Appunti n.127 (articoli principali) (indice Appunti)
Volontariato e politiche sociali: quale ruolo nella tutela dei soggetti deboli?
Antonio Cecconi - Vice-direttore Caritas Italiana
Nell'attuale fase di cambiamento è difficile tracciare i confini tra riforma del welfare state e il suo smantellamento o comunque la sua subordinazione a criteri mercantili. A livello sia centrale che locale un volontariato sensibile e preparato deve diventare capace di vigilanza e proposta affinché le politiche sociali non diventino "sezione staccata", componente residuale all'interno di una logica liberista.
Relazione tenuta al convegno “Dove va il volontariato?” promosso dal Gruppo Solidarietà a Jesi il 30 ottobre 1999.
Gli atti del convegno sono in corso di stampa
(indice)
Due premesse a) Ritengo che confrontarsi su dove va il volontariato abbia senso come apertura del discorso su dove va la società italiana. Non c'è bisogno di un volontariato che si ponga come una lobby in più tra le tante, con alcune istanze da portare nelle sedi competenti, con alcuni chiodi fissi da ribadire continuamente, senza aprirsi a considerazioni più generali, complessive, che abbiano a cuore gli esiti dell'intera convivenza. Se il volontariato si preoccupa, deve farlo sugli andamenti complessivi della società, a partire dal posto (ruolo, opportunità, sviluppo…) che nell'intera società possono avere i poveri, "gli ultimi". Per far andare tutta la società nella direzione della giustizia, della cittadinanza, del rispetto. b) Qualcuno sta sollevando una specie di antinomia tra gratuità e reciprocità. La ritengo mal posta, inopportuna, al limite dannosa. Ogni vero progetto sociale ha bisogno di sviluppo dei vari soggetti che lo compongono nella reciprocità (= ognuno dà e riceve, salva ed è salvato…). Ma questa non potrà essere realizzata senza un movimento che in certi casi non può che essere, almeno inizialmente unilaterale, discendente: nel senso che ci sono realtà di impoverimento, deprivazione, sofferenza in cui c'è bisogno di qualcuno che faccia il primo movimento, prenda l'iniziativa, sia disposto a "dare in perdita". Il volontariato (speriamo non da solo) prende l'iniziativa, copre lo spazio perché la reciprocità possa esserci. Volontariato e percezione delle povertà Constatiamo l'esistenza e anche l'aumento numerico e la crescita "qualitativa" di situazioni di disparità, diseguaglianza, esclusione sociale, minor opportunità. Accanto allo zoccolo duro della cosiddetta povertà relativa (chi dispone di risorse economiche inferiori alla metà della media nazionale) che in Italia rimane da anni sopra il 10%, il vocabolario ha ormai bisogno di una gamma di termini per definire le povertà (è già significativo che il temine sia diventato plurale): impoverimento, deprivazione, emarginazione, disagio, devianza, esclusione sociale, dipendenza… Accanto a questa estensione e diversificazione, dobbiamo registrare la ripresa di comportamenti emarginanti ed escludenti: dal razzismo teorizzato al rifiuto dei disabili sulle spiagge durante le vacanze. Inoltre c'è tutto il capitolo delle povertà su scala planetaria, in cui i rapporti percentuali rispetto ai contesti nord-occidentali sono spesso capovolti: piccole minoranze di ricchi e folle immense di poveri. Il volontariato aiuta l'intera società ad aprire gli occhi sulla povertà, e deve farsene carico in modo sempre più consapevole. Il volontariato offre del mondo della povertà e dell'esclusione una "lettura" non asettica, meno scientifica di altri soggetti; però non fatta per mestiere o per dovere. Senza che questo significhi critica ai sociologi o ai pubblici amministratori, si tratta invece di far percepire le povertà come dimensione umana, condizione di vita di persone e famiglie con un nome e una storia, con fatiche e speranze; una conoscenza mossa da un impulso di com-passione, con-divisione, disponibilità a calarsi nelle situazioni. Liberi di scegliere, in debito solo verso i poveri A differenza dei servizi resi dagli operatori pubblici e delle imprese sociali convenzionate, il volontariato è libero di decidere accanto a quali povertà fermarsi, a chi dedicare il proprio tempo, servizi, attenzioni. Può farsi da sé la sua lista di priorità. Questo non dipende da volontà di contrapposizione né dalla scelta di non rapportarsi ai servizi pubblici, ma dalla constatazione che, all'interno della vasta gamma di povertà e bisogni, certe tipologie godono di minor "riconoscimento" (e relative sovvenzioni di altre): c'è disparità di trattamento tra le varie situazioni di invalidità ed handicap, c'è chi ha saputo fare lobby meglio di altri, talvolta l'immaginario collettivo spinge o frena interventi o finanziamenti. Per esempio la sanità pubblica ha fatto "investimenti" in favore delle persone affette da AIDS/HIV in misura largamente più consistente rispetto agli interventi in favore della malattia psichica. Il volontariato ha il diritto, la possibilità e potremmo dire