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Appunti n.128
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La Camera approva la Riforma dell’assistenza

(1) “Appunti” ha seguito il percorso della riforma con i seguenti articoli: F. Ragaini, Sulla riforma dell’assistenza: alcune note sul dibattito fuori e dentro l’aula, n. 5/99, p. 2; G. Nervo, Le “IPAB” nella riforma dell’assistenza, n. 6/99, p. 6; La discussione in Aula dello scorso 18 gennaio è stata ripresa nella scheda Il dibattito sulla riforma dell’assistenza, n. 2/2000, p. 5.

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Lo scorso 31 maggio la Camera ha approvato il testo di riforma dell'assistenza "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali", che aveva fatto l'ingresso in Aula il 5 luglio 1999 (1). I lavori (consultabili nel sito internet della Camera) sono proseguiti, tra due crisi di governo, con grande lentezza (18-19-20 gennaio, 29 marzo, 4-5-6 aprile, 23-24-31 maggio). Il testo è stato trasmesso il 1º giugno all'esame del Senato (Disegno di legge 4641). Riportiamo di seguito (ripreso dal resoconto stenografico) alcune delle dichiarazioni dei Gruppi parlamentari in occasione del voto finale. Esse, crediamo, aiutino a capire le diverse posizioni in campo su temi di forte attualità quali ad esempio ruolo dello stato e del mercato, federalismo, sussidiarietà e solidarietà. Hanno votato a favore i gruppi della maggioranza, contro i gruppi di Rifondazione comunista e della Lega nord, si sono astenuti i gruppi del Polo. Diamo anche il testo di alcuni importanti articoli (2, 10 e 22) oggetto di maggiore controversia ed ai quali le dichiarazioni dei gruppi fanno spesso riferimento. Lo spazio che continuiamo a dedicare a questo provvedimento è motivato dall'estrema importanza delle norme che si vanno ad approvare che hanno come riferimento soggetti in particolare situazione di debolezza.

Tiziana Valpiana (Rifondazione Comunista). (..) Credo che la posizione contraria a questo testo da parte di Rifondazione comunista non sia sfuggita a nessuno, (..) Tale progetto, per una serie di ragioni che cercherò di elencare non riesce ad ottenere il risultato che si prefiggeva e, soprattutto, io credo non ribadisce con forza che la dimensione privata dei progetti sociali che incide poi direttamente sulla definizione dei rapporti sociali e tra i generi è un problema squisitamente pubblico. Secondo noi questo testo allarga l'ambito degli interventi senza invece aumentare a sufficienza le risorse complessive investite per garantirli e nega così, di fatto, il principio di universalità dei diritti sociali fondamentali.
L'altro aspetto che non ci convince è che vengono orientate le priorità su misure minime aleatorie di integrazione del reddito - pensiamo al reddito minimo di inserimento, mentre Rifondazione comunista ribadisce il concetto di salario sociale - e su interventi marginali di contrasto alla povertà. Quello che ci trova maggiormente discordi è che vengano, di fatto, dismessi molti servizi pubblici, privatizzando la maggior parte dei servizi sociali alla persona. Il testo che oggi viene sottoposto al nostro voto, secondo noi, rinuncia definitivamente alla funzione redistributiva dello Stato e credo che questo aspetto sia venuto via via aggravandosi durante il percorso per realizzare un sistema ispirato al principio della sussidiarietà che individua un vero e proprio mercato del lavoro, con tutto il corollario (mi riferisco, per esempio, ai buoni-servizi, che rappresentano una misura che non possiamo assolutamente condividere).
In questo modo il testo al nostro esame contribuirà, delegando la gestione dei servizi al privato, a dissolvere la carica realmente innovativa e di alternativa al mercato con cui le realtà del terzo settore si erano presentate nel sociale per ridurle ad un'imprenditoria sociale, cioè ad imprese che offrono servizi a basso costo, a tutto vantaggio del mercato e, molto spesso, a spese dei soci lavoratori oltre che degli utenti. L'aspetto che ci trova più fortemente critici è che in questa proposta di legge non viene definito un quadro di diritto all'assistenza sociale: non si definiscono diritti certi ed esigibili su tutto il territorio nazionale, mentre la nostra proposta di legge e tutti gli emendamenti che avevamo presentato andavano proprio nel senso di definire l'assistenza sociale come diritto socialmente esigibile. Allo stesso modo le attività di assistenza non vengono definite obbligatorie per legge, non si individuano gli organi di governo obbligati a garantire tali prestazioni né i destinatari delle attività stesse. Il testo, di fatto, rimanda a piani sociali nazionali, a piani di zona l'indicazione dei livelli essenziali delle prestazioni, dei criteri e delle priorità, delle linee guida a cui si ispirerà il sistema, ribadendo in questo modo che l'assistenza non è un diritto, ma una prestazione discrezionale, definita sulla base delle compatibilità economiche. In più - questo è stato ribadito molte volte - vengono rilasciate ampie e plurime deleghe al Governo su aspetti primari: penso, per esempio, al riordino degli assegni e delle indennità per invalidità civile; penso alle IPAB, di cui abbiamo ampiamente parlato questa mattina; penso all'articolo 16 che ribadendo, ancora una volta, l'importante ruolo della famiglia nel tappare i buchi della mancanza dei servizi conferma un ruolo della donna che pensavamo del tutto superato.
Rifondazione comunista riteneva indispensabile - lo si capisce bene da quanto ho detto finora - che fossero individuati i soggetti che hanno diritto alle provvidenze, che fossero definite precisamente le responsabilità pubbliche nella programmazione, nella gestione e nell'organizzazione dei servizi obbligatori garantiti, che fosse definito il rapporto tra i soggetti pubblici che devono rimanere titolari della funzione ed i soggetti privati che gestiscono i servizi sociali alla persona attraverso l'individuazione di requisiti essenziali, inderogabili e validi su tutto il territorio nazionale (..).


