi finanziarie degli ultimi anni (l. 724/94, l. 662/96, l. 449/97). In particolare con la l. 724/94 si stabilisce la definitiva chiusura entro il 31.12.1996. (indice) 1) Il primo testo riprende alcune parti dell'indagine della Commissione Affari sociali della Camera dei deputati. Ne emerge un quadro di incredibile disagio e degrado che è opportuno venga conosciuto e fatto conoscere perchè non continuino a ripetersi situazioni di violenza e di violazione dei diritti umani. Dal documento conclusivo (luglio 1997) dell'indagine conoscitiva sulla chiusura degli Ospedali psichiatrici redatto dalla Commissione Affari Sociali della Camera dei deputati. I dati relativi agli istituti Il processo di chiusura degli ospedali psichiatrici riguarda, secondo i dati forniti dal Ministero della Sanità, 62 istituti pubblici e 14 istituti privati, per un totale di 20.291 posti letto, di cui 12.951 pubblici e 7.340 privati. Risulterebbero, secondo i dati forniti dal Ministero, già chiusi gli o. p. di Reggio Calabria (1992), Arezzo, collegno-Grugliasco, S. Ambrogio di Valpolicella (VR), Rovigo (1994), Sacile (PN), Noventa Vicentina, Monselice (PD), Oderzo (TV) (1995), Feltre (BL), Treviso, Valdobbiadene, Perugia, Gorizia, Udine, Roncati (BO), Lolli (Imola) (1996). Tali dati risultano, tuttavia, contraddetti dai piani trasmessi dalle regioni o dalle dichiarazioni rese dai loro rappresentanti nelle audizioni che fanno riferimento a istituti considerati chiusi. In non pochi casi è stata, difatti, deliberata una chiusura formale, di tipo burocratico-amministrativo, con la conseguente trasformazione dei "degenti" in "ospiti". Si tratta, evidentemente, di una modalità che la Commissione non può accettare o condividere. Gli istituti ancora aperti sono diventati strutture fatiscenti, spesso collocati in parchi stupendi. Internamente è stata mantenuta la classica suddivisione ospedaliero-manicomiale per padiglioni, al cui interno mancano spazi personalizzati e servizi igienici adeguati. GLi istituti, inoltre, hanno vissuto in una situazione di forte isolamento rispetto ai Centri di salute mentale, ai servizi sociali dei comuni, alla vita culturale, sociale e produttiva del territorio. Non sono mancate, certamente, alcune positive iniziative in questo senso, che, tuttavia, hanno mantenuto carattere episodico e di improvvisazione. I dati relativi ai degenti Un primo dato che è emerso con drammatica evidenza è la mancanza di dati certi, dettagliati e uniformi su ciò che è realmente avvenuto negli ospedali psichiatrici a decorrere dalla riforma del 1980 e sul destino che hanno avuto in sorte i degenti che hanno lasciato i manicomi a partire da quell'anno. Il Parlamento dovrebbe chiedersi e chiedere alla società che tipo di vita hanno condotto le migliaia di persone vissute dentro le strutture manicomiali, dove sono andati a finire i degenti che sono stati dimessi, quale assistenza hanno ricevuto, in che modo sono stati aiutati ad inserirsi nella società, quanti sono morti e per quali cause, quanti ancora sopravvivono. Allo scopo di rispondere a qualcuno di questi quesiti, la Commissione ha richiesto alle regioni l'analisi storica dei dati relativi ai degenti a decorrere dal 1980, specificando il numero dei degenti dimessi, le cause di dimissione e quelle di morte: le regioni, tuttavia, hanno in larga parte eluso tali quesiti e anche quando hanno risposto non hanno saputo fornire indicazioni certe. Mai, infatti, sono state fatte serie verifiche sulla sorte dei pazienti dimessi dagli ospedali psichiatrici. Appare comunque fuori dubbio che solo in pochi casi si è saputo assicurare un adeguato e personalizzato percorso di reinserimento e che la maggior parte delle persone hanno vissuto la propria dimissione in situazioni di classica improvvisazione e di tragico abbandono. La storia della chiusura degli ospedali psichiatrici ha bisogno ancora di essere scritta, pienamente con pacatezza ed al di fuori delle pur straordinarie passioni che hanno animato la stagione della legge 180 (...). I soli dati complessivi, quelli forniti dal Ministero della Sanità, indicano in 80mila il numero dei pazienti che hanno lasciato gli ospedali psichiatrici dopo il 1980: un terzo di questi sono deceduti, gli altri sono stati inseriti in comunità terapeutiche o riabilitative, in RSA, in istituzioni geriatriche o, ancora, in strutture private. Secondo i dati forniti dal Ministero della Sanità i pazienti attualmente ricoverati negli istituti sono 17.078, di cui 11.892 presso le strutture pubbliche e 5.186 presso strutture private. Si tratta di dati ritenuti attendibili dai componenti dell'osservatorio per la tutela della salute mentale istituito presso il Ministero, mentre alcuni interventi nel corso delle audizioni hanno sostenuto che il processo di chiusura riguarda circa 22mila persone. Vi è quindi un problema urgente nel censimento stesso del numero dei degenti aggravato dal fatto che la trasformazione dei "pazienti" in "ospiti" incide sulla determinazione del numero dei degenti effettivi: allo scopo di evitare distorsioni eccessive dei dati si potrebbe procedere alla rilevazione dei dati su base decentrata. Alcune considerazioni di sintesi sulle missioni Molte persone hanno vissuto fino a pochi giorni fa dentro gli ospedali psichiatrici, in condizioni per lo più spaventose, con un'organizzazione sanitaria quasi sempre orientata alla semplice custodia e quasi mai alla riabilitazione ed al reinserimento. Dalle stesse visite effettuate negli ex o.p., dislocati nel nostro Paese, si è potuto constatare la drammatica condizione dei malati ancora ricoverati. Le persone non ricevono cure adeguate: si fa solo un uso ripetuto (ed in molti casi smodato) di psicofarmaci. Non c'è un'assistenza personalizzata: i degenti si alzano la mattina presto, spesso non hanno indumenti propri, ma indossano casacche anonime e scarpe di misura diversa dalla propria. La giornata scorre senza attività