il dovere di ricordare l'esistenza dei bisogni meno appariscenti ed eclatanti, delle povertà più scomode. E' libero di coprire gli spazi (e relazionarsi alle persone) meno "interessanti", di rivolgersi a quelle fasce problematiche che non producono ritorni di popolarità e consenso. Anche il volontariato più organizzato e meglio raccordato ai servizi pubblici, che accetta di beneficiare di legittime e trasparenti sovvenzioni, deve sentirsi libero e indipendente nella scelta di priorità e destinatari dei propri interventi. I singoli volontari e le loro organizzazioni devono mettersi in condizione di non dover ringraziare nessuno, ma solo sentirsi debitori verso i poveri e loro avvocati! Se il sistema rende poveri e/o inconsapevoli I volontari e il volontariato, a partire dal servizio alla persona, sono in grado meglio di altri di individuare le connessioni problematiche e anche perverse tra le sfere di bisogno e povertà e alcuni aspetti del "sistema" su vari piani: · economico/produttivo, poiché non mancano situazioni concrete come pure giustificazioni teoriche che creano povertà, su scala locale e mondiale; pensiamo solo all'incidenza della disoccupazione, in particolare di quella giovanile, in alcune regioni d'Italia e a come questa diventi concausa di forme di emarginazione e devianza; · mediale: accenniamo soltanto alla spettacolarizzazione di molti aspetti della vita che produce calo della sensibilità collettiva, della dignità personale; pensiamo anche alla ripetitività della violenza, del sesso senza amore, dei soldi e dei beni materiali che diventano fini anziché mezzi… · politico: la ricerca del consenso finalizzato comunque al potere e la rappresentazione di interessi "di parte" mettono in discussione il concetto stesso di bene comune; i diritti vengono sbandierati unilateralmente, lobbysticamente, separatamente dai doveri; i volontari - anche qui non da soli - possono favorire una riflessione che aiuti la società italiana a non sradicarsi dai fondamenti della prima parte della Costituzione? · socioculturale: il rischio è che il soggetto divenga sempre meno persona e sempre più individuo. Persona sta a dire la centralità delle relazioni, il protagonismo responsabile; individuo è uno nella massa anonima, buono come consumatore, spettatore, elettore di prodotti, idee, progetti preconfezionati: "sul terreno morale è indubbio che l'enfasi sulla soggettività e l'individuo stia non semplicemente togliendo adesioni al messaggio, soprattutto etico, della Chiesa, ma anche destrutturando la nostra società civile rompendo il costitutivo senso relazionale dell'uomo a favore di una libertà individuale sempre più fine a se stessa, e portando così a galla i drammi dell'uomo rimasto solo con i suoi desideri" (C.M.Martini, 5.12.98). In una società in cui rischia di crescere la polarizzazione ricchezza/povertà, quando l'individualismo rischia di innescare una spirale che confonde diritti, privilegi e pretese, ora che ancor più appare vero quello che i Vescovi italiani affermarono nel 1981: "il consumismo ci ha fiaccato tutti", il volontariato deve rifiutare di essere usato come il volto buono dell'egoismo organizzato. Difendiamo il volontariato dai vari Telethon, dai balletti di sondaggi che sbandierano milioni su milioni di volontari, dagli elogi da parte di chi (politico, imprenditore, comunicatore ecc.) deve costruire la sua parte di solidarietà anziché premiare e delegare i volontari.
Essere-con Un volontariato chiaro, esigente con se stesso sulla propria natura e soprattutto sul modo di essere-con-l'altro è un volontariato capace di declinare alcuni gesti, coniugare alcuni verbi: - rispettare, perché tutto parte dal valore incommensurabile, unico della vita, di ogni vita; dall'accoglienza "religiosa" (una religiosità buona anche per i laici) nel senso che ogni persona sarà sempre mistero, intimità, coagulo di esperienze e di attese su cui nessuno dovrà mai ergersi a padrone o giudice; - accompagnare, che vuol dire fare strada insieme, aprire strade lì dove sembrerebbe non ci siano sbocchi; significa anche passare dalla prestazione da erogare alla presa in carico della persona perché divenga capace di progetto; - farsi amico e alleato: io non voglio decidere al tuo posto, ma fare mia la tua causa, sostenere la tua speranza, mostrarti la tua ricchezza, i tuoi doni prima che darti qualcosa di mio… - portarsi in casa: nel senso della compagnia (cum panis), condivisione, non estraneità, vera accoglienza, fare posto nella propria vita perché cresca lo spazio dell'altro. Tutte queste possono sembrare pie esortazioni, o divagazioni poetiche estemporanee. Ma quello di cui i poveri (delle tante e diverse forme di povertà) hanno bisogno oltre a tutto il resto è la simpatia, il sentire insieme (pathos: gioie e dolori, speranze e sofferenze). Guai se la tutela dei soggetti deboli dimenticasse il fine ultimo che ciascuno possa vivere e realizzarsi come persona, nella comunità!