Dino Scantamburlo (Partito popolare). (..) Intendo esprimere soddisfazione in quanto si conclude positivamente alla Camera l'iter di un'importante riforma politica e sociale che riguarda una parte non secondaria del nostro Stato sociale, ciò che è stato costruito negli scorsi decenni dallo Stato e da sostanziali e positivi contributi forniti da ispirazioni culturali e politiche, cattoliche e laiche, e che, accanto a così significativi innalzamenti compiuti in materia assistenziale e sanitaria, occupazionale e previdenziale, ha registrato e registra una spesa sociale di 70-80 mila miliardi annui; tale spesa, con il passare del tempo, si è rivelata anche piuttosto frammentata, di tipo categoriale, riparatorio o risarcitorio, certo non pienamente adeguata ai bisogni sociali di oggi, che sono mutati per i cittadini, in quantità e qualità, in misura così rilevante.(..). Noi voteremo a favore di questo provvedimento perché con esso ci si prefigge di superare la concezione di semplice assistenza e beneficenza che Crispi fece regolamentare nel 1890 ed in quanto si intende promuovere l'effettiva autosufficienza della persona e la solidarietà fra i gruppi, in linea con le tendenze fortemente emergenti nella società, all'interno della quale si sta rafforzando la presenza del privato sociale. (..). Non parliamo più di assistenza nel senso tradizionale e consolidato, ma di un sistema integrato di interventi e servizi sociali. Il sistema che vogliamo attivare richiede di porre al centro la persona, le persone, le famiglie, partendo dai loro bisogni complessivi per fornire risposte quanto più organiche e complete (..).La tendenza forte ad organizzare dei servizi sociali e a non prevedere la mera erogazione di contributi in danaro, qualifica le prestazioni ed eleva il livello e l'efficacia degli interventi. Un secondo concetto è quello dell'universalità dei servizi essenziali, come pure dei soggetti fruitori. Ci sono, a nostro avviso, dei diritti soggettivi esigibili per ciascuna persona; sono i diritti di cittadinanza sociale, che vanno garantiti ai cittadini come vengono garantiti quelli, pure fondamentali, per la salute e per l'istruzione. Ciò non comporta alcuna riduzione per i soggetti destinatari degli interventi stabiliti dall'articolo 38 della Costituzione come taluno, con insistenza e in maniera fuorviante, ha ritenuto. (..) Il tema della sussidiarietà intreccia il ruolo del pubblico e quello dei comuni in particolare con quello del privato-sociale. Mentre diciamo di no all'idea di uno Stato centralista e titolare esclusivo dei servizi, condividiamo invece l'idea di uno Stato che, quale regolatore, chiama a concorrere alla programmazione e alla gestione dei servizi i soggetti del terzo settore, del volontariato, del privato-sociale e del privato accreditato. In tale contesto, i comuni, titolari delle funzioni di programmazione e di gestione dei servizi per le proprie comunità, sono chiamati a dare ampio spazio sia ai soggetti sociali aventi storia e tradizione di volontariato e di gratuità nel donarsi, sia alle strutture attive nel sociale che non perseguono obiettivi di lucro e di quelle che lo perseguono, ma che erogano servizi di qualità e di sicura efficacia.(..). La legge affronta opportunamente anche la questione delle IPAB. Queste importanti istituzioni non aventi scopo di lucro sono inserite nella rete dei servizi (quelle di natura socio-assistenziale), mantengono l'autonomia statutaria, amministrativa e gestionale e rendono trasparente e attiva anche per nuovi servizi la gestione dei patrimoni. Questi appartengono alle IPAB che devono utilizzarli anche in modo più controllato e fruttifero per migliorare la rete e la qualità dei servizi attivati per i propri assistiti o per aggiungerne di nuovi. Come abbiamo detto, nel caso di scioglimento - qualora le relative tavole di fondazione o gli statuti non prevedano il soggetto destinatario - i patrimoni saranno assegnati alle altre IPAB del territorio e, in subordine, ai comuni (..). La via concreta più credibile e che qualifica la spesa sociale, è quella di realizzare reti di servizi alle persone capillarmente diffusi. Ciò che è stato fatto in questi anni per la salute e l'istruzione può essere fatto con una riforma dell'assistenza sociale che dia forma ad un nuovo sistema di servizi per le persone e per le famiglie.


Maria Burani Procaccini (Forza Italia). (..) I politologi e gli esperti di scienza della legislazione riconoscono che una legge ormai deve rispondere a tre criteri fondamentali: quello della sussidiarietà, in base al quale lo Stato interviene a supporto dei privati e degli enti sociali, senza mai sostituirsi ad essi; quello della deburocratizzazione, che significa agevolare l'accesso agli strumenti di pubblico supporto, rendendoli facilmente accessibili al cittadino; quello della la socialità, per cui ogni intervento pubblico deve produrre un risultato positivo per l'interesse collettivo, per quello che viene chiamato il bene comune. (..) Nel limare questa legge abbiamo visto che alcune proposte sono state approvate e vanno nel senso che in fondo la famosa legge n. 265 del 1999 imponeva agli statuti dei comuni e delle province, cioè quell'indirizzo verso la sussidiarietà a tutto campo (..). Abbiamo visto però che avete ancora una sorta di "palla al piede", come abbiamo verificato questa mattina quando su un emendamento da noi ritenuto estremamente importante e volto a perfezionare il settore delle IPAB - che nella sua attuale strutturazione ci preoccupa molto soprattutto per ciò che l'impiego del patrimonio può significare non solo sulla buona o mala amministrazione sociale ma anche sulla buona o mala amministrazione tout court - è intervenuta la vostra sinistra. Voi purtroppo dovete ancora tenere conto di un atteggiamento fortemente statalista, un atteggiamento che condiziona il vostro passaggio alla socialdemocrazia (..). Per la prima volta l'idea tanto sbandierata da voi che soltanto la sinistra è capace di pensare all'assistenza e di soddisfare i bisogni del cittadino è stata smentita; per la prima volta il vostro atteggiamento socialdemocratico o liberaldemocratico (come vogliamo definirlo), è stato inficiato proprio dalla presenza di una sinistra occhiuta, statalista, ancora decisamente arroccata su posizioni démodé che appartengono ad un passato non felice per l'Europa e che noi non vorremo che si riproponesse più.