organizzate, senza alcuna iniziativa alla socializzazione e scorre via in ambienti del tutto privi di qualsiasi stimolo, visivo, uditivo, tattile, eccetera. Quando è stata trovata una struttura più pulita, o almeno meno fatiscente, si è potuta comunque riscontrare una logica, un'impostazione, sempre molto "istituzionalizzante", tutta tesa a separare i degenti dalla "normalità" e a farli vivere una giornata vuota, senza senso, che scorre nell'incuria più totale e di frequente nella sporcizia. Le persone ricoverate sono spesso lasciate in una totale promiscuità. Convivono insieme persone con età diversa, ma soprattutto in condizioni diverse: anziani, portatori di handicap, disagiati psichici gravissimi, gravi e persone leggermente disturbate. Il personale infermieristico è stato per lo più selezionato e reclutato senza alcuna formazione professionale specifica e - al di là di casi eccezionali ha subito anch'esso un lento percorso di istituzionalizzazione e di totale demotivazione al lavoro. Il personale medico ha subito via via lo stesso percorso adeguandosi al degrado di una struttura sanitaria non programmata per curare nè per riabilitare, ma per "mantenere in vita" e custodire. Le aziende sanitarie e le Regioni si sono sostanzialmente disinteressate degli ex o.p.: non si sono preoccupati dei costi-benefici, di preparare seri programmi di chiusura. Naturalmente bisogna differenziare molto l'analisi per ciò che riguarda il passato e riconoscere che diverse Regioni ed USL hanno fatto responsabilmente la propria parte in termini di innovazione e di reale cambiamento. Comunque, nelle regioni in cui esistono gli ex o.p., analizzate dalla Commissione, è possibile riscontrare quasi ovunque responsabilità gravissime e ritardi ingiustificabili. Storicamente, il Ministero della Sanità da sempre non si è contraddistinto con un ruolo positivo, anzi: ha riprodotto tutti i vizi riscontrati nelle Regioni e nelle aziende sanitarie. Non ha svolto azioni di indirizzo, di controllo, di monitoraggio nè di tutoraggio in favore di una reale chiusura dei manicomi. Il progetto obiettivo 1994-1996 è stato quasi completamente disatteso. L'Osservatorio per la salute mentale non è stato messo nelle condizioni di fare bene la propria parte e comunque è arrivato in ritardo rispetto all'attuazione della positiva legislazione disposta dalla finanziaria del 1994 e del 1997. In conclusione il giudizio è evidentemente negativo. Gli O.P. ancora aperti non possono essere assolti e chi li ha tenuti in vita con le descritte modalità ha delle gravissime responsabilità di cui farsi carico (...). Bisogna chiedersi quanti magistrati hanno fatto il proprio dovere per smascherare la violazione dei diritti umani oltre ai più elementari diritti di cittadinanza; quante imprese si sono arricchite per fornire beni e servizi del tutto privi dei necessari requisiti di qualità; quante speculazioni si sono celate dietro le diagnosi fatte a persone prive di qualsiasi malattia mentale, ricoverate per decenni in manicomio; quanti pregiudizi hanno impedito agli stessi cittadini di svolgere una funzione critica o di impegno attivo nel settore. La stessa politica quanto ha sfruttato, in termini clientelari e affaristici, i manicomi? Conclusioni La Commissione ha dovuto prendere atto che il processo di chiusura è stato appena avviato e presenta numerose ambiguità e ha maturato il convincimento che esistono alcuni pericoli da evitare assolutamente. In particolare è necessario evitare di: - "scaricare" le persone che vivono ancora dentro gli ex o.p. al loro destino (o scaricarli alle famiglie, quando ci sono), per dimostrare formalmente la chiusura dei manicomi prescindendo da percorsi personalizzati e reali di cura, riabilitazione e reinserimento; - adeguarsi alle "false chiusure". In molti ex o.p. è in atto un processo di ristrutturazione che vuole semplicemente rimodernare i vecchi padiglioni e mantenere in questi contesti i vecchi degenti. In qualche caso si vuole addirittura paradossalmente aprire ai nuovi ricoveri attraverso le cosiddette comunità riabilitative; - utilizzare sempre le stesse strutture e le aree manicomiali per fare RSA per i degenti anziani e per i portatori di handicap degli ex o.p., anche al di là della regolamentazione prevista dalle linee guida del Ministero della Sanità. Anche in questo caso si commetterebbe un tragico errore che non modificherebbe sostanzialmente la condizione di vita di queste persone; - avviare percorsi di chiusura senza preparare adeguatamente il trasferimento in strutture alternative. E' necessario prestare molta attenzione a non ricreare dei "piccoli manicomi" in luoghi diversi dagli ex o.p., altrettanto istituzionalizzati; - scaricare i degenti degli ex o.p. in strutture private che non hanno alcun requisito alternativo agli ospedali psichiatrici. Questa scorciatoia viene spesso utilizzata pur di chiudere formalmente gli ex o.p. oppure, cosa ancor più grave, per garantire interessi locali che mirano a trasformare l'evento chiusura in un giro di affari; - utilizzare a fini speculativi il patrimonio degli ex o.p. oppure abbandonarli a se stessi senza trarne quel reddito che è necessario per essere reinvestito nel settore della salute mentale; - favorire la tragica contrapposizione fra gli interessi degli attuali ricoverati negli ex o.p., che si riverseranno nelle scarse e deboli strutture territoriali alternative, e la nuova utenza, oggi molto vasta e con poche opportunità di cura e di riabilitazione. 