Volontariato, stili e scelte di vita I volontari, oltre a fare tante belle e buone cose, devono ricordarsi di imparare dai poveri, rendendosi disponibili a cambiare non solo la vita altrui (liberazione, promozione, sviluppo…) ma la propria vita. Nel senso di produrre stili di vita, alleanze, attenzione diffusa al ben-essere (cosa assai diversa dal più-avere) personale e comunitario, armonia con le persone e con le cose. E' il caso della coscienza ambientale che sempre di più deve crescere nei volontari, come espressione di solidarietà nel tempo: lasciare a chi abiterà il pianeta Terra dopo di noi aria respirabile, acqua bevibile, fonti di energia sufficienti perché anche loro possano vivere. E proprio il povero da cui imparare è quello che si accontenta di poco, che sa gioire di un piccolo dono… Dicendo la cosa in altri termini: che cosa fanno i volontari quando non fanno volontariato? L'esperienza dell'incontro e del servizio può cambiare il resto della mia vita: rendermi buon cittadino (educazione alla legalità), consumatore responsabile e intelligente (il commercio equo e solidale, il consumo critico), risparmiatore preoccupato di un uso sociale del denaro (le varie forme di finanza etica), utente critico dei mass-media ecc. L'altro aspetto importante è la relazione tra il volontariato e quelle che possiamo chiamare le "scelte di vita": professionali, vocazionali, familiari ecc. Pensando soprattutto ai giovani - ma ricordando che non si smette mai di crescere - proponiamo un'altra domanda: cosa faranno da grandi i volontari? Nel senso che motivazioni e comportamenti ispirati all'altruismo, al disinteresse e all'accoglienza possono improntare positivamente il modo di svolgere una professione (specialmente se di tipo relazionale: medico, insegnante, psicologo, infermiere, operatore sociale ecc.), di dar vita ad una famiglia aperta ed accogliente, di impegnarsi nella politica e nel sindacato "dalla parte degli ultimi"… Volontariato e politiche sociali Nell'attuale fase di cambiamento è difficile individuare le strade giuste per la tutela dei soggetti deboli, soprattutto tracciare i confini tra l'inevitabile riforma del welfare state (passaggio verso la welfare community, costruzione del welfare municipale…) e il suo smantellamento o comunque la sua subordinazione a criteri mercantili. A livello sia centrale che locale un volontariato sensibile e preparato deve diventare capace (con le altre componenti del terzo settore, con le forze culturali e sociali più avvertite) di vigilanza e proposta affinché le politiche sociali non diventino "sezione staccata", componente residuale all'interno di una logica liberista. Ci vuole la giusta dose di profezia per evitare che la politica nel suo insieme diventi non sociale o asociale. Don Lorenzo Milani ci ha insegnato che la differenza tra l'egoismo e la politica è che col primo ognuno pensa a risolvere i suoi problemi, mentre con la seconda si impara a "uscirne insieme". La lettura della Legge finanziaria dello Stato e dei bilanci degli Enti locali come pure la valutazione degli effetti delle nuove leggi e degli atti amministrativi (p. es. il piano territoriale dei servizi socio assistenziali, i piani regolatori, i patti territoriali ecc.) sulle condizioni di vita dei soggetti deboli sono una delle vie che il volontariato ha - anche qui non da solo - di "fare politica", di costruire la polis cioè la casa e la città di tutti.