Carmelo Porcu (Alleanza nazionale). (..) Avremmo voluto un testo diverso, proprio per evitare di incorrere nuovamente negli errori da cui non è stato capace di sottrarsi il legislatore del passato quando, per esempio, ha legiferato in materia di handicap facendo una legge quadro sui diritti della persona e dei disabili (la legge n. 104 del 1992), legge che è rimasta una cornice vuota perché, salvo alcuni piccoli interventi che non potevano essere evitati, la maggior parte delle disposizioni previste da quella legge è rimasta totalmente inattuata (..). Non abbiamo affatto gradito che la maggioranza non ha portato a conclusione un discorso che ci sembrava fosse moderno e condivisibile in merito al concetto di sussidiarietà orizzontale. Riteniamo che nel nostro paese vi siano energie vitali fortissime, che promanano dal volontariato, dall'associazionismo, dal non-profit, nonché dal privato, sia sociale, sia non sociale. (..) Anche sul piano della sussidiarietà verticale e del trasferimento delle competenze dallo Stato ai comuni e alle province, vi è una contraddizione: il discorso non è stato portato avanti in maniera coerente, con un principio di federalismo solidale, come da noi auspicato. Ad esempio, il ruolo della provincia (..) è rimasto sfocato, sullo sfondo, senza che gli fosse conferita corposità (..). Abbiamo già criticato, e lo facciamo anche in questa sede, la mancanza di una reale copertura finanziaria. Parliamoci chiaro, le risorse aggiuntive che il Governo avrebbe dovuto dedicare a questa legge quadro sono largamente insufficienti. Un altro problema che desideriamo sollevare concerne le IPAB, che da lungo tempo svolgono un ruolo particolarmente importante nel campo dell'assistenza sociale nel nostro paese e che con l'approvazione di questa legge si vedrebbero immerse in un mare magnum di servizi integrati senza che questi ultimi siano sufficientemente radicati nel paese e quindi con il rischio reale che si blocchi ciò che già funziona nelle IPAB, senza che vi sia l'immediata sostituzione con la nuova realtà dei servizi integrati. Quest'ultima, infatti, è di là da venire e comunque la sua effettiva realizzazione andrà poi verificata sul territorio (..). Un altro aspetto che abbiamo sottolineato durante la discussione riguarda il fatto che qui si tende a passare dalla sperimentazione del reddito minimo di inserimento ad una fase più ampia, in cui si tende a mettere a regime l'intervento finanziario a sostegno del superamento della povertà. (..). L'unica strada per battere la povertà è quella del rilancio economico e della crescita dell'occupazione, nonché della flessibilità che, sola, può far aumentare i posti di lavoro.


Alessandro Cè (Lega nord, relatore di minoranza). (..) Questo provvedimento insiste su un impianto di tipo centralista e non ha alcun carattere federalista, anche compatibilmente con quanto previsto dalla Costituzione(..) Per quanto riguarda l'attribuzione delle competenze, lo Stato si è ancora una volta arrogato il diritto di attribuirle alle regioni e agli altri enti locali, dimenticando le province che, proprio in virtù di una corretta applicazione del principio di sussidiarietà, dovrebbero essere l'ente territoriale che meglio sa affrontare le situazioni, specialmente quelle riguardanti l'handicap, perché in grado di confrontarsi con gli enti locali più piccoli e di attuare economie di scala che, in questo settore, consentono di risparmiare risorse e di attuare concretamente molti servizi. Ho parlato di provvedimento demagogico, velleitario e inconcludente.(..) Relativamente alla copertura finanziaria non è possibile non ribadire per l'ennesima volta che la copertura prevista è assolutamente irrisoria. Si parla di 100 miliardi per il 2000 (è un dato, questo, sul quale possiamo anche soprassedere) e di 700 miliardi per il 2001, con la speranza che le risorse aggiuntive provengano dall'adeguamento delle associazioni alla normativa concernente le ONLUS, dalle fondazioni, dagli stanziamenti comunitari e dagli impegni che i comuni dovranno assumersi nei confronti dell'attuazione dei prestiti d'onore e dei buoni servizio; tutte cose che sono lungi dal realizzarsi. (..) Intendo poi soffermarsi su quello che è forse l'aspetto più scabroso del provvedimento, quello della reale assenza di diritti soggettivi. Da un lato con l'articolo 1 si è sottolineato che questa legge assicura servizi sociali a tutti i cittadini; dall'altro non si è mai avuto il coraggio di inserire nel testo la dizione "diritto soggettivo". Anzi, quest'ultimo lo si è fatto valere soltanto con riferimento all'articolo 25, quello riguardante gli assegni e le pensioni sociali; per tutte le altre prestazioni l'erogazione del servizio è stata considerata, diciamo così, come posizione soggettiva del cittadino. Credo che per la prima volta in una legge sia stato introdotto il termine "posizione soggettiva", che tra l'altro non vuole dire assolutamente nulla perché se si tratta di un diritto esso in quanto tale è realmente esigibile; quando un cittadino si reca dinanzi all'ente locale e dice di avere diritto ad un certo servizio l'ente locale non può che erogarlo, logicamente supportato da finanziamenti che dovrebbero provenire da parte dello Stato. Ma se non si può parlare di un diritto soggettivo, allora il risultato sarà il seguente: tutte le categorie più deboli, specialmente quelle tutelate dall'articolo 38 della Costituzione, non avendo una priorità di accesso ai servizi, vedranno le loro risorse sottratte da altre persone che proprio in nome di questa dichiarata universalità del sistema si troveranno nella posizione soggettiva di richiedere tali servizi. Capite bene che la priorità può esistere unicamente sulla base di un diritto soggettivo che stabilisca con esattezza che l'accesso selezionato deve considerare soggetti prioritari i soggetti più deboli (..).