2) I dati di seguito riportati sono ripresi dalla pubblicazione del Ministero della sanità "Stato di attuazione del processo di superamento degli ospedali psichiatrici e di realizzazione dei dipartimenti di salute mentale" (1998), che fotografa lo stato di superamento degli ospedali psichiatrici (al 31 marzo 1998). Sempre nella stessa pubblicazione vengono forniti dati riguardanti la realizzazione dei Dipartimenti di salute Mentale (DSM) nelle regioni italiane. Dati richiesti Il Ministero della sanità ha richiesto per ciascun ex O.P.: 1) una relazione del programma di superamento con indicato: a) il percorso previsto (articolato in tre sottoprogetti: "Dimissioni", "Riabilitazione", "RSA"); b) gli atti di gestione corredati di data di adozione; 2) il censimento dei pazienti alla data del 31 marzo 1998. Per gli O.P. privati convenzionati, alle regioni è stato richiesto: a) una relazione dalla quale si evinca un accordo formale tra Regione e l'Ente privato per un programma, in applicazione con le linee guida ministeriali relativo alla destinazione dei pazienti per i quali viene pagata la retta in convenzione; b) una scheda di rilevazione per ciascuna struttura contenente il numero dei pazienti presenti divisi in due gruppi "psichiatrici" e "disabili-geriatrici" al 31.12.96 ed eventuali inserimenti in strutture esterne con situazione aggiornata al 31.3.98. La situazione al 31 dicembre 1996 Ospedali psichiatrici pubblici. Risultano 75 istituti per complessivi 11.803 pazienti. Vengono inoltre individuati due tipologie di pazienti: a) con prevalenti problemi psichiatrici (tot. 6.358, 54% del totale), b) con prevalenti problemi di disabilità o patologia psichiatrica (tot. 5.200); nel totale (11.803) vengono compresi 245 pazienti dell'ospedale di Siena che non risultano disaggregati nelle due tipologie. Ospedali psichiatrici privati. Risultano 11 istituti per complessivi 3.726 pazienti. Di questi 2.263 (61%) sono a prevalente patologia psichiatrica, 1.463, non psichiatrici. La situazione al 31 marzo 1998 Ospedali psichiatrici pubblici (Tabella 1). Risulterebbe completato il processo di superamento per 36 O.P. su 75. Veneto, Umbria e Calabria dichiarano di aver chiuso tutte le strutture al 30.09.97. Per quanto riguarda la situazione dei pazienti (11.803 al 31.12.96) sono stati rilevati i seguenti dati: 6.459 persone (54,7% dei degenti) risultano inserite o nel proprio domicilio (278) o in residenze (6.181). Di questi,2.341 sono inseriti in residenze ricavate dalla ristrutturazione di edifici dell'area degli ex O.P.; 3.840, sono inseriti in residenze del territorio (sia pubbliche che del privato sociale). 4.903 degenti, pari al 40,4% ancora rimangono all'interno degli O.P.. 575 sono i degenti deceduti (4,8%). Ospedali psichiatrici privati-convenzionati (Tabella 2). Risulterebbe chiusa una sola struttura su undici. Per quanto riguarda la situazione dei pazienti, 587 (15,8%), risultano inseriti a domicilio (68), o in strutture residenziali (519) sia esterne che nell'area degli O.P.. Rimangono ancora all'interno degli O.P. privati 2.935 pazienti (78,8%) dei degenti. Riflessioni conclusive I dati riportati inducono alcune riflessioni: - Il confronto dei dati. Dal confronto dei dati della Commissione Affari sociali della Camera dei deputati (forniti dal Ministero) con quelli del Ministero al 31.12.96 emerge una difformità sia relativamente al numero complessivo dei degenti (15.529 per Commissione, 17.078 Ministero), che al numero di strutture aperte (76 per commissione, 86 per Ministero). La stessa Commissione (vedi documento riportato), rilevava la difficoltà di avere un quadro certo del numero dei degenti ricordando la trasformazione dei pazienti da "degenti" in "ospiti", che determina una riduzione dell'effettivo numero delle persone ancora presenti all'interno degli istituti. - I pazienti non psichiatrici. Al 31.12.96, risultava che il 44% dei pazienti (5.200) degli O.P. pubblici aveva "prevalenti problemi di disabilità e/o geriatrici"; nella stessa situazione risultavano il 39,3% (1.463) dei pazienti degli istituti privati. Un numero così alto di pazienti "non psichiatrici" fa sorgere il dubbio che questa distinzione possa risultare funzionale alla collocazione in RSA o case di riposo di molti degli ospiti degli O.P., con conseguenti minori costi a carico del servizio sanitario. C'è da chiedersi, se i dati sono esatti, come può essere giustificata la permanenza di questi soggetti all'interno degli istituti a 20 anni dalla 180. - Le strutture interne all'area degli ex O.P.. Seguendo la distinzione tra pazienti "psichiatrici" e "non psichiatrici", il documento afferma che per i primi circa il 30% è inserito in residenze in area ex O.P.; per i secondi si arriva al 45%. Nonostante le precauzioni ministeriali (richiesta di ristrutturazione, rispetto del DPR 14.1.97) il rischio evidente è di mantenere un piccolo ex O.P. chiamato però con un nome diverso (ad es. RSA). Non andrebbe poi dimenticato che continuano a vivere all'interno degli ex O.P. ancora 4.769 soggetti (il 40,4% dei soggetti presenti al 31.12.96) degli ex O.P. pubblici e 2.935 soggetti (78,8% dei soggetti presenti al 31.12.96). - Gli O.P. privati. Grave e vergognosa rimane la situazione degli ex O.P. privati con la chiusura di un solo istituto su undici e con circa l'80% delle persone ancora ricoverate. Le dimensioni degli istituti fotografano un quadro raccapricciante. Al 31.12.96 ad es. in Puglia i due istituti presenti (di proprietà della Congregazione Religiosa Ancelle della Divina Provvidenza) vedevano ricoverate 1.507 persone (500 a Foggia e 1007 a Bisceglie); al 31.03.98 erano ancora presenti all'interno degli istituti 1.362 persone. Nell'unico istituto del Lazio (anch'esso di una Congregazione religiosa) al 31.12.96 erano presenti 528 pazienti; al 31.03.98 solo 14 di questi sono stati inseriti nel territorio. L'unica struttura che ha completato il processo di superamento è "Villa Pini d'Abruzzo" che al 31.03.98 risulta aver dimesso i 188 soggetti presenti al 31 dicembre 1996. Formazione per volontari: due esperimenti a Palermo Augusto Cavadi - Scuola di formazione etico-politica “G. Falcone”, Palermo Solidarietà frontale, consapevolezza critica, prospettiva politica; su queste linee si muove il percorso della Scuola di formazione etico-politica, “G. Falcone”, di seguito