L’immigrazione in Italia alle soglie del 2000
A cura della Caritas di Roma
L’Italia rafforza la sua posizione come quarto paese dell’Unione Europea per la consistenza numerica degli immigrati; il numero degli immigrati rimane ampiamente inferiore sia come numero complessivo sia come incidenza sulla popolazione residente. Da Anticipazioni del “Dossier Statistico Immigrazione 2000”
(indice)
Le tabelle richiamate sono riportate tutte in fondo all'articolo
1999: Gli effetti dei nuovi ingressi e della regolarizzazione L'inizio del nuovo secolo e la celebrazione del Giubileo dell'anno 2000 danno un grande risalto alle anticipazioni del Dossier Statistico Immigrazione 2000. Per avere un quadro completo bisognerà aspettare l'autunno, quando sarà completata la raccolta dei dati. Già ora, però, si possono cogliere alcune linee significative ai fini della conoscenza del fenomeno, delle decisioni politiche e amministrative e naturalmente anche della operatività sociale. Infatti, rispetto allo scorso anno, i dati sui permessi di soggiorno sono stati rilevati dal Ministero dell'Interno con una procedura omogenea, detratti cioè quelli scaduti e non più rinnovati. Il 1999 non è un anno di routine perché durante il suo svolgimento hanno acquistato evidenza statistica non solo i nuovi permessi ma anche parte delle persone prenotatesi entro il 15 dicembre 1998 per beneficiare della regolarizzazione: é questo il motivo per cui la quota d'aumento é più alta rispetto a quella dello scorso anno. Inoltre, nel mese di novembre del 1999 è entrato in vigore, dopo un'attesa che sembrava interminabile (18 mesi) il Regolamento di applicazione della nuova legge sull'immigrazione, in mancanza di ulteriori disposizione di attuazione, alcune importanti previsioni non sono ancora operative (ad esempio per la carta di soggiorno e per la lista di prenotazione dell'inserimento nel mercato lavorativo). I risultati del provvedimento di regolarizzazione riguardante gli stranieri entrati in Italia prima del 27 marzo 1998 e registrati entro il termine del 15 dicembre, sono riassunti nella tabella 1nella pagina successiva (dati al 25 gennaio 2000). Inizialmente era nata una certa confusione per le ambiguità sorte a proposito delle circa 310.000 prenotazioni e delle circa 90.000 domande, che invece dovevano essere sommate in quanto in parte sovrapponibili. Solo 250.792 prenotazioni si sono trasformate effettivamente in domande; oltre che per la ragione citata, anche perché le persone sprovviste dei requisiti richiesti hanno desistito formalizzare le istanze. Un terzo delle domande presentate (che sale alla metà per quelle relative al lavoro dipendente) risulta ancora da definire dopo più di un anno di attesa. Tra le domande definite ne sono state accolte 9 su 10. Il tasso di rigetto (8,7%) sale al 10,9% per le pratiche di lavoro dipendente, che sono i quattro quinti del totale. Le persone che hanno ottenuto il permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare (5.564 su 7.340), sono così ripartite: genitori 424 (7,6%), coniugi 3.115 (56,0%), figli 2.016 (36,2%) e altri parenti 9 (0,2%). Nelle domande di regolarizzazione per lavoro (243.452 su 250.792) prevalgono quelle per lavoro dipendente (84,5%), ma sono ben rappresentate anche quelle per lavoro autonomo (14,9%), mentre sono pochi i casi di lavoro stagionale e atipico.
Gli stranieri regolarmente soggiornanti: l'Italia, quarto paese in Europa L'Italia, dopo la Germania, la Francia e la Gran Bretagna, rafforza la sua posizione come quarto paese dell'Unione Europea per la consistenza numerica degli immigrati (nel corso degli anni '90, la loro presenza è raddoppiata), il numero di immigrati rimane da noi comunque ampiamente inferiore, sia come numero complessivo che come incidenza sulla popolazione residente. Gli stranieri regolarmente soggiornanti si attestano ormai sul milione e mezzo con una incidenza del 2,5% sulla popolazione residente (l'incidenza media nell'unione Europea è del 5,1%). Secondo la stima del "Dossier", tra i nati in Italia da entrambi i genitori stranieri (almeno 10.000), i nuovi arrivi a titolo stabile (tra gli 80 e i 90.000) e le persone già regolarizzate (146.000), la popolazione