Maura Cossutta (Comunisti italiani). Questa riforma era molto attesa (..) Riformare vuol dire cambiare, certo, innanzitutto, ma come cambiare? Non c'è un'unica spinta al cambiamento, ma ve ne sono molte e dietro ad ognuna vi è un progetto di società, una cultura di riferimento. La nostra cultura di riferimento è quella costituzionalista dell'uguaglianza, dell'universalismo dei diritti, che affida alla responsabilità pubblica dello Stato la risposta ai bisogni primari delle persone, che non rompe, ma continua la stagione storica delle conquiste sociali e civili degli anni settanta e che vede la riforma dello Stato sociale come input positivo e non negativo per lo sviluppo. Questa legge va in tale senso riformatore? Riteniamo di sì, anche se siamo stati critici fino al punto di esprimere voto contrario su alcuni emendamenti ed anche su un articolo: mi riferisco a quelli relativi alle IPAB, ai buoni-servizi, ad una certa ideologia su un eccesso di sperimentazione ed anche al capitolo sulla valorizzazione ed il sostegno delle responsabilità familiari. Tuttavia esprimeremo un voto favorevole per alcuni aspetti secondo noi fondamentali che vorrei sottolineare.
Con questo provvedimento si è data una ridefinizione delle risorse, questione fondamentale, strutturale della riforma dello Stato sociale, perché cambiare non vuol dire tagliare. Sono state stanziate risorse importanti (1.800 miliardi) che aprono una possibilità concreta di garantire, oltre agli emolumenti economici, i servizi di cui le persone più fragili hanno bisogno. Risorse insufficienti? Certo, la spesa sociale nel nostro paese è ancora inferiore alla media europea ed è questa la vera anomalia, non le pensioni, ma questo è comunque un passo importante, un'inversione profonda di tendenza. Un altro elemento di rilievo riguarda la questione della composizione della spesa sociale. (..) Le voci sulla maternità, sulla disoccupazione, sull'aiuto al reddito erano inferiori a quelle dei paesi europei; con il provvedimento in esame si sta invertendo la tendenza. Credo che anche l'articolo sul reddito minimo d'inserimento, uno strumento moderno di cittadinanza, sia stato lasciato come un punto programmatico, non aperto o insoluto; al riguardo, abbiamo posto una questione, un'esigenza, che dobbiamo definire, stanziando in maniera precisa, con certezza, risorse aggiuntive che garantiscano il nuovo reddito minimo d'inserimento. (..). La terza questione attiene al modello istituzionale (..). L'orizzonte di questa riforma dello Stato sociale per la costruzione di un sistema integrato di servizi sociali, resta la Costituzione e lo Stato unitario della Repubblica. Federalismo significa per noi promuovere fino in fondo la responsabilità e l'autonomia degli enti locali: lo Stato, le regioni ed i comuni sono, però, i titolari istituzionali della programmazione, alla quale concorrono i soggetti del volontariato, della solidarietà sociale e del non-profit. Federalismo sì, decentramento pieno alle autonomie locali sì, regionalismo sì, ma non neocentralismo regionale che salti il momento pubblico statale e sposi la sussidiarietà orizzontale come sostitutiva del ruolo istituzionale dell'ente locale; questo modello è stato qui salvaguardato. Infine, questa è una riforma importante, insieme con quella della sanità, che, come Governo di centrosinistra, abbiamo già approvato, perché interviene finalmente con chiarezza sull'integrazione sociosanitaria. Ciò che è di competenza sanitaria deve essere a carico della sanità: mi riferisco ai cronici, alle patologie complesse, che venivano scaricati sull'assistenza e, quindi, sugli enti locali e sulle tasche delle persone. Inoltre, è importante che la lunga ed ampia discussione sul provvedimento in esame abbia prodotto già, di fatto, modifiche, atti del Governo. Mi riferisco alla modifica del decreto legislativo n. 109 del 1998, con la quale si garantiscono i diritti dei più fragili, e, in particolare, alla questione del reddito individuale. È importante, poi, che tale discussione abbia chiarito - al riguardo, è stato chiarificatore un intervento della ministra Livia Turco, al quale ci dobbiamo riferire - che è stato risolto in modo definitivo il contenzioso indecente relativo alle rette da pagare per le case di riposo delle RSA: una cosa sono gli obblighi agli alimenti, previsti dagli articoli del codice civile, altra cosa sono gli obblighi, per i parenti fino al terzo grado, alla compartecipazione nel pagamento delle rette dei loro anziani. Con il provvedimento in esame si modifica il decreto legislativo n. 109 e si mette la parola fine a questo contenzioso indecente. (..).


Vasco Giannotti (Democratici di sinistra). Legge Crispi del 1890: dopo 110 anni, finalmente, con un Governo ed una maggioranza di centrosinistra, la Camera dei deputati approva una riforma dell'assistenza avanzata ed innovativa per garantire su tutto il territorio nazionale diritti a tutte le persone di cittadinanza sociale, con un sistema di protezione soprattutto verso i più deboli! In questo lungo periodo sono intervenuti il decreto n. 616 del 1977, la legge n. 59 del 1997, il decreto n. 112 del 1998 (..). Ora interviene una legge importantissima, autenticamente riformatrice, che afferma un moderno concetto di solidarietà, promuove l'inclusione dei più deboli e l'impresa sociale. (..) L'istituzione del fondo nazionale sociale è il risultato di questo lavoro del Governo, (..) ora viene varata una legge quadro di stampo autenticamente federalista, che riordina le competenze dei ministeri; affida poteri ai comuni e alle regioni; stimola per costruire reti di servizi integrati sul territorio, anche per superare le gravi differenze esistenti nell'assistenza e per i servizi in tutto il territorio nazionale. Si è già detto dei punti di qualità della legge. Il primo: ridefinire il concetto di politiche sociali passando progressivamente dal sistema categoriale e dei trasferimenti monetari al sistema della costruzione di reti integrate di servizi nel territorio, un modo per estendere e personalizzare risposte ai bisogni dei cittadini; il secondo: livelli essenziali di prestazioni accessibile per tutti, ma soprattutto per i più deboli, affidando poi all'autonomia dei comuni la massima libertà nell'organizzazione e nell'integrazione dei servizi per far crescere un sistema di welfare veramente federalista e comunitario. A questo fine è importantissimo quanto previsto dalla legge di riforma della sanità ("legge Bindi") ed è urgente il decreto di applicazione proprio per l'integrazione tra servizi sociali e sanitari; ancora, la previsione del reddito minimo di inserimento come misura di contrasto alla povertà e di formazione e di lavoro; ed ancora, lo sviluppo della nuova imprenditoria sociale all'interno di una concezione forte: le politiche sociali come occasione di sviluppo, di crescita dell'occupazione, di promozione della qualità della vita. Voglio qui sottolineare due punti (..). Il primo punto: (..) mai abbiamo trovato indicato e regolato un ruolo così avanzato per il terzo settore. È un terzo settore che è stato chiamato al tavolo della programmazione, della progettazione oltre che stimolato e sostenuto nel ruolo competitivo di programmazione e gestione dei servizi. Questo è stato fatto all'interno di una concezione dello Stato che non si sottrae alla sua responsabilità, ma al contrario è più incisivo nella sua opera di programmazione, di progettazione e di esercizio del controllo di qualità. Il secondo punto: la legge che stiamo approvando è lo strumento più avanzato che siamo riusciti a creare per regolare anche la sussidiarietà orizzontale e non solo verticale, coniugata al principio di responsabilità. Qui trova forma quella discussione approfondita che abbiamo fatto sugli articoli 55, 56 del testo della bicamerale; la trova su un punto avanzato di equilibrio tra la funzione e la responsabilità pubblica e il ruolo delle forme di autorganizzazione della società. Dunque, altro che statalismo! Un esempio di tutto questo è il ruolo riconosciuto alla famiglia, frutto di un incontro tra culture diverse e alla cui definizione abbiamo lavorato in tanti in quell'articolo 16 sulla valorizzazione e il sostegno delle responsabilità familiari.