presentata. (indice) Tridimensionalità di un impegno Forse si può crescere senza patria, certamente non senza matria. La patria è vasta, generica, lontana : molti di noi siamo diventati adulti avvertendola come poco più di un simbolo retorico. La città in cui impari a respirare, a sgambettare, a rincorrerti con i compagnucci è - invece - un territorio preciso con cui devi fare i conti irrimediabilmente. Se fuggi lontano, non riesci del tutto a strapparla dalla memoria; se ci resti, non riesci del tutto a rassegnarti alle sue brutture. Essere figli di una città è comunque condizione di contraddizione: specie quando la tua è una matria bella e corrotta come una puttana, di cui sei fiero e insieme vergognoso. Forse per questo a Palermo, almeno negli ultimi quarant'anni, non è stato facile annoiarsi: la capitale della mafia e dell'antimafia, tra le più povere di produttività e tra le più spendaccione in consumi, impone di - o, per lo meno, induce fortemente ad - assumere posizione. O ti arruoli deliberatamente in quello che il mio amico Franceschelli chiama il popolo del bene o ti trovi, di fatto, inquadrato nella massa dei complici. Arruolarsi nel popolo del bene, dichiararsi volontari, diventare cittadini adulti: che significa, in concreto, dare gambe alla speranza? Innanzitutto scegliere per la solidarietà frontale, immediata, diretta. Per quanto incredibile possa sembrare, in una città europea a un passo dal Duemila, c'è ancora gente che stenta a sfamarsi, che vive - almeno sin quando non crollano addosso - in catapecchie senz'acqua e senza luce. Questi bambini, questi anziani, queste donne hanno bisogno di un soccorso urgente, indilazionabile: di un soccorso che non sia assistenzialismo, ma affiancamento affinchè ciascuno prenda consapevolezza delle proprie risorse e delle proprie responsabilità, si alzi e si metta a camminare. In quest'ottica abbiamo tentato di attivare nei quartieri più disastrati di Palermo dei centri sociali, apartitici ed aconfessionali, autogestiti: luogo di raccolta dei bisogni e di elaborazione di risposte pratiche, dai corsi di formazione professionale finanziati dall'Unione Europea alle cooperative di lavoro effettivo per i giovani disoccupati (1). Per esercitare con efficacia la propria azione sociale, il cuore non basta: occorre un minimo di preparazione culturale, di consapevolezza critica. Altrimenti lo slancio emotivo si esaurisce, le motivazioni di partenza s'indeboliscono ulteriormente: i gruppi si sciolgono o - che è forse peggio - si sclerotizzano senza ricambio generazionale. Per consentire agli operatori un'alfabetizzazione minima in campo storico, pedagogico, psicologico, sociologico, giuridico, economico abbiamo dunque moltiplicato a Palermo le occasioni di formazione e di aggiornamento. Abbiamo persino creato una struttura permanente per chi voglia imparare ad orientarsi, a progettare interventi, a collegarsi con gli altri operatori pubblici e privati: ed è nata così, presso il Centro "Pedro Arrupe" dei Padri Gesuiti di Palermo (ma frutto sinergico di una decina di associazioni cittadine), l'Università della strada (2). Solidarietà, dunque - e solidarietà consapevole. Tuttavia questa attenzione al volto concreto del vicino implica il rischio di una certa miopia. Rischi di dimenticare che la sofferenza di una persona è sintomo del disagio di un quartiere, di una città, di una regione, di un Paese, del pianeta; rischi di dimenticare che la tua solidarietà corta non ha senso se non sai interpretare - e in qualche modo modificare - i processi storici e sociali che sono la causa remota e profonda delle disfunzioni locali. Da qui la necessità di una prospettiva politica più ampia, al cui interno iscrivere i piccoli gesti quotidiani di risanamento. Fare politica, non necessariamente né primariamente all'interno di un partito: mutare le strutture, non solo le coscienze; creare istituzioni, non solo modelli di vita. Capire che è importante aiutare un bambino a fare i compiti per casa, ma almeno altrettanto urgente stimolare la scuola ad aprire laboratori pomeridiani permanenti; che è indifferibile curare la pratica per il sussidio di disoccupazione di un padre di famiglia, ma almeno altrettanto urgente stimolare il Comune a completare in maniera stabile la sua pianta organica attualmente deficitaria; che è importante sostenere il commerciante che denunzia il pizzo alle autorità di polizia, ma almeno altrettanto urgente mandare in galera - o per lo meno a casa - i politici alleati strategici della mafia. Questa vigilanza politica, questo sguardo sul contesto e sul futuro, non s'inventa: proprio perché anche esso va coltivato, da molti anni abbiamo offerto alla città un Laboratorio di cultura politica che dal 1992, data delle stragi di Capaci e di via D'Amelio, è diventato la Scuola di formazione etico - politica "G. Falcone". All'interno di un mosaico più ampio Non è questo il momento di ripercorrere il cammino, lungo e non sempre agevole, che ha portato alla costituzione della Scuola "Falcone" né di riferire, sia pure in breve, sulle iniziative di studio, di dibattito, di proposta che essa ha realizzato in questi anni (3). Vorrei qui limitarmi a poche considerazioni di chiarimento con l'intento, certamente un po' presuntuoso, di mostrare che questa esperienza - per quanto in molti sensi limitata - riveste un significato non esclusivamente localistico e potrebbe, forse, essere utilizzata (mutatis mutandis) come tentativo di risposta ad esigenze rilevabili in contesti socio-geografici distanti. Una prima considerazione è che l'identità di questa iniziativa non ha senso isolatamente da quel più ampio movimento di cittadini che - come ho cercato di suggerire sino ad ora - hanno tentato e tentano di coniugare solidarietà, cultura e politica (4): la Scuola non è stata neppure per un momento autoreferenziale, è una struttura di servizio aperta a quanti avvertono il bisogno di un confronto critico sulle