immigrata é aumentata di 240.000 unità passando da 1.250.000 dello scorso anno a 1.490.000 persone. Vediamo ora come si arriva a queste cifre. L'archivio del Ministero dell'Interno ha una portata parziale perché non registra tutti gli stranieri presenti regolarmente in Italia ma solo quelli intestatari a titolo personale di un permesso di soggiorno. Solitamente i minori sfuggono al sistema di rilevazione in quanto inseriti nell'autorizzazione al soggiorno rilasciata al capofamiglia: ne diventano essi stessi titolari solo quando entrano a motivo d'adozione o di affidamento, o comunque non accompagnati dai genitori, oppure quando, già residenti in Italia, chiedono il rilascio del permesso di soggiorno per poter ottenere il libretto del lavoro al compimento del 14° anno di età. Gli stranieri registrati dal Ministero dell'Interno al 31 dicembre 1999 (ivi inclusi quelli dell'Unione Europea) sono risultati 1.252.000, mentre nell'anno precedente erano 1.033.000 Per arrivare a una stima complessiva di tutti gli stranieri soggiornanti regolarmente in Italia bisogna, però, maggiorare questo numero di almeno il 19% per includervi sia i minori non registrati, per i motivi prima richiamati, sia coloro il cui permesso di soggiorno (concesso ex novo o rinnovato) ancora non é stato registrato per ritardi burocratici. Si arriva così a un totale di 1.490.000 persone. Lo scorso anno si seguì un criterio analogo, ma quest'anno il fattore di aumento è stato diminuito di due punti percentuali sul presupposto che le persone regolarizzate non abbiano ancora figli al seguito (fatta eccezione per i 2.000 che hanno beneficiato della regolarizzazione). I maschi aumentano al 57,3%, le donne invece sono diminuite di quattro punti percentuali (dal 46,8% al 42,6%), una diminuzione già riscontrata in occasione di altre regolarizzazioni. Gli immigrati non comunitari diminuiscono di due punti percentuali (da 13,9% a 11,6%) e questa tendenza si va confermando anche a prescindere dai provvedimenti di regolarizzazione.
La provenienza continentale degli stranieri: prevalgono i vicini di casa Il milione mezzo di stranieri soggiornanti in Italia risulta così ripartito per aree di provenienza (vedi tabella 2 nella pagina precedente). Tutte le aree continentali hanno visto aumentare il numero dei loro immigrati ma in misura disuguale. Rispetto a un tasso medio in crescita di circa un quinto (19,2%), in buona misura dovuto alla regolarizzazione Stanno al di sotto della media: l'America (11,0%) e l'Oceania (4,6%); · raggiungono la media l'Africa (17,8%) e l'Asia (18,3%); · si colloca al di sopra della media solo l'Europa (23,5%). Risulta molto differenziato l'andamento nelle aree subcontinentali: · l'Unione Europea aumenta solo del 1,4% mentre i paesi dell'Est aumentano del 39,5%; · l'America Latina aumenta del 16,6% mentre l'America del Nord si ferma al 1,7%; · in Africa tanto i paesi del Nord che quelli subsahariani sfiorano un aumento del 18% (che è superiore di alcuni punti per quelli dell'Africa Occidentale ridotta a un terzo e scende al 7,6% per i paesi dell'Africa Centro-Orientale); · in Asia, rispetto alla stabilità degli immigrati del Vicino e Medio Oriente, si riscontra un aumento del 18,6% e un aumento leggermente superiore per l'Estremo Oriente, del 22,5% per il Subcontinente Indiano e del raddoppio per i paesi asiatici dell'ex Urss (Ucraina). Questo andamento differenziato può essere riassunto nel seguente modo: · é pressoché ferma l'immigrazione dal Vicino e Medio Oriente, anche se spesso si é parlato di una invasione di curdi; · l'immigrazione dall'Unione Europea e dagli altri paesi a sviluppo avanzato cresce molto lentamente; · aumentano mediamente di un quarto le provenienze dai paesi del Sud del Mondo; · i paesi dell'Est Europeo si segnalano per l'aumento più alto in termini percentuali (più di un terzo) e in valori assoluti (più 100.000 unità). Ogni due nuovi venuti, uno proviene dall'Est europeo, il cui aumento é numericamente quasi il doppio rispetto al Nord Africa, tre volte di più rispetto all'aumento degli immigrati provenienti dall'Estremo Oriente e dal Subcontinente Indiano e 6 volte di più rispetto a quelli originari dall'America Latina.