Gli articoli 2-10-22

Art. 2 (Diritto alle prestazioni).
1. Hanno diritto di usufruire delle prestazioni e dei servizi del sistema integrato di interventi e servizi sociali i cittadini italiani e, nel rispetto degli accordi internazionali, con le modalità e nei limiti definiti dalle leggi regionali, anche i cittadini di Stati appartenenti all'Unione europea ed i loro familiari, nonchè gli stranieri, individuati ai sensi dell'articolo 41 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. Ai profughi, agli stranieri ed agli apolidi sono garantite le misure di prima assistenza, di cui all'articolo 129, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.
2. Il sistema integrato di interventi e servizi sociali ha carattere di universalità. I soggetti di cui all'articolo 1, comma 3, sono tenuti a realizzare il sistema di cui alla presente legge che garantisce i livelli essenziali di prestazioni, ai sensi dell'articolo 22, e a consentire l'esercizio del diritto soggettivo a beneficiare delle prestazioni economiche di cui all'articolo 24 della presente legge, nonchè delle pensioni sociali di cui all'articolo 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, e successive modificazioni, e degli assegni erogati ai sensi dell'articolo 3
comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335.
3. I soggetti in condizioni di povertà o con limitato reddito o con incapacità totale o parziale di provvedere alle proprie esigenze per inabilità di ordine fisico e psichico, con difficoltà di inserimento nella vita sociale attiva e nel mercato del lavoro, nonchè i soggetti sottoposti a provvedimenti dell'autorità giudiziaria che rendono necessari interventi assistenziali, accedono prioritariamente ai servizi e alle prestazioni erogati dal sistema integrato di interventi e servizi sociali.
4. I parametri per la valutazione delle condizioni di cui al comma 3 sono definiti dai comuni, sulla base dei criteri generali stabiliti dal Piano nazionale di cui all'articolo 18.
5. Gli erogatori dei servizi e delle prestazioni sono tenuti, ai sensi dell'articolo 8, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, ad informare i destinatari degli stessi sulle diverse prestazioni di cui possono usufruire, sui requisiti per l'accesso e sulle modalità di erogazione per effettuare le scelte più appropriate.


Art. 10 (Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza).
Il Governo è delegato ad emanare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo recante una nuova disciplina delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB) di cui alla legge 17 luglio 1890, n. 6972, e successive modificazioni, sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) definire l'inserimento delle IPAB che operano in campo socio-assistenziale nella programmazione regionale del sistema integrato di interventi e servizi sociali di cui all'articolo 22, prevedendo anche modalità per la partecipazione alla programmazione, secondo quanto previsto dall'articolo 3, comma 2, lettera b);
b) prevedere, nell'ambito del riordino della disciplina, la trasformazione della forma giuridica delle IPAB al fine di garantire l'obiettivo di un'efficace ed efficiente gestione, assicurando autonomia statutaria, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica compatibile con il mantenimento della personalità giuridica pubblica; c) prevedere l'applicazione ai soggetti di cui alla lettera b):
1) di un regime giuridico del personale di tipo privatistico e di forme contrattuali coerenti con la loro autonomia;
2) di forme di controllo relative all'approvazione degli statuti, dei bilanci annuali e pluriennali, delle spese di gestione del patrimonio in materia di investimenti, delle alienazioni, cessioni e permute, nonchè di forme di verifica dei risultati di gestione, coerenti con la loro autonomia;
d) prevedere la possibilità della trasformazione delle IPAB in associazioni o in fondazioni di diritto privato fermo restando il rispetto dei vincoli posti dalle tavole di fondazione e dagli statuti, tenuto conto della normativa vigente che regolamenta la trasformazione dei fini e la privatizzazione delle IPAB, nei casi di particolari condizioni statutarie e patrimoniali;
e) prevedere che le IPAB che svolgono esclusivamente attività di amministrazione del proprio patrimonio adeguino gli statuti, entro due anni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, nel rispetto delle tavole di fondazione, a principi di efficienza, efficacia e trasparenza ai fini del potenziamento dei servizi; prevedere che negli statuti siano inseriti appositi strumenti di verifica della attività di amministrazione dei patrimoni;
f) prevedere linee di indirizzo e criteri che incentivino l'accorpamento e la fusione delle IPAB ai fini della loro riorganizzazione secondo gli indirizzi di cui alle lettere b) e c);
g) prevedere la possibilità di separare la gestione dei servizi da quella dei patrimoni garantendo comunque la finalizzazione degli stessi allo sviluppo e al potenziamento del sistema integrato di interventi e servizi sociali;
h) prevedere la possibilità di scioglimento delle IPAB nei casi in cui, a seguito di verifica da parte delle regioni o degli enti locali, risultino essere inattive nel campo sociale da almeno due anni ovvero risultino esaurite le finalità previste nelle tavole di fondazione o negli statuti; salvaguardare, nel caso di scioglimento delle IPAB, l'effettiva destinazione dei patrimoni alle stesse appartenenti, nel rispetto degli interessi originari e delle tavole di fondazione o, in mancanza di disposizioni specifiche nelle stesse, a favore, prioritariamente, di altre IPAB del territorio o dei comuni territorialmente competenti, allo scopo di promuovere e potenziare il sistema integrato di interventi e servizi sociali;
i) esclusione di nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
2. Sullo schema di decreto legislativo di cui al comma 1 sono acquisiti i pareri della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e delle rappresentanze delle IPAB. Lo schema di decreto legislativo è successivamente trasmesso alle Camere per l'espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari, che si pronunciano entro trenta giorni dalla data di assegnazione.
3. Le regioni adeguano la propria disciplina ai principi del decreto legislativo di cui al comma 1 entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo.