questioni decisive del nostro tempo (la mafia come questione nazionale e come centro di potere illegale precursore della 'globalizzazione', innanzitutto; ma anche la necessità di una cooperazione fra il Nord e il Sud del mondo e, più ancora, fra i tanti Sud del mondo; la parabola del marxismo dalla Rivoluzione d'Ottobre a Gramsci, a Che Guevara, sino al fallimento attuale del socialismo 'reale'; la nascita e le disavventure odierne dello Stato sociale; la disoccupazione strutturale e le aporie del capitalismo; l'incontro fra l'Occidente secolarizzato e i vari universi islamici...). Essa non si concepisce, illuministicamente, come agenzia autonoma di riscatto sociale: sa che lo studio, l'analisi scientifica, sono fondamentali, ma non per questo s'illude che da soli siano sufficienti. Le ipotesi, le intuizioni, le indicazioni di massima che essa elabora ed offre devono essere tradotte e interpretate, attualizzate e concretizzate, dai suoi iscritti là dove essi abitualmente faticano: come insegnanti, come studenti, come sindacalisti, come amministratori, come operatori sociali, come volontari. Una dolorosa supplenza Si potrebbe obiettare che questa funzione di preparazione intellettuale in campo socio-politico e di stimolo etico dovrebbe essere compito di altre agenzie educative e che, perciò, una scuola di formazione etico-politica potrebbe costituire un doppione superfluo. In linea teorica, l'obiezione avrebbe un qualche fondamento; molto meno in pratica. La scuola, la scuola come sistema d'istruzione pubblica, ha da troppo tempo abdicato al ruolo di educatrice civica: vittima di una nozione riduttiva e fuorviante di politica, dichiara orgogliosamente di lasciare quest'ultima fuori dalla porta delle aule. Col risultato positivo (almeno in genere, almeno sino ad ora) di preservare i ragazzi dalle dispute patetiche fra i leader del Polo e quelli dell'Ulivo, dalle loro sottigliezze ora diplomatiche ora polemiche; ma col risultato negativo (almeno in genere, almeno sino ad ora) di produrre dei cittadini perfettamente all'oscuro delle grandi culture politiche del Novecento, degli interrogativi lancinanti da cui dipende la sopravvivenza stessa dell'umanità e del cosmo nel XXI secolo. Quello che non fa la scuola, una volta lo facevano i partiti: soprattutto i grandi partiti di massa della tradizione socialista e della tradizione cattolica. Essi pure, ormai da decenni, sono troppo affaccendati nella ricerca del consenso massmediale, nel gioco degli equilibri parlamentari, nel continuo rimescolamento degli incarichi di sottogoverno: per ciò non hanno né tempo di voglia di dedicarsi alla formazione e all'aggiornamento dei militanti e dei quadri dirigenti. Navigano a vista, senza progetti di lungo periodo: sensibili soltanto ai sondaggi d'opinione, sterzano a destra o a sinistra in preda ad un qualunquismo mascherato da pragmatismo. La latitanza della scuola e dei partiti potrebbe essere, almeno in parte, compensata dall'impegno delle chiese: ma anche da questo versante il panorama non è incoraggiante. Caduti (grazie a Dio e grazie ai magistrati) i collateralismi più sfacciati, sembrerebbe che ai credenti non resti che una dorata neutralità: come se il vangelo non dovesse suggerire, fuori da qualsiasi integralismo, degli orientamenti di fondo in tema di povertà, di ingiustizie, di illegalità, di bellicosità... Ma non basta riferirsi al deserto che, di fatto, attende un cittadino desideroso - nonostante la diseducazione sistematica - di farsi un'idea chiara in politica. Qualora, per miracolo, scuola partiti e chiese dovessero, ognuno nel proprio ambito di competenza e con le metodologie specifiche, riappropriarsi del diritto/dovere di fare formazione etico-politica, correrebbero il rischio (i partiti e le chiese soprattutto) di farlo in maniera parziale, monolitica. La Scuola di formazione etico-politica "G. Falcone" è, invece, già per statuto, apartitica ed aconfessionale: pur se orientata decisamente ai valori della democrazia, della legalità, della solidarietà sociale, si è proposta sin dall'inizio di "promuovere iniziative di collaborazione fra persone diverse per sesso, nazionalità, orientamento culturale o religioso, in modo da esaltare la pluralità e le differenze come risorsa, non come minaccia, in vista del bene comune" (5). Al di là della dolorosa supplenza di questi anni, essa ritiene, dunque, di avere un compito anche nel futuro: almeno sino a quando non si sarà del tutto eclissata la convinzione di don Milani e dei suoi contadinotti di Barbiana che affrontare i problemi da soli è avarizia, farlo insieme è politica. 1) Cfr. A. Cavadi, Il cammino di un centro sociale autogestito nel Meridione, in "Appunti", 1997, 4/5, pp. 24-26. 2) Per ulteriori informazioni e approfondimenti metodologici cfr. la scheda L'università della strada di N. Rocca e M.L. Cerrito nella seconda edizione del mio Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, CSD "G. Impastato", Palermo 1998, pp. 49-51; nello stesso libro, di Gianni Di Gennaro, direttore del Centro studi "Pedro Arrupe", Una riflessione prospettica: per una Università della strada. Alcuni presupposti teorici (pp. 103-108). 3) Cfr. A. Cavadi, Un laboratorio di cultura politica itinerante in "Segno", 1988, 98/99, pp. 63-64; A. Cavadi, La scuola di formazione etico-politica "G. Falcone": origine, storia, prospettive, in "Nuove Ipotesi", Palermo, 1993, 1, pp. 147-153; A. Cavadi, L'esperienza della scuola di formazione etico-politica "Falcone" di Palermo in AA.VV., Introduzione alla politica, a cura del Comune di Forlì, Il Ponte Vecchio, Cesena 1997, pp. 193-202. 4) Su questo progetto più complessivo di riscatto civile cfr. A. Cavadi, iberarsi dal dominio mafioso, Dehoniane, Bologna 1995 ed U. Santino, Oltre la legalità. Appunti per un programma di lavoro in terra di mafie, Centro siciliano di documentazione "G. Impastato", Palermo 1997. 