Aree di insediamento: effetto calamita delle regioni de nord est e del sud Nell'ultimo anno gli immigrati non comunitari, sono stati gli unici protagonisti dell'aumento della presenza straniera, mentre, per i comunitari l'aumento è stato di sole 2.500 unità. L'insediamento territoriale è caratterizzato da una più forte capacità di attrazione delle regioni del Nord Est e di quelle del Sud (vedi tabella 3 nella pagina successiva). La mappa degli immigrati per grandi aree conosce alcuni aggiustamenti senza che si possa parlare di sostanziali variazioni. Ciò risulta del tutto comprensibile quando si pensa che le reti familiari e amicali delle persone soggiornanti influiscono in maniera quasi direttamente proporzionale sui nuovi immigrati regolari come anche sulle presenze irregolari e clandestine. Tuttavia non mancano alcune peculiarità così riassumibili: · le regioni del Nord Ovest sono complessivamente 4 punti al di sotto della media d'aumento dei soggiornanti non comunitari (20,0% rispetto a 24,1%); · il Centro e le Isole hanno valori pari o vicini alla media d'aumento; · le regioni del Meridione e del Nord Est si collocano di 2-3 punti al di sopra della media d'aumento. Le regioni del nord sono quelle che, per le loro peculiari condizioni socio-economiche, esercitano un più potente "effetto calamita". In valori assoluti l'aumento è stato di 124.000 persone per il Nord (più della metà dei 240.000 nuovi soggiornanti), di 71.000 per il Centro e 44.000 per il Meridione. Nel Nord le regioni dell'Est, con 64.000 unità, superano quelle dell'Ovest (60.000). Un'analisi simile si può condurre nei confronti delle regioni che accolgono una quota di almeno il 5% rispetto al totale degli immigrati non comunitari: Rileviamo, così, che tra le principali regioni di residenza degli immigrati: · alcune regioni, rispetto alla media, hanno conosciuto un aumento leggermente ridotto (Lombardia, Piemonte e Campania) o molto ridotto (Lazio e Piemonte); · altre (Emilia Romagna e Sicilia) si collocano nella media d'aumento; · altre regioni sono caratterizzate da un tasso di aumento alto (Veneto) o molto alto (Toscana).
Motivi del soggiorno: nove stranieri su dieci presenti per lavoro o motivi familiari E' possibile confrontare la struttura dei permessi di soggiorno degli extracomunitari registrati al 31 dicembre 1998 (891.416) con quelli registrati al 31 dicembre 1999 (1.106.207). Entrambi i dati, rilevati alla fine di ciascun anno, sono sottovalutati perché andrebbero inseriti i permessi concessi ex novo o rinnovati, ma non ancora registrati nell'archivio centralizzato del Ministero. Tuttavia non é possibile stimare con una sufficiente approssimazione il numero (forse fino a 50-55 mila pari al 5% di quelli registrati) dei permessi mancanti e ancor meno la ripartizione per tipo di motivo. Pertanto, é preferibile far riferimento ai permessi registrati con la consapevolezza che essi andrebbero ritoccati leggermente verso l'alto. Il confronto dell'ultimo biennio non evidenzia cambiamenti notevoli (vedi tabella 4 nella pagina successiva). Quelli per lavoro dipendente, pari complessivamente a circa 6 permessi ogni 10 (57-58% nell'ultimo biennio), al loro interno vedono salire la quota degli occupati al 48,8% con un aumento di 4 punti percentuali rispetto all'anno precedente. Poiché questa evoluzione positiva non corrisponde ai riscontri dell'INPS si pone il problema e la necessità di raccordare meglio i dati sui soggiorni con quelli sulle posizioni contributive come anche quella di contrastare l'evasione dei datori di lavoro. Il dato più sorprendente consiste nel fatto che, grazie alle regolarizzazione il lavoro autonomo passa dal 3,9% al 5,3% e coinvolge circa 60.000 persone, che sono ancora una piccola quota rispetto alle possibilità di sviluppo del settore. I titolari di un permesso di soggiorno per motivi di famiglia sono un quarto del totale: i motivi "lavoro" e "famiglia" rappresentano l'88,8% di tutti i permessi (un punto in più rispetto allo scorso anno) ed é questo uno tra gli indici più significativi della stabilizzazione dell'immigrazione. Per la richiesta di asilo e come rifugiati vi è un soggiornante ogni 200 extracomunitari e questo costituisce il più radicale ridimensionamento di chi ritiene l'Italia invasa da questo tipo di flussi. Sono anche diminuiti i motivi umanitari con possibilità di lavoro (da 33.499 a 8.803). Molto consistenti risultano, tra i non comunitari, le presenze per motivi religiosi (circa 40.000), quasi tutte concentrate a Roma, mentre quelle per motivi di studio sono aumentate di poco e si fermano alle 22.000 unità.