Art. 22 (Definizione del sistema integrato di interventi e servizi sociali).
1. Il sistema integrato di interventi e servizi sociali si realizza mediante politiche e prestazioni coordinate nei diversi settori della vita sociale, integrando servizi alla persona e al nucleo familiare con eventuali misure economiche, e la definizione di percorsi attivi volti ad ottimizzare l'efficacia delle risorse, impedire sovrapposizioni di competenze e settorializzazione delle risposte.
2. Ferme restando le competenze del Servizio sanitario nazionale in materia di prevenzione, cura e riabilitazione, nonchè le disposizioni in materia di integrazione socio-sanitaria di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, gli interventi di seguito indicati costituiscono il livello essenziale delle prestazioni sociali erogabili sotto forma di beni e servizi secondo le caratteristiche ed i requisiti fissati dalla pianificazione nazionale, regionale e zonale, nei limiti delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali, tenuto conto delle risorse ordinarie già destinate dagli enti locali alla spesa sociale:
a) misure di contrasto della povertà e di sostegno al reddito e servizi di accompagnamento, con particolare riferimento alle persone senza fissa dimora;
b) misure economiche per favorire la vita autonoma e la permanenza a domicilio di persone totalmente dipendenti o incapaci di compiere gli atti propri della vita quotidiana;
c) interventi di sostegno per i minori in situazioni di disagio tramite il sostegno al nucleo familiare di origine e l'inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare e per la promozione dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza;
d) misure per il sostegno delle responsabilità familiari, ai sensi dell'articolo 16, per favorire l'armonizzazione del tempo di lavoro e di cura familiare;
e) misure di sostegno alle donne in difficoltà per assicurare i benefici disposti dal regio decreto-legge 8 maggio 1927, n. 798, convertito dalla legge 6 dicembre 1928, n. 2838, e dalla legge 10 dicembre 1925, n. 2277, e loro successive modificazioni, integrazioni e norme attuative;
f) interventi per la piena integrazione delle persone disabili ai sensi dell'articolo 14; realizzazione, per i soggetti di cui all'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, dei centri socio-riabilitativi e delle comunità-alloggio di cui all'articolo 10 della citata legge n. 104 del 1992, e dei servizi di comunità e di accoglienza per quelli privi di sostegno familiare, nonchè erogazione delle prestazioni di sostituzione temporanea delle famiglie;
g) interventi per le persone anziane e disabili per favorire la permanenza a domicilio, per l'inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare, nonchè per l'accoglienza e la socializzazione presso strutture residenziali e semiresidenziali per coloro che, in ragione della elevata fragilità personale o di limitazione dell'autonomia, non siano assistibili a domicilio;
h) prestazioni integrate di tipo socio-educativo per contrastare dipendenze da droghe, alcol e farmaci, favorendo interventi di natura preventiva, di recupero e reinserimento sociale;
i) informazione e consulenza alle persone e alle famiglie per favorire la fruizione dei servizi e per promuovere iniziative di auto-aiuto.
3. Gli interventi del sistema integrato di interventi e servizi sociali di cui al comma 2, lettera c), sono realizzati, in particolare, secondo le finalità delle leggi 4 maggio 1983, n. 184, 27 maggio 1991, n. 176, 15 febbraio 1996, n. 66, 28 agosto 1997, n. 285, 23 dicembre 1997, n. 451, 3 agosto 1998, n. 296, 31 dicembre 1998, n. 476, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, approvate con decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, nonchè della legge 5 febbraio 1992, n. 104, per i minori disabili. Ai fini di cui all'articolo 11 e per favorire la deistituzionalizzazione, i servizi e le strutture a ciclo residenziale destinati all'accoglienza dei minori devono essere organizzati esclusivamente nella forma di strutture comunitarie di tipo familiare.
4. In relazione a quanto indicato al comma 2, le leggi regionali, secondo i modelli organizzativi adottati, prevedono per ogni ambito territoriale di cui all'articolo 8, comma 3, lettera a), tenendo conto anche delle diverse esigenze delle aree urbane e rurali, comunque l'erogazione delle seguenti prestazioni:
a) servizio sociale professionale e segretariato sociale per informazione e consulenza al singolo e ai nuclei familiari;
b) servizio di pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza personali e familiari;
c) assistenza domiciliare;
d) strutture residenziali e semiresidenziali per soggetti con fragilità sociali;
e) centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario.




Importanti modifiche al “riccometro”
Fabio Ragaini - Gruppo Solidarietà
Negli ultimi numeri di “Appunti” avevamo pubblicato la nota dell’Ufficio legislativo del Ministero della solidarietà sociale all’ANCI (n. 6/99, p. 16) e la lettera che lo stesso Ufficio aveva inviato al Coordinamento Volontariato della Vallesina (n. 1/2000, p. 20) riferite ai contenuti dei decreti legislativi 109/98 e 221/99. Importanti novità sono state ora introdotte dal nuovo decreto legislativo di modifica del 109/98.
(indice)
Il Consiglio dei Ministri lo scorso 3 maggio ha approvato il decreto legislativo n. 130/2000 di modifica delle norme riguardanti il cosiddetto "riccometro (contenute nei decreti legislativi 109/1998 e 221/1999). Il decreto "Disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, in materia di criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 118 dello scorso 23 maggio, ha introdotto importanti novità per alcune categorie di cittadini "persone con handicap permanente grave di cui all'articolo 3 della legge 104/1992, nonché a soggetti ultrasessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle Aziende Unità Sanitarie" che usufruiscono di "prestazioni agevolate assicurate nell'ambito di percorsi assistenziali integrati di natura socio sanitaria sociali "erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo".
Il decreto stabilisce che per le prestazioni indicate verrà richiesto all'utente una partecipazione al costo del servizio prendendo in considerazione la situazione economica del solo richiedente la prestazione e non quella del nucleo familiare o dei parenti tenuti agli alimenti. Il decreto inoltre chiarisce che le norme riguardanti il "riccometro" non modificano (come aveva già confermato la nota dell'Ufficio legilsativo del Ministero della solidarietà sociale del 15 ottobre all'ANCI nazionale) le norme del codice civile sugli alimenti, compreso l'art. 438, che stabilisce che gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa in stato di bisogno; l'ente pubblico non può (come invece spesso avviene) sostituirsi all'interessato nella richiesta degli alimenti.
Proprio nello stesso giorno in cui il decreto 130/2000 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale alla Camera nell'esame del testo di riforma dell'assistenza durante la discussione dell'articolo 16 a seguito di alcuni emendamenti riferiti anche all'articolo 26 riguardante "Criteri per l'accertamento delle condizioni reddituali"; il Ministro Turco ribadiva le novità introdotte dal decreto legislativo correttivo del 109/98, successivamente l'on. Signorino relatore del provvedimento comunicava la riformulazione dell'articolo 26.