5) Articolo 3, comma f, dello statuto Segnalazioni librarie Recensioni di libri presenti al Centro Documentazione - a cura di: Samuele Animali, Sibilla Giaccaglia, Daniela Giaccaglia, Francesco Pieretti (indice) anziani AA.VV., Anziani '98, Lavoro, Roma 1999, pp. 452, L.50.000. Il secondo Rapporto sulla condizione della persona anziana, a cura della Federazione nazionale pensionati Cisl, aggiorna i dati numerici relativi alla popolazione anziana e vuole offrire orientamenti, analisi e riflessioni sugli aspetti più rilevanti di tale condizione. Rispetto alla prima edizione dati, analisi e confronti sono stati sviluppati inglobando aspetti quali i tempi di vita e lavoro delle persone anziane, la solidarietà intergenerazionale, l'apporto della popolazione anziana alla società in termini economici, culturali e propositivi. AA.VV., L'operatore socio-assistenziale di base nei servizi per anziani, Maggioli, Santarcangelo Di Romagna 1999, pp. 271, L.28.000. Santanera Francesco, Breda Maria Grazia, Come difendere i diritti degli anziani malati, Utet Libreria, Torino 1999, pp. 118, L.22.000. bioetica Aramini Michele, Di Nauta Silvana, Etica dei trapianti di organi, Paoline, Milano 1998, pp. 207, L.24.000. Il volume affronta la tematica dei trapianti, mostrando il valore non solo terapeutico che questa pratica medica ha in sé. Dopo un breve percorso storico-legislativo, la riflessione si focalizza sul significato del dono interpersonale e lo specifico valore che assume la volontà di donare organi. Vengono esposte, inoltre, le condizioni etiche perché il trapianto non diventi una terapia per soli ricchi o che violi la libertà e l'integrità delle persone. Scola Angelo (a cura di), Quale vita? la bioetica in questione, Mondadori, Segrate 1998, pp. 415, L.32.000. chiesa Countryman William L., Sesso e morale nella bibbia, Claudiana, Torino 1998, pp. 326, L.38.000. Nodi centrali dell'etica sessuale, quali il matrimonio, il divorzio, i rapporti prematrimoniali ed extraconiugali, l'aborto, l'incesto, l'abuso sui minori, la masturbazione, l'educazione sessuale, l'omosessualità, affrontati sulla scorta dei passi chiave del testo sacro. L'etica sessuale della Bibbia è distante dal mondo d'oggi perché inquadrata in sistemi di purità e di proprietà che non sussistono più per noi. Non è tuttavia affatto irrilevante per il nostro mondo, sia in quanto l'insegnamento ha come scopo la trasformazione dell'ascoltatore e non la creazione di un sistema teologico, sia in quanto ci invita a sottoporre al medesimo genere di critica le istituzioni sessuali del nostro tempo e della nostra cultura. Trevisiol Armando, Diario di un parroco di periferia, Il Prato, Padova 1998, pp. 239, L.25.000. Volpi Enrica, Volpi Bruno, Un'alternativa possibile, Monti, Saronno 1998, pp. 115, L.16.000. cooperazione AA.VV., Dare voce al sud del mondo, Cipsi, Roma 1998, pp. 232, s.i.p. Una raccolta dei principali contributi prodotti nell'ambito di un progetto del CIPSI denominato 'Osservatorio su mass media, cooperazione internazionale e paesi in via di sviluppo', che si propone di valorizzare le notizie provenienti dal Sud del mondo attraverso una rete di contatti e di scambi fra soggetti del nord e del sud. Il punto di partenza è la constatazione che l'immagine dei pvs, dell'immigrazione, della cooperazione è presentata in maniera negativa o comunque inesatta. Di qui il tentativo di verificare scientificamente le modalità di trasformazione del mondo della comunicazione nel contesto della globalizzazione del mercato. Lembo Rosario (a cura di), Come diventare "operatore" della solidarietà internazionale, Cipsi, Roma 1998, pp. 203, L.20.000. Mason Davide, Melandri Valerio, Il management delle organizzazioni nonprofit, Maggioli, Santarcangelo Di Romagna 1999, pp. 231, L.35.000. Melandri Valerio, Paradossi aziendali, Monti, Saronno 1997, pp. 113, L.16.000. droga Lai Guaita Maria Pia, L'ecstasy e le altre droghe, Carocci, Roma 1999, pp. 351, L.39.000. Il volume presenta una serie di ricerche sul fenomeno droga, centrate in particolar modo sulla realtà della Sardegna. Dopo un'analisi della storia delle tossicoesperienze attuali, l'attenzione si sposta sulle istituzioni pubbliche e private che si trovano a dover fronteggiare il problema; seguono i risultati di una ricerca sull'atteggiamento di un vasto campione di giovani nei confronti della cannabis, dell'ecstasy e dell'alcool, droghe il cui uso sembra essere in aumento tra i giovani senza che a ciò si accompagni una piena percezione della loro pericolosità. Ruggiero Vincenzo, Delitti dei deboli e dei potenti, Bollati Boringhieri, Torino 1999, pp. 221, L.30.000. ecologia Brown L.r., Flavin C., French H., (a cura di), State of the world 99, Ambiente, Milano 1999, pp. 279, L.40.000. Nel ventesimo secolo l'uomo è sbarcato sulla luna, ha inventato sempre più potenti microprocessori al silicio, ha affrontato il trapianto di patrimonio genetico. Ma non è riuscito a fornire acqua potabile a un miliardo di persone, né a rallentare l'estinzione di migliaia di specie, né a trovare soluzioni energetiche compatibili con gli equilibri atmosferici. Gli autori affermano che la transizione ad un'economia ambientalmente sostenibile può e deve rappresentare la più grande opportunità di investimento della storia. Paese per paese, comunità per comunità, vengono delineati i primi mutamenti in corso. Da un'economia centrata sui combustibili fossili, sull'automobile e sullo spreco ad un'economia basata sulle energie rinnovabili, sull'uso combinato di ferrovie e biciclette, sul riuso e riciclo. Ficco Paola, Onori Eugenio, Albo nazionale gestori rifiuti:, Ambiente, Milano 1999, pp. 220, L.40.000. educazione Barone Pierangelo, Mantegazza Raffaele, La terra di mezzo, Unicopli, Milano 1999, pp. 254, L.30.000. La difficoltà di dare una definizione pedagogica dell'adolescenza ne fa un laboratorio pedagogico privilegiato per tentare una ridefinizione di una compiuta teoria dell'educazione. Vengono