La pressione migratoria in Italia In Italia, come negli altri paesi a sviluppo avanzato, la pressione migratoria è determinata dalla precaria situazione economica e sociale dei paesi in via di sviluppo e dell'Est europeo. Per molti di essi l'Italia, a causa della sua peculiare posizione geografica, è la frontiera da superare per entrare nell'area del benessere, sia nell'ipotesi in cui sia stato rilasciato preventivamente un visto per l'ingresso, sia nei casi in cui si debbano tentare le via della clandestinità, tra l'altro enfatizzate dai trafficanti di manodopera. L'Italia ha cercato di venire incontro a questa esigenza di maggiori sbocchi, nel rispetto dei vincoli stabiliti dall'Unione Europea, con la previsione di quote realistiche nella programmazione dei flussi che però, a causa delle lunghe procedure richieste per l'approvazione delle disposizione di applicazione, potranno entrare a pieno regime solo nel 2000 (63.000 ingressi di nuovi lavoratori attraverso i diversi meccanismi di collocamento). Invece la legge 40/1998 ha trovato subito applicazione per quanto riguarda il contrasto dell'immigrazione clandestina ed è stata rinforzata dagli accordi di riammissione già firmati con numerosi paesi, mentre con altri tali accordi sono in corso di definizione. Pertanto è infondato ritenere che vi sia stato lassismo su questo versante, come risulta da un prospetto comparativo, che mostra anche un certo incremento dell'efficacia nelle misure di controllo (provvedimenti di espulsione eseguiti in almeno un quarto dei casi)(vedi tab.5). In merito ai Centri di Permanenza Temporanea, dove gli stranieri possono essere trattenuti fino a 30 giorni, il vivace dibattito intervenuto, ha posto in evidenzia tre aspetti: il costo complessivo è alto (circa 40 miliardi l'anno secondo una nostra stima), le condizioni di permanenza possono e devono essere migliorate, l'efficacia non è assoluta, atteso che il 44% degli ospiti dei centri è stato effettivamente rimpatriato. L'ipotesi di considerare reato l'immigrazione clandestina non risolverebbe il problema ma si limiterebbe a trasferirlo alle carceri, con notevoli aggravi umani e anche economici. E invece più promettente l'impegno per ridurre l'area di manovra dei trafficanti di monodopera: nel 1999 sono stati sequestrati 164 scafi e arrestati 364 scafisti, mentre gli sbarchi clandestini (47.000) sono notevolmente diminuiti rispetto al 1998. Molto di più si potrà attuare attraverso la cooperazione bilaterale.
CRIMINALITA': CONCLUSIONI CONTROCORRENTE Sul pregiudizio di accostare immigrazione e delinquenza è intervenuto autorevolmente, il 7 febbraio 2000, il Presidente Ciampi a Bologna con questo monito: "Non commettiamo l'errore di fare un'equazione semplicistica, immigrazione uguale ad aumento della criminalità". Non sono ancora disponibili i dati per il 1999, mentre un'accurata analisi dei dati relativi al 1998, condotta dall'équipe di redazione del "Dossier Statistico Immigrazione" sulla Rassegna italiana di criminologia, ha portato a queste "conclusioni controcorrente": - relativamente agli immigrati, i quali hanno progettato di vivere in Italia, e sono titolari di permesso di soggiorno, non sussiste un'emergenza criminalità secondo i toni allarmistici solitamente ricorrenti e anzi, la quota di denunce di pertinenza degli stranieri regolari è senz'altro percentualmente inferiore a quella riguardante la popolazione complessiva residente (9 denunce ogni 100 italiani residenti e 6 denunce ogni 100 stranieri residenti); - relativamente agli immigrati irregolari, il 50% e più degli addebiti giudiziari riguarda 4 gruppi nazionali (Marocco, Albania, Romania e Jugoslavia), mentre ben i 2/3 degli arresti coinvolgono marocchini e tunisini. Ciò consente di affermare che la maggior parte degli "irregolari" e dei "clandestini" è solo brava gente che cerca di sopravvivere, mentre nei casi dei paesi citati l'impegno più fruttuoso non consiste nel criminalizzare i singoli, spesso più vittime che altro, ma nello studiare e contrastare l'impatto devastante delle organizzazioni criminali qui in Italia e nei paesi d'origine.