Riportiamo di seguito gli articoli del Decreto legislativo cui abbiamo fatto sopra riferimento, il testo degli articoli 433 e 438 del codice civile, l'articolo 3-septies, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, introdotto dalla recente riforma "ter", cui si riferisce l'articolo 3 del D. Lgs 130/2000 e l'intervento del Ministro Turco alla Camera nella seduta del 23 maggio 2000. Si rimane ora in attesa dell'Atto di indirizzo (vedi art. 3-septies, comma 3 D. Lgs 502 modificato) che dovrà stabilire gli interventi a titolarità sanitaria e quelli a titolarità socio assistenziale. E' ipotizzabile che i servizi "sociali" ricompresi dalla modifica del riccometro che vedranno una contribuzione economica dell'utente considerando solo il reddito dell'assistito (intervento sociosanitario) e dunque con un aumento di spesa per i comuni saranno bilanciati con la partecipazione del settore sanitario prevedendo un sistema di questo tipo: titolarità comunale, copertura del costo del servizio sommando fondo sociale comunale, fondo sanitario (AUSL), partecipazione al costo dell'assistito sulla base del proprio reddito. Per alcuni interventi tale partecipazione sarà nulla (ad esempio soggetti con handicap grave con reddito pari alla pensione di invalidità); diversa è la situazione degli ultrasessantacinquenni malati e non autosufficienti il cui reddito varia a seconda della attività lavorativa svolta.
Dopo le modifiche apportate durante la discussione in Aula, l'articolo (diventato ora 25) riguardante l'accertamento della condizione economica del richiedente è stato così formulato. Art. 25 (Accertamento della condizione economica del richiedente) "Ai fini dell'accesso ai servizi disciplinati dalla presente legge, la verifica della condizione economica del richiedente è effettuata secondo le disposizioni previste dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, come modificato dal decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130". Viene abrogato il comma 2.


Art. 2.
Modificazioni all'articolo 2 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109


6. Le disposizioni del presente decreto non modificano la disciplina relativa ai soggetti tenuti alla prestazione degli alimenti ai sensi dell'art. 433 del codice civile e non possono essere interpretate nel senso dell'attribuzione agli enti erogatori della facolta' di cui all'articolo 438, primo comma, del codice civile nei confronti dei componenti il nucleo familiare del richiedente la prestazione sociale agevolata".


Art. 3.
Modificazioni all'articolo 3 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109


2-ter. Limitatamente alle prestazioni sociali agevolate assicurate nell'ambito di percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a persone con handicap permanente grave, di cui all'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertato ai sensi dell'articolo 4 della stessa legge, nonche' a soggetti ultrasessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle aziende unita' sanitarie locali, le disposizioni del presente decreto si applicano nei limiti stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri per la solidarieta' sociale e della sanita'. Il suddetto decreto e' adottato, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, al fine di favorire la permanenza dell'assistito presso il nucleo familiare di appartenenza e di evidenziare la situazione economica del solo assistito, anche in relazione alle modalita' di contribuzione al costo della prestazione, e sulla base delle indicazioni contenute nell'atto di indirizzo e coordinamento di cui all'articolo 3-septies, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni.

Seduta n. 724 del 23/5/2000, Riforma assistenza

LIVIA TURCO, Ministro per la solidarietà sociale. Vorrei far presente che questa preoccupazione è stata raccolta nel decreto correttivo dell'ISE, recentemente approvato, che indica che per le prestazioni relative agli anziani non autosufficienti e ai portatori di handicap grave e gravissimo vale il principio del reddito individuale e si rinvia all'atto di indirizzo e coordinamento che il ministro della solidarietà sociale ed il ministro della sanità stanno definendo proprio per precisare quali siano le prestazioni sanitarie ad alto contenuto sociale e le prestazioni sociali ad alto contenuto sanitario. La preoccupazione che è stata espressa - nonché il senso dell'emendamento - è dunque legge, in quanto il decreto legislativo correttivo dell'ISE ha concluso il suo iter ed è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Il testo dell'articolo 433 (Persone obbligate) del codice civile è il seguente: All'obbligo di prestare gli alimenti sono tenuti nell'ordine: 1) il coniuge, 2) i figli legittimi o legittimati o naturali o adottivi, e, in loro mancanza, i discendenti anche naturali; 3) i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi, anche naturali; gli adottanti; 4) i generi e le nuore, 5) il suocero e la suocera; 5) i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali.

Il testo dell'articolo 438, primo comma, del codice civile è il seguente: Gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento.

Articolo 3-septies "Integrazione sociosanitaria"

1. Si definiscono prestazioni sociosanitarie tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni cura e quelle di riabilitazione.
2. Le prestazioni sociosanitarie comprendono:
a) prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, cioè le attività finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite e acquisite;
b) prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, cioè tutte le attività del sistema sociale che hanno l'obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute.
3. L'atto di indirizzo e coordinamento di cui all'articolo 2, comma 1, lettera n), della legge 30 novembre 1998, n. 419, da emanarsi, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, su proposta del Ministro della sanità e del Ministro per la solidarietà sociale, individua, sulla base dei princìpi e criteri direttivi di cui al presente articolo, le prestazioni da ricondurre alle tipologie di cui al comma 2, lettere a) e b), precisando i criteri di finanziamento delle stesse per quanto compete alle unità sanitarie locali e ai comuni. Con il medesimo atto sono individuate le prestazioni sociosanitarie a elevata integrazione sanitaria di cui al comma 4 e alle quali si applica il comma 5, e definiti i livelli uniformi di assistenza per le prestazioni sociali a rilievo sanitario.
4. Le prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria sono caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria e attengono prevalentemente alle aree materno-infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da HIV e patologie in fase terminale, inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative.
5. Le prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria sono assicurate dalle aziende sanitarie e comprese nei livelli essenziali di assistenza sanitaria, secondo le modalità individuate dalla vigente normativa e dai piani nazionali e regionali, nonché dai progetti-obiettivo nazionali e regionali.
6. Le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria sono di competenza dei Comuni che provvedono al loro finanziamento negli ambiti previsti dalla legge regionale ai sensi dell'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. La regionedetermina, sulla base dei criteri posti dall'atto di indirizzo e coordinamento di cui al comma 3, il finanziamento per le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, sulla base di quote capitarie correlate ai livelli essenziali di assistenza.
7. Con decreto interministeriale, di concerto tra il Ministro della sanità, il Ministro per la solidarietà sociale e il Ministro per la funzione pubblica, è individuata all'interno della Carta dei servizi una sezione dedicata agli interventi e ai servizi sociosanitari.
8. Fermo restando quanto previsto dal comma 5 e dall'articolo 3 quinquies, comma 1, lettera c), le regioni disciplinano i criteri e le modalità mediante i quali comuni e aziende sanitarie garantiscono l'integrazione, su base distrettuale, delle prestazioni sociosanitarie di rispettiva competenza, individuando gli strumenti e gli atti per garantire la gestione integrata dei processi assistenziali sociosanitari.
Ospedali psichiatrici: chiusi davvero?
Commissione Affari sociali Camera dei deputati
La risoluzione che riportiamo ripropone il problema delle “false chiusure” degli ospedali psichiatrici che, è opportuno ricordare, è stata ri-sancita definitivamente con la legge 724/1994 entro il 31 dicembre 1996.
(indice)
La XII Commissione, esaminata la relazione del Comitato permanente per il monitoraggio del processo di chiusura degli ex ospedali psichiatrici, predisposta sulla base delle audizioni dei rappresentanti delle regioni e delle missioni svolte nelle regioni Abruzzo, Piemonte e Puglia, dalle quali sono emersi sufficienti elementi che depongono per un ritardo del processo di completamento della chiusura e per un'inadeguata modalità di applicazione delle disposizioni delle leggi di recente approvate;

- constatato che in molte realtà regionali si stanno operando "false chiusure" che di fatto cambiano solo il nome dell'ospedale psichiatrico ovvero a chiusure amministrative che, pur trasferendo i pazienti al di fuori delle strutture dell'ex ospedale psichiatrico, non modificano nella sostanza i livelli di assistenza, determinando quindi una vera e propria mistificazione che, in nome del cambiamento, continua a perpetuare un approccio istituzionalista e custodialista del trattamento psichiatrico;
- considerato che i processi comunque avviati a livello regionale o a livello di aziende sanitarie raramente seguono lo spirito e la sostanza delle disposizioni della legge e che le modalità attuative sono spesso di tipo burocratico-amministrativo e non ispirate alla logica sottesa agli indirizzi legislativi, e che tutto questo avviene nella più completa mancanza di dati certi, di forme di controllo efficaci e soprattutto di verifica della qualità dei processi di chiusura e di dimissione; ritenuto che uno dei problemi più gravi lungo il processo di definitivo superamento della realtà degli ex ospedali psichiatrici sia costituito dalle carenze generalizzate, soprattutto con riferimento alle dotazioni di personale e di risorse finanziarie e strumentali, dei servizi territoriali, attorno ai quali dovrebbe essere costruita la risposta ai problemi della salute mentale, e che al contrario talora non sono neanche coinvolti nel processo di dimissione dei pazienti;
- considerato che andrebbero potenziati i Dipartimenti di salute mentale sul piano professionale, organizzativo e delle risorse, così come andrebbe valorizzato il ruolo del privato sociale in modo da creare un'integrazione con il pubblico al fine di procedere nella dismissione in coerenza con la cultura della deistituzionalizzazione e della crescita dei servizi a rete nel territorio;
- considerato che non si procede nella messa a reddito delle aree ex manicomiali e che la spesa storica per degenti non si trasferisce nelle nuove strutture nelle quali questi sono collocati, con l'aggravante di scaricare il peso anche economico sugli enti locali che spesso non sono in grado di sostenerlo né di organizzare servizi adeguati;

- considerato che le strutture private nel momento in cui si stanno preparando o si sono già attrezzate per l'istituzione sul territorio di strutture riabilitative avulse dal contesto o in assenza dei servizi territoriali pubblici in rete (ambulatori, day-hospital, assistenza domiciliare, eccetera), finiscono sostanzialmente per perseverare la logica dell'isolamento manicomiale magari suddivisa e racchiusa in tante e disperse realtà periferiche;
- considerato che le residenze sanitarie assistenziali (Rsa) che vengono istituite all'interno degli ex ospedali psichiatrici o dalle stesse strutture neuropsichiatriche private spesso costituiscono un vero e proprio scandalo in quanto vengono ubicate all'interno di vecchi reparti o subito a loro ridosso senza che vengano neanche modificate né la logica, né il sistema di tutela della salute né persino il personale. Peraltro non solo continuano ad ospitare vecchi malati del residuo manicomiale, ma in quanto riclassificate come Rsa, ospitano anche nuovi malati, come gli anziani non autosufficienti o i disabili fisici e psichici, che magari non hanno mai conosciuto la realtà dell'ospedale psichiatrico consentendo in tal modo di superare anche il divieto assoluto di procedere a nuovi ricoveri;

impegna il Governo:
- a coordinare un'attività di monitoraggio e controllo costante e permanente su tutte le regioni in relazione al processo di chiusura degli ospedali psichiatrici. Tale controllo dovrebbe prevedere anche l'utilizzazione di appropriati indicatori per valutare e verificare la qualità degli interventi e dell'impegno delle risorse, con particolare riferimento all'impiego delle quote della spesa sanitaria destinata ai malati psichiatrici;
- a presentare tempestivamente al Parlamento la relazione trimestrale del processo di chiusura degli ospedali psichiatrici prevista dalla legge n. 662/1997;
- a attuare e verificare il nuovo progetto obiettivo per la tutela della salute mentale 1998-2000 sulla base dei suddetti indirizzi;
- ad attivare la procedure sostitutive previste dall'articolo 32, comma 5, della legge n. 449/1997 per quelle realtà che risultano inadempienti rispetto a quanto previsto dalle disposizioni della citata legge.