individuati, in particolare, lo sport, il gioco, l'avventura, la fantasia, come dispositivi pedagogici per l'elaborazione della crescita, attività che permettono di realizzare una sorta di reticolo spazio-temporale, all'interno del quale l'adolescente possa pensarsi come personaggio di una sorta di rappresentazione teatrale, nel contesto di una "terra di mezzo" tra infanzia ed età adulta. Loschi Tiziano, Vandelli Giovanna, Essere padre, fare il padre, Calderini, Bologna 1999, pp. 248, L.20.000. Mantegazza Raffaele, Con la maglia numero sette, Unicopli, Milano 1999, pp. 122, L.15.000. Orsenigo Jole, Oltre la fine, Unicopli, Milano 1999, pp. 180, L.22.000. handicap AA.VV., L'insegnante di fronte all'handicap, Scientifiche Magi, Roma 1998, pp. 627, L.42.000. Un manuale per gli insegnanti (ed in particolare per gli insegnanti di sostegno) e per gli operatori psico-pedagogici, nella loro funzione di mediazione nell'ambito del processo di integrazione del bambino con handicap. Nel fornire proposte operative che possono essere rielaborate ed integrate dalla riflessione degli insegnati e degli operatori, il volume si propone di ribadire, sul piano operativo e della prassi, l'assunto teorico largamente condiviso secondo cui è necessario un approccio al bambino che tenga conto dei suoi limiti e delle sue potenzialità e si sforzi di rispettarne l'evoluzione. Davis Ronald D., Il dono della dislessia, Armando, Roma 1998, pp. 237, L.29.000. Esposito Salvatore Gaetano, La pedagogia della post-integrazione, Scientifiche Magi, Roma 1998, pp. 205, L.25.000. Ianes Dario, Tortello Mario (a cura di), La qualità dell'integrazione scolastica, Erickson, Trento 1999, pp. 367, L.30.000. Piazza Vito, Maria Montessori, Erickson, Trento 1998, pp. 127, L.24.000. Pigliacampo Renato, Lingua e linguaggio nel sordo, Armando, Roma 1998, pp. 240, L.34.000. Williams Donna, Il mio e loro autismo, Armando, Roma 1998, pp. 304, L.45.000. immigrazione Giusti Mariangela (a cura di), Ricerca inerculturale e metodo autobiografico, La Nuova Italia, Casellina Di Scandicci 1998, pp. 280, L.29.000. Un progetto di formazione e ricerca centrato sulle competenze relazionali e applicato, attraverso il metodo autobiografico, all'interno di un'esperienza durata tre anni e condotta presso le scuole di Arezzo, per volontà dell'Amministrazione comunale e del Centro di Documentazione Sviluppo, Diritti, Pace. Occasioni di narrazione, momenti di riflessione autobiografica, azioni concrete, nel tentativo di avviare relazioni durature e positive ai fini educativi tra le scuole, il mondo del volontariato e dell'associazionismo, gli enti locali, le comunità immigrate, i genitori, gli insegnanti. lavoro Foti Alex, Cronocrazie, Etas Libri, Milano 1998, pp. 169, L.30.000. Un libro per orientarsi nel dibattito sulle 35 ore. Teoria economica e storia delle politiche a confronto su un tema al centro del dibattito politico italiano, con riferimento soprattutto a due esperienze emblematiche degli orientamenti liberisti e statalisti, rispettivamente quella statunitense e quella francese. Può una forte riduzione dell'orario di lavoro contribuire ad alleviare il problema della disoccupazione di massa, e costituire un veicolo di riappropriazione da parte degli individui della loro capacità di intervento sulla società, mediante forme di volontariato e solidarietà diffuse? Mancini Giovanni, Sabbatini Giuseppe (a cura di), Riabilitazione - lavoro, Carocci, Roma 1999, pp. 126, L.20.000. minori Algini Maria Luisa (a cura di), La depressione nei bambini, Borla, Roma 1997, pp. 208, L.35.000. Studi di psicoanalisi infantile dedicati alla depressione così come si caratterizza nei bambini, un problema complesso e poco studiato per la peculiarità delle forme e dei segnali che lo caratterizzano, per la difficoltà di distinguere gli stati patologici dai sentimenti depressivi inevitabilmente legati alla crescita e per i nodi presenti in proprosito nella stessa teoria psicoanalitica. Le esperienze cliniche con i bambini delineano alcune delle risorse che si possono attivare per impedire che l'esperienza di una perdita diventi deleteria per lo sviluppo della personalità in una fase tanto delicata della vita. Novara Daniele, Passerini Elena, La strada dei bambini, Gruppo Abele, Torino 1999, pp. 158, L.24.000. Parsi Maria Rita, Le mani sui bambini, Mondadori, Segrate 1998, pp. 164, L.28.000. politiche sociali AA.VV., Lo stato sociale in Italia, Donzelli, Roma 1998, pp. 329, L.35.000. Politiche del lavoro, sanità, sistema pensionistico: altrettanti nodi di un dilemma che attanaglia lo welfare europeo, ed in particolare italiano, nel momento in cui si sta mettendo mano ad una riforma che porta alla revisione profonda dei principi e delle politiche che lo hanno tradizionalmente ispirato. Ciò accade in un momento in cui i sistemi nazionali di welfare sono chiamati trovare forme di mediazione e di compatibilità in rapporto all'obiettivo di una dimensione sociale comunitaria che, coinvolgendo tutti i paesi aderenti alla UE, tenga conto delle diverse traiettorie di sviluppo economico e sociale che li caratterizzano. prostituzione Corso Carla, Landi Sandra, Quanto vuoi?, Giunti, Firenze 1998, pp. 252, L.22.000. La realtà della prostituzione in Italia, affrontata puntando l'attenzione sul cliente, attraverso le parole dei protagonisti. I punti di vista di clienti, prostitute, transessuali, raccontati attraverso interviste e registrazioni e attraverso l'esperienza diretta di una delle coautrici. Non semplicemente un percorso deviante da emarginare, isolare o rimuovere, ma lo spaccato di un mondo ai margini della società, dove la sessualità incontra la solitudine, pieno di luoghi comuni da sfatare e che rivela qualcosa di importante sul nostro tempo e sul nostro mondo. psichiatria Bigatello Giovanni, La sottoveste sopra la gonna, Bigatello Giovanni, Como 1998, pp. 164, L.22.000. La vita media si è allungata negli ultimi anni e tra la popolazione di anziani è in continuo aumento il numero dei soggetti colpiti da morbo di Alzheimer, noto anche con il nome di demenza senile. La perdita di memoria può causare comportamenti talvolta irrazionali, come indossare una sottoveste sopra la gonna, senza però intaccare la dignità dell'uomo, la sua capacità di provare emozioni. L'autore, un geriatra, ha scelto di parlare di questa malattia non con fredde statistiche ma raccontando storie di anziani ritornati bambini, con i loro problemi e le loro speranze. psicologia Boggio Gilot Laura, Uomo moderno e nevrosi, San Paolo, Cinisello Balsamo 1998, pp. 192, L.24.000. Quarta edizione di un testo che suggerisce un'ipotesi di soluzione autogestita delle crisi esistenziali, attraverso un'assunzione di responsabilità verso la vita che passa per l'analisi dei propri disturbi e per una serie di interventi personali sul corpo e sulla psiche. La salute risiede nell'armonia degli aspetti fisico, mentale, emotivo e spirituale della personalità; la patologia nevrotica dell'uomo moderno, diversa nei contenuti e nei sintomi dalla nevrosi quale ci è descritta dalla psicoanalisi classica, va affrontata secondo una visione globale dell'uomo. Civita Alfredo, Psicopatologia, Carocci, Roma 1999, pp. 187, L.28.000. Giannetti Luigi Maria, Il fallimento di una psicoterapia, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1999, pp. 99, L.20.000. Salzarulo Piero, La fine del sonno, Bollati Boringhieri, Torino 1999, pp. 111, L.30.000. razzismo Taguieff Pierre-andre', Il razzismo, Cortina, Milano 1998, pp. 127, L.16.000. Uno dei più conosciuti studiosi francesi analizza il fenomeno del razzismo, dalle sue origini e dai suoi presupposti sino alle attuali metamorfosi. Si tratta in particolare di pensare ad una sua ridefinizione. Non più e non tanto, come nel nazismo, una dottrina che si fonda sull'affermazione di una gerarchia tra le razze umane, ma una definizione che tenga conto di nuove forme di razzismo come la persecuzione delle minoranze, la xenofobia anti-immigrati, le manifestazioni e le guerre etno-nazionaliste. sanità AA.VV., Valutatori per l'accreditamento, Clueb, Bologna 1998, pp. 185, L.30.000. Il D.P.R. del 14.1.1997 demanda alle Regioni il compito di individuare strumenti, metodologie e contenuti per l'accreditamento istituzionale. Il contenuto di questo "Quaderno Qualità" dà riscontro di un percorso sperimentale realizzato nella Regione Emilia-Romagna per avviare la formazione di valutatori capaci di utilizzare in modo appropriato il modello di riferimento disegnato nella Regione Emilia-Romagna per l'accreditamento istituzionale. Brenna Antonio, Manuale di economia sanitaria, Cis, Milano 1999, pp. 453, L.58.000. Zavoli Sergio, La lunga vita, Mondadori, Segrate 1998, pp. 363, L.29.000. servizi sociali Mozzanica Carlo Mario, Servizi alla persona, Monti, Saronno 1998, pp. 343, L.27.000. Definito un sistema teorico di riferimento, con una particolare attenzione dedicata alla scenario socio-culturale e socio-istituzionale che caratterizza gli approcci ai problemi della persona, della famiglia, della sanità, della crisi del welfare state, il volume illustra le dimensioni costitutive del sistema organizzativo per i servizi alla persona, con particolare riguardo alla dialettica bisogni-domande-risposte, ai modelli organizzativi adottabili, alle specificazioni della programmazione, all'integrazione socio-sanitaria, alla questione della qualità. Ci si sofferma inoltre sui profili di programmazione, organizzazione e valutazione che emergono dai riferimenti normativi. Soliani Giovanni, Selezioni e concorsi nelle i.p.a.b., Casanova, Parma 1998, pp. 327, L.39.000. società Alacevich Franca, Zamagni Stefano, Grillo Andrea, Tempo del lavoro e senso della festa, San Paolo, Cinisello Balsamo 1999, pp. 111, L.18.000. Festa e lavoro sono due modi diversi di vivere il tempo, che consentono di misurare il grado di coesione interna e il livello culturale di una comunità. In una società complessa e policentrica, il lavoro si trasforma, fa emergere segmenti sempre più estesi di tempo libero, mentre la festa si riduce a una parentesi vuota e spensierata. Questo libro nasce dalla convinzione che tali nodi problematici siano espressioni particolari di una medesima questione. Affrontandola da prospettive diverse, gli autori perseguono lo stesso obiettivo: solo riconoscendo il valore sociale, economico e sacramentale del tempo, festa e lavoro possono trovare un comune orizzonte di senso. Osborne David, Gaebler Ted, Dirigere e governare, Garzanti, Milano 1995, pp. 512, L.55.000. Sereni Clara, Taccuino di un'ultimista, Feltrinelli, Milano 1998, pp. 165, L.18.000. volontariato De Siervo Ugo (a cura di), Regioni e volontariato nei servizi socio-sanitari, Giuffre', Milano 1998, pp. 241, L.28.000. Elementi conoscitivi e valutativi su come le Regioni hanno operato nell'attuazione della legge quadro sul volontariato, con particolare riferimento ad un settore tipico dell'azione degli organismi del volontariato come quello socio-sanitario. Molteplici elementi mettono in evidenza che nelle diverse realtà regionali non solo sono state adottate legislazioni parzialmente difformi, ma si sono prodotte applicazioni amministrative alquanto differenziate. Andando oltre le ricostruzioni meramente formali, la ricerca prova a descrivere tale evoluzione normativa ed applicativa. Di Diego S., Franguelli., Tarantino M., Le ONLUS, Maggioli, Santarcangelo Di Romagna 1999, pp. 335, L.45.000. Donati Pierpaolo, Colozzi Ivo (a cura di), Nuove vie per l'altruismo, Monti, Saronno 1998, pp. 173, L.20.000. Iovene Nuccio, Viezzoli Maura, Il libro del terzo settore, Adn Kronos Libri, Roma 1999, pp. 333, L.26.000. Lenzi Fabio (a cura di), Dissotterrare i talenti..., Confeder. Nazion. Misericordie D'italia, Firenze 1998, pp. 214, s.i.p. Pettinato Salvatore, Uscire dal labirinto, Monti, Saronno 1998, pp. 212, L.22.000. |