Tabella 1. Risultati del provvedimento
di regolarizzazione
Domande di regolarizzazione |
Presentate |
Accolte |
Respinte |
Pendenti |
Tasso di rigetto % |
Pendenti % |
Ricongiungimento familiare |
7.340 |
5.559 |
180 |
1.601 |
3,1 |
21,8 |
Lavoro autonomo |
36.266 |
15.911 |
1.941 |
18.414 |
10,9 |
50,8 |
Lavoro subordinato |
205.816 |
123.282 |
11.765 |
70.769 |
9,5 |
34,4 |
Lavoro stagionale |
1.239 |
958 |
43 |
238 |
4,3 |
19,2 |
Lavoro atipico |
131 |
49 |
2 |
80 |
3,9 |
61,1 |
Totale |
250.792 |
145.759 |
13.931 |
91.102 |
8,7 |
36,2 |
Tabella 2. Stranieri soggiornanti in
Italia per aree di provenienza
|
Stima totale 1998 |
Dato parziale: soggiorni
registrati nel 1999 |
Stima totale 1999 |
aumento % 1998/99 |
|
V.A. |
% |
V.A. |
% |
|
|
Europa |
481.061 |
38,5 |
499.061 |
39,9 |
593.883 |
23,5 |
di cui Unione Europea |
171.061 |
13,7 |
145.787 |
11,6 |
173.487 |
1,4 |
di cui Est europeo |
281.077 |
22,5 |
329.404 |
26,3 |
391.991 |
30,5 |
Africa |
360.050 |
28,8 |
356.804 |
28,5 |
424.597 |
17,8 |
di cui Nord Africa |
233.771 |
18,7 |
231.908 |
18,5 |
275.970 |
18,5 |
America |
164.040 |
13,1 |
153.025 |
12,2 |
183.100 |
1 |
di cui America Latina |
105.098 |
8,4 |
102.950 |
8,2 |
122.511 |
16,6 |
Asia |
241.232 |
19,3 |
239.774 |
19,1 |
285.331 |
8,3 |
di cui E.O. |
123.870 |
9,9 |
123.453 |
9,9 |
146.906 |
8,6 |
Oceania |
2.823 |
0,2 |
2.481 |
0,2 |
2.952 |
4,6 |
Non classificati |
1.009 |
0,1 |
849 |
0,1 |
1.137 |
2,7 |
TOTALE |
1.250.214 |
100 |
1.251.994 |
100 |
1.490.000 |
19,2 |
Tabella 3. Insediamento territoriale
|
1998 |
1999 |
Extracom. registrati |
Maggio-razione
del 19% |
Extracom. aumento %1999/98 |
Stima totale comunitari e extracom. |
Stima totale comunitari e extracom. % |
NORD |
53,9 |
53,5 |
591.777 |
680.544 |
23,2 |
798.213 |
53,6 |
NORD Ovest |
31,2 |
30,2 |
333.816 |
383.889 |
20,2 |
454.730 |
30,5 |
Nord Est |
22,7 |
23,3 |
257.961 |
296.655 |
27,6 |
343.483 |
23,1 |
CENTRO |
28,5 |
28,6 |
316.823 |
364.346 |
24,9 |
438.678 |
29,4 |
MERIDIONE |
17,7 |
17,8 |
197.607 |
227.248 |
25,7 |
252.982 |
17 |
Sud |
11,9 |
12,1 |
134.017 |
154.120 |
26,7 |
171.233 |
11,5 |
Isole |
5,8 |
5,7 |
63.590 |
73.128 |
23,5 |
81.876 |
5,5 |
ITALIA |
100 |
100 |
1.106.207 |
1.272.138 |
24,1 |
1.490.000 |
100 |
Tabella 4. Permessi di soggiorno
|
1998 V.A. |
1999 |
|
|
|
senza maggio-razione |
% |
senza maggio-razione |
% |
Aumento 1998-99 % |
lavoro dipendente |
517.005 |
58 |
632.907 |
57 |
22,4 |
lavoro autonomo |
34.421 |
4 |
58.292 |
5,3 |
69,3 |
famiglia |
222.985 |
25 |
278.163 |
25 |
24,7 |
asilo/richiesta asilo |
6.153 |
1 |
5.349 |
0,5 |
-13,1 |
studio |
20.830 |
2 |
22.097 |
2 |
6,1 |
turismo |
8.459 |
1 |
9.244 |
0,8 |
9,3 |
motivi religiosi |
40.268 |
5 |
40.584 |
3,7 |
0,1 |
residenza elettiva |
16.453 |
2 |
16.672 |
1,5 |
1,3 |
Tabella 5. Provvedimenti di espulsione
|
1998 |
1999 |
Respingimenti alle frontiere |
47.822 |
48.437 |
Espulsioni eseguite |
8.543 |
12.556 |
Riammissioni nei paesi di provenienza |
13.105 |
11.399 |
Intimazioni di espulsione |
47.861 |
40.489 |
Avviati nei CPT |
6.630 |
- |
ASPETTI GIUDIZIARI
(VALORI IN PERCENTUALE) 1998 |
|
Soggior-nanti |
Denunce/indagini |
Arresti |
Europa Est |
22,5 |
18 |
13 |
Nord Africa |
18,7 |
12 |
25 |
Asia |
19,3 |
-8 |
-15 |
America latina |
8,4 |
-5 |
-3 |
Regolari |
- |
15,6 |
9,2 |
Irregolari |
- |
84,4 